Il virus passerà.
Le parole resteranno.
Racconta la tua quarantena,
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Da tanto tempo

Da tanto tempo ci siamo allontanati da noi stessi e dagli altri, dalla gentilezza e dal buon senso. Ci siamo allontanati dai luoghi di cultura, di aggregazione, di bellezza e di libertà. Le paure ci pervadono periodicamente, in gran parte provocano effetti malati. Cadono sopra di noi come pioggia acida, non bagnano ma corrodono, ci mettono l’uno contro l’altro, e ieri come oggi ci rendono stupidi, insignificanti e soli. La paura ‘sana’ invece, quella che ci faceva ‘fare gruppo’, è ormai estinta. Forse è nella natura dell’uomo competere per la sopravvivenza ma si sta trasformando in qualcosa di più cinico e surreale.

Viene con sé fare riferimento a ciò che sta accadendo, ma evito di discutere del lavoro dei media, della politica e della sanità, e quindi delle scelte fatte per la sicurezza e per la salute, dei criteri di chiusura di cosa e non cosa, o di altro. Non ne ho né diritto ne virtù. Dobbiamo attenerci a quanto ci viene ‘ordinato’ da chi ne sa più di noi, al fine del bene comune, senza panico autodistruttivo ma parallelamente senza la presunzione che si possa continuare a fare ancora tutto in modo ‘normale’.

Il mio settore è uno dei più colpiti e dei meno tutelati. Sono tempestato, ma ripeto, non abbiamo altra scelta, anzi, potrebbe essere efficace trasformare le lamentele in energia positiva per nuove idee future.

Quello che sento davvero di comunicare, riprendendo il discorso iniziale, è la speranza che le conseguenze di queste ‘strane paure’ non consentano all’isolamento e all’indifferenza di acquisire maggiore forza. Spero che riusciremo a strapparci di dosso prototipi e mappe da seguire, ad alzare lo sguardo dall’effimero e poter osservare così l’orizzonte. Spero che non accetteremo più limiti imposti alla libertà, in nome di un improbabile ‘ricco futuro’ o di promesse ‘ricattanti’ in cambio di un orticello da coltivare con tranquillità. Spero che ci supereremo, a tal punto da scavalcare le barriere, con un coraggio scaturito dal timore condiviso, e da restare o diventare uomini, migliori. Dopo questa brutta pagina e tante altre ancora che verranno, magari ci scopriremo mano nella mano, tutti insieme, grazie alla cultura e per la cultura.

M.A.

Fu il 2 marzo 2020

Fu il 2 marzo 2020 il giorno in cui capii che tutto ciò che avevo progettato sarebbe andato in fumo.

Il Coronavirus aveva già fatto chiudere le scuole e le università, così la mia discussione di laurea, fissata per il 27 febbraio, saltò con una mail di poche righe.

Sempre con una mail, il 2 marzo, mi fu comunicato dal mio relatore che il 12 dello stesso mese avrei discusso la mia tesi e che se non fosse stato possibile farlo in presenza, cosa che si auguravano, la discussione sarebbe stata eseguita via Skype. Fino a quel giorno avevo sperato che in quella settimana, quella che andava dal 2 al 6, avrei potuto discutere ed essere proclamata. Con il senno di poi, mi resi conto che era una speranza utopistica.

Lo speravo perché avevo prenotato la sala per la festa di laurea e occupato il sabato sera a più di venti persone. Rilessi la mail con attenzione. Il 2 marzo era il compleanno di mia madre e del mio ragazzo. Non volli fare scenate, non volli rubare minuti felici a quel giorno. Cercai di sembrare rassegnata, ma non riuscii a bloccare il senso di tristezza che mi assaliva a causa di quella notizia, perché il messaggio parlava solo di discussione, non di proclamazione, le quali sono disgiunte nel mio corso di laurea.

Quella mail mi diede una data, una data importante, senza dubbio, ma oltre quella non c’era altro.

Senza proclamazione, niente laurea, senza laurea, niente progetti.

Fu come trovarsi in prossimità di un pozzo nel deserto, certo potevo prendere un po’ d’acqua, ma dove andare poi? Come fare per trovare un sentiero? Quanta sabbia avrei dovuto ingoiare ancora, prima di uscire da quella desolazione?

Non lo sapevo, ma la situazione stava per peggiorare. Non passarono neanche due ore che la casella di posta elettronica dell’università ricevette una nuova mail che recitava: “Care studentesse e cari studenti, sono state adottate le seguenti delibere e misure relative a esami, tirocini e lauree. Fino al 6 marzo esami sospesi. Fino all’8 marzo tirocini curricolari sospesi. Per le lauree triennali viene meno la discussione. La Commissione stabilirà il voto di laurea in base alla tesi e il CV. Sarà così possibile il conseguimento del titolo e l’eventuale iscrizione a laurea magistrale. La cerimonia di proclamazione e consegna dei diplomi si svolgeranno una volta terminata l’emergenza...”

Seguivano poi, altre indicazioni per me irrilevanti.

Di colpo, il pozzo scomparve. Ed io rimasi con la gola riarsa e il vuoto di fronte a me si fece sempre più reale. Avevo lavorato per mesi alla stesura della tesi, ci avevo messo passione e rubato tempo alla famiglia, agli amici, alla mia relazione per finirla, ma non avrei avuto soddisfazione, né provato quel brivido misto ansia da prestazione e orgoglio per i propri traguardi raggiunti.

I miei familiari non mi avrebbero visto indossare la coroncina d’alloro e stringere la mano ai professori con la toga. Non avrei visto mia madre con gli occhi lucidi e non avrei potuto abbracciare mio nonno, che a novantadue anni è il mio fan numero uno. Il mio percorso di laurea finì lì. Il 2 marzo 2020. Con una mail inoltrata a centinaia di studenti. Finì senza baci sulle guance, senza i sorrisi dei parenti, senza bomboniere con i gufi, senza suspence, senza entusiasmo, senza “Dottore... Dottore...”

La proclamazione verrà programmata, prima o poi. Ma non sarà lo stesso. I giorni seguenti non furono facili, ma un po’ alla volta accolsi la mia impotenza di fronte alla situazione e cominciai a progettare un futuro più lontano, più difficile forse, ma desiderato.

Così cominciai a scrivere e cominciai proprio da qui, raccontando come le battute di arresto servano per ripartire da capo, mettendo a fuoco i propri sogni. Anche quelli accantonati.

A.C.

Sono stato fermato

Sono stato fermato da una pattuglia di Carabinieri mentre passeggiavo sul marciapiede della statale. Mi trovavo sopra un ponte sotto il quale scorreva un fiume che, a mia insaputa, corrispondeva con il confine comunale tra Torino e Nichelino, a detta degli addetti data l'assenza di qualsiasi tipo di segnaletica. Per concludere sono stato invitato a tornare nei pressi del mio alloggio che in questo caso si trattava della mia auto incidentata.

M.D.C.

Stamane ero all'ospedale

Stamane ero all'ospedale San Paolo di Milano per esami di routine. Non potrò dimenticare né gli occhi di infermiere e dottori, né la tensione che regnava nei corridoi e ambulatori.

Vi ho visti dal vivo al lavoro alle 7e 30, stanchi, incazzati ma determinati e ho solo una cosa da dire. GRAZIE

M.D.M.

Milano, 11 marzo 2020

Oggi Milano ci ha lanciato addosso una primavera in anticipo. Diciassette gradi, cielo terso e i primi fiori a fare capolino. L’universo ha preso in prestito le parole di Tom Waits e ci ha ricordato che puoi provare a controllare tutto, ma ci sono cose più grandi di te: come l’arrivo della primavera.

Nonostante il Covid-19, le atrocità di Lesbo, le Borse che crollano e la paura imperante.

Nonostante l’indifferenza. Nonostante l’odio. Nonostante noi.

A.D.P.

Capita in questo periodo

Capita, in questo periodo, di guardare nei film in tv, leggere nei libri scene in cui vi siano folle di gente, eventi di gruppo, abbracci, sesso, baci. Sembra già tutto così strano e lontano ai nostri occhi. Ho lasciato casa per il terremoto quattro anni fa e passato le notti successive alla scossa grossa con il cuore al limite del petto! Sembrava tremasse casa ma ad un certo punto ero io a tremare nella notte! Ora non tremo, ora respiro più a fondo e tengo gli occhi molto spalancati, e il mio viso non lo noti per gli occhi piccoli. Non mi sento sola in tutto ciò ma non so come essere forte per gli altri, forse non è necessario, forse potrei iniziare ad alleggerire la stretta del mio morso. Non abbraccio mia madre da più di una settimana, vorrei tanto. Vorrei incazzarmi con qualcosa ma se poi non avessimo il tempo di farci pace con ‘sto qualcosa? In compenso ho comprato molti libri e aggiungerò fumetti alla mia collezione. Guarderò quelle scene di compagnie e vicinanze, ora così lontane, con simpatia.

Sarà più bello, lo so. E più prezioso. Lo faremo ridendo, non so quando e dove ma aspettiamo perché io ho voglia di fantasticare. #takecare

S.T.

Marzo 2020

Mese strano marzo, da sempre... ma mai come quest’anno, quest’anno si che ci regala tempo per cercare di capire davvero cosa vorremmo da noi stessi, tempo per fare le polpette, tempo per leggere un libro che tanto ti piace ma non hai ancora iniziato, tempo per disegnare, colorare, dare sfogo alla fantasia restando comunque chiusa in casa. Ho sempre avuto poca voglia di stare in casa, qua c’ero più giovane era tutto un litigio con mia madre... ora non vedo l’ora di poterla riabbracciare. Vivendo in comuni diversi, non mi danno nemmeno modo di andarla a trovare. La stessa cosa succede con mia nonna che è ricoverata da febbraio per il suo cuore di 94 anni domani ormai un po’ malandato... cerco sempre di credere che lei stia meglio di me (almeno lei non capisce cosa sta succedendo qua fuori), ma una cosa me la disse qualche settimana prima del ricovero... "bella di nonna... l’unica salvezza di voi giovani, sarà che arriverà la guerra". Avevi proprio ragione nonna. È arrivata. Si sente...ma non si vede. E sono felice per te che non debba viverne una seconda. Stavolta tocca a me. Tocca a me salvarmi. È per questo che vado ad aprire un libro... ciao nonna. Ti amo.

Serena ❤️

S.B.

Io e il mio ragazzo

Io e il mio ragazzo ci preparammo in anticipo... sapevamo che gli italiani non avrebbero saputo gestire un virus come questo data la velocità di contagio. La prima cosa che facemmo fu ordinare online il necessario per preparare in casa il disinfettante. Diventammo all’improvviso dei chimici che si dilettarono nella creazione di un alleato contro il Covid-19.

Bilancia, ingredienti, misurini, dosi... avevamo tutto e preparammo il disinfettante seguendo alla lettera le istruzioni trovate online.

Quando il virus colpì anche la nostra regione la disinfezione della casa divenne un’ossessione... qualsiasi cosa che veniva toccata da più di una persona veniva disinfettata: maniglie, interruttori, sportello del frigo, manopole del forno, chiavi... tutto ciò che c’era di condiviso non veniva toccato dall’altro senza l’angoscia di entrare in contatto con questa minaccia invisibile.

I miei risvegli la mattina erano carichi d’ansia. Ogni giorno controllavo le notizie per essere certa che la mia famiglia, che vive lontano da me, fosse ancora al sicuro dal virus. La nostra vita cambiò di colpo quando l’Italia divenne zona protetta... le nostre abitudini buttate nel cesso. Smettemmo prima di molti altri di uscire di casa per le cose futili ma le costrizioni si sa, non piacciono a nessuno.

Tutto venne messo da parte per assicurare di limitare i danni e tentare di cancellare gli errori che altri avevano commesso. Tutto cambiò per salvaguardare le nostre vite e quelle di chi ci stava più a cuore. Non portammo più nemmeno a spasso il cane.

Venni travolta dall’angoscia per ogni colpo di tosse o starnuto, per ogni piccola nota storta che il mio fisico mi faceva recepire: un mal di testa, una lieve debolezza... tutto... tutto divenne spaventoso. Ogni volta che capitava non potevo fare a meno di pensare: «Ho contratto anch’io il virus?» e ogni volta ringraziavo il cielo che non fosse quello il caso... ma non era quella la cosa più brutta.

La mia giovane età mi impediva di trasformare la paura in panico... io e il mio ragazzo saremmo sopravvissuti... ogni volta mi ripetevo:

«Ventisei anni e ottima salute... prenderò questo virus a calci se arriverà a me.»

Ma che dire dei miei genitori? Di mia suocera? Dei miei parenti? Loro ce l’avrebbero fatta nel malaugurato caso in cui il virus li avesse raggiunti?

A.J.B.

Come inizio

Come inizio, che già mi sento banale? Non ho solo paura di esser banale ora. "Se c'è una cosa che è immorale, è la banalità". Davanti a me, oltre questa finestra del salotto, la mia stanza preferita di questa casa, dove dalla TV mi son messa a guardare la replica di una trasmissione domenicale con ospite Marisa Laurito che ha scoperto una passione per la pittura, comunque dicevo, davanti a me oltre la finestra, c'è un albero, un pino: lo piantarono quando la mia mamma era in dolce attesa di me. Non so gli anni dei pini a quanti anni umani corrispondano ma questa pianta è altissima, credo una trentina di metri. Non so esattamente manco io dove voglio andare a parare ma come ho iniziato a scrivere mi sono guardata davanti e questo ho visto. Magari invece se fossi andata in montagna o in giro non mi sarei soffermata sul mio pino che vedo ogni giorno e non cago, vabbè, mi sto infognando, ma forse sarò contenta dopo aver scritto. Perché quando ho la tastiera QWERTY di fronte, molte stronzate volano via, molte altre le scrivo e queste 6 lettere di fila sono un gran conforto, QWERTY, e la quarantena che racconterò ai miei nipotini acquisiti e non (sarà difficile la mia riproduzione, poi non si sa mai), semmai la racconterò, spero non mi dia solo sconforto. Oltre ad aver paura di esser banale, ho paura, quella che hanno tutti. Vorrei avere quelle parole che poi quando uno ti legge dica: "Apperò, questa ha espresso quello che sento e che spesso non riesco a dire, ha ragione questa qua! Perché non ci ho mai pensato a scriverlo io?". Vorrei trovarle quelle parole perché in cuor mio credo che siano un sollievo.Cosa si scriveva in fondo la gente in guerra? "No perchè scusa, non siamo in guerra?" Dai Sandry, non stai ancora al livello che puoi mettere il dialogo con l'amico immaginario sui pezzi che scrivi; l'evoluzione è graduale, come la pazienza che non credevi di avere e ogni tanto perdi di nuovo quando ti scordi di quello che hai fatto finora. Non sono il mio forte neanche le frasi di chiusura per un pezzo. Non c’è più la Laurito ma una che canta: "Lei ballerà tra le stelle accese e scoprirà l’amore disperato!" L'amore ai tempi del Covid-19 non è disperato,è a casa #speriamo

S.T.

Io ho sempre avuto

Io ho sempre avuto, e mai come negli ultimi dieci anni, una vita sociale lunga due centimetri e mezzo, sono spesso in casa anche quando c’è il sole , d’estate , specialmente quando c’è il sole e d’estate, le rare volte mi sposto sono una Bestemmia ambulante perché ci sono troppe persone in giro, da un lato COvidio ha portato beneficio. Meno gente in giro , meno casino, meno auto, meno me, meno tutto, ma la colpa è mia io sono in difetto , sono io che dovrei andarmene non la gente che dovrebbe scomparire... forse. In ogni modo, a livello personale , con o senza corona la mia quotidianità non è mai stata quella di un re quindi poco o nulla mi è cambiato.

M.M.

La mia quarantena

La mia quarantena mi sta facendo letteralmente stare male. Vivo in una cosa che confina con una vicina (mia cugina) che suona il pianoforte 9 ore al giorno. Ha un pianoforte a mezza coda, immaginate quanto si senta. Le nostre case è come se fossero una casa unica. L'unico momento di pace era andare all'università, invece ora neanche quello posso fare e faccio anche fatica ad ascoltare le lezione online da quanto rumore fa, si perché è rumore. Non è un bel concerto (parlo da ex pianista) ma è uno studio continuamente ripetuto. E non posso studiare, non penso di resistere tanto qua dentro. È un inferno stare a casa mia, suona a tutte le ore del giorno, se la quarantena di esser prolungarsi penso che mi porteranno in psichiatria perché la mia casa è invivibile, e i miei genitori se ne fregano, non mi aiutano. I genitori di mia cugina dicono che lei può fare quello che vuole. Quindi si prendere tutte le libertà di questo mondo. I musicisti maleducati, egocentrici e irrespettosi si meriterebbero solo sprofondare e di restare disoccupati a vita, perché rispetto e buona educazione sono i cardini della buona e corretta convivenza.

M.F.

Le parole

Le parole della quarantena.

La prima parola è Silenzio. Diceva Federico Fellini se tutti facessimo un po' di silenzio forse qualcosa potremmo capire.

C’è silenzio in questi giorni per le strade in qualsiasi ora del giorno.

Mancava del silenzio alle nostre città, alle nostre comunità. Il silenzio della paura e della riflessione, dell’attesa e della speranza.

La seconda parola insieme a silenzio è profumo. In quelle stesse strade che fino ieri erano trafficate di ogni tipo di mezzo a combustione oggi si respira un’aria pulitissima, sembra di essere in alta montagna. Forse è un messaggio della natura, spero non l’ultimo, per farci capire tutti gli errori che abbiamo fatto fino ad ora.

La terza parola è tempo, in un mondo che fino a ieri non si fermava mai, dove si rispondeva alle mail di lavoro anche in vacanza sulla spiaggia mentre si costruivano castelli di sabbia con i figli ora abbiamo tempo a volontà. E’ un tempo lento che ci permette di vedere il mondo da un’angolazione diversa. Ora non siamo più i viaggiatori su un treno ad alta velocità che guardano scorrere velocemente il panorama, ma le pecore sulla collina che osservano stupite correre quel pezzo di ferro su due rotaie.

Usiamo questo tempo per riscoprire la lentezza, vera armonia naturale di ogni essere vivente in questo mondo.

Quarta parola è Inno, parola che in questi anni ognuno ha cercato di tirarla dalla sua parte dai politici alla nazionale di calcio ma sentirlo cantato ai balconi, in questi giorni, si riscopre il suo vero valore, la comunità che si riunisce quando c’è una difficoltà. Siam pronti alla morte (forse) e non solo a vincere i mondiali di calcio.

La parola futuro viaggia insieme alla parola pazienza. Nessuno conosce il futuro che ci aspetta, ma sicuramente la nostra vita sarà diversa, con aspettative diverse rispetto a quelle che abbiamo avuto fino a ieri. Sono questi i momenti nella storia dell’uomo che aiutano a costruire una comunità.

Quindi bisogna avere pazienza nel sopportare questa liberà limitata, questa distanza dagli affetti sapendo che tutto è finalizzato per salvare un bene comune la salute di tutti.

Salute è l’ultima parola. Noi tutti ora facciamo parte della stessa squadra dei buoni: dalla Cina passando per l’Iran fino agli Stati Uniti perché sappiamo che ci sono medici, infermieri, ricercatori che ringraziamo, che stanno facendo di tutto per trovare una soluzione a questo problema.

Però c’è anche chi in questi giorni sta combattendo da solo già da diverso tempo. Donne e uomini che gli è stato diagnosticato qualcosa che di positivo non è, qualcosa di molto più grande di loro e lo stanno affrontando insieme a mariti, moglie, compagni e compagne, la loro famiglia. Un lungo percorso fatto di salite e discese ed è per loro il messaggio finale di Piazza Piccola.

È per loro che noi restiamo a casa per garantire tutte le cure necessarie,

la protezione indispensabile dai rischi nati dalla nostra indifferenza ed ignoranza

Questa quarantena come finirà per noi dovrà finire anche per loro nel modo migliore affinché insieme possiamo tutti riassaporare la bellezza di questa vita con i suoi profumi e i suoi silenzi, con il suo tempo lento. Possiamo tornare di nuovo a cantare l’inno solo prima di una partita di calcio ed infine credere sempre e fermamente che domani sarà sempre migliore di oggi.

G.B.

Emozioni da quarantena

Provai ansia e angoscia ad accendere il televisore, in ogni canale riecheggiava solo una spaventosa parola: Coronavirus.

La paura si fece padrona di ogni mia parte del corpo e della mia mente, tutti fummo costretti a barricarci in casa, dovemmo ridimensionare le nostre abitudini quotidiana e non solo.

Il timore di non poter rivedere le persone a me più care era palpabile, per più di tre settimane non ebbi più modo di vedere le mie amate nonne e le mie amate zie. La cosa che mi mancò più di tutte fu la chiacchierata giornaliera con la mia famiglia, oltre al fatto che non potei più vedere una mia cara amica che abita in un paese diverso dal mio.

L’unica consolazione la trovai nelle limpide acque marine grazie a delle brevissime passeggiate che mi permisero di andare oltre ad ogni mio pensiero negativo e apocalittico.

“Andrà tutto bene”, fu questo quello che ripetevo ogni giorno nella mia testa e non fui la sola. Non ci fu solo paura ma anche speranza, la speranza di poter ritornare alla nostra vita di sempre, la speranza di poter arrivare alla mia laurea senza più alcun pensiero negativo. “Andrà tutto bene”, potei leggerlo ovunque dai social agli ingressi delle case dei miei compaesani. I colori dell’arcobaleno brillarono come mai prima di allora, i bambini donarono una spruzzata di luce a tutti noi.

Non dimenticai nemmeno una parola di quanto la nonna ripeteva:
“Sembra la fine del mondo”.
“No nonna, non lo è. Se ognuno di noi fa il suo dovere di buon cittadino ci dimenticheremo di questa brutta storia più presto di quanto immagini”.
L’ottimismo divenne l’arma vincente per combattere ogni tipo di paura, uniti ce l’avremmo fatta e non finimmo mai di sperare che sarebbe andata così.

J.G.

Music musica musique

Non c'è niente di più terribile che ascoltare una brutta canzone. Almeno questo è quello che credo.

È come se ti facessero del male fisico. Come se ti iniettassero delle tossine nelle vene.

Si, alla fine penso che per me non ci sia niente di peggio al mondo che dover ascoltare una brutta canzone dall'inizio alla fine.

E lo impari da bambino cosa ti piace e cosa non ti piace. Cosa ti fa vibrare e cosa no. Almeno per me è sempre stato così.

E devo dire che fino ad ora c'è sempre una canzone che mi piace tantissimo. E una che odio profondamente e che non posso sentire.

Perché è questo che scatena in me la musica: odio e amore.

Amore viscerale intramontabile, insostituibile, senza compromessi per quello che mi piace. Odio e sete di sangue per quello che mi fa schifo.

La musica su quelli come me è un viatico per il paradiso o l'inferno. Non è molta, purtroppo, la musica che mi fa vibrare dentro.

Ne ho ascoltata comunque tanta.

Da venticinque anni ascolto musica ogni ora del giorno e della notte. Molta che mi piace e purtroppo anche moltissima che non mi piace.

Quando una canzone orrenda la devi ascoltare per lavoro trenta volte al giorno diventa una tortura e vai a letto perseguitato dalla sua nefasta melodia.

Quando una canzone ti piace la ascolteresti ogni minuto della tua vita. Poi passa la cotta anche per le canzoni e ti viene un po' di depressione.

Quella bella canzone che mi piaceva tanto adesso mi piace meno come mai? Perché tutto sotto questo bel cielo è mutevole. Le opinioni, gli affetti, e anche e soprattutto i gusti.

Quando una canzone la ascolti abitualmente da trent'anni ecco, forse quella è la tua canzone di sempre. E alla fine anche uno quando scrive le canzoni scrive sempre quella.

La sua canzone di sempre.

O quantomeno cerca di arrivarci il più vicino possibile. Anche se, si sa bene, ci sono vette inarrivabili.

La musica...

Io la musica fine a se stessa la odio proprio. Quelli che diventano bravissimi studiando centinaia di ore sullo strumento alla fine mi hanno sempre comunicato pochissimo.

E mi hanno fatto anche un po' pena, sinceramente.

Perché poi alla prima occasione ti spiattellano sulla faccia tutto il loro repertorio e tutta la loro saputelleria che ti vien voglia di spaccargli lo strumento per terra, tanto ti stanno sulle palle.

Quelli bravi che suonano benissimo e non te lo fanno vedere, quelli val la pena di ascoltare.

Il bassista di Bob Marley ad esempio.

Chi cazzo lo conosce il bassista di Bob Marley?

O il batterista della Motown.

Chi cazzo lo conosce il batterista della Motown?

Eppure li avrai ascoltati ancheggiando milioni di volte.

Perché loro volevano proprio quello.

Vederti ancheggiare.

Si vabbè parlo come un vecchio...

Adesso ci sono i Dj...

La musica è ovunque...

Tutti sembra che possano ascoltare tutto in qualsiasi momento e invece...

Invece ci si accontenta di ascoltare solo quello che qualcuno ti dice di ascoltare, perché andare a cercare altre cose ti fa sentire uno sfigato.

Niente di più sbagliato.

L'orecchio sente quello che la mente sa...

E non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. O quantomeno c'è molta roba zarra tra le prime dieci di spotify anche se ogni tanto ci trovo qualcosa di piacevole anch'io.

Bah comunque...

Ah e poi mi sono sempre piaciuti i dischi con tante belle canzoni. Su dieci almeno sette.

I capolavori insomma.

D'altra parte a chi è che non piacciono i capolavori. E poi ci sono delle canzoni che subito non ti piacciono poi diventano stupefacenti. E quando li hai ascoltati la prima volta hai detto boh cos'è sta roba e poi dopo che li senti tre volte diventano i tuoi pezzi preferiti.

Qualcuno anche il tuo pezzo preferito di sempre.

Chiaro che quello che per me è bello per un altro può essere benissimo orrido, o puerile, o scontato, o troppo impegnativo, o troppo sporco, o troppo triste, o troppo allegro o troppo già sentito, o troppo fuori, o troppo normale, o troppo giallo, o che ti fa sentire in colpa.

Si a volte ti senti anche in colpa per la musica che ascolti.

E sentiti in colpa e basta allora!

Che ci devi fare...

Il sole, la luna e le stelle saranno le tue più inseparabili compagne di viaggio.

Le canzoni vanno e vengono.

Come il piacere di ascoltare o di averle ascoltate.


In arte tutto è soggettivo tranne Bob Dylan.

F.F.

Mi ero scordata

M’ero scordata d’esser vulnerabile. Mi era proprio passato di mente, senza particolari intenzioni. Come un ricordo d’infanzia accantonato da tempo. Come quella volta che, dondolando sull’altalena mentre la nonna mi spingeva, improvvisamente mi rovesciai e caddi a terra. Di faccia.

Ecco. Qualche volta, rara, durante i ritrovi di famiglia nel corso degli anni, qualcuno (mai la nonna) tirava fuori questa storia. Un abbozzo di ricordo, man mano sempre più distante da me, tenuto in vita tramite il racconto di qualcun altro.

Così, di tanto in tanto, per bocca altrui mi giunge alle orecchie il ricordo della vulnerabilità, la memoria di una fallibilità, d’esser fatta di ossa e fragilità. Ma cosa c’è di più umano del bisogno di scordarsi d’essere umani?

N C M

20 marzo

20 marzo, primo caso nella mia città, dal mio balcone si vedeva l'ambulanza ferma dall'altro lato della strada, davanti al portone della famiglia contagiata.

20 marzo, primo giorno di primavera, dal mio balcone si vedevano anche le rondini rincorrersi tra i tetti delle case, davanti ad un tramonto meraviglioso.

Mi chiesi come riuscisse questo mondo ad essere così bello anche nei giorni più grigi.

R L

Era tutto possibile

Lezioni online, lauree online, rapporti sociali online, matrimonio online, sesso online. Era tutto possibile. 
Davvero era tutto possibile senza andare a guardare le pareti di un’aula, senza scrivere sul banco “Samantha ama Marcello”. 
Davvero era tutto possibile senza andare con l’auto a vedere quel localino lì, senza fare cin con i bicchieri colmi di colore alcolico guardando negli occhi i tuoi amici e pure quello lì che ti piace un po’ e pure quella lì che ti sta un po’ sul cazzo. 
Davvero era tutto possibile senza doversi vestire bene, senza partire da una città non meglio identificata per andare nella città “grande” dove tuo fratello, tuo figlio, il tuo amico hanno studiato per poi laurearsi. Basta una camicia. Basta una mail. Basta organizzare una chat di gruppo in cui con il pigiama fai una chiamata a sorpresa a tuo fratello, tuo figlio, il tuo amico.

Davvero era tutto possibile anche senza travestirsi da principe e principessa, senza pagare un pranzo con 120 invitati e conoscerne davvero bene soltanto 20: “Ma come cazzo si chiama quella?!”. Davvero era possibile senza mettersi un abito bianco costosissimo, era possibile mandare i documenti al comune, guardarsi negli occhi poco dopo essersi svegliati, davanti a un caffè e i biscotti e dirsi: siamo marito e moglie. Davvero era tutto possibile, davvero. Anche spogliarsi nudi con la paura che da quella webcam lì qualcun altro ci stia guardando, oh beh alla fine beato lui. 
Davvero era tutto possibile nonostante ci convinciamo che non ci basta mai niente e invece la cosa davvero impensabile, non era tanto che ci fosse la morte vera fuori, quella ce l’aspettavano un po’, sapevamo, lo abbiamo studiato che abbiamo mandato il mondo in malora e prima o poi ci avrebbe presentato il conto. Quello che non sapevamo è che la nostra generazione ha fatto anche questa cosa: ha reso tutto possibile. Nonostante la precarietà costante, nonostante il lavoro che debilita l’uomo. Nonostante la morte vera fuori dalle nostre porte. Allora veramente, davvero, era tutto possibile.

ICS

Day 19

Ho capito che tutto passa. Quando un brano che “posta” una tua vecchia fiamma, non ti fa più battere il cuore. L'ascolti, e non senti quel tonfo al cuore ma tanto sai che non è per te. Viviamo tempi difficili, relazioni più ferree, un mondo inesplorato, un virus contagioso. Contiamo ogni giorno i morti, pochi i sopravvissuti, tutti a casa dicono, tutti a casa. Mi crogiolo in queste quattro mura, mi accorgo che i pesci del mi acquario non nuotano mai nella stessa direzione, se potessi farvi vedere quanta strada fanno ogni giorno, quanti nuovi sentieri intraprendono, è sorprendente. E noi siamo intrappolati qui, a vedere il mondo da una finestra, affiorare il profumo dei fiori da lontano, scorciare l'altro lato della strada con l'obbiettivo della fotocamera, sentiamo il sole cuocere sulla pelle sdraiati sulle mattonelle della camera, riscopriamo i vecchi sapori, quelli della nonna, che ci faceva la pasta a casa, la pizza, le crostate, ci cimentiamo in cucina come egregi Chef. Riscopriamo il dialogo tra i famigliari, facciamo video chiamate per non perdere i contatti con le persone che amiamo, anzi, ridiamo e scherziamo di più, per rafforzare quel rapporto che magari non ritenevamo importanti, beviamo più vino per sentirci leggeri, sconfiggere le ore ingannandole tra il tg, un boccone di troppo e il bicchiere pieno. A me, cari lettori, lettrici, un giorno quando guarderemo indietro e ci ricorderemo di questo periodo, di ciò che abbiamo detto, pensato, desiderato, rimpiangeremo di non aver stretto abbastanza la Nonna, il papà, la mamma, l'amica , il nemico, ci renderemo conto, che un po' di quarantena, ogni tanto, non potrebbe che farci bene. Ci rendiamo conto di ciò che facciamo, di ciò che pensiamo, di come agiamo, e, aspirando dalla mia Camel, adesso, mi sento bene. Sarà stato per il sogno di questa notte, che mi tengo caro nel mio cuore, spesso lo riandrò a cercare, e quel profumo (spoilerando) non lo lascerò andare via, mi giro e sorrido sulle cento foto che ho mentre Battisti urla “Scusi lei, mi ama o no?”. Dalle micro fessure della finestra entra aria pulita, aria nuova, aria non vissuta, vedo belle nitide le luci in lontananza, la chiesa, San Gemini, la mia adorato auto parcheggiata sotto alla mia finestra, e rimpiango i giri che non ho fatto per pigrizia, non vedo l'ora di montarci sopra e scoprire posti inesplorati, mentre le foglie dell'alberi cospargono di libertà il nostro viaggio, li vedo già, quei momenti, impressi nei miei occhiali scuri, a goccia, con la maglietta degli AC/DC mentre Viale Trento, si riempe di bambini, nonni, genitori. Ritorneremo a vivere quotidianamente, più egregi e fortunati di quest'oggi, che sa di amaro e di latte versato su un pigiama indossato da 3 giorni, dei capelli con la ricrescita ed esausti, dal cambio dei vestiti della nuova stagione non programmato, aspettare la domenica per cantare “Buona domenica” di Venditti, con la serie A, che ti lamenti che finisca la partita per poter uscire, della “Bolletta” non azzeccata, delle paste del tuo pasticcere di fiducia, del caffè bevuto al bar, del fiore portato al cimitero, delle passeggiate al parco con il tuo cane. Tornerà tutto questo, che ci sembrava stupido e banale, scontato e poco funzionale, e invece si è rivelato il nostro punto d'attracco, la nostra prua, la nostra speranza. Sono le 01:07, e ho una voglia matta di gridare a tutti “LIBERTà”, di pensiero, di buttarvi in nuove avventure, d'innamorarvi, di fare l'amore, di fare un figlio o di ubriacarvi con gli amici del cuore, mentre il vento soffia più forte e noi, c'arrendiamo stesi a terra, osservando il cielo aspettando una stella cadente, anche se non è tempo, osservando il soffitto scovando ragnatele e crepe che non sapevamo neanche che ci fossero. La vita che abbiamo vissuto fin ora, lasciamolo a quel ricordo lontano, coccoliamolo, e teniamolo stretto a noi, pensate a ciò che sarà, quanto ci ameremo, quanto adoreremo una canzone, un fiore, un posto, una persona... Vi abbraccio ad un metro di distanza, e ricordate, domani sarà sempre, un giorno migliore.

S.B.

Sofia



Un giorno avrò Vita nuova

Un giorno avrò Vita nuova.
Sopra e sotto.
Come albero d'ulivo
nelle radici e nella chioma.
Nella corteccia profumata e nel fiore gravido d'infiniti frutti buoni.
Tondeggianti. Pieni di succo e polpa.
Un giorno la Terra fertile porterà acqua alle mie radici
E tutto in me Vivrà ancora. Di nuovo. Come sempre. Come mai.
Quel giorno non è oggi.
Oggi è tempo di magra e come ramo secco aspetto germogli che mi diano speranza.
Spero l'attesa per germogliare.
L'Attesa é della consistenza del cuore del mio legno.
Non è per cui essa stessa innata Speranza come muscolo involontario vitale?
In fondo, oltre la carcassa, oltre i calendari strappati, oltre la secchezza di questo legno, é lì che in una goccia di linfa nascosta risiede tutta la mia forza vitale.
Quella che mi farà rivoltare nella tomba per la gioia d'aver conservato seppur in malo modo l'impeto bambino.
Lo stesso pianto che strappa alla Madre ed unisce al Mondo.
È lì che dalla mia tomba, ridente, come un Cristo femmina mai tradito, risorgerò come legno vivo.


G.

Pessimismo incoronato

Il buonsenso, la comprensione, l'altruismo, il senso di responsabilità, la pietas, l'ansia, la fifa, l'angoscia esistenziale, l'incoscienza, la razionalità, la professionalità, la paura, la pazzia. Era il tempo nel quale tutti, quasi tutti, avrebbero fatto bene a tacere. Nell'epoca della democrazia dei social, chiunque, facilmente, si arrogava il diritto di scrivere i propri pensieri. Io non avevo parole, le prestavo agli altri per mestiere e non ne possedevo più per me. Possedevo soltanto improperi, anche contro la mia indole, così turbolenta, irrequieta. Non avevo foto. Giorni da non fotografare. La monotonia della casa, il cucinare, le foto dei bambini delle amiche, che s'ingegnavano a scovare diversivi per la prole: non erano foto, erano soltanto immagini. Dicevano che la noia fosse produttiva. Era noia, lenta noia, ed io detestavo sia la lentezza, sia annoiarmi.

Pertanto decisi di non annoiarmi. Sarei stata in apnea, fino al ritorno della luce o all'arrivo della morte.

Non riuscivo neppure a svagarmi, a leggere un libro: lavorare in smartworking era peggio che fare tre esami, uno dietro l'altro. Meglio vedersi, piuttosto, lavorare appiccicati, ma potersi guardare, insultare dal vivo.

Ci si alzava. Alla solita ora, 8.07. Le lagne della gatta; per fortuna lei era felice. Un litro di teina, mi truccavo come se dovessi andare al lavoro. Postazione Mac, Wi-Fi. Aspettavo solo il trascorrere dei giorni, nemmeno il passare della pandemia, soltanto che i giorni si annullassero, in questo non tempo, reo tempo, così inutile.

Chi cantava, recitava il rosario, bestemmiava, faceva a maglia, giocava, suonava, cucinava. Niente che valesse la pena di essere raccontato. Oppure, in alternativa, si potevano ascoltare i numeri, sempre aggiornatissimi: deceduti, ammalati, asintomatici, intubati, medici, sanitari, giovani, vecchi, Italia, Spagna, Usa...

Quindi pensavo che siamo “nuddu miscatu cu nnenti”, il nulla mescolato con il niente. Non c'è niente da nascere qui, non c'è posto, non serve. È uno spreco di energia. E pensavo ancora, a Leopardi, alle illusioni, che, forse ci salveranno. Di certo non ci salverà il dio. Né il pensiero di un Papa, così vulnerabile. I medici faranno tutto il possibile, ma non basterà. La previdenza, il comportamento, le mascherine, la distanza sociale, lo stare a casa…

Ci salveranno? Pensavo che solo una cosa ci salverà: il culo.


V. M.




Emozioni da quarantena

Provai ansia e angoscia ad accendere il televisore, in ogni canale riecheggiava solo una spaventosa parola: Coronavirus.

La paura si fece padrona di ogni mia parte del corpo e della mia mente, tutti fummo costretti a barricarci in casa, dovemmo ridimensionare le nostre abitudini quotidiane e non solo.

Il timore di non poter rivedere le persone a me più care era palpabile, per più di tre settimane non ebbi più modo di vedere le mie amate nonne e le mie amate zie. La cosa che mi mancò più di tutte fu la chiacchierata giornaliera con la mia famiglia, oltre al fatto che non potei più vedere una mia cara amica che abita in un paese diverso dal mio.

L’unica consolazione la trovai nelle limpide acque marine grazie a delle brevissime passeggiate che mi permisero di andare oltre ad ogni mio pensiero negativo e apocalittico.

“Andrà tutto bene”, fu questo quello che ripetevo ogni giorno nella mia testa e non fui la sola. Non ci fu solo paura ma anche speranza, la speranza di poter ritornare alla nostra vita di sempre, la speranza di poter arrivare alla mia laurea senza più alcun pensiero negativo. “Andrà tutto bene”, potei leggerlo ovunque dai social agli ingressi delle case dei miei compaesani. I colori dell’arcobaleno brillarono come mai prima di allora, i bambini donarono una spruzzata di luce a tutti noi.

Non dimenticai nemmeno una parola di quanto la nonna ripeteva:

“Sembra la fine del mondo”

“No nonna, non lo è. Se ognuno di noi fa il suo dovere di buon cittadino ci dimenticheremo di questa brutta storia più presto di quanto immagini”.

L’ottimismo divenne l’arma vincente per combattere ogni tipo di paura, uniti ce l’avremmo fatta e non finimmo mai di sperare che sarebbe andata così.


J.G.

Noialand

Martedì, 10 marzo 2020. A primo impatto sembrò una mattina come le altre, dopo settimane vissute in uno stato di allarme psicologico permanente. Ma per le strade qualcosa fu diverso: poche auto, poche persone, serrande chiuse. D'improvviso mi sentii come catapultata in una torrida giornata nel pieno di agosto, dove la città è nuda, finalmente libera dal brulicare convulso degli esseri umani: la città a misura d'uomo, senza i continui caotici isterismi a cui siamo amaramente abituati. Eppure no, non era estate. La distanza, con il sospetto negli occhi altrui. La distorta percezione che il nemico fosse chiunque ed ovunque marchiava tristemente le persone che incrociavo. Finalmente arrivai a lavoro e, per una volta, trovai parcheggio proprio lì davanti invece di fare i soliti 5km a piedi. Lo considerai un successo enorme, ma purtroppo prima ancora di poter dire “Buongior...” l'aggressione fu istantanea: “Ma non l'hai sentito il discorso di Conte ieri sera?!” - con sgomento. Seguirono voci, cori che sciorinarono il decalogo delle nuove restrizioni, neanche lo avessero imparato a memoria studiando tutta la notte. Ascoltai attentamente, molto seria, ma senza turbamenti interiori. Mi sentii calma. Le nostre abitudini stravolte di colpo. Costretti a fare i conti con un nuovo concetto di lavoro, mobilità, tempo. E purtroppo quel forzato esilio relazionale, tutti intessuti come siamo in un intricato groviglio di affettività, fu ufficialmente la rivincita dei social e dei contatti virtuali che avevo tanto disprezzato fino ad allora, maledizione. E tutti quegli insegnamenti che ci avevano tirato sui denti fin da piccoli finirono nella spazzatura: dai “Lavora, devi lavorare, devi pagare, devi produrre, devi essere utile, non fermarti mai, ne va del bene di tutti”, si passò ai “Stai fermo, non uscire se non strettamente necessario, stai a casa, non andare a lavoro o lavora da casa, ne va del bene di tutti”. Fu strano, sembrò un paradosso. Anche se ipoteticamente sani, ci sentimmo tutti vittime morali. Lo smarrimento fu comprensibile, così come lo scetticismo, o l'improvviso panico. Qualunque disparata reazione umana fu comprensibile. L'incertezza come pelle, l'impotenza come pensiero, l'ansia come stomaco: io non sentii nulla di tutto questo. Tra chi immaginò scenari apocalittici come “The Walking Dead”, chi volle barricarsi in casa con scorte alimentari da guerra nucleare e chi invece si ostinò a prendere tutto sottogamba, io mi mossi lentamente, con cautela. In quella crepa tra il come si viveva prima e il come si vivrà dopo, che sembrava tanto un abisso di anime smarrite ed impotenti, ci fummo ficcati a forza tutti quanti. Tutti insieme in un limbo, fottutamente stretti. Mi sentii calma, come sospesa in una bolla, nonostante tutta la mia autonomia e libertà fossero state appena annullate drasticamente. Non fu la lucidità di pensiero a mancarmi, né la comprensione del dramma umano ed economico che stavamo vivendo. Fu accettazione. Fu pazienza, ma non come rassegnata passività bensì come partecipazione attiva al fluire della vita. Fu l'umiltà di stare nelle cose così come sono e non come avrei voluto che fossero. Fu la mia intrinseca capacità di saper stare bene da sola, già da molto tempo. Il mio allenamento quotidiano con i problemi economici mi aveva reso capace di rinunciare a tutto, perché di irrinunciabile, effettivamente, c'è solo il caffè e la sigaretta al mattino. Pronta quindi. Non avrei potuto saperlo, eppure fui calma proprio perché pronta ad affrontare tutto senza vacillare, senza perdermi, senza impazzire; pronta per riorganizzare la mia vita secondo altri ritmi, altre regole, altre condizioni; pronta, anche se sentii dispiacere per le distanze e profonda tristezza per le vittime. Non ebbi paura poiché finalmente sarei potuta tornare a casa a scrivere, disegnare, cucire, fare giardinaggio, guardare film, leggere o semplicemente ascoltare musica, tutte cose che in tempi normali sarebbero state apostrofate con "sempre le cazzate per sprecare il tempo" e invece divennero "Beata tu che sai come ingannare il tempo". Di inganno io non ne vidi, se non i confini, le barriere, le chiusure. Questi si che ci hanno ingannato da sempre, non il tempo. La noia dell'uomo appesantisce le lancette dell'orologio, ed il benessere da sempre crea mostri nelle menti più ignoranti. Mi sentii improvvisamente grata per tutto quello che avevo. C'era il sole, e ogni cosa sembrò sospesa, fluttuante in una lunga attesa, come se la fretta, finalmente, non appartenesse più a nessuno. Sembrò di stare ne “La guerra dei mondi” al contrario, ma io volli solo affacciarmi alla finestra, godermi l'aria finalmente senza smog, e sorridere guardando il panorama... in attesa del grande botto. Come sul finale di “Fight Club”, avete presente?


JOY


Il virus passerà, le parole resteranno

Mamma carissima,

Questa mia per aggiornarti sul come.

Come vivo. Come penso. Come sorrido e anche come piango in questi giorni di frenesia assonnata che qualcuno chiama Quarantena.

Mi guardo spesso allo specchio e penso STO. Sto bene. Dormo abbastanza regolarmente e faccio i miei soliti pasti anomali. Sento enorme la mancanza delle usuali Maratone che pratico come sai in solitudine e che ho cercato di rimpiazzare alla bell'e meglio, sempre nel rispetto delle regole come mi hai insegnato.

Mentre non cammino più come un tempo rifletto sulla quantità di cose che non posso più fare come prima di.

Questo taglio temporale tra ieri lontani e oggi sospesi ha dato un insegnamento anche a me, sai.

Sono stata colpita da un' urgenza animale di liberarmi di stress e abusi mentali a cui MAI avevo osato porre fine e sai per colpa di chi. Ho imparato a respirare a fondo la paura che da sempre mi attanaglia il cuore. Ho avuto rigurgiti di ricordi che avevo seppellito sotto una coltre di insonnia e colite e che ora lascio fuoriuscire gridando MAI PIÙ. Mentre impazzano notizie tragiche ovunque io, si io, si io, si io, lego i capelli e penso ci voleva questo dramma mondiale per farmi capire che posso fare a meno di quell'aguzzino che mi tormenta dalla nascita. E sento. Si sento distintamente passare nelle vene e nelle gambe la certezza che ce la farò e con me tutte le persone che hanno patito vessazioni non narrabili. Mentre ti scrivo aspetto. Aspettando nutro la mia forza a bocconi piccini. Deglutisco piano e piano ti penso. Dove tu sei da 24 anni guardami con tenerezza. Posa una mano sui miei passi. Sii fiduciosa come io lo sono. E quando ci rivedremo dirò solo Ciao Io sto Bene e Tu?


APE



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