Credo fermamente che l'architettura sia per eccellenza la disciplina più universale che esista. Ma la sua caratteristica più importante e necessariamente presente in ogni sua declinazione, è il potere di trasformare: una materia prima, uno spazio, una casa, un brano di città o un intero territorio. La trasformazione, la metamorfosi, è il filo rosso che collega tutti i miei ambiti di lavoro.

Opero nel campo della ristrutturazione architettonica e urbana dall'indomani del giorno della mia seconda laurea in Architettura. Le esperienze svolte in contesti locali e internazionali mi hanno formato molto, sia come architetto che come persona. Nonostante i salti temporali e geografici dei miei lavori, si può chiaramente identificare un filo conduttore comune: la relazione tra il progetto ed il contesto e l'importanza dello spazio, pubblico o privato che sia.

Ho studiato Architettura per cinque anni in due differenti atenei. Nel 2012 mi sono iscritto al corso di laurea in Architettura dell'Università degli Studi di Enna "Kore", una realtà accademica giovane e vivace. Sempre più convinto di voler espandere i miei orizzonti, ho scelto di entrare a far parte di un programma di double degree in Architettura che mi ha portato a frequentare l’ultimo anno accademico Escola Tècnica Superior d'Arquitectura del Vallès (ETSAV). In questo periodo ho avuto modo di conoscere un mondo tutto nuovo e di poter approfondire le mie conoscenze a livello più tecnico e pratico.

L'architettura è insita in ogni cosa, in ogni luogo e in ogni essere vivente e non vivente. Pensare come un architetto vuol dire creare i presupposti per far sì che quell’idea si materializzi prima su un foglio di carta, e poi nella realtà. Questa è per me la magia dell’Architettura: materializzare l'immateriale. Per questo bisogna sempre contestualizzare un’idea. Il progetto non è niente senza il luogo che lo contiene. O forse è il luogo che fa parte del progetto. Esiste quindi una biunivocità che non può essere e non deve essere dimenticata quando si progetta.


“I don’t want to be interesting. I want to be good.”

Ludwig Mies van der Rohe