Cirò Marina

Cirò Marina è un comune italiano di circa 14.000 abitanti[4] della provincia di Crotone in Calabria. Sorge sulla costa ionica dell'alto crotonese nell'area dell'antica colonia magnogreca di Krimisa e fino al 1952 ha fatto parte del comune di Cirò.[5]

È nota per il vino Cirò DOC ottenuto dai vigneti composti dal vitigno Gaglioppo, per le Clementine di Calabria (prodotto IGP), e come località turistica balneare.

Storia

Il territorio del cirotano vede la presenza di comunità umane già dal Neolitico. Dal Bronzo medio, vengono occupati il sito di Motta, su un pianoro elevato che domina la valle del Lipuda e la costa, e quello di Madonna di Mare, di località Oliveto, Taverna, e Madonna d'Itria[6]. Durante l'età del ferro, gli insediamenti sono posti in posizione più arretrata rispetto alla costa, sulla collina di Cirò (Cozzo Leone e colle Sant'Elia), in una fase indicata dalle fonti storiche antiche come caratterizzata dall'arrivo dei primi coloni greci riconducibili al mito di Filottete, che in questo territorio avrebbe fondato Krimisa ed il Tempio di Apollo Aleo, presso cui consegnò e consacrò il suo arco e le frecce ricevute da Eracle.

Dopo la fondazione di Kroton il territorio ne subisce l'influenza ed il controllo, risultando occupati ed ellenizzati i siti di Cozzo Leone e Sant'Elia, di Punta Alice, ed altri nuovi siti in località Taverna nella valle del Lipuda. Dopo la distruzione di Sybaris (510 a.C.), nel territorio cirotano, trovando in posizione strategica lungo l'asse costiero, si assiste ad un notevole sviluppo di insediamenti in particolare lungo l'area paralitoranea posta a dominio della foce del Krimisa potamos (Lipuda)[6], con fitte evidenze archeologiche.

Con l'espansione dei Brettii nel territorio, nell'età ellenistica, il santuario di Punta Alice diviene il polo religioso di riferimento della popolazione italica stanziata tra Thurii e Crotone. i Bretti si stanziano in aree sparse lungo la pianura come attestato da diverse evidenze archeologiche.

Dopo la conquista romana della Calabra nell'età repubblicana, e con il progressivo smantellamento della rete insediamentale brettía, compiutosi nel corso del II sec. a.c.il Cirotano subì un forte colpo, sicché, assieme al popolamento sparso dell'interno, venne meno anche la fitta rete di fattorie raggruppate alle spalle del centro moderno dí Círò Marina. L'occupazione Romana sembra privilegiare in questa fase la statio di Paternum a Torretta di Crucoli ed il municipio di Petelia (Strongoli). Poco sembra cambiare durante l'epoca imperiale, salvo lo sviluppo di alcune ville rustiche sulle alture prospicienti la valle del Lipuda.

Durante le guerre puniche gli abitati Brettii di Krimisa furono predati e saccheggiata ad opera dei Romani e dei Cartaginesi, e poi smantellati durante l'età repubblicana. I nuovi insediamenti che si formavano lungo la costa del cirotano vennero distrutti diverse volte durante le guerre greco-gotiche. A causa di tali devastazioni e saccheggi, proseguiti lungo tutto l'alto medioevo, le aree costiere furono gradualmente abbandonate al loro destino e gli abitanti si rifugiarono sulle colline che rappresentavano un'ottima posizione strategica, contribuendo, così, a ripopolare il nucleo antichissimo dell'attuale cittadina di Cirò.

Dopo l'anno mille e la conquista dei normanni nell'Italia meridionale, le aree costiere vengono ad essere nuovamente occupate e coltivate, nonostante che la posizione lungo la viabilità costiera e le facilità di attracco rendessero il territorio facilmente aggredibile ed interessato da lotte di potere e tentativi conquista.

Nel 1115 Riccardo Senescalco, figlio del Gran Conte di Puglia e Calabria Drogone d’Altavilla fratello di Roberto il Guiscardo, entrambi da tempo defunti, sottoscriveva una concessione con la quale dava licenza e potestà all’abate Raimondo del cenobio di San Salvatore di Monte Tabor di poter ripopolare il Castro o borgo fortificato di Alichia (Castrum Licie), da molto tempo in abbandono. Concedeva anche un suo terreno situato “inter Liciam et Castellum, quod dicitur Psichro” ed un terreno posto in una valle vicino l’“ecclesiam S. Andreae Apostoli” (?) nella quale egli ricorda di avere soccorso largamente i poveri di quel contado in un tempo di grande carestia, avendola seminata per loro beneficio e per amore di Dio[7]. Documentata è l'utilizzo della difesa o foresta regia di Alichia, presso l’odierna Punta Alice, dove vicino ad essa sorse nel Duecento l’abitato di Alichia che, secondo la testimonianza della sua stessa università, fu edificato e formato al tempo dell’imperatore Federico II (1194-1250)[8].

Con la conquista degli Angioini nel Regno di Sicilia è attestata la presenza del regio palazzo di Alitio. In quanto simbolo della oppressione regia e feudale, venne devastato e distrutto, tanto che nel 1275 il re Carlo I d’Angiò ordinava al giustiziere di Val di Crati e Terra Giordana di perseguitare gli abitanti delle terre vicine e di costringerli a riedificare a loro spese il regio palazzo. Alichia allora aveva 2331 abitanti. Due anni dopo la difesa di Alichia e quella di Crotone sono citate tra le nove foreste regie esistenti in Calabria[8].

Scoppiata la guerra del Vespro, nel 1283 Alichia fu devastata dagli Aragonesi che vi uccisero le persone più importanti, ferirono molti e altri dovettero fuggire. Alichia ed il suo palazzo furono concessi in feudo a diversi militi fedeli ai regnanti dell'epoca. Con il matrimonio tra Sibilla de Regio e Pietro Ruffo, primogenito del conte di Catanzaro Giovanni, nella prima metà del 1.300, Alichia e Ypsigrò passarono ai Ruffo[8][9]. In un atto del 1334 è attestata per l'ultima volta l’esistenza dell’abitato di Alichia, come che poi spopolò e non rimase più traccia. La foresta, il palazzo, i diritti e le altre proprietà feudali rimasero legati alle vicende della casata dei Ruffo e andarono a far parte del feudo di Ypsigrò, con quest'ultima denominazione che nel corso del tempo divenne dapprima Zirò e infine Cirò.[10]

Dopo le guerre napoleoniche e l'eversione dalla feudalità, ed il mutato clima nel Regno delle Due Sicilie, si verificarono le condizioni per la nascita di una nuova comunità nei territori della Marina, grazie anche alla quotizzazione di alcuni terreni demaniali, che vennero assegnati a contadini indigenti. Questa partecipazione dei ceti popolari alla trasformazione produttiva del territorio cirotano venne testimoniata altresì dalla nascita, nel 1859, di una Cassa popolare di prestanze agrarie a favore degli agricoltori in difficoltà[11].

Dall'Unità dItalia alla seconda guerra mondiale la Marina di Cirò andava man mano sviluppandosi a scapito del comune collinare: nel dopoguerra la Marina aveva già una popolazione più numerosa dell'abitato collinare di Cirò, ponendosi le condizioni per il distacco dal centro antico. La separazione consensuale si verificò con delibera del 31 dicembre 1951 da parte del Consiglio comunale di Cirò[11][12].

Simboli

Lo stemma ideato dall'artista locale Emilio Frangone è diviso in due parti: il primo bianco con la testa di Bacco al naturale, posta di profilo; il secondo rosso con il tripode d'oro. Sotto lo scudo, su lista rossa con le estremità bifide svolazzanti, in caratteri maiuscoli romani in nero: Mari Felix Meroque. I colori utilizzati per il fondo richiamano il vestito degli antichi greci-italioti: il bianco ricorda la tunica, il granato il caratteristico mantello. L'iscrizione, Mari Felix Meroque, di monsignor Antonino Terminelli, celebra la ricchezza della zona il cui vanto è costituito dal mare e dal vino. Al vino rimanda anche la figura di Bacco, la cui capigliatura è formata da grappoli d'uva. Il tripode, invece, è un omaggio allo spirito sportivo che animò la cittadina fin dal suo primo sorgere.

Monumenti e luoghi d'interesse

Architetture religiose

Chiesa di San Cataldo

Dedicata a san Cataldo, patrono del paese, fu canonicamente eretta nel 1901. L'edificio, risalente al 1903 e ampliato nel 1950, sorge nella centrale piazza Armando Diaz, nell'area dove si formò il primo sito abitato della cittadina, noto come Baracca. L'interno trinavato è scandito da due arcate. La navata centrale è affrescata con immagini sacre e presenta un soffitto a capriate in legno. La zona absidale semicircolare, anch'essa con dipinti su sfondo oro, racchiude l'altare maggiore a muro in marmi policromi con al centro la statua della Vergine con il bambino. Una delle cappelle laterali è dedicata a san Cataldo. Una particolare attenzione meritano sia il portale di bronzo, che celebra la storia locale della cittadina, realizzato nel dicembre del 2002 dallo scultore locale Elio Malena, sia i mosaici che impreziosiscono le pareti interne della chiesa.

Santuario Maria Santissima d'Itria

Sorge dove un tempo era il castrum di Licia, Alice o Alichia lungo la strada per Cirò e prende il titolo dall'appellativo bizantino Odeghitria, cioè "Guida - Condottiera". Il suo antico titolo "Sancta Maria de Illirìa", cioè Santa Maria dell'Illiria, (l'Illiria è il sud dell'attuale Albania) testimonia la provenienza dell'antica icona originaria (andata perduta) scampata come molte altre alla lotta iconoclasta. Fu Commenda templare e poi affidata ai Cavalieri di Malta dalla sospensione dell'Ordine del Tempio fino alle soppressioni napoleoniche. La chiesa è documentata in un privilegio di metà XV secolo.

Era sede di una grandiosa fiera fino a tutto il Settecento, il 14 settembre, giorno della festa della Madonna d'Itria. Il Servo di Dio Eugenio Raffaele Faggiano, vescovo passionista di Cariati, nel 1940 mise la prima pietra per la riedificazione del diruto santuario, e lui stesso, secondo il suo desiderio, dal 1982 riposa nel santuario, risorto e retto dai padri passionisti suoi confratelli. Al suo interno è custodita una tela in stile iconografico-bizantino della Vergine con il Bambino (autore ignoto dell'Ottocento). Di pertinenza della chiesa sono un salone per convegni, una biblioteca (aperta su richiesta) e una sala lettura. Il Santuario ha un proprio sito internet[13].

Chiesa di Madonna di Mare

Si trova a fianco della struttura dei Mercati Saraceni, a circa 4 km dal paese, sul terrazzo che sovrasta il Capo dell'Alice. È stata eretta poco prima del 1638 su iniziativa del vescovo di Umbriatico Antonio Ricciulli[14], che sollecitò il feudatario, marchese di Cirò - il Principe di Tarsia D. Ferdinando Spinelli[15] - a costruire la Chiesa sul “Capo della Lice” a beneficio dei pescatori, pastori e contadini che spesso si incontravano in quel luogo per i loro affari e nei giorni festivi non potevano assistere al sacrificio della messa, essendo il luogo distante quattro miglia dall'abitato. Il principe spontaneamente si impegnò a far costruire a sue spese una cappella sul luogo, nella maniera indicata dal vescovo. Per dare la possibilità di celebrare, la dotò di una rendita di ducati cinquanta, in modo da pagare un prete secolare, designato dal vescovo, il quale potesse ascoltare le confessioni e celebrare nei giorni di domenica e nelle festività[16]. Oggi è dedicata alla Regina del Cielo. Degna di nota è una tela di autore ignoto che riproduce l'effigie della Vergine.

Altre chiese

Statua del Cristo

Nei pressi del santuario dedicato alla Madonna dell'Itria, su un colle che domina un ampio panorama, è stata posta una grande statua di Cristo nell'atto di benedire l'abitato sottostante. Poggia su un basamento in cemento, costituito da un blocco rettangolare sovrastato da uno quadrato.

Monumento a Santa Rosa Gattorno

Sul Lungomare Stefano Pugliese Sud è stata collocata, nel 2000, una statua in bronzo posta su un basamento in marmo bianco, raffigurante la religiosa che ha fondato l'ordine delle Figlie di Sant'Anna. Suor Rosa fu beatificata proprio nel 2000 da papa Giovanni Paolo II.

Architetture civili

Mercati Saraceni

Un beneficio religioso di origine settecentesca venne creato, nella località oggi denominata Madonna di Mare, per iniziativa dei feudatari principi di Tarsia. Essi ottennero la possibilità di organizzare qui una fiera dall'1 al 3 maggio. Proprio in questa località, infatti, si trova il complesso mercantile che nel corso del Settecento fu sede di quella fiera, una delle più importanti del comprensorio, la fiera di Santa Croce, che richiamava, per la ricchezza e la qualità delle mercanzie, le vicine popolazioni arberesh (Carfizzi, San Nicola dell'Alto, Pallagorio)[17]. All'inizio del XIX secolo, a causa delle invasioni turche che interessarono l'intera fascia ionica, la fiera venne interrotta. G.F. Pugliese - che era vivente all'epoca de fatti - narra infatti che nel 1802 durante la Fiera, presente una numerosa comunità di mercanti, venne cannoneggiata da grosse navi barbaresche[18]. Forse per questo i mercati portano il nome di mercati saraceni, anche se il Pugliese non usa questa denominazione, che dovrebbe essere sorta successivamente.

Sono formati da due file di arcate in pietra che un tempo servivano al posteggio-merci, dopo la loro ristrutturazione, ultimata nel 1990, sono divenuti scenario di attività artistiche e teatrali. Durante la festa patronale, che si svolge dall'8 al 10 maggio, la statua di San Cataldo viene portata in questo luogo, dove rimane all'interno di una chiesetta per un'intera notte.

Fontana del Principe

Situata a Nord-Est del castello Sabatini, a ridosso della S.S. 106, è una fontana ottocentesca a specchio con tre archi sui quali è apposta una lastra di marmo, contenente lo stemma dei nobili signori Spinelli.

Palazzi Porti

Risale all'Ottocento, si trova in piazza Diaz, sono ospitati il Museo civico archeologico e gli uffici della Soprintendenza. Su due livelli, si caratterizza per i ricchi frontoni che adornano i balconcini balaustrati. Gli angoli sono rinforzati da finte paraste scanalate terminanti con capitelli aggettanti finemente decorati con stucchi. Diversi i punti di accesso tutti di forma rettangolare, tranne il portale principale che ha un arco a tutto sesto. Il tetto terrazzato è in parte occupato da un'ala rialzata, adibita a mostre, convegni e incontri.

Palazzo Siciliani

È un imponente costruzione in pietra facciavista su due livelli. Al piano terra si apre il grande portale con arco a tutto sesto. Degni di nota i balconcini in ferro battuto e le cornici in pietra delle finestre. È ubicato in Via Vittorio Emanuele.

Palazzo Caparra

Si eleva su tre livelli è stato più volte rimaneggiato. Nel corpo centrale si nota una costruzione tipo torretta, ha una corte a cielo aperto, sorge in via Tirone.

Palazzo Godano

Palazzo Godano (XVIII secolo), già sede vescovile della Diocesi di Umbriatico, si trova in via Mandorleto.[19]

Monumento a Giuseppe Gangale

Al filosofo e glottologo Giuseppe Gangale è stato eretto un busto collocato su un basamento rivestito in lastre di marmo. A lato, su un blocco di pietra grezza, sono scolpiti alcuni libri. Il monumento è posto nella villetta sul Lungomare Stefano Pugliese alle spalle della chiesa principale. Realizzato dall'artista Raffaele Elio Malena.

Altro monumento dedicato al glottologo G. Gangale - progetto arch. Mario Patanisi- si trova all'interno del cimitero comunale raffigurante un portale ed ai piedi dello stesso vi è depositata un'urna funeraria.

Monumento ai Caduti

Ai caduti di tutte le guerre è stato innalzato un monumento che si compone di un alto basamento rivestito in marmo su cui è collocata una statua della Vergine con il Bambino. Per i marinai morti in mare è stata inserita una grande ancora in ferro.

Architetture militari

Castello Sabatini

È una costruzione di tipo militare a pianta quadrilatera con torri angolari speronate.

Edificato nei primi decenni del XVI secolo dai Carafa marchesi di Cirò, è noto pertanto anche come castello dei Carafa, fu nel tardo Settecento trasformato dagli Spinelli, feudatari principi di Tarsia, che del manufatto militare fecero un'elegante dimora gentilizia. Il castello fu acquistato dalla famiglia Sabatini nel 1845 dalla quale prende oggi il nome.

Il castello è anche noto come Castello del Principe.[19]

Torre Nuova (o Torrenova)

Costruita nel 1596 per volontà del marchese Vespasiano Spinelli, è situata nella contrada Brisi. La struttura rappresenta, insieme alla Torre Vecchia, il cardine di un sistema difensivo e di avvistamento.

Il Valente parla di un’incursione turchesca respinta nel 1697, di un’incursione senza resistenza nel 1707, e di un’incursione e conquista nel 1805.

La torre a pianta quadrata, di 16 metri di lato, con base a scarpa collegata senza raccordo, non presenta “...nessun segno di caditoie anche forse cancellate da evidenti restauri.”

Torre Vecchia (o Torre del Capo della Lice)

Lungo il pendio che unisce Madonna di Mare alla costa si trova una torre di avvistamento a pianta quadrata, costruita proprio in seguito alle prime invasioni saracene. È detta "Torre Vecchia", sia perché è stata tra le prime ad essere costruita nel Regno di Napoli, essendo già esistente ed utilizzata nel 1586[20], per poi essere indicata poco dopo nel 1591 come "Torre del Capo della Lice"[20], e sia perché si ritiene essere stata costruita sui ruderi di una torre più antica.

Le prime notizie certe riguardanti la torre risalgono al 1569, anno in cui è torriero Giovanni Dias; nel 1598 la torre viene assalita ed occupata da Bascià Cicala. Si conoscono poi i nomi dei torrieri nel 1601, 1661, 1668; nel 1741 la ritroviamo in un elenco di torri da riparare. Di forma quadrata di 10 metri di lato, come tale riportata anche nelle mappe Rizzi-Zannoni[21], a leggera scarpa raccordata senza cordolo.

È caratterizzata da due livelli coperti entrambi da volta a botte; al piano superiore si accedeva da un’apertura soprelevata, posta sulla parete a monte, alla quale si arrivava mediante una rampa fissa in muratura, forse caratterizzata da un ultimo tratto mobile, testimoniato dalla presenza di una stretta feritoia murata al di sopra dell’apertura di ingresso. Tramite una scala interna, realizzata nel vivo della muratura, si accedeva al livello del terrazzo, dove era posta l’artiglieria. Delle due pareti a mare, quella sul tratto di costa-est risulta priva di aperture; quella sul tratto di costa-nord presenta una piccola finestra. Sulla restante parete a monte, è ancora visibile una stretta feritoia murata. La torre è posta su un leggero dislivello; il piano inferiore risulta, pertanto, in parte esterno ed in parte seminterrato. Sono sicuramente successive le aperture esterne che portano ai locali di questo primo livello. La volta a botte che copre il livello seminterrato è ordita in direzione est-ovest; quella del primo livello in direzione nord-sud. La muratura è stata realizzata in materiale locale costituito da pietrame di diversa pezzatura[22].

Nel 2009, probabilmente a causa delle forti piogge, sono crollati una parte del tetto e gran parte della parete sovrastante la scala esterna.

Torre di Pozzello

Ricade nel territorio del comune di Ciro' Marina, nella località omonima, in posizione leggermente arretrata rispetto al tratto di costa, non molto distante dal Casino del Principe (Castello Sabatini) e dalla Torre Nuova. La torre non è in contatto visivo con le altre fortificazioni vicereali. Di probabile natura feudale si ritiene costruita nel XII-XIII sec. in epoca antecedente al periodo viceregnale, doveva servire al controllo della via di transito che costeggiava il Torrente Lipuda.

È una torre quadrata con pareti verticali, costituita da pietrame di varia pezzatura, ed in alcuni tratti sono ancora visibili tracce di buche pontaie ed un accenno di cornice orizzontale[23].

Non è riportata nella cartografia Rizzi-Zannoni, quindi non è da includere tra le Torri costiere del Regno di Napoli.

Siti archeologici

Numerosi sono i siti archeologici, con presenze umane già attestate dall'età neolitica. Dal Bronzo medio, vengono occupati il sito di Motta, su un pianoro elevato che domina la valle del Lipuda e la costa, e quello di Madonna di Mare, di località Oliveto, Taverna, e Madonna d'Itria[6]. Poche le presenze attestate nell'età del ferro, e poste in posizione più arretrata rispetto alla costa sulla collina di Cirò (Cozzo Leone e colle Sant'Elia) in una fase indicata dalle fonti storiche antiche caratterizzata dall'arrivo dei primi coloni greci riconducibili al mito di Filottete, che in questo territorio avrebbe fondato Krimisa ed il Tempio di Apollo Aleo, presso cui consegnò e consacrò il suo arco e le sue frecce ricevute da Eracle.

Dopo la fondazione di Kroton il territorio ne subisce l'influenza ed il controllo, risultando occupati ed ellenizzati i siti di Cozzo Leone e S.Elia, di Punta Alice, ed altri nuovi siti in loc. Taverna nella valle del Lipuda. Dopo la distruzione di Sybaris (510 a.C.), il territorio cirotano, trovandosi in posizione strategica lungo l'asse costiero, ha notevole sviluppo insediamentale in particolare lungo l'area paralitoranea posta a dominio della foce del Krimisa potamos (Lipuda)[6], con un fitte evidenze archeologiche (Casoppero, Punta Alice, Castello Sabatini, Valle Lumia, ecc.)

Con l'occupazione dei Brettii nel territorio, nell'età ellenistica, il santuario di Apollo Aleo di Punta Alice diviene il polo religioso di riferimento anche della popolazione italica stanziata tra Thurii e Crotone. i Bretti si stanziano in aree sparse lungo la pianura come attestato da diverse evidenze (tomba monumentale di Casino Oliveto del III-II sec. a.c., loc. Franza e Capella, Briso, Casoppero, Fatagò, Amendoleto, Taverna, Castello Sabatini, Bivio Alice, San Gennaro, Ceramidio)[6].

Dopo la conquista romana della Calabria nell'età repubblicana, e con il progressivo smantellamento della rete insediamentale brettía, compiutosi nel corso del II sec. a.c., il Círotano subì un forte colpo sicché, assieme al popolamento sparso dell'interno, venne meno anche la fitta rete di fattorie raggruppate alle spalle del centro moderno dí Círò Marina località. Le maggiori evidenze sono state rinvenute in Loc. Cannarò, Trapano, Madonna di Mare e Casino Oliveto. L'occupazione Romana sembra privilegiare in questa fase la statio di Paternum a Torretta di Crucoli ed il municipio di Petelia (Strongoli). Poco sembra cambiare durante l'epoca imperiale, salvo lo sviluppo di alcune ville rustiche sulle alture prospicienti la valle del Lipuda (loc. Carrocceddu, Taverna, Monte Anastasia)[6].

Tempio di Apollo Aleo

Durante gli scavi del 1924 l'archeologo Paolo Orsi, individuò in località Punta Alice, l'antico tempio arcaico dedicato ad Apollo Aleo.

Che in località Punta Alice fosse già presente un'area di culto non ancora strutturata, almeno a partire dalla fine del VII secolo a.C. sembra confermato da una serie di manufatti tipici quali l'idoletto schematico in argento, il kouros dedalico e la statuina fittile di tipo locrese, rinvenute sul posto. Soltanto dopo la metà del VI secolo a.C. si monumentalizza l'area sacra di Punta Alice con la costruzione del tempio dedicato ad Apollo Aleo.

Alla fine del VI secolo a.C. il tempio dedicato ad Apollo Aleo era costituito da una cella (naos) fortemente allungata 27x7,90 metri, orientata in senso est-ovest, completamente aperta sul lato orientale e divisa in due navate da un colonnato di cui restano le basi lapidee. Tutte le colonne, esterne ed interne, si suppone fossero in legno. La cella era conclusa ad ovest da un ambiente quadrangolare (adyton) chiuso da un muro divisorio ed articolato da quattro pilastri. Questo spazio conteneva la statua di culto del dio Apollo. La struttura era formata da un basso zoccolo costituito da due filari di blocchi di calcare, su cui poggiavano i muri in mattoni crudi. L'area sacra di Punta Alice rimase fino al IV secolo a.C. in orbita krotoniate, come del resto la città di Krimisa.

La struttura venne ampliata alla fine del IV secolo a.C., quando dopo la conquista di Krimisa da parte delle popolazioni brettie, l'edificio venne trasformato in un periptero dorico di maggiori dimensioni, lungo 46 metri e largo 19. Il nuovo edificio brettio completamente in pietra, fu circondato da otto colonne sui lati brevi e diciannove su quelli lunghi. La cella arcaica fu inglobata nel nuovo edificio, mentre il colonnato fu raddoppiato solo sul lato orientale. La seconda fase del Tempio di Apollo Aleo documenta invece gli ultimi interessanti sviluppi dell'architettura dorica templare in occidente, costituendo l'unico edificio periptero postclassico noto.

Il reperto più noto emerso dagli scavi archeologici è costituito dalle alcune parti dell'acrolito di Apollo Aleo, e precisamente testa, entrambi i piedi e parte della mano, oggi esposti al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria; la tecnica acrolitica permetteva di rendere gli dei ellenici più vicini alla realtà quanto a fisionomia, attributi e abbigliamento. La rappresentazione vedeva realizzati in marmo solo la testa e gli arti, mentre il corpo era in legno o semplicemente un’impalcatura poi rivestita di tutto punto. È stato realizzato da un artista greco tra 440 e 430 a.C., e rinvenuto nel naos (cella) del tempio[24].

La tradizione narra che l'Apostolo Pietro, approdato su questi lidi durante un suo viaggio da Antiochia a Roma, fondò sui resti di un tempio pagano, appunto il Tempio di Apollo Aleo, il primo insediamento cristiano chiamato "Santa Croce".

Nel 2012 la Regione Calabria ha finanziato la valorizzazione dell'area archeologica - progetto arch. Mario Patanisi - ormai da anni abbandonata, con un importo di 700 000 euro.[25]

Il 1º aprile 2015 dopo 91 anni la testa, i piedi, e la mano dell'Acrolito di Apollo sono tornati a Cirò Marina in occasione dell'inaugurazione del museo cittadino.[26]

Aree naturali e Ville comunali

Fonte: Wikipedia