28 dicembre 2020

Ecco perchè odio il capodanno!

Che senso ha il capodanno?

  • Gatti:


Ehi Leti, senti cosa dice Gramsci:


“Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc.

[...]

Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.”

(ANTONIO GRAMSCI, L'Avanti, 1 Gennaio 1916)


Come non sentire queste parole come un’accusa ad ognuno di noi? Gramsci mostra brillantemente come ogni capodanno mostriamo una sostanziale ipocrisia: l’anno nuovo è il momento della “redenzione”, propositi e spropositi, rinnegamento del passato, ma soprattutto la ricerca di uno strappo, una soluzione di continuità. Questo discorso potrebbe essere allargato a tutte le date che ci poniamo come paletti lungo lo scorrere incessante del tempo. Vediamo il flusso temporale come un grande nemico da combattere che in ogni modo cerchiamo di fermare o di arginare senza successo. Potremmo definirlo il problema del “divenire”?


  • Leti:


Mi piace il concetto di divenire, ragioniamoci un attimo. Leggendo la citazione di Gramsci posso concordare con te che il tempo, così com’è scandito, possa risultare un “ingombro”, ma la nostra percezione del tempo come un insieme di tappe di un'eterna maratona è forse uno dei pochi concetti che ci fa sopportare l’idea di un futuro indefinito. Questo insieme di “paletti”, scandisce in modo regolare e più o meno prevedibile il nostro futuro, per l’appunto, il divenire. Se l’unico vero inizio avviene al momento della nascita di un individuo, le date che l’uomo si pone sono benefiche, perché gli permettono di individuare dei punti fissi in un futuro che esso non può conoscere. Certo è, che nemmeno con la cadenza imposta dagli eventi attesi in delle date predefinite si può avere la certezza che lo scorrere del divenire segua le aspettative e attese, ma in un certo senso queste date sanciscono la parvenza di un nuovo inizio, a modo suo, concreto ma allo stesso tempo illusorio. Se questi inizi, che concretamente ripercorriamo attraverso i “riti di passaggio” imposti dalla società -dalla formazione alla vita privata- venissero a mancare, non ci sentiremmo vuoti e privi di aspettative? Non aspetti forse anche tu la fine di questo disastroso 2020?


  • Gatti:


Cadi proprio sul vivo! Questa retorica del 2020 come l’anno disgraziato di cui tutti aspettano la fine è il sintomo che il “problema-capodanno” si porta dietro. Cosa esattamente del 2021 cambierà le cose? Cose c’è di scientifico in questa speranza (ironica ma non troppo)? A me sembra che questo tipo di discorso sia in qualche modo deresponsabilizzante, quest’anno è andato male perchè era il 2020 l’anno prossimo andrà meglio perchè è un nuovo anno, e io che ho fatto? Assolutamente nulla! Il tempo mi scorre addosso e decide come devono stare le cose. Mi ricorda il pensiero di molti giovani insoddisfatti. Se il liceo non soddisfa è perchè molte materie non interessano ma quando si studierà all’università ci saranno solo le materie per cui vale la pena studia, ma ecco che arrivati negli atenei si scopre che non è tutto così roseo, ci saranno sì cose interessanti, ma anche qui con mille difficoltà. Ma anche in questa situazione ci sarà il “capodanno” della laurea dopo di che il “nuovo anno” della magistrale, che offrirà il percorso di studi tanto desiderato. La catena di “capodanno e anno nuovo” è continua. Tu dici che mettere dei paletti è fondamentale, ne siamo così sicuri? Un’illusione dopo l’altra si rischia di finire in una vita di insoddisfazione, di aspettative fallite.

A dirla con i filosofi questa situazione è di continuo divenire, senza riuscire ad affermarsi come essere. Ma è davvero un problema? Non si sta forse cercando di adattarsi ad un modello, quello della “stabilità”, mai davvero raggiungibile?


  • Leti:


Beh, certo, hai ragione quando parli del problema della continua ricerca: l’idea iterativa che tutto migliorerà in seguito. Ma questa non tocca solamente i “giovani insoddisfatti”. Anche una volta finita la propria formazione, trovato un lavoro stabile e aver creato una famiglia, spesso gli adulti si ritrovano senza la parvenza di un divenire. Nel rischio di aspettare solo la pensione o peggio, lo spegnimento dell’occhio di bue sul palcoscenico della vita. La ricerca di omeostasi, questo equilibrio utopistico, fa parte della maggior parte degli esseri umani. L’idea di essere incompleti e che per questo, il divenire, il futuro, serberà delle sorprese volte a trovare la pace e la felicità ci porta a continuare ad accontentarci di situazioni instabili, di quiete apatica oppure di parziale insoddisfazione. Senza paletti e date potrebbero succedere due cose, a mio parere. La prima, per le anime impulsive, vedrebbe il raggiungimento di una filosofia del “qui ed ora” per citare gli orientali, nella quale il carpe diem vedrebbe la continua ricerca di felicità e soddisfazione momento per momento. Per i più riflessivi, meno devoti all’azione continua, ci sarebbe il rischio di un’alienazione dovuta alla mancanza di aspettative, la rassegnazione al fluire del tempo apparentemente senza mutamento. In fin dei conti, aspettare alle volte ci rende felici, entusiasti del nostro futuro frizzante e roseo.


  • Gatti:


Esatto, molto interessante questa distinzione. E come dici tu l’omeostasi ci è estremamente congenita, anche se credo che molto spesso sia da combattere. O meglio, credo che il mutamento (il divenire) in noi esista in maniera altrettanto congenita ma che sia spesso sentito come sbagliato e non desiderabile. Se pensiamo per esempio all’idea di personalità delineata dalle scienze sociali, essa è vista come una continua mutazione, un percorso che non ha un traguardo. Questo divenire non è qualcosa che decidiamo di essere, qualcosa di imposto da fuori, la nostra natura è così eppure quando ognuno pensa a se stesso non può che pensarsi come un io stabile e fermo. Siamo forse contraddittori?


  • Leti:


Ovviamente sì, e questa non è una novità. Ed ecco che si ritorna al problema delle date - e su un piano puramente concettuale non posso che darti ragione -. Il mutamento che avviene in noi non ci permette di percepirlo perché è estremamente delicato. Siamo in divenire (quindi saremo) proprio perché il nostro essere non è statico. Non si può prevedere che un certo giorno ad una certa ora il nostro mutamento avverrà portandoci a uno step successivo della nostra vita. Per questo le date convenzionali sono utili solo per la nostra percezione del tempo e per mantenere vive le aspettative. A meno di un evento traumatico, ma qui si parla di casi estremi, il mutamento dell’individuo avviene costantemente, nella maturazione, l'ambiente mentale, culturale e sociale in cui esso vive. Se paragonassimo il nostro mutamento ad una scala numerica, non potremmo che definirlo infinito. Tra 1 e 2 ci sono infinite virgole da colmare con infiniti numeri. Il divenire come moto costante, e quindi onnipresente, non può essere percepito, è tanto flebile da sembrare immobile. Ti senti forse diverso da com’eri ieri? Probabilmente no, perché l’immagine sommativa della tua routine non ti permette di osservare quell’agoniato cambiamento che le aspettative illudono di poter osservare attraverso i riti di passaggio di cui parlavamo prima. Come posso percepire il divenire come diverso dall’essere, se infiniti mutamenti precedono il mio prossimo inizio?


  • Gatti:


Rinunciare al divenire o all’essere? Io opterei per il secondo. Ma chi sono io per dare una soluzione univoca? Ciascheduno a suo modo direbbe Pirandello. Tra l’altro è sempre quest’ultimo che ci presenta una scappatoia con Vitangelo Moscarda : “Tutto, attimo per attimo, è com’è, che s’avviva per apparire [...] muojo ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi.” Rinunciare alla propria individualità fissa e sicura per partecipare al divenire incessante della vita, ogni attimo nuovamente rinnovati. Ma come direbbe il buon Nietzsche, “cose rare agli spiriti rari”. Noi invece, uomini di tutti i giorni, più che comuni, dovremmo adattarci alla necessità di sentirci “continui” nel tempo, con le speranze, le illusioni, i propositi, le date, gli appuntamenti che ci caratterizzano. Insomma, se vi va, festeggiate il capodanno.


Buon nuovo anno a tutti.





Letizia Chesini, Marco Gatti