L’Italia è una giovane nazione, un agglomerato multiculturale di miriadi di identità locali, e di minoranze etniche, linguistiche, religiose, e di genere. Un multiculturalismo storico incosciente (suo malgrado) attraversato da colonialismi europei e stressato oggi da movimenti centripeti e centrifughi sovranisti. I nazionalisti (macrosovranisti) da una parte, che vorrebbero assimilare le molteplici identità locali in un ideale di “bianco/a italiano/a” e spinte centrifughe indipendentiste (microsovranisti) dall’altra. Entrambe le visioni sono interessate nell’edificazione di un modello sovrano omogeneo, colonialista, monoreligioso, eteronormativo e patriarcale, su piccola o larga scala. Mentre da tempo la psicologia, le neuroscienze, la psicoanalisi e altri campi di studio hanno messo in crisi i concetti di identità granitiche “dure e pure”, totalitarie, molti studiosi italiani che dovrebbero occuparsi di identità culturali e sociali inseguono ancora chimere anarcoidi o, all’opposto, postfasciste. Le identità etniche locali italiane, sopravvissute al giacobinismo linguistico precedente il ’68, spiegano l’esistenza di dialetti, mentalità e culture diverse all’interno di un paradigma ibrido nazionale. Per esempio, un calabrese emigrato nelle altre regioni italiane ha meno privilegi di un autoctono, mentre ne ha più degli immigrati in Italia. In Calabria, i calabresi hanno molti più privilegi delle minoranze etniche, come le storiche comunità ebraiche e valdesi, arbëreshë e grecaniche. Eppure, tutte queste minoranze hanno pieni privilegi di cittadinanza e presenza storica nel tessuto sociale rispetto agli immigrati, e, spesso, ai Rom. In altri continenti, gli emigrati calabresi sono considerati scuri e ‘levantini’ dalle etnie nordeuropee, ma sono bianchi europei e privilegiati se paragonati ai popoli indigeni, afroamericani, asiatici, sudamericani. Tuttavia, l’etnia è solo una delle variabili identitarie, come, per esempio, la classe sociale e il genere sessuale. Il riconoscimento di identità particolari, composite e molteplici, mette in luce privilegi e discriminazioni, libertà e doveri. I calabresi sono anche italiani ed europei, senza contraddizioni in termini. Per esempio, una donna musulmana Bambara e senegalese, che diventa cittadina calabrese, italiana ed europea è un valore aggiunto per la comunità, cultura ed economia euro-italiana. L’integrazione del progetto europeo assomiglia a quello italiano risorgimentale su scala continentale, pur tra grandissime differenze e cambiamenti. La realizzazione del sogno europeo, così come di quello italiano, può diventare un’occasione per creare una comunità multiculturale, ibrida, multietnica, plurireligiosa, LGBT+. Il multiculturalismo e il riconoscimento, non l’annullamento, delle differenze, dovrebbero essere la ricchezza dell’Italia e dell’Europa, nella consapevolezza che tutte le culture, locali o globali, elaborando una coscienza storica in cerca di continuità, sono cambiate, stanno cambiando, e cambieranno. Le malepiante del qualunquismo, sovranismo, neoborbonismo, populismo e neofascismo fioriscono rigogliose in Calabria. Le istituzioni calabresi organizzano corsi, finanziati dallo Stato o dall'Europa, per insegnare queste teorie, così come il darwinismo sociale della destra britannica novecentesca. Ed è l'egemonia culturale del gruppo di potere calabrese: la 'ndrangheta. Se, da un canto, la militarizzazione della Calabria non sconfiggerà la 'ndrangheta, dall'altro, politiche liberali, come la legalizzazione della cannabis, contribuiscono a risolvere il problema.
L'Italia non ha affrontato un profondo processo critico di decolonizzazione. "Perché la 'Ndrangheta? Antropologia dei Calabresi" spiega perché la 'ndrangheta è una forma di colonialismo calabrese.
L'antropologia culturale non spiega perché tutti gli esseri umani sono uguali, descrive e spiega le differenze fra culture, mentalità, ideologie. Dovrebbe farlo tenendo in gran considerazione anche gli aspetti materialistici e storici. Se tutte le culture umane fossero identiche allora l'antropologia culturale sarebbe inutile.
L'identità è una costruzione simbolica complessa che dipende intrinsecamente da fattori interni, come: genetica, psicologia ecc., ed esterni: ambiente, altre identità ecc. Fattori storici, geografici, economici e sociali contribuiscono alla costruzione/determinazione delle identità, sia singole, sia collettive. Le identità si trasformano, mutano col tempo, sono complesse, sono hyphenated. Dinamiche intersezionali di genere, classe, ed etnia informano il divenire storico dei processi identitari.
La ricerca dell'identità non è la ricerca dell'essenza della calabresità. Le essenze di peperoncino e di maledizioni non descrivono e non spiegano i calabresi. Essi stessi sono concetti stereotipici. La maggioranza dei calabresi mangia peperoncino piccante tutti i giorni? Peperoni e peperoncini da millenni sono cibi tradizionali sudamericani. Da secoli la paprika è un prodotto tipico ungherese. La cucina tibetana, così come quella spagnola, adora il peperoncino. Quest'ultimo appare, nel passato calabrese, solo nelle ricette, influenzate dalla ricca tradizione culinaria iberica, delle pietanze preparate per l'aristocrazia, per il popolo grasso. La ricetta non apparteneva alle classi popolari, soprattutto se scritta, poiché nella Calabria del Regno borbonico l'analfabetismo era al 98-99%, percentuale che, tuttavia, non scalfisce l'attuale orgoglio neoborbonico. Perché la 'Ndrangheta: Antropologia dei Calabresi è un'opera meridionalista. "Neoborbonici" non è un sinonimo di "meridionalisti," ma di "falsari," "sovranisti," "monarchici," e "reazionari."
E' uno stereotipo affermare che i calabresi sono mafiosi. E' uno stereotipo affermare che i calabresi non sono mafiosi. La letteratura sull'argomento ormai abbonda di definizioni negative dei calabresi, per esempio: i calabresi non sono opportunisti, non sono vigliacchi, non sono traditori, non sono narcisisti al limite dell'autoreferenzialità, proprio come pensano i boss della 'ndrangheta. E' evidente: la maggior parte dei calabresi è onesta e la minoranza è mafiosa. Ma entrambe le percentuali attingono, anche se in modi differenti, a una cultura etnico-identitaria comune. Caratteristica che rende la 'ndrangheta, rispetto alle altre organizzazioni criminali del pianeta, unica e vincente.
Secondo alcuni studiosi di 'ndrangheta, nella giungla delle organizzazioni criminali vige il darwinismo sociale. L'ambiente criminale è imprevedibile e pericoloso. "L'organismo" criminale che ha le caratteristiche più adatte vince sulle altre specie (le altre organizzazioni) nel suo habitat delinquenziale. E l'habitat della 'ndrangheta è ormai il mondo intero. Quali sono le caratteristiche peculiari di questo tipo di crimine organizzato? Non sono proprio quelle della sua cultura d'origine? E' sconfortante notare come alcuni sostengano proprio il contrario, cioè che questa organizzazione vince sulle altre proprio perché non ha nessuna caratteristica peculiare, nessun vantaggio. In poche parole: alcuni studiosi utilizzano l'argomento del darwinismo sociale sebbene non abbiano mai letto o compreso le teorie di Darwin. In ogni caso, il darwinismo sociale non è una teoria di Darwin. Infatti, lo studioso credeva che la compassione fosse la qualità che contraddistingue il genere umano.
In un'era in cui i cervelli emigrano, quelli che restano ci mettono la faccia, dimenticando Pirandello. Molte persone non emigrano dall'Italia perché partecipano in sistemi foucaultiani di potere. In particolare, i professionisti dell'antindrangheta spesso non hanno alcuna formazione storica o antropologica. Nell'era di Facebook e del narcisismo individualista eletto a sistema "metterci il cervello" non ha più senso, dunque fioccano eroi forti, peronisti, qualche volta anche analfabeti funzionali, perlopiù presenzialisti compulsivi. Capita sempre più spesso di vedere esperti esclamare in un forte accento calabrese che la cultura calabrese non esiste, mentre tengono specifici corsi sulla 'ndrangheta in cui insegnano che non c'é niente di specifico, che é un'organizzazione criminale uguale alle altre. Il boss della 'ndrangheta propaganda il ritratto ideologico di una persona che sacrifica la propria vita, libertà e famiglia per l'organizzazione, entrando a far parte di un'élite di "duri e puri." La Calabria e i calabresi non hanno bisogno di eroi, supereroi, o addirittura boss dell'anti-'ndrangheta. Per poter cambiare, c'è bisogno di ammettere che c'è qualcosa che non va, riconoscendo le proprie responsabilità e l'urgenza di un cambiamento, e, infine, di avere l'intenzione di cambiare.
Se i calabresi non fossero stati dominati da greci, normanni, spagnoli ecc. non sarebbero così come sono oggi. Ma quale popolo europeo non è stato dominato da un altro popolo nella storia? Gli spagnoli furono dominati dai romani e i francesi idem. Gli inglesi furono conquistati dai romani, dai vichinghi, dai normanni, dai sassoni. I piemontesi furono conquistati dai romani, dai burgundi, dai goti, dai longobardi, dagli ungari, dai francesi e da molti altri. Perfino i romani nacquero sotto il giogo degli etruschi e finirono sotto quello dei popoli mitteleuropei. Quindi poiché molti popoli europei hanno il loro peso di "schiavitù" (con relativi eccidi, genocidi e storture) sulle spalle allora, almeno da questo punto di vista, partono dalla stessa linea. I calabresi in Calabria non vivono in una riserva e non sono una minoranza. Bisogna ragionare con il bisturi non con l'ascia.
E' molto più confortante per i calabresi dare la colpa agli altri piuttosto che assumersi le proprie responsabilità: è l'antropologia del piangersi addosso, del vittimismo etnico. Un'epistemologia naïf che in dialetto calabrese suona così: l'antropologia dell'«ohi c'ama patuto» (oh, che abbiamo patito!). Una visione del mondo che fa comodo a imprenditori, vescovi, politici, intellettuali, giornalisti ed editori calabresi che hanno le mani in pasta nel malaffare. E' una classe dirigente composta da fedayn de la Calabria si ama e non si discute, come la propria squadra calcistica del cuore, come la propria mamma, che infatti è difesa fino alla morte dagli attacchi esterni ma è contemporaneamente vittima dei soprusi, degli abusi e delle soperchierie di mariti, padri, fratelli e figli. Una dinamica simile alla violenza domestica e al femminicidio che sta devastando la Calabria. Calabresi brava gente è il loro motto, attenzione: tutti, non la maggioranza, non la minoranza: tutti. La Calabria è una terra piena di contraddizioni, così tante che chi dichiara l'inesistenza dei calabresi riceve cospicui finanziamenti nazionali ed europei, per progetti che hanno lo scopo di promuovere e valorizzare la cultura e il patrimonio storico-archeologico-naturalistico calabrese. In Calabria, i premi letterari e culturali hanno una funzione paradossale. Invece di premiare talenti, i calabresi gratificano VIP nazionali nella speranza di attirare attenzione mediatica sul loro paese/villaggio. Invece di regalare denari e valori, seguendo l’origine e il senso del mecenatismo, loro regalano targhe e statuine. Non è il premio che dà lustro al premiato, ma, al contrario, è il premiato che nobilita il premio. Dunque, i calabresi spendono soldi pubblici (grandi cene e strutture alberghiere) per invitare e premiare personaggi più o meno famosi con lo scopo di gratificare, rinforzare, ed espandere il proprio ego, non certo per promuovere la cultura locale. Tuttavia, gli organizzatori difficilmente perdono l’occasione per inserire premi per i loro amici e sodali “intellettuali,” atteggiamento che essi considerano come "attenzione al territorio."
La maggior parte dell'intellighenzia calabrese (non tutta) ha un'attitudine provinciale. Tre capisaldi del provincialismo:
Credere che la propria terra sia inferiore alle altre. Lamentarsi perché in Calabria non c'è niente, mentre invece c'è un patrimonio naturalistico-storico e culturale invidiabile. Credere che il centro storico di Firenze, per esempio, sia più centro e più storico di Reggio Calabria, Vibo Valentia, Crotone, Catanzaro e Cosenza, che invece possono contare su una ricca storia e una fiorente preistoria. Il capoluogo toscano custodisce tesori artistici superiori per quantità e qualità, perciò chi afferma fieramente di non essere mai andato a Firenze o a Roma è altrettanto provinciale (tranne che per motivi economici o di salute). Sovrastimare (perché anche l'atteggiamento contrario è imbarazzante) o sottostimare la propria terra è tipico del provincialismo. Quando in Calabria arriva un ospite straniero subito gli si mostrano palazzine multicolori, villoni neonarcos, centri commerciali, villaggi turistici hollywoodiani e pretenziosi hotel postmoderni. Ma non è così che questa regione può competere con i ben più avanzati e ricchi luoghi turistici. La Calabria è affascinante per i sui parchi archeologici, i castelli, i santuari, i monasteri, gli eremi, la natura, l'enogastronomia popolare.
Affermare che non esistono identità culturali. Un bravo linguista può individuare il dialetto di un parlante con un raggio di errore di pochissimi chilometri, la lingua è il dato più evidente dell'identità culturale. Così come l'italiano è suddiviso in dialetti allo stesso modo anche il dialetto calabrese è suddiviso in sub-dialetti, ma ciò non significa che l'italiano o il calabrese non esistono. Chi va all'estero da turista, tra tour e menù globalizzati, chi ha visitato i parenti emigrati altrove, chi vive all'estero tra altri connazionali non ha la percezione della mentalità degli autoctoni. Perciò crede che tutto il mondo è paese, che le mentalità non esistono, che la mentalità svedese è uguale a quella calabrese. E' un meccanismo di compensazione psicologica per cui, per esempio, si elimina il proprio provincialismo negando l'esistenza della provincia.
Affermare che non esistono tradizioni identitarie. Alcune tradizioni sono inventate, come per esempio il pane bianco o integrale di grano come prodotto di massa. Lo è oggi ma non lo fu nel passato. Altre tradizioni hanno millenni di storia e un contesto preciso, come il pane di segale e orzo. Lo fu per migliaia di anni in Calabria ma non lo è più oggi. Poiché tradizioni eterne sono impossibili allora una tradizione di duemila e cinquecento anni è più tipica di una di cinquant'anni. Non è vero che non esistono tradizioni poiché non esistono tradizioni eterne. C'è chi sostiene che, per fare un altro esempio, un dolce fatto con ingredienti comuni in tutto il Mediterraneo non è tradizionale in Calabria. Sarebbe come affermare che Saffo, Orazio, Shakespeare e Leopardi non furono poeti/scrittori originali perché le parole che hanno usato erano comuni. «L'ermo colle» di Leopardi è una citazione da Galeazzo di Tarsia, ma ciò non toglie nulla alla grandezza e all'originale identità delle opere del marchigiano. Sebbene il basilico, l'olio, i pinoli e il formaggio siano presenti ovunque in Italia, tutti possono capire che il pesto genovese è una ricetta ligure, orgoglio identitario di quelle terre. I patterns culturali sono come i Lego, mattoncini comuni con cui si costruiscono oggetti differenti. Tuttavia, l'astrazione/generalizzazione con cui si afferma l'esistenza di patterns deve tenere sempre presente la natura sintetica delle generalizzazioni. Il meridione d'Italia condivide uno stesso pattern con la Cina: gli spaghetti. Ma gli spaghetti di grano italiani sono diversissimi dai noodles di grano cinesi, per non comprendere la differenza è necessario avere o un palato fuori uso oppure una scarsa conoscenza della Cina. Infatti la cultura italiana è diversissima da quella cinese, così come le mafie italiane sono diversissime dalle organizzazioni criminali cinesi. Ma perché questi intellettuali riconoscono l'eccellenza, la creatività, l'originalità e l'unicità delle opere d'arte di Bernini o di Goethe e non quelle delle classi popolari? Perché, pur se si dicono di sinistra oppure amanti della propria terra o delle tradizioni, non hanno alcun rispetto per la classe lavoratrice.
Le tradizioni esistono e sono inventate tanto quanto inventate sono le religioni. Dire che le tradizioni sono inventate giustifica l'ignoranza, l'incomprensione di molti fenomeni sociali e storici, l'incomprensione della 'ndrangheta come fenomeno culturale. Non bisogna preoccuparsi se nel concetto di tradizione è decisiva l'idea di quantità e non di qualità. Cioè la tradizione, per definizione, ha a che fare con la reiterazione nel tempo, che è quantità in movimento. Le tradizioni cambiano col tempo. E' imbarazzante affermare che tutte le tradizioni sono inventate, perché in questo senso, tutto, ma proprio tutto, è inventato nelle culture umane, compresa la matematica. Sono tutti costrutti culturali che appartengono a una sola specie animale sul pianeta, quella umana. Le tradizioni esistono così come esistono le opere dei grandi artisti. Dunque esistono, sono analizzabili, quantificabili, criticabili, rinunciabili ma non negabili.
Quando una comunità emigra porta con sé la propria cultura e le proprie tradizioni, per quanto siano "arcaiche". Nell'ipermoderna New York le comunità africane praticano lo sciamanesimo sotto ai grattacieli e il vudu dei sudamericani convive di fianco all'Apple Store. Sui jet supersonici dal valore di milioni di dollari, perché costruiti con le più innovative tecnologie esistenti, salgono piloti muniti di amuleti e figurine sacre. Questa coesistenza di elementi primordiali - irrazionali e di super - tecnologia è chiara a tutti, o quasi. Gli studiosi di ndrangheta sono spesso (ma non sempre) dei collezionisti di atti giudiziari e cronache giornalistiche, incapaci di qualsiasi analisi e interpretazione che vada al di là della mera collezione di dati. Non è necessario avere un grande ingegno per riassumere il lavoro intellettuale altrui, l'opera di magistrati, carabinieri, poliziotti e finanzieri tanto bravi quanto, purtroppo, sconosciuti. I rituali 'ndranghetisti al di fuori della Calabria (per esempio a Milano, a Toronto o a Sidney) sono la prova più evidente che ad emigrare non sono solo le persone ma anche le idee che hanno in testa. C'è chi porta con sé la tradizione del maiale, della salsa e del vino, chi i santi con le preghiere e le canzoni in dialetto, una piccola minoranza porta con sé le tradizioni mafiose. I calabresi si credono vittime dei piemontesi e dello Stato italiano (tra gli altri) mentre la 'ndrangheta è un prodotto tipico calabrese, composta da soli calabresi (e dai loro discendenti).
Fioriscono retoriche monarchiche neoborboniche reazionarie. C'è addirittura chi sostiene che le mafie siano nate come movimento di resistenza popolare antirisorgimentale: l'intellighenzia meridionale è alla frutta. I briganti furono i commando privati dei baroni (come i Bravi di Don Rodrigo ne I promessi Sposi), eserciti privati al servizio di pseudo-nobili spesso in conflitto tra loro e/o con la Corona. Esattamente ciò che fanno i mafiosi di oggi, con i ricchi imprenditori al posto dei baroni, in conflitto tra loro (spesso con quelli emergenti) e con lo Stato italiano, che tenta di imporre le civili leggi costituzionali in luoghi dove vigono regole tribali e locali. L'ignoranza assoluta delle nuove generazioni di "studiosi" dimentica e anzi sovverte la storia, pensando che si stava meglio quando si stava peggio, nostalgici di un regime che ha affamato il sud per secoli. Il Regno delle due Sicilie fu un paradiso per una sparuta minoranza di para-aristocratici e un inferno per la stragrande maggioranza di braccianti e massari. Perciò i professionisti della fake-history vantano oggi ascendenze aristocratiche, perciò alcuni baroni universitari sono oggi gli stessi che un tempo possedevano le terre e le vite dei contadini. Essi rimpiangono i proprietari di servi della gleba, per rendere la Calabria great again! La regione, da più di mezzo secolo, è governata dagli autoctoni, i soli responsabili delle pessime condizioni di questa landa. La 'ndrangheta è il crimine organizzato calabrese, punta dell'iceberg di una mentalità colonialista che incendia, inquina e deturpa l'ambiente, che opprime lavoratori, extracomunitari, donne e LGBTQ2+, che impone la propria legge economica, politica e militare in diversi continenti, fondando il proprio potere sul commercio della cocaina, sfruttando il lavoro e territorio dei popoli indigeni sudamericani.
L'individuazione della mentalità calabrese è la ricerca e l'interpretazione di un modo di essere, l'intensione e l'estensione di un habitus, di una sovrastruttura ideologica, non di un'essenza. Una forma mentis (non una lombrosiana forma delle tempie), che caratterizza la maggior parte dei calabresi ma non tutti, che non è fissa, è mutabile, ma che, non per questo, è possibile cambiare facilmente come una maglietta. Le identità sono cangianti, allo stesso modo il fiume Po non è mai sempre lo stesso, come direbbe Eraclito. Ma non per questo è impossibile parlare del fiume Po, o delle identità oppure delle mentalità. Anche nei Paesi occidentali, nonostante la globalizzazione, il conformismo e l'omologazione, persistono differenti ideologie, mentalità, culture. Se non esistessero identità etniche, culturali, ideologie e mentalità diverse (perché entità intangibili) allora non potrebbero esistere neanche il totem, il mana, il tabù, le classi sociali, perché sono tutti concetti, idee, enti astratti e non materiali. La matematica non è inutile e falsa perché i propri oggetti di studio sono astratti. L'esistenza dell'inconscio oppure di Superman, per esempio, presuppone due piani logici differenti, eppure entrambi non sono materiali, non sono quantificabili. La maggior parte delle persone occidentali (o occidentalizzate) crede (oggi) che il primo esista, il secondo no. La credenza in una divinità non genera automaticamente l'esistenza della divinità stessa. Tuttavia genera culti, riti, comportamenti, ricette gastronomiche, letteratura, luoghi di culto ecc. Dunque i calabresi, pur non avendo una mentalità e una cultura totalmente omogenea, hanno evidenti caratteri comuni, analizzabili, che li differenziano dai siciliani, dai campani, dagli svedesi. Gli stessi calabresi vantano agli occhi del mondo la loro cultura. La mentalità calabra è più simile a quella siciliana che a quella svedese, ma non è solo una questione di distanza, le comunità calabresi sparse per il mondo conservano, in qualche misura, la cultura d'origine. I confini di queste mentalità/culture non sono rigidi, non si possono rappresentare con insiemi classici. Così come accade nella logica fuzzy, evoluzione della fisica quantistica, la localizzazione di questi concetti va studiata in termini probabilistici, di "campi sfocati". Chiunque può comprendere questa dinamica pensando alle lingue/dialetti. Dove finisce, sulla mappa geografica, una lingua e dove comincia un'altra?
Oggi gli studi hanno il merito di focalizzare l'attenzione sulla questione femminile, su quelle dei migranti e degli emarginati all'interno delle culture dominanti anglosassoni. Tuttavia c'è una deriva che promuove gli auto-studi, l'autoreferenzialismo culturale e il solipsismo metodologico. Nonostante i propositi sinistroidi, la lotta di classe e le condizioni economico-sociali sono espunte dalle argomentazioni di questa nuova ondata di superspecializzazione. Secondo questa nuova temperie culturale solo i calabresi, per esempio, possono parlare o scrivere riguardo ai calabresi. Ciò crea più divisione e narcisismo di quanto se ne voglia evitare. La nuova moda dell'ideologia dominante del capitalismo nazionale e nazional-socialista intende sostituire la lotta di classe con la lotta etnica. L'accademia si divide lungo linee identitarie patriottico-religiose, nascono nuove gangs di studiosi, che non conoscendo la storia e la cultura altrui non conoscono, in fondo, neanche la propria: divide et impera.
Il pregiudizio/stereotipo non è solo esterno, è anche interno alla propria tribù d'appartenenza. Dal di fuori lo sguardo è perlopiù negativo, dal di dentro è perlopiù positivo. Alla credulità attribuita ai calabresi dagli abitanti delle regioni meridionali si contrappone «il calabrese si frega una volta sola» del famoso proverbio autoctono. I pregiudizi e gli stereotipi sono come le leggende, favole che poggiano su un pur minimo fondamento di verità, oppure su misinterpretazioni. Spesso è come fare di tutta l'erba un fascio. Per esempio, il caso in cui il 70% di un popolo X, per consuetudine culturale, ha l'abitudine Y, mentre il 30% non ce l'ha. Sarebbe sbagliato affermare che il 100% del popolo X ha l'abitudine Y. Ma è esatto dire che la maggioranza, il 50% più uno, del popolo X ha l'abitudine Y. Può anche accadere che i pregiudizi siano totalmente inventati, che siano invece simpatici, oppure odiosi.
Una nota a margine, gli studi sul familismo amorale di Edward C. Banfield hanno, ancora oggi, un notevole valore euristico. Sono ancora capaci di spiegare perché la società calabrese, le cui sorti sono da decenni affidate ai calabresi, è così povera, sofferente e degradata. Il familismo amorale è un prodotto tipico della Calabria e del meridione d'Italia, da solo un secolo uscito dal medioevo feudale. Anche meno, se consideriamo che l'Unità di centocinquanta anni fa fu un accordo tra gli imprenditori del nord e i latifondisti del sud, che consentì a questi ultimi di continuare a spadroneggiare con leggi feudali nelle loro terre fino alla seconda guerra mondiale. Un esempio è lo Ius primae noctis, un altro sono i contratti feudali di affitto delle terre ancora vigenti negli anni '40 del secolo scorso (e in molti casi anche negli anni '50). La 'ndrangheta, la camorra, la mafia e la sacra corona unita sono familismo amorale. Ma non esiste l'equazione per cui meridionale=amorale. Culture diverse hanno etiche e morali diverse.
La 'ndrangheta è una forma di capitalismo: è un business. E' un capitalismo concepito secondo tutti i crismi della mentalità calabrese. Perché esistono differenti tipi di capitalismo. Esiste un capitalismo in salsa cinese, oppure statunitense, canadese, italiana, svedese ecc.
L'idea fascista-gentiliana dell'autoconcetto, del sud che pensa il sud, è il corrispettivo dell'idea per cui il «nord pensa il nord», della Lega (Nord). Oltre agli altri punti cardinali che pensano se stessi c'è anche «l'Italia che pensa l'Italia», dell'estrema destra. Il concetto idealista e tautologico del sud che pensa se stesso non farà rialzare e prosperare la Calabria, ma, al contrario, il sovranismo culturale serve a far credere ai calabresi di essere già perfettamente autarchici, di non aver bisogno d'altro, illudendoli, addirittura, che il familismo amorale sia un valore positivo. Non si sconfigge la 'ndrangheta fascistizzando la Calabria.
Il contributo dell'antropologia culturale, della storia e dell'etnostoria in qualsiasi società, consiste nell'individuare i lati positivi e quelli negativi di ogni cultura umana, promuovendo i primi e lavorando sui secondi. Bene e male non sono eterni e imperituri. Positivo e negativo sono giudizi morali soggetti a variabilità diacronica e sincronica, tuttavia il relativismo culturale assoluto è la negazione del progresso, dell'evoluzione e del miglioramento della società umana. Questa visione discende direttamente dal nichilismo negativo o passivo, cioè il dominio del Nulla. Il nichilismo positivo o attivo, invece, sa che i valori umani non sono eterni e divini ma ne accetta, per condivisione arbitraria, alcuni. Per esempio l'imposizione culturale/familiare dell'infibulazione e dell'umiliazione delle donne frustate e sottomesse devono essere cancellate dalla faccia della Terra. Mentre queste stesse pratiche dovrebbero essere consentite se prescritte da un medico, o consensuali e in piena capacità d'intendere e di volere. Come è giusto che sia per il burkini, il velo delle suore, le pratiche erotiche sadomasochistiche eccetera.
Sarebbe saggio e utile, per qualsiasi "tribù", conoscere se stessa e gli altri, unendo lo sguardo esterno a quello interno, comprendendo e amando le differenze. Guardarsi dall'interno della propria cultura è come guardarsi allo specchio (pensare è riflettere): ci si vede sempre bellissimi. La conoscenza è invece, per sua stessa natura, dialettica. E' necessario unire, in dialogo, il proprio sguardo a quello degli altri.