«La vita umana è come un pendolo
che oscilla incessantemente
tra dolore e noia,
passando attraverso l’intervallo fugace,
e per di più illusorio,
del piacere e della
gioia».
Arthur Schopenhauer vede la nostra vita come un pendolo che oscilla, e l’attesa di questo movimento scandisce il nostro tempo, offrendoci un'opportunità di speranza. Questo spazio di attesa, che impregna ogni momento, è il tema di questa riflessione filosofica.
Siamo sempre proiettati verso il futuro, in attesa che qualcosa accada per migliorarci. Aspettiamo una svolta per l’Italia, una politica più trasparente, ma intanto ci rifugiamo nel sarcasmo di Crozza per affrontare la corruzione. In attesa di una democrazia più autentica, continuiamo a sperare che possa arrivare, se mai sarà possibile.
C’è chi attende una casa, distrutta dal terremoto, dove le macerie non sono altro che frammenti di un passato ormai lontano. La speranza che torni la primavera, che arrivi un aiuto concreto, è ciò che tiene viva la forza in mezzo al gelo e alla sofferenza.
Ci sono anche quelli che aspettano un lavoro, o almeno cercano un'opportunità. La disoccupazione non dovrebbe essere un passaggio troppo lungo, ma per i giovani, la ricerca di esperienza sembra più lunga del previsto, soprattutto quando manca un sostegno economico. La voglia di imparare e l’impegno devono essere premiati adeguatamente, senza essere sfruttati.
E se sei genitore, hai atteso pazientemente nove mesi per qualcosa di meraviglioso che ha cambiato la tua vita. Ogni attesa, in fondo, merita di essere vissuta.
È vero, la vita è fatta di attese. Ma forse la risposta è semplice: speriamo sempre in un futuro migliore, mentre impariamo a vivere nel presente.
"Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l’ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno."
Il sabato del villaggio, Giacomo Leopardi
Nel Sabato del Villaggio, Leopardi esplora l’attesa come un momento di gioia e speranza. Il sabato, infatti, è il giorno che precede la festa e, proprio per questo, è vissuto con entusiasmo: la donzelletta che torna dai campi, il giovane che aspetta il ballo, gli anziani che osservano la vivacità del villaggio. L’attesa è carica di aspettative, di immaginazione, e per questo appare più felice della domenica stessa, che invece delude, mostrando come la realtà non sia mai all’altezza del desiderio.
Questo meccanismo rispecchia la condizione umana: spesso la felicità non sta nel raggiungere qualcosa, ma nell’attenderlo. In relazione al progetto sull’attesa dei mezzi pubblici, si potrebbe pensare a soluzioni che trasformino il tempo dell’attesa in un’esperienza piacevole, non solo in un disagio. Installazioni visive, suoni o interazioni potrebbero rendere l’attesa non più un vuoto da riempire, ma un momento di anticipazione positiva, proprio come il sabato per Leopardi.
Ogni giorno passiamo tantissimo tempo ad aspettare.
Come fa notare l'autrice, infatti, che si stia aspettando qualcosa che deve finire o che deve iniziare, l'attesa è quel periodo di tempo che esiste solo in funzione di qualcosa da venire. Di per sé non sembra avere senso alcuno se non in quanto periodo di transizione (spesso fastidioso) verso un obiettivo. L'attesa è noiosa, snervante, insomma un elemento negativo delle nostre vite.
Ciò che l'autrice vuole comunicarci è che, in questo nostro mondo fatto di calendari, di orologi, di appuntamenti e di tempo che conta solo in relazione al denaro, l'attesa non trova ragion d'essere né ha dignità alcuna.
È proprio su questa dignità che invece insiste la Köhler, la quale porta avanti la propria tesi attraverso due modalità.
In primo luogo, in maniera metanarrativa, affrontando il tema stesso in un saggio che, andando dal filosofico al letterario, sorvola (a volte con troppa rapidità) autori e "luoghi" che in passato si sono cimentati con l'attesa. Solo per citarne alcuni, troviamo Nietzsche, Heidegger, Baudelaire e, soprattutto, Kafka e il suo Processo.
In secondo luogo prova a restituire dignità all'attesa quale momento da sfruttare e riempire di significato, rifacendosi a quell'otium latino che tanto si contrapponeva al nec otium, ossia all'attività lavorativa vissuta dai romani come un dovere, in contrapposizione al piacere intellettuale del potersi dedicare a ciò che veramente dava senso alle cose. È proprio negli interstizi fra un evento e l'altro, nelle attese fra qualcosa che è terminato e qualcosa che sta per cominciare, quindi, che possiamo inserire ciò che di più personale abbiamo. È un punto su cui soffermarsi, questo, utile per ragionare riguardo a quegli spazi esistenziali che spesso consideriamo vuoti e inutili.
L’attesa appare, ora più che mai, come un serio impedimento.
Per tutti.
Per chi produce, per chi vive una vita dinamica, per chi viaggia,
per chi soffre di una malattia, per chi aspetta una risposta…
"Tempo senza lancette: l'attesa e la modernità frenetica"
È strano leggere o scrivere sull’attesa oggi, quando l’attesa sembra ormai un gesto ripudiato, da evitare, obsoleto, buono per altri tempi, inutile e spaventosamente improduttivo. Oggigiorno più si attende, peggio è. Attendere troppo che il bus arrivi alla fermata, significa perdere ore di lavoro. Un ritardo può generare una catena di mancanze in grado di mandare all’aria una giornata. È impensabile che un messaggio non giunga a destinazione pochi secondi dopo la sua spedizione e ci si innervosisce per la lettura tardiva di una mail, mezzo già fin troppo lento e macchinoso. Ma l’attesa, che nella sua stessa ossatura ha a che fare profondamente con il tempo, dilata il tempo o, nei casi più eclatanti, lo sospende, lo fa uscire dai cardini. Dice Raffo, addirittura:
Non ci son più lancette.
Quello dell’attesa ha tutta la dignità di essere, perciò, un tempo, il tempo dell’attesa, e non una banale perdita di tempo.
Se c’è un luogo in cui il tema dell’attesa assume una statura concettuale vera e propria, questo è il contemporaneo. In un lungo percorso costellato di rivoluzioni nella riflessione sul tempo, l’attesa sembra qualcosa con cui la contemporaneità non può evitare di fare i conti, tanto che questo percorso sembra essere culminato, oggi, con un diktat minaccioso: non c’è più tempo.
Il tempo stesso è cambiato. Ha allora ragione chi parla di essere senza tempo, facendo l’occhiolino a Heidegger, chi parla di filosofia (o nichilismo) della fretta, di modernità irrequieta. Questo perché il nostro occhio è talmente diventato futuro-centrico, da non permettere altra forma di tempo che quello dell’accelerazione: il passato richiede memoria, riflessione, quiete, il presente ha le forme di un tempo impaziente, nell’attesa spasmodica di un futuro che deve arrivare il prima possibile.
"Il concetto di Flaneur e lo spazio urbano"
Flâneur (al plurale flâneurs) è un termine francese, reso celebre dal poeta Charles Baudelaire, che indica l'uomo che vaga oziosamente per le vie cittadine, senza fretta, sperimentando e provando emozioni nell'osservare il paesaggio. La parola può essere tradotta in italiano con "bighellone", tuttavia anche la locuzione "andare a zonzo" rende bene l'idea dell'azione. Il concetto di "Flaneur" riprende l'idea di un "passeggiatore svagato e a momenti curioso." Se facciamo riferimento al contesto urbano, è colui che passeggia.
L'attesa dei mezzi pubblici, spesso percepita come un momento di frustrazione e inattività, può invece trasformarsi in un'esperienza produttiva e stimolante, in perfetta sintonia con il concetto di flâneur .
Come possiamo sfruttare questo tempo e renderlo significativo? Abbiamo scelto di intervenire nell'area limitrofa al Borghetto Flaminio, presso la fermata della linea 2 del tram, per creare uno spazio vivibile e dinamico. Qui, la comunità potrà trasformare l'attesa in un'occasione
Il progetto prevede:
Uno skate park per bambini , che offre ai più piccoli l'opportunità di interagire tra di loro per creare legami
Un punto culturale , in cui verranno esposte mostre temporanee aperte al pubblico
In questo modo, l'attesa diventa non solo più piacevole, ma anche un'opportunità per vivere lo spazio urbano in modo più attivo e attivo.
PROGETTI DI RIFERIMENTO
" La High Line " - New York
La High Line è un parco lineare di New York. Si estende per 2,33 km lungo la sezione meridionale in disuso della ferrovia sopraelevata West Side Line, parte della più ampia New York Central Railroad, che corre lungo il lato occidentale di Manhattan.
In precedenza la High Line proseguiva in direzione sud fino al terminale ferroviario di Spring Street, appena a nord di Canal Street, ma tale parte inferiore è stata demolita nel 1960.
" Superkilen " - Copenhagen
In particolare Superkilen è un esperimento (riuscito) architettonico ma anche artistico e sociale. Il quartiere di Norrebro è una zona difficile, popolata da numerose persone immigrate di diverse nazionalità, ognuna con la propria cultura e i propri usi e religioni. Il progetto intende riqualificare un’area di scarso valore urbanistico e allo stesso tempo vuole essere l’occasione per un momento di dialogo e di confronto tra i vari abitanti della zona.
Il parco si articola in tre parti fondamentali, allungate su una striscia lunga oltre 750 metri. Le prime due sono caratterizzate da due differenti tonalità di colore: quella occidentale in sfumature di rosso (con una pavimentazione in cemento e anti-urto vermiglia) e quella centrale in nero e grigio scuro (anch’essa pavimentata con asfalto e caucciù anti-urto alternata a fasce bianche in pietra a creare un disegno artistico). Si arriva poi in una terza zona “più tradizionale” a verde e prati.