15 gennaio 2020

Evoluzione, tecnica e democrazia

Due anni fa ero in viaggio di ritorno dalla Germania per fare un paio di concerti; sul piccolo autobus, piccolo per un viaggio di 750 km ma abbastanza spazioso per farci sistemare molto comodamente, subentrava spesso la noia tipica dei lunghi viaggi. Per calmare la risposta alla suddetta noia dei giovani ragazzi che ci portavamo dietro, una volta cominciò a parlare (mettendosi in piedi nel corridoio centrale con le braccia appoggiate ai sedili, insomma la tipica posizione di chi parla ad una folla sulle corriere) una simpatico signore di mezza età che ci accompagnava in qualità di tecnico audio/video. Amava parlare di cose “tecniche” (si capirà cosa intendo) tanto che per calmare i bambini si mise a spiegare (si vide un velato imbarazzo dopo qualche istante sul suo volto) di come un tipo (francese? non ricordo) si era inventato una piccola modifica alle ali degli aerei che rendeva incredibilmente più prestante il mezzo. Per giustificare l’interessantissima (non sono ironico) uscita, argomentò che per lui non c’era democrazia senza innovazione tecnica (o solo tecnica non ricordo, ma fa poco differenza fidatevi). La frase mi si impresse nella memoria come una di quelle tante frasi le quali suonano molto intelligenti ma che mi riprometto di giustificare e argomentare in futuro, successe così che non ci pensai più di tanto.

Sono passati pochi giorni da che ho finalmente una possibile spiegazione o quanto meno comincio a capire la portata di questa icastica verità. La qual cosa mi venne dopo aver finito di leggere quel capolavoro rutilante che è Il più grande uomo scimmia del pleistocene di Roy Lewis. Proprio nel finale (mi scuserete se “spoilero” ma non intacca in nessun modo la piacevolezza del libro) Edward, il buon vecchio capo orda, presenta al figlio, Ernest (il narratore degli eventi) un tipo agli antipodi del padre, il primo prototipo di un arco da caccia. La nuova arma è presa dal figlio come l’ennesima (e l’estrema) scempiaggine del padre che cerca di innovare la specie umana finendo però per fare solo danni. (Altri “crimini” di Edward sono stati l’aver cercato di dominare il fuoco (con successo), l’invenzione della lancia dalla punta indurita ecc…) Insomma il padre è davvero uno “scienziato” (lui stesso così si definisce) che ha a cuore l’evoluzione delle specie uomo-scimmia per arrivare più presto possibile al rango di homo-sapiens e quindi lasciarsi alle spalle il Pleistocene.

Ernest, visionato il nuovo strumento, corre ad informare Oswald, il fratello, (“il migliore cacciatore della zona: correva più forte e lanciava più lontano di chiunque nel raggio di chilometri e chilometri”) dicendo queste tristi parole: “Quando ce l’avranno tutti [...] come cacciatore e come arciere sarai uno dei tanti: né migliore né peggiore degli altri. Forza e abilità non conteranno più”. L’arco da caccia appiattirebbe i vantaggi naturali che Oswald e la sua famiglia hanno nei confronti delle altre famiglie antagoniste. A me viene scontato da chiedere: questo è sbagliato? Se intendiamo la democrazia non come la semplice gestione del potere (anche qui comunque il discorso potrebbe valere), ma piuttosto guardassimo alla democrazia come l’insieme dei valori quali l'uguaglianza, la libertà ecc. (come penso che il tecnico audio/video intendesse la cosa) allora risulta lampante che la tecnica e l’innovazione sia uno strumento fondamentale per la democrazia. Introdurre l’arco (o un qualunque degli strumenti della τέχνη, “tekne”, la tecnica) nella società mettere tutti sullo stesso piano (almeno virtualmente), assicurando la sopravvivenza da parte degli individui meno prestanti nella caccia. Ovviamente questa pratica apre questioni di enorme complessità. Si potrebbe obiettare per esempio che così facendo si sta svantaggiando coloro che disponevano della capacità di sopravvivenza senza i nuovi manufatti, di fatti non si sta eliminando la necessità di dover avere competenze perché alla fin fine si opta per valorizzare una competenza (quella di saper usare lo strumento) rispetto ad un’altra (la forza fisica). Si potrebbe dire che solo la nuova competenza è accessibile a tutti, se questo è vero per l'uso dell’arco diventa difficile però da sostenere quando si guarda allo sviluppo odierno della tecnica, a buon diritto definita l’età dell'iper-specializzazione, basti pensare a quante operazioni siano state sostituite dal computer che non è per niente uno strumento dall’utilizzo immediato. Un altro problema può essere quello trattato ne Il più grande uomo scimmia del pleistocene quando Vania, il fratello di Edward, ammonisce quest’ultimo per le sue innovazioni sostenendo che stia andando contro natura rischiando di compromettere la specie. Edward risponde che secondo lui questa è la naturale evoluzione dell’uomo-scimmia: “Perchè non dovrebbe far parte dell’evoluzione anche la scoperta del fuoco, come l’allungarsi del collo della giraffa e la scomparsa delle dita dei cavalli?”. Zeno Cosini, grande sostenitore di Vania, obbietterebbe che la naturale evoluzione che lui definisce “salute”, “non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. [...] Ma l’uomo occhialuto, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa [...] si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione alla sua debolezza. È l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare [!]” La questione è se la salute della società sia la sopravvivenza del più forte oppure la sopravvivenza di tutti senza discriminazioni di sorta. Si capisce che quest’ultima opzione (che noi chiamiamo democrazia), per cui io decisamente mi sbilancio, non può sussistere senza la “tecnica”. Ed ecco che abbiamo una possibile spiegazione alla sentenza in esame.


Marco Gatti

Bibliografia:

Roy Lewis, Il più grande uomo scimmia del pleistocene, Adelphi, Milano 1992

Italo Svevo, La coscienza di Zeno, Feltrinelli, Milano 2018

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