[JANAS]
Tutti in scatola!
Ho in generale sempre avuto un buon rapporto con le case (sono una emigrata), anzi più con le case che con i luoghi all'esterno di esse. La casa, per me, è un luogo in cui rifugiarsi ma anche in cui stare, immersi nell'ozio bello tra letture e visioni, negli affetti e nella morbidezza delle gatte. E' il luogo dell'interiorità in cui stare, immersi in cose belle che generano emozioni e nutrono occhi e cuore. Un luogo da cui uscire per lavoro e per piacere, per immergersi in altri luoghi non solo fisici ma soprattutto mentali e spirituali. Non per tutti la casa è però questo. E' spesso un dormitorio, un luogo di transito e non di stazionamento, quasi un non luogo. Una prigione e non una accogliente tana. Le case moderne sono piccole, pensate per nuclei ristretti e solitudini sempre maggiori.
La quarantena ha chiuso porte, porti, frontiere. La casa si è trasformata in un luogo sicuro, ma anche in una fortezza inespugnabile non più solo dall'esterno all'interno ma soprattutto viceversa. Le strade sono diventate improvvisamente deserte e silenziose. Le persone non c'erano più. Ogni tanto si poteva intravvedere qualche fugace sagoma dietro qualche finestra. Cosa facevano tutti tutti i giorni lì dentro? Come stavano? Chi erano? Cosa volevano?
Le fotografie si riferiscono a tre installazioni con ready-made e oggetti della serie “Janas” , costituita da 90 opere, integralmente concepite e realizzate durante il periodo della quarantena nel tentativo di ripopolare il mondo improvvisamente reso deserto dall'arrivo del virus.
Le scatolette di pesce sono quindi divenute abitazioni, chiuse e allo stesso tempo aperte allo sguardo degli osservatori come nuove finestre su un mondo di possibilità, in cui i personaggi con l'aiuto di oggetti non recitano solo scenette ma sono correlativi oggettivi di sentimenti, emozioni ed attese maturate durante la quarantena resasi necessaria a causa della pandemia.
[PICCOLA FARMACIA PORTATILE]
La pandemia ha annullato le individualità e le storie. Siamo diventati invisibili, fugaci sagome dietro qualche finestra reale dalla quale però non entrava abbastanza luce.
La casa da luogo “sicuro” è diventata prigione poco dorata. Le distanze prossimali sono aumentate e così pure quelle sociali ed emotive. L'unico dolore accettabile e comunicabile è diventato quello fisico, dimenticando quello del corpo e dell'anima.
Cosa abbiamo fatto tutti i giorni dentro le nostre case? Come stavamo e come stiamo? Chi eravamo, chi siamo stati e chi siamo? Cosa volevamo prima, durante e adesso? Cosa resta di noi?
Il progetto “Piccola farmacia portatile” vuole portare l'attenzione sui risvolti emotivi e psicologici della pandemia, dando finalmente spazio a tutti quei vissuti problematici assenti dalle narrazioni ufficiali.
Lo scarto, il riciclo e l'uso di materiali non convenzionali sono il punto di partenza per recuperare valore e raccontare di noi come comunità e allo stesso tempo come singoli.
La serie si innesta sul percorso iniziato dalla serie “Janas”, 90 lavori e storie virali con ready-made, oggetti e installazioni, concepite e realizzate durante il periodo del lockdown, per restituire spazi di vita e visibilità alle persone recluse nelle loro abitazioni recuperando una dimensione sociale e comunitaria.
Se nella serie “Janas” il supporto fisico diveniva apertura, Casa della giusta misura, qui invece appare come limite e gabbia. Quello che poteva essere non è stato. La scatola ora non dilata più le sue pareti ma racchiude un disagio che, in un gioco di specchi, si amplifica nello spazio, senza offrire alternative. La nostra malattia è il filtro con il quale abbiamo (ri)costruito il nostro piccolo mondo.
E' il tempo di una nuova cura.
[(DI)STANZE]
Progetto espositivo di libri d'artista
“Tutto fa pensare che l'uomo d'oggi sia più che mai estraneo vivente tra estranei, e che l'apparente comunicazione della vita odierna −
una comunicazione che non ha precedenti − avvenga non tra uomini veri ma tra i loro duplicati”.
Eugenio Montale, Auto da fé
Il progetto si sviluppa in tre libri d'artista che riportano la medesima frase in differenti codici comunicativi, spaziando dal codice verbale al codice Braille, dal codice morse al codice Qr. Ognuno di essi è comunque sempre leggibile in modo e senso “tradizionale” ed esperibile attraverso i sensi, presentando superfici materiche che invitano ad una esperienza comunicativa anche tattile e in un caso sonora per una attivazione multisensoriale.
Il progetto vuole quindi essere in primo luogo una riflessione sul linguaggio e sulla comunicazione, sul nostro intrinseco bisogno di comunicare e allo stesso tempo sui limiti del linguaggio e della comunicazione in tempi veloci.
Se da un lato infatti è impossibile non comunicare poiché anche il silenzio è comunicazione, dall'altro è innegabile che la comunicazione è cambiata nel tempo, nello spazio, nella frequenza e ancora più in periodo di pandemia. A un aumento esponenziale delle comunicazioni e dei codici comunicativi non ha corrisposto però un aumento della qualità stessa della informazione veicolata ma al contrario un suo depotenziamento e un aumento parallelo del senso di isolamento e di incomunicabilità, come se la comunicazione sfiorasse l'essenza senza catturarla.
C'è una forte componente di deliberata difficoltà al limite della illeggibilità nel messaggio e del messaggio che vuole comunicare – attraverso il medium dei libri d'artista - il forte malessere percepito dall'artista, non solo in termini personali ma anche collettivi, di tempi di forzato isolamento e la volontà della sua messa in comunione ai fini del suo superamento in termini collettivi.
Se infatti “comunicazione” significa “mettere in comune”, dall'altro è il codice comunicativo scelto che può esso stesso diventare limite alla comunicazione e quindi la comunicazione può venir meno al suo dovere e alla sua funzione intrinseca. Non è però solo il codice comunicativo il problema, la sua mancata ampia condivisione o l'assenza di adeguati strumenti di decodifica, quanto piuttosto l'assenza del giusto tempo, della riflessione e dell'ascolto, e della disponibilità alla introiezione. Il messaggio dell'altro deve diventare parte di me.
Attraverso i libri d'artista si invita quindi a riflettere sulla distanza che ci separa dagli altri, sul nostro essere lontani osservatori di vite altrui, prendendosi il tempo per la lettura e per l'incontro proprio perché questo davvero avvenga.
Una via di uscita alla incomunicabilità c'è sempre ed è la possibilità di annullare la distanze mettendosi nei panni degli altri. Ecco allora che le due mani – e quindi le due diversità – possono incontrarsi nel reggere lo stesso filo.
[DISTANZIAMENTO]
Chiusi nelle loro case, isolati dagli affetti più cari e limitati nella loro mobilità, esclusi da molte decisioni politiche, ignorati nei loro bisogni più profondi, considerati spesso un peso per la società in quanto non più produttivi o addirittura i responsabili della diffusione del contagio e di esso troppo spesso vittime, gli anziani hanno sofferto e stanno ancora soffrendo molto la nuova normalità durante il Covid e il venir meno di molte importanti relazioni.
Il progetto ha voluto quindi restituire loro visibilità sia come singoli che come membri della nostra comunità, rimettendo in moto le relazioni e ridando voce e importanza a chi l'aveva persa, ricostruendo un nuovo senso di comunità.
Il progetto prevedeva la messa in atto di una pratica antica, quella del ricamo, intima, domestica, femminile per eccellenza e fortemente legata alla cura, per dare vita in maniera collettiva a una parola forte e potente come "distanziamento", terribile e allo stesso tempo necessaria in questo tempo, colorata dei colori della speranza e dell'arcobaleno attraverso l'utilizzo di fili colorati. Ognuna delle partecipanti ha avuto la responsabilità della produzione di un pezzo unico, al quale ha lavorato da sola, mettendo nel suo lavoro anche un parte di sé, in termini di lavoro e di energie emotive.
Il gesto, piccolo e solitario, apparentemente inutile perché parte di un tutto ancora non visibile, ha assunto senso solo alla fine del progetto artistico con l'intervento dell'artista che ha unito i singoli contributi in arcobaleni e con la condivisione con la comunità.
Solo dal sacrificio dei singoli, dal fare ciascuno la propria parte, potrà generarsi bellezza e salvezza per tutti.
[C'ERA UNA VOLTA]
La Chigi dedica la sua ricerca alla creazione di piccoli mondi all’interno di scatolette di latta: le scene rappresentate riguardano contesti in cui soggetti si misurano con la complessità della vita stessa. Queste micro-realtà, a volte, vengono raccontate in modo ironico e con un’apparente leggerezza che viene esaltata grazie all’utilizzo di colori sgargianti. Le parti che costituiscono le sue creazioni sono objets trouvés di differenti materiali, forme e dimensioni, che l’artista assembla insieme a ritagli cartacei su cui interviene con tecniche grafiche e pittoriche.
L’opera C’era una volta, ideata appositamente per questa mostra, si compone di sette esemplari. I contenitori che incorniciano le installazioni sono scatolette riciclate.
La loro forma sferica vuole essere un richiamo alla forma della Terra, proprio per sottolineare che i problemi ambientali, anche quando sembrano essere espressione di un luogo specifico, sono, in realtà, globali. In ogni creazione sono presenti più protagonisti: l’obiettivo è quello di suggerire un incontro tra esseri viventi e sfera ambientale. L’artista vede nell’essere umano il responsabile della devastazione ambientale: incendi, scioglimento dei ghiacciai, inquinamento atmosferico e altri disastri. L’opera vuole sensibilizzare chi la osserva e spingere i fruitori a riflettere su queste tematiche senza rinunciare all’importanza della forma e del suo valore estetico.
C’era una volta apparentemente sembra trasportarci nel mondo delle favole e dei giochi per l’infanzia, invece, i suoi contenuti assumono I tratti di “favole nere”, i cui personaggi si trovano immersi in scenari catastrofici ed estremamente reali e tangibili, dove protagonista e antagonista si confondono. Racconti, a tratti distopici, in cui il finale è incerto e solo raramente sembra essere lieto: C’era una volta, c’è ancora, ci sarà anche domani?
Margaret Sgarra, curatrice della mostra "Think green" -
[ALICE AND THE ORDINARY EXTRAORDINARY]
C’è una intima poesia e una dimensione di sogno nella realtà che ci circonda e la letteratura ci aiuta a scoprirlo, educando il nostro sguardo e quindi l’immaginazione.
Il progetto parte dai romanzi di Lewis Carroll, Alice in Wonderland e Trought the looking-glass, and what Alice found there, per trovare lo straordinario attorno a noi. Rifuggendo il funzionalismo, a partire da Alice, in cinque opere si (ri)scopre la meraviglia del quotidiano in scato lette di pesce ripescate dalla spazzatura, in carte riciclate e in oggetti nati per altri contesti (adesivi, cannucce, profumatori, carte da gioco, gomme).
Il linguaggio e la narrazione surreale di Carroll diventano oggetto da animare recuperando uno sguardo bambino e echi del passato.
Alice è nelle scarpette pronte a partire per un lungo viaggio in cui il Bianconiglio è un coniglio placido, lo Stregatto chiede carezze mentre il Bruco pensa solo a diventare farfalla. Humpty Dumpty è “solo” l’uovo che contiene tutto il mistero del mondo e la Regina che lo sa ora è più felice. Ecco la chiave!
Buon viaggio nella straordinarietà dell’ordinario!
[IN INTIMACY]
Non si guarisce mai da ciò che ci manca, ci si adatta, ci si racconta altre verità. Si convive con se stessi, con la nostalgia della vita, come i vecchi.
Margaret Mazzantini, Venuto al mondo
Che farmene delle stelle, /di questo vento leggero che mi accarezza la sera, /che farmene di una finestra spalancata sul mondo, / sull’orizzonte, se tu non ci sei? / Tutto ha una luce diversa se sei qui con me. / Tutto ha senso solo se posso raccontartelo./ Il mondo è semplicemente nel tuo abbraccio.
Jannis Ritsos, Che farmene delle stelle
Ognuno sta solo sul cuore della terra/ trafitto da un raggio di sole: /ed è subito sera.
Salvatore Quasimodo, Ed è subito sera
Una parola lunga 14 lettere, 2 volte il numero 7, a simboleggiare il lungo tempo del distanziamento, per riflettere sull'isolamento dagli altri e sulle sue conseguenze all'interno del microcosmo delle relazioni intime. Il lavoro analizza il vissuto pandemico nella dimensione dell’intimità, a partire da un indumento privato, normalmente non visibile e qui sfacciatamente presentato.
Lettere bianche su capi di biancheria colorati a formare un faticoso impossibile e lunghissimo arcobaleno.
La sofferenza della lontananza, il forzato distanziamento dall'amato qui si materializza in una delicata scritta ricamata, visibile una lettera alla volta in un tempo innaturalmente dilatato che rispecchia il nuovo tempo della pandemia. Ogni lettera, un giorno.
Il lungo sospiro dell’attesa si dispiega in una sorta di doppio settimino che ricalca i tempi di elaborazione dei dati - e delle decisioni politico-sanitarie - durante la pandemia: i giorni della settimana sono lettere slegate tra loro, impossibili promesse di felicità. Il distanziamento assume la forma di una frattura emotiva che diventa ora visibile, una lettera alla volta. La relazione si è svuotata dall'interno: ha mantenuto la sua forma, ma, come una rosa secca, ha perso colore e profumo.
[THE GAME OF LIFE]
«Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. (...)
La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte
dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana:
suona per te».
John Donne, da Meditazione XVII, in Devozioni per occasioni d’emergenza, Editori Riuniti, Roma, 1994, pp. 112-113.
Un gioco - agrodolce - per capire che nessuno di noi è un’isola.
Nella circolarità del tappeto-mondo, le strade della vita si intersecano continuamente. Le categorie di lontano e vicino svaporano, assieme alle nostre certezze.
Il gioco - impossibile - è quello di far transitare sul tappeto dei piccoli tappi a corona, giocando con la loro forma frastagliata ad alludere a quella del famoso virus, in modo ordinato evitando il contatto - destabilizzante - con le case.
A chi toccherà oggi? La pandemia come una lente deformata ci ha permesso di percepire, nel nostro piccolo, una nuova pratica della quotidianità, nonché soprattutto di sperimentare la dimensione globale di problemi e fenomeni, dai quali nessuno può pensarsi immune.
La sicurezza data dalla casa, fatta di mura, razionalità e certezze, si è rivelata può renderci deboli: la casa da rifugio diventa prigione di pensieri e anime, improvvisamente fragile come una ceramica.
L'equilibrio è solo apparente e precario. Il contatto con un piccolo tappo può infatti farla cadere. Non è più possibile fingere di non vedere l'interrelazione uomo-Natura e ignorare il destino degli altri.
A chi toccherà domani? L'unica risposta possibile all'hybris e all'egoismo umano è la consapevolezza di abitare tutti la stessa Casa e di essere parte della stessa unica grande Comunità.
[LA MECCANICA DEI LEGAMI]
“Per essere autenticamente reciproco, un rapporto adulto deve essere formato da due persone distinte
che scelgono di stare insieme. Parliamo di legami che ci uniscono, ma la vera intimità nasce dalla libertà di scelta.
Dobbiamo saper dire no all'istinto di imporre le nostre idee, di tenere l’altro strettamente legato a noi o all'immagine
che abbiamo di lui (o di lei). Per essere uniti dobbiamo lasciar andare.
Solo allora potremo impegnarci in uno scambio autentico e alla pari.”
Asha Phillips, I no che aiutano a crescere, Universale Economica Feltrinelli, 1999
“Quando sei qui vicino a me/ Questo soffitto viola/ No, non esiste più/
Io vedo il cielo sopra noi/ Che restiamo qui/ Abbandonati/
Come se non ci fosse più/ Niente, più niente al mondo”
Gino Paoli, Il cielo in una stanza, 1960
L'opera è realizzata con materiali di recupero, domestici e poveri nella loro essenza (teglia da forno per il supporto, lattine per le mani, filo ad uso alimentare e un vecchio ditale) ma ricchi di simboli e legami, in primo luogo quello tra il cibo e l'affettività.
Una teglia da forno in alluminio è divenuta l'accogliente e protettiva Casa, spazio allo stesso tempo abitativo, intimo e relazionale, di due esseri umani. Il soffitto della Casa, come nella canzone di Gino Paoli, diviene cielo.
Noi, autorizzati voyeur, osserviamo nel fermo immagine della danza delle loro mani il loro legame che si espande oltre lo spazio fisico.
Una relazione d'amore simboleggiata da un filo rosso - originariamente bianco e tinto passandolo tra le mani in un rituale carezzevole nel colore - e che si proietta nello spazio della casa occupandola, in spazi sia condivisi che divisi, in un calibrato equilibrio tra l’intrecciarsi e il non stringersi troppo con quella giusta distanza che, come un ditale, protegge i due amanti.
[CASA DI BAMBOLA]
NORA: Eri molto carino con me: ma la nostra casa non è stata altro che un luogo di ricreazione. La mia vita!
Con mio padre, una bambola-figlia; con te, una bambola-moglie.
E i nostri figli, le mie bambole. Mi divertivo quando giocavi con me,
come loro si divertono quando giocano con me. Ecco cos'è stata la nostra unione, Torvald.
Ibsen, Casa di bambola, Atto III
L'identità è un costrutto mutevole nel tempo e al tempo stesso immutabile, individuale e collettivo, sensibile alle pressioni e ai condizionamenti della società, a partire dai giochi dell'infanzia.
Ci sono ruoli precisi a cui aderire, tappe obbligate di un copione già scritto e vestiti già pronti da indossare in un processo che ancora ciclicamente si ripete.
"Casa di bambola" é un progetto di cinque opere che ripercorrono le tappe di una vita umana, dall'infanzia fino alla morte e oltre, nel trasfigurare della Storia, una storia dapprima solo individuale e solo al femminile e poi collettiva.
Non c'è leggerezza e possibilità di fuga ma un'atmosfera sospesa e malinconica e un senso di ineluttabilità.
[NE' CARNE, NE' PESCE: CARNE(,)VALE!]
Attese disattese: un coperchio - chiuso o aperto - e un contenitore che non contiene ciò che ci si aspetta e una scena surreale. Cosa sta succedendo?
Definire ciò che accade nel Carnevale e nell’arte non è possibile. Il mondo procede alla rovescia e contenitore e contenuto non si corrispondono.
L’opera vuole scombinare i piani e sparigliare le carte, portando a riflettere in maniera giocosa e surreale, a partire dal titolo, per darsi un nuovo sguardo sulle cose. Un inno alla vita e alle possibilità, una giocosa rivolta contro le costrizioni e le rigide definizioni e le etichette.
Ecco allora che in questo piccolo mondo parallelo sacro e profano si incontrano, anzi scontrano, e tutto si può rovesciare, finalmente, per un po’, per creare qualcosa di stra-ordinario.
[THE WRITER'S BLOCK BLOCK (NOTES)]
Tre mini libri per (non) raccontare una storia d'amore finita.
Della passione iniziale e del tripudio di sentimenti e sensazioni, dello sguardo amorevole che dà nuova vita all'amata non resta che l'impronta di un fiore, dissolvenza effimera di un sentimento e allo stesso tempo della memoria che pian piano sta svanendo.
Il tempo mangia i ricordi e la scrittura vorrebbe provare a fissare quei momenti per non perderli, per restituirli alla vita e agli altri ma il tentativo di raccontare e ricordare – cosa provavo, come mi sentivo bella grazie ai tuoi occhi - si infrange sulla pagina bianca.
Resta solo il progetto di raccontare ciò che è stato che si scontra con la consapevolezza dell'ineffabilità del sentimento, la fallacia della memoria e quindi dell'impossibilità dell'impresa.
La pagina rimane (quasi) bianca. Le parole sono invisibili e intime.
Tra ineffabilità e mistero possiamo provare da osservatori curiosi ad avvicinarci alla storia d'amore solo attraverso l'uso di una lampada a UV, con pazienza, perdendoci in una scrittura che però è quasi asemica della quale possiamo intuire con pazienza solo sprazzi di ciò che forse è stato. L'ultimo libro infatti ci mette in guardia: alcuni ricordi sono già persi per sempre. Il tempo ha già cancellato la vita e le parole.
Il progetto è quindi un lavoro di indagine sulla memoria, meccanismo così fallace ed imperfetto e allo stesso tempo così necessario alla nostra identità, sulla sua soggettività e sulla difficoltà o forse impossibilità di comunicarla agli altri e a noi stessi.
Gli oggetti di cartapesta in copertina – in dialogo con altri materiali - sono quindi i veri protagonisti, effimere e tangibili pagine di questa storia d'amore, molto vissuta e poco scritta, fatta ora di parole tanto in potenza e poco in atto. Uno specchio che non riflette più, avendo perso lo sguardo dell'altro su di noi, un occhio che non può più guardare il suo fiore che ormai si sta dissolvendo e un nastro che fatica ad afferrare ciò che dovrebbe.
Il cuore anatomico, solo apparentemente bianco come le pagine, sembra quasi un foglio accartocciato, perfetta resa dello scrittore. E' ciò che resta nel suo silenzioso candore di tutti i palpiti d'amore. A lui l'arduo compito di custodire la storia, legando a sé gli altri libri.
[A LOVE. THE CANOVA'S BOOK]
Una lettera reale (trascritta) - un appuntamento saltato da recuperare - a una donna misteriosa: una possibile amante e musa ispiratrice?
Da questa suggestione si sviluppa il libro-oggetto che dalla copertina “illustra” con una sinfonia di oggetti-riferimenti a (particolari di) opere di Canova il procedimento operativo dello scultore, dall'argilla al gesso con le repere per poi passare al marmo, in un gioco cromatico e con i materiali.
Il libro d'artista è frutto di una ricerca sulla vita (amorosa e misteriosa) di Canova, depurata dal fratello sacerdote e biografo, e della sua opera e delle tecniche da lui utilizzate.
Un personale omaggio al suo genio.
[IL PESO DELLA CURA]
La casa è per te linda e profumata. Adesso preparo anche la cena. Aspetta. Sono appena tornata dal lavoro. Ho fatto anche la spesa. Ho fatto tutto e devo fare tutto io. Sempre e solo io.
Il carico della cura mi piega, mente e corpo.
Qualcuno mi sente?
[LOTTERY. DIFFERENT CHANCES OF WINNING]
“In carrozza, signori! E che la Sorte ve la mandi buona! Buona lotteria delle opportunità”.
Nascere dalla parte “giusta” del mondo è questione di fortuna. Le opportunità non sono ancora le stesse per tutti. Dobbiamo vedere gli ostacoli ed eliminarli.
[MORTE BIANCA. IL TUO DOLORE E' IL NOSTRO DOLORE]
O Figlio, figlio amato,
perché mi hai lasciato?
Figlio, perché il mondo
ti ha così spezzato?
Figlio stritolato, schiacciato, caduto.
Figlio, immolato sull'altare
del lavoro, crocifisso
a beneficio di (pochi)
altri.
Oggi io, Maria, piango te,
figlio mio,
con tuo fratello.
Domani, figlio, piangerò
lui.
L’opera si sviluppa a partire dall’immagine di un doppio Compianto, letterario e scultoreo, che viene riletto in chiave moderna, in un dialogo con la tradizione e con il sacro.
La morte rappresentata è quella di un Dio umano, ridotto a “semplice” figlio di una madre di nome Maria.
La morte di Gesù è la morte di un moderno operaio, immolato sull’altare del lavoro.
La nuova dimensione della scena è sottolineata dalla piccola figura in primo piano, un (altro) lavoratore, che cerca di accarezzare il corpo morto di Cristo, in un gesto di estrema pietas
che non può lasciarci indifferenti, non solo al dolore di Maria e di San Giovanni ma al dolore per una morte ingiusta - come già quella di Cristo - come è quella di un lavoratore morto mentre svolgeva il suo lavoro.
Il dittico esce dal suo luogo tradizionale, entra nel mondo e diventa testimonianza e moderno doloroso monito urlato.
[THE TASTE OF LIFE]
L'opera, strutturata in 3 blocchi orizzontali tematici e temporali a cui fa da contraltare un unico blocco verticale a sinistra che con-tiene il titolo, rilegge stilemi e modalità compositive proprie dell'iconografia religiosa classica in un dialogo con la letteratura e la storia dell'arte.
Un pipistrello, simbolo di una Natura matrigna di leopardiana memoria, irrompe su una folla inconsapevole con la sua ombra. Il mondo si riduce a un interno domestico dove tutto è concentrato sul prezioso respiro.
L'atmosfera è sospesa.
Seduti, in paziente attesa della luce della scienza che illuminerà le nostre tenebre - e la sedia - e indicherà la via d'uscita per farci riassaporare la vita in e con tutti i sensi.