Associazione Culturale Borgo Baver ODV

Borgo Baver

Il racconto

"....già da alcuni giorni i bambini del borgo suonavano la campanella per annunciare la festa. Il tre febbraio, nell’antico borgo che deve il suo nome alla popolazione barbara dei Baiuvari, si celebrano i riti legati alla figura di San Biagio al quale è dedicata la chiesa che da secoli si erge, discreta, tra gelsi e viti, a ridosso delle vecchie case.

La gente porterà a benedire i pani, le caramelle, la frutta secca; i celebranti appoggeranno le candele incrociate sotto il mento dei fedeli e, invocando San Biagio, li renderanno liberi dai mali della gola.

L’atmosfera è suggestiva: i personaggi degli affreschi quattrocenteschi dell’abside, gli apostoli, i padri della Chiesa, San Biagio, San Rocco, San Sebastiano, Sant’Apollonia, i profeti, Gesù in croce, sembrano parlare ai credenti.

Vicino a questo particolare luogo di culto, si staglia la sagoma imponente di una villa veneta del '700. Nel giardino antistante, oltre la cancellata arrugginita, crescono gli ippocastani centenari. Tra il pozzo e l'altero stemma nobiliare, che si scorge in alto, risuonano ancora i passi dell'aristocrazia veneta che qui ha goduto le sue villeggiature.
Intorno vi sono le case coloniche nelle quali vivevano i contadini che, a mezzadria, lavoravano le terre alle dipendenze della villa. I campi, dai nomi carichi di storia: i palù, le zhentene, al zhercol, la bimba, il zudeo, l’arian, le comune, i livei, …, con le loro stradine tranquille contornate di siepi, i fossi, i filari di viti, qualche gelso sono una degna cornice di questo borgo...."

La storia

Baver

Geologicamente Pianzano si trova sulla zona delle risorgive, cioè a cavallo della linea di congiunzione tra gli strati ghiaiosi e sabbiosi dell’alta pianura, e gli strati argillosi, impermeabili, della bassa pianura. Qui affiora l’acqua dal sottosuolo, queste sorgenti nel nostro dialetto sono tuttora dette “bui”, perché l’acqua mentre sgorga sembra bollire. A nord di questa naturale linea di confine si trovano il Campardo e Pianzano, mentre a sud Levada, Campanelle e i Palù; proprio nel mezzo si trova Baver.
Il significato etimologico del nome di queste zone, rimasto inalterato nei secoli, conferma le caratteristiche di ciascuna:
- Campardo: certamente deriva dal latino “campus aridus” che vuol dire pianura arida
- Pianzano: probabilmente deriva da latino “Plancius” e “anu”, forse sta a significare “terra di Plancio”
- Levada: deriva dal latino “levata” che si completa in strada elevata. Di qui passava la via romana Oderzo-Ceneda, che per superare i Palù (contrazione romana di “paludes”), doveva avere una massicciata rialzata
- Baver: dovrebbe derivare da "Bavarius" dai Bavari così come Godega dai Goti.


La chiesa di San Biagio di Baver

A Baver vi è una chiesa intitolata a San Biagio, costruita verso il 1400, almeno nella forma attuale. La data del 20 lujo 1542 posta sotto l’affresco votivo della parete nord è posteriore e corrisponde all’epoca di quell’intervento. Gli affreschi del coro e dell’abside sono di un certo pregio ed hanno ben altre origini.
San Biagio, uno dei quattordici santi ausiliatori, è il patrono del mal di gola: è contro la difterite, la parotite e mali in genere. E’ chiaro che chi abitava ai margini delle paludi e ne era colpito, non trovava in quei tempi migliore medicina di quella di affidarsi al santo. Effettivamente San Biagio è il santo delle zona paludose ed umide, per cui il 3 febbraio  venivano a venerarlo, e far benedire il pane, persone dai paesi limitrofi: Bibano, San Fior, Zoppè...Quando questa devozione non diventava addirittura motivo di sagra e il presupposto di reciproche conoscenze e future parentele.
Attorno alla chiesa c’era anche il cimitero, come dimostra il fatto che in varie epoche sono apparse molte ossa.
La chiesa principale, o pieve, era quella di San Fior di Sopra, dove appunto sulla pala dell’altare maggiore, dipinta da Cima da Conegliano, attorno a San Giovanni Battista, sono raffigurati i santi di tutte le chiese dipendenti tra cui San Biagio.


Prima della chiesa di San Biagio

La vecchia strada romana passava certamente di fronte alla chiesa di San Biagio, da qui si dipartiva la via delle Comune, che portava a Bibano e la via Torondina, che portava verso San Fior di Sotto. Questa strada fu spostata una prima volta nel 1700, quando fu costruita la villa veneta Marchi, Cavalieri, Costantini, Burei, Marinotti.
Di fronte alla chiesa, alla fine del 1800, arando è stato sconvolto un pavimento in mosaico, molto probabilmente un segno di uno stanziamento romano.


I documenti più importanti

Il primo è una pergamena in latino, conservata nell’archivio di Conegliano. Questa porta la data del 14 gennaio 1181 e comprende la denuncia e la stima dei beni degli abitanti le terre del Coneglianese e Cenedese.
Qui appare WALFREDUS DE BAVARIO cum suo fratre (Valfredo di Baver con suo fratello), il quale dichiara un capitale di 800 lire (libras) di allora. Dopo il grande proprietario Wecilo de Camino, che stima tutti i suoi beni 15000 lire, c’è un Bartolomeus de Montesella che denuncia 3000 lire. Seguono una sessantina di persone abitanti a Formeniga, Anzano, Scomigo, Castello Roganzuolo, Saccon, Zoppè, Codognè ... fino alla denuncia di un capitale di 200 lire.
Un secondo documento riporta la testimonianza di alcuni abitanti di Baver circa una controversia sui boschi e le paludi. Le date sono del 14 luglio 1223 e 7 luglio 1226. Qui depone SIGISFREDUS DE BAVARIO (Sigfrido di Baver) che tra l’altro dice: “la qual palude si trova presso il villaggio di San Fior: da una parte verso mattina c’e’ il bosco del comune di Baver (versus mane nemus comunis Bavarii)”. Con le stesse indicazioni depongono anche ARTICO DE BAVARIO e VIVIANO DE BAVARIO. Depone pure un certo GIOVANNI BURANELLO DE BIBANO e dice: “da una parte verso mattina c’è la fratta di Baver e una fossa (ab uno latere verus mane est frara Bavarigi et una fossa)”.
Tre elementi quindi appaiono oltre la palude: un bosco, una fratta (pascolo mutato in campo a cereali) e una fossa, chiamata fossa di San Fior. Dalla testimonianza concorde dei quattro appare poi che a memoria d’uomo, e più, la palude era di proprietà della famiglia Coderta, coneglianese, che l’aveva ricevuta in feudo da Ezzelino da Romano (Ecelinus de Romano) il quale a sua volta l’aveva ottenuta dal Patriarca di Aquileia dal quale dipendeva la pieve di San Fior con le succursali, e dipenderà fino al 1818.


Deduzioni

Fino a qualche decennio fa le cose non erano molto cambiate a Baver: c'era ancora il bosco dietro alla chiesa di San Biagio, la fratta coltivabile così pure la fossa. Infatti il documento riporta anche gli altri confini: “versus sera est fossa Zoppedi” (verso sera c’è la fossa di Zoppè): questa è il Codolo. Però a Baver c’è anche la cosiddetta “Longa”, affluente del Codolo. Per capire questo nome bisogna sapere che il termine fossa è diventato in italiano fosso; questa “longa” prendeva consistenza nelle “Céntene” altro nome interessante e suggestivo che è corruzione dialettale ed alterazione di “centenarium” ossia l’organizzazione longobarda e germanica di associazioni di cento famiglie che venivano dislocate in varie zone. Il sesto centenario di Conegliano, come appare da un documento del 1261, era: Bibano con Salvatoronda, Pianzano, “Villa et regula de Bavero”, Zoppè, San Fior di Sotto, Campo Cervaro, Codognè con Roverbasso e “Villa et regula plebis Sancti Floris”. Quindi Baver, che geograficamente era al centro del “centenario” aveva la sua quota parte di famiglie e i suoi precisi confini.
Infine vale la pena di fermare l’attenzione sui nomi dei bavaresi citati. Il WALFREDUS del primo documento e SIGISFREUDUS del secondo sono nomi di indubbia origine germanica, che tra gli altri nomi citati si trovano solo a Baver. Questa particolarità sembra avvalorare l’ipotesi del perdurare di una tradizione nordica, che indica appunto la provenienza della popolazione del luogo: quindi Baver uguale a terra dei Bavari.

Liberamente tratto da “BAVER – Ricerche e testimonianze” - Don Gino Buttazzi - 1980

Chiesa di San Biagio

La semplicità dell’esterno della chiesa di San Biagio di Baver, contrasta nettamente con la ricchezza degli affreschi tardo quattrocenteschi che si trovano nell’abside.

Se nell’arcosanto veniamo accolti dall’annunciazione, nel sottarco i sei profeti ricordano che la nascita del Cristo era già stata rivelata nell’Antico Testamento, ma appena lo sguardo si posta alla parete di fondo si rimane catturati dalla crocifissione.

Il Cristo sulla croce in primo piano, i due ladroni appena più indietro, e Gerusalemme, la città murata, sullo sfondo. Accanto al crocifisso troviamo anche il gruppo delle pie donne e cinque cavalli, uno diverso dall’altro, e cavalieri e soldati romani che, indifferenti, si giocano a dadi le vesti di Gesù.

L’occhio corre veloce tra queste immagni e coglie uno dopo l’altro i particolari più strani. La città con le cupole orientaleggianti, uno stormo di uccelli sopra i tetti, la chiesetta raffigurata in alto a sinistra, ma ci sono anche l’angelo e il diavolo che accompagnano la morte dei due ladroni e il volto di Cristo sulla croce, sfigurato dal dolore.

E' lo stesso Cristo che troneggia benedicente e sfolgorante di gloria nella teoria degli apostoli alla base.

Nelle pareti laterali, accanto alla crocifissione, viene rappresentato il martirio di San Biagio dal processo fino alla scarnificazione, decollazione e glorificazione in cielo.

San Biagio vescovo di Sebaste e martire del IV secolo, era invocato in particolare contro il mal di gola perché aveva liberato da una lisca di pesce la gola di un bimbo che stava soffocando.

Altri santi ausiliatori sono raffigurati nel piedritto dell’arcone: Sebastiano e Rocco, protettori contro peste, colera ed epidemie, e Santa Apollonia invocata per il mal di denti. Sulle vele del soffitto i quattro Padri e Dottori della Chiesa d’Occidente: Agostino, Gregorio, Ambrogio e Girolamo abbinati ai simboli degli evangelisti.

Se l’abside è attribuibile al periodo gotico, con gli affreschi del tardo quattrocento, la navata ad aula è stata realizzata probabilmente in periodo rinascimentale. Vi si trova al lato nord, un piccolo affresco votivo datato 1542 e a destra una pala d’altare ottocentesca raffigurante la Madonna con bambino insieme ai santi Pietro, Biagio e Lorenzo.

Uscendo dalla chiesa, a destra si nota la corda per suonare la campana. Un gesto antichissimo che viene ripetuto ancora oggi dai bambini del borgo, nei giorni antecedenti la festa di San Biagio: il 3 febbraio.

Villa veneta Marinotti

Diversi furono, nel corso dei decenni, i proprietari di questa villa per lo più lasciata in custodia ad un fattore, che aveva il compito di tenere i rapporti con le famiglie dei mezzadri chiamati a lavorare i poderi ad essa annessi.

Per la fine dell’Ottocento ed i primi anni del Novecento possiamo citare i Costantini, originari del Cadore, mentre per la seconda metà del secolo scorso non possiamo non dimenticare l’industriale Cav. Franco Marinotti che al paese donò le terre dove attualmente sorgono la chiesa e le scuole medie.

Ora la villa è di proprietà della famiglia Da Re; fu però la nobile famiglia Marchi, originaria di Bergamo e trasferitasi prima a Conegliano e successivamente a Serravalle (Vittorio Veneto) che fece costruire o restaurare questo importante edificio, come una lapide, posta sopra uno scalone che dava accesso al parco, ci suggerisce, essendoci scritto: "Cultu splendidiore ampliatusque restauratus anno MDCCLXVIII".

La conferma viene dallo stemma di questa famiglia, ancora visibile al centro del timpano che sovrasta la facciata, così descritto dagli studiosi di araldica: "Arma: partito, nel primo d’oro con tre fasce d’azzurro, la prima carica di una crocetta patente d’argento; nel secondo d’azzurro a tre fasce d’oro doppio merlate".

Altra testimonianza ci viene tramandata dai vecchi contadini del borgo che narravano che, là nella villa, Marchi pesava l’oro con la calvela, una vecchia misura di capacità per aridi. Parole, queste, che ci riportano allo splendore che la lapide voleva trasmettere ai posteri, ora sbiadito.

Le case coloniche

A parte alcuni appezzamenti di terreno, la maggior parte dei campi che si estendevano intorno al borgo, fino agli anni Settanta del secolo scorso, appartenevano al proprietario della villa Marinotti.

Nei vari poderi, condotti a mezzadria, sorgevano delle case coloniche con stalle, tettoie, cantine e granai, facilmente riconoscibili per le facciate dipinte di giallo con le due fasce orizzontali rosse marcapiano. Una fila di portici permetteva di passare da un locale all’altro rimanendo sempre al coperto.

In seguito alcuni di questi porticati vennero chiusi per ampliare le cucine e permettere l’allevamento del baco da seta.

Muri di sassi recintavano spesso orti e broli.

Con il tramonto della mezzadria e la morte del. Cav. Franco Marinotti, la grande proprietà si dissolse, mentre le case vennero lasciate ai coloni nelle quali tuttora vivono

Natura e ambiente rurale: lettera aperta sul vigneto storico di Baver

L’Associazione Culturale Borgo Baver onlus rende noto che nel mese di Febbraio è stato emanato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo – Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto, il provvedimento con cui il Vigneto  storico di Baver viene dichiarato di interesse culturale particolarmente importante, ai sensi del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 e quindi sottoposto a tutte le disposizioni di tutela contenute nel predetto D.Lgs..

L’area in questione, come viene confermato dal Ministero, si può considerare un vero e proprio museo vivente della vecchia viticoltura veneta e come tale meritevole di salvaguardia in quanto assume quel valore identitario che il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio più volte richiama.

La relazione tra tipo di coltivazione e configurazione del territorio e del suo paesaggio è nota, ma in questo caso è riconosciuta la particolare forma di coltura legata ad una precisa tradizione storicamente accertata. Questa rinvia a peculiari modi e stili di vita delle genti che risiedevano in questo territorio. Più le tecniche sono elaborate, come è il caso del vigneto di Baver, più derivano dall’esercizio di abilità acquisiste nel processo di scambio tra le generazioni. Questo processo alimenta e vivifica conoscenze locali e gesti del mestiere, rinnova nel tempo un “saper fare” che è espressione di uno stile di vita e che, una volta incorporato e condiviso socialmente, dà sostanza al patrimonio culturale del territorio.

Di particolare rilievo il fatto che l’area in questione venga fatta ricadere fra le categorie dei beni protetti dall’UNESCO di cui alla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (approvata dall’Italia nel 2007), dove per patrimonio culturale immateriale si intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro “patrimonio culturale”. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d’identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana.

L’UNESCO nella predetta Convenzione definisce anche il concetto di salvaguardia intendendo tutte le misure volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l’identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un’educazione formale e informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale.

Il vigneto storico di Baver, dopo essere passato indenne alla speculazione edilizia degli ultimi 40 anni, una decina di anni fa comincia ad essere citato presso convegni di carattere tecnico-agronomico, viene poi segnalato nel 2007 al primo concorso Luoghi di Valore promosso dalla Fondazione Benetton Studi Ricerche di Treviso, e in più occasioni nominato dagli organi di stampa locali. La nostra Associazione ne ha promosso la conoscenza e la valorizzazione con vari eventi tra i quali la XIV Settimana della Cultura promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali nell’Aprile 2012. Sale nuovamente agli onori della cronaca a partire dall’Agosto dello stesso anno, quando l’Amministrazione Comunale di Godega di Sant’Urbano, approvando la variante al Piano Regolatore Comunale ha ritenuto di rendere edificabile una parte del vigneto (la parte più antica). Dopo esserne venuta a conoscenza, l’Associazione si è spesa sollecitando dapprima l’Amministrazione Comunale a ritornare sui propri passi e poi coinvolgendo altre Associazioni, e segnalando il fatto agli Enti competenti. In particolare la nostra lettera del Dicembre 2012 si è appellata:

agli Enti pianificatori indirizzando un’accorata richiesta di salvare dall’urbanizzazione e di valorizzare questo grande patrimonio, che si chiedeva diventasse parte integrante di un nuovo modello di sviluppo, finalmente rivolto ad utilizzare al meglio le risorse presenti sul territorio;

agli Enti di tutela ritenendo allora indispensabile e urgente un atto che riconoscesse formalmente e amministrativamente l’assoluto valore e interesse di bene paesaggistico, onde rendere effettiva la difesa di una siffatta eccellenza ambientale;

agli Enti di ricerca, alle Associazioni e ai privati Cittadini, sottolineando la necessità e l’urgenza di salvaguardare elementi preziosi, ormai unici, del nostro paesaggio rurale storico, che costituisce parte imprescindibile della nostra identità.

Nei mesi di Gennaio-Febbraio 2013 la nostra lettera ha provocato un acceso dibattito sui giornali e sul WEB, portando numerosi Cittadini e Associazioni a sostenere la causa della difesa del vigneto storico. Dopo alcuni mesi durante i quali diversi Enti si sono occupati della questione, interviene la Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici che avvia la procedura di vincolo dell’area del vigneto storico di Baver, procedura che si è venuta a chiudere nel mese di Febbraio scorso, con l’emanazione del Decreto di tutela da parte del Ministero. Questo sancisce in maniera definitiva il valore dell’area ravvisando nel vigneto storico di Baver un bene che si può classificare come uno degli ultimi residui di un’antica forma di conduzione agricola e che nella sua configurazione assomma valori di paesaggio agricolo di particolare rilevanza e valori di carattere etnoantropologico tali da motivare l’azione di tutela che si esplica nella dichiarazione di importante interesse culturale.

Sentiamo il dovere di ringraziare tanti funzionari degli Organi periferici del Ministero dei Beni Culturali per il loro prezioso lavoro: spesso passa inosservato ma, ricordiamolo, attraverso di loro avviene la difesa del nostro territorio e della nostra storia, aspetti che costituiscono parte imprescindibile della nostra identità.

Un grazie va alla Fondazione Benetton Studi Ricerche che ci ha sempre dato importanti spunti di riflessione e ci ha anche ospitato, nel Maggio 2013, all’incontro pubblico I luoghi di valore e la cura del paesaggio. Tre casi di cittadinanza attiva per presentare il caso del vigneto.

Desideriamo inoltre ricordare i funzionari degli Organi periferici del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – Corpo Forestale dello Stato, le tante Associazioni che si sono spese per la vicenda tra le quali: Italia Nostra – sez. di Conegliano, Amica Terra onlus, Associazione Culturale La Ruota Gruaro, Associazione Naturalistica Sandonatese, WWF Alta Marca, Associazione Liberalabici, Accastorta Folk’n’Roll Band, e ancora tanti, tantissimi Cittadini che si sono interessati alla questione; a tutti loro va un nostro particolare ringraziamento.

Come ci ha detto una persona che abbiamo avuto l’onore di conoscere in questa vicenda: “l’importante è crederci”, è proprio vero: l’importante è non aver paura di credere nei valori da cui si proviene.

L’Associazione Culturale Borgo Baver onlus costituita da persone nate e cresciute nel borgo (che ha nel suo Statuto la tutela, difesa, promozione e valorizzazione delle opere di interesse artistico e storico presenti nel borgo Baver, e la difesa e valorizzazione del territorio nei suoi aspetti naturalistici e nella sua biodiversità), non solo ha creduto fino in fondo nel valore storico, culturale e affettivo del paesaggio e degli edifici storici del borgo Baver, ma ha dovuto far fronte a situazioni talora pesanti, per riuscire a proteggere l’essenza del luogo.

Ora la storia del vigneto storico di Baver non si ferma; auspichiamo possano nascere fattive collaborazioni in modo che questo vigneto, oltre ad esser un orgoglio per l’intera comunità, diventi anche lo spunto per un modello di sviluppo che sia finalmente rivolto ad utilizzare al meglio le risorse presenti sul territorio, nel rispetto della grande sapienza che ci viene dal passato.

Siamo fermamente convinti che le persone che ci hanno tramandato questo patrimonio ci abbiano affidato anche la loro memoria; sono loro parte integrante di questo tesoro inestimabile, del nostro Luogo di Valore. Ora più che mai.

Baver, 5 Marzo 2014