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Corte di giustizia ed EPPO: un inizio burrascoso?  

La procura europea (EPPO) è competente a perseguire gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. La struttura di tale organo UE prevede un livello centrale e uno decentrato. Quest’ultimo è costituito dai procuratori europei delegati, aventi sede negli Stati membri dell’UE. Il Regolamento (UE) 2017/1939 che ha istituito l’EPPO disciplina le modalità con le quali essa può condurre indagini transnazionali. 

Oltrepassando i classici meccanismi di cooperazione giudiziaria, l’EPPO non usa l’ordine europeo di indagine per acquisire le prove nel territorio di un altro Stato membro, ma utilizza il sistema previsto dall’art. 31 del Regolamento (UE) 2017/1939. Secondo tale norma è sufficiente associare al fascicolo elettronico il procuratore europeo delegato dello Stato dove l’atto deve essere compiuto, per l’esecuzione dello stesso, una volta che la misura è stata disposta in base alla legge nazionale dello Stato nel cui territorio opera il procuratore europeo delegato che sta conducendo l’indagine. L’applicazione di tale norma ha destato problemi sin da subito, poiché l’art. 31 del Regolamento EPPO, che evidenzia una differenza tra il sistema EPPO e quello dell’ordine europeo d’indagine (EIO), come disposto dalla Direttiva 2014/41/UE, invece di facilitare le indagini transnazionali della procura europea rischia di renderle poco agevoli (Venegoni, 2022). 

Le problematiche intorno alle indagini transnazionali sorgono dalle specificità dell’EPPO. Nonostante sia un ufficio unitario, tale organo non opera in un ordinamento giuridico e giudiziario unitario (Bellacosa, De Bellis, 2023; Ligeti, 2020; Mitsilegas, 2020). Il regolamento istitutivo non prevede che l’EPPO utilizzi una legislazione unitaria per disporre le proprie e non prevede neppure che le normative nazionali si armonizzino. Difatti, l’atto di diritto derivato in commento stabilisce il principio per cui il procuratore europeo applica la legge nazionale dello Stato nel quale opera. Questo può andare bene nei casi in cui le indagini dell’EPPO siano puramente nazionali. In tal caso non emerge il problema su quale sia la legge applicabile, poiché è quella del luogo nel quale opera il procuratore europeo delegato che sta conducendo l’indagine (Venegoni, 2022; Bachmaier Winter, 2018). 

Tuttavia, le criticità di tale sistema sono evidenti nel caso di indagini transnazionali, ove rileva quanto previsto dall’art. 31 del Regolamento (UE) 2017/1939. Tale norma cerca di risolvere il problema della legge applicabile nei casi di cooperazione tra i due procuratori europei delegati coinvolti nelle indagini transfrontaliere, ossia il rapporto tra la lex fori e la lex loci. Seguendo il ragionamento predisposto dall’art. 31 del regolamento istitutivo dell’EPPO nei casi di indagini transnazionali si applica la lex loci. Esiste la possibilità di applicare la lex fori nei casi in cui essa non contrasti con principi fondamentali dell’ordinamento dello Stato membro dove opera il procuratore europea decentrato richiesto. Il regolamento EPPO prevede, tuttavia, che lo standard sia sempre quello del livello più altro di tutela dei diritti della difesa. Il principio è quello di applicare sempre, o nello Stato del procuratore che procede o in quello che si occupa dell’esecuzione della misura, il più alto standard di tutela giudiziale, e in concreto l’autorizzazione o la convalida del giudice (Venegoni, 2022). 

Oltre la questione dell’autorizzazione del giudice per la misura vi è quello delle impugnazioni contro la misura. Su tali problematiche, la Corte di giustizia è stata chiamata di recente a pronunciarsi nella sentenza del 21 dicembre 2023, causa C-281/22, G.K. e altri (Procura europea). 

Nel caso di specie, diverse persone sono perseguite penalmente per una frode relativa all’importazione di biodiesel dell’Unione. Questa frode avrebbe cagionato un danno di circa 1 295 000 euro agli interessi finanziari dell’Unione. La Procura europea conduce un’indagine tramite un procuratore europeo decentrato incaricato del caso in Germania. Ai fini dell’indagine sono stati disposti la perquisizione e il sequestro di beni in Austria. Il procuratore europeo decentrato tedesco incaricato del caso ha quindi delegato l’esecuzione di tali misure ad un procuratore europeo decentrato austriaco. Gli imputati contestano tali misure investigative dinanzi al giudice austriaco, il quale ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia questioni pregiudiziali volte a stabilire se esso sia autorizzato a esercitare un controllo completo (comparabile a quello che sconvolgerebbe in una situazione puramente interna) o se il suo controllo debba essere limitato alle questioni procedurali connesse all’attuazione delle misure investigative transfrontaliere. Il giudice del rinvio, con le sue tre questioni pregiudiziali chiede, in sostanza, se gli artt. 31 e 32 del Regolamento (UE) 2017/1939 debbano essere interpretati nel senso che il controllo effettuato in seno allo Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato di prestare assistenza, qualora una misura investigativa assegnata richieda un’autorizzazione giudiziaria conformemente al diritto di tale Stato membro, possa vertere tanto sugli elementi relativi alla giustificazione e all’adozione di tale misura quanto su quelli relativi alla sua esecuzione. Esso si chiede, in tale contesto, se il controllo giudiziario su detta misura che sia stato previamente effettuato nello Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato del caso incida sulla portata del controllo sulla stessa misura, a titolo di tale autorizzazione giudiziaria, nello Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato di prestare assistenza (causa C-281/22, G.K. e altri (Procura europea), punto 38). 

In altre parole, la questione centrale verte su quale giudice è competente a valutare la mancanza di elementi di prova o di indizi del reato che attiene ai presupposti della misura. Quindi, riassumendo, la competenza spetta al giudice dello Stato membro del procuratore europeo decentrato che conduce l’indagine, dove la misura è stata ordinata, o anche dinanzi al giudice dello Stato membri del procuratore decentrato richiesto di assistenza dove la misura è stata eseguita. 

Al fine di rispondere a tali interrogativi, l’art. 42, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2017/1939 dispone che gli atti della procura europea sono impugnabili davanti alle Corti nazionali, naturalmente secondo la rispettiva legge interna (Oberg, 2021; Mitsilegas, Giuffrida, 2020; Mitsilegas; 2020). Dunque, tenendo presente che nelle indagini transazionali il giudice dello Stato membro del procuratore decentrato di esecuzione debba esaminare l’intero file per autorizzare o convalidare la misura, ai sensi dell’art. 31, paragrafo 2 e 3, del Regolamento (UE) 2017/1939, o per decidere sul ricorso contro di essa anche relativamente ai requisiti per la misura, il meccanismo della Procura europea diviene più complesso rispetto al meccanismo delle indagini transazionali dei casi di semplice cooperazione giudiziaria. Infatti, con il sistema EIO, le autorità dello Stato membro richiesto non esaminano l’intero fascicolo dell’indagine, ma verificano solo le informazioni contenute nel certificato. In sintesi, se si ritiene che anche il giudice dello Stato di esecuzione debba avere accesso all’intero fascicolo per valutare nel merito l’impugnazione sui presupposti della misura, due giudici di Stati membri diversi valuterebbero i gravi indizi di reato (Sicurella, 2023; Panzavolta, 2018). Questo potrebbe provocare decisioni contrastanti complicando il percorso dell’indagine. 

Alla luce di tali problematiche, la pronuncia della Corte di giustizia nel caso C-281/22, G.K. e altri (Procura europea), appare molto rilevante per il proseguo dell’azione dell’EPPO. Secondo i giudici europei, il controllo del Procuratore europeo decentrato assistente deve limitarsi alle questioni relative all’attuazione delle misure investigative transfrontaliere. L’adozione e la giustificazione di una misura investigativa sono disciplinate dal diritto dello Stato membri del procuratore europeo incaricato del caso, mentre l’esecuzione di una tale misura è disciplinata da diritto dello Stato membri del Procuratore europeo decentrato assistente.

La Corte di giustizia basa il suo ragionamento su due principi generali dell’ordinamento dell’UE ossia il mutuo riconoscimento e la fiducia reciproca fra Stati membri. 

La Corte afferma che gli artt. 31 e 32 del Regolamento (UE) 2017/1939 sono stati introdotti allo scopo di agevolare e semplificare la cooperazione giudiziaria fra gli Stati membri che accettano l’applicazione del diritto penale vigente negli altri Stati membri, anche quando l’attuazione del proprio diritto nazionale potrebbe avere una soluzione diversa (causa C-281/22, G.K. e altri (Procura europea), punti 54 e 55). Al contrario, consentire un vaglio sostanziale da parte dell’autorità giudiziaria dello Stato membro del procuratore europeo decentrato incaricato di prestare assistenza, sfocerebbe in un sistema meno efficace di quello istituito dagli strumenti giuridici preesistenti, nuocendo all’obiettivo perseguito dal medesimo regolamento (causa C-281/22, G.K. e altri (Procura europea), punto 68). In tal modo, non solo verrebbe duplicato il controllo giurisdizionale per questioni di merito, ma, come corollario, l’autorità competente dello Stato Membro del Procuratore europeo decentrato incaricato di prestare assistenza dovrebbe effettuare uno scrutinio pieno dell’intero fascicolo che dovrebbe esserle trasmesso dalle autorità dello Stato Membro del procuratore europeo delegato del caso e, all’occorrenza tradotto (causa C-281/22, G.K. e altri (Procura europea), punto 69). Considerando che le valutazioni sulla giustificazione e sull’adozione di una misura investigativa sono disciplinate dall’art. 31, paragrafo 2, del Regolamento (UE) 2017/1939 dal diritto dello Stato membro del Procuratore europeo decentrato, l’autorità competente dello Stato membro del Procuratore europeo decentrato di prestare assistenza non è chiaramente nella posizione migliore rispetto all’autorità competente dello Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato per procedere a un siffatto esame alla luce del diritto di quest’ultimo Stato membro (punto 70). A valle di tale ragionamento, la Corte di giustizia statuisce che, da un lato, alle autorità giudiziarie dello Stato membro del Procuratore europeo decentrato incaricato del caso spetta, ai sensi dell’art. 31, paragrafo 2, del Regolamento (UE) 2017/1939 il controllo di merito sulla giustificazione e sull’adozione di una misura investigativa. Dall’altro, i giudici europei statuiscono che alle autorità giudiziarie dello Stato membro del Procuratore europeo incaricato di prestare assistenza spetta, invece, ai sensi degli artt. 31, paragrafo 3, e 32 del Regolamento (UE) solo il controllo degli elementi relativi all’esecuzione della misura investigativa transfrontaliera. In altre parole, la Procura europea può attivare misure investigative transfrontaliere: senza dover trasmettere e tradurre l’intero fascicolo procedimentale a favore del Procuratore europeo decentrato incaricato di prestare assistenza; senza che l’eventuale autorità giudiziaria a cui il procuratore europeo decentrato può essere tenuto legalmente a rivolgersi per ragioni autorizzative debba valutare profili di merito; e senza che tali profili di merito possano validamente essere oggetto di impugnazione presso lo Stato Membro del Procuratore europeo decentrato di prestare assistenza. 

Tuttavia, la Corte di giustizia lascia aperta una questione legata ai diritti fondamentali. L’interpretazione della Corte di giustizia lascia alcune perplessità riguardo l’art. 32 del Regolamento (UE) 2017/1939 per cui le formalità e le procedure espressamente indicate dal procuratore europeo delegato incaricato del caso non devono entrare in conflitto coi principi fondamentali del diritto dello Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato di prestare assistenza. Secondo i giudici europei nel caso di misure investigative che comportino ingerenze gravi nei diritti fondamentali, quali ad esempio perquisizioni e/o congelamento di beni, lo Stato membro cui appartiene il Procuratore europeo incaricato del caso prevede nel diritto nazionale garanzie adeguate e sufficienti, quali un controllo giurisdizionale preventivo, per assicurare la legittimità e la necessità di tali misure. Dall’altro canto, sebbene le autorità giudiziarie dello Stato membro del Procuratore europeo delegato incaricato di prestare assistenza non siano abilitate a esaminare la giustificazione e l’adozione di una misura investigativa assegnata, occorre tuttavia sottolineare che, ai sensi dell’art. 31, paragrafo 5, lettera c) del Regolamento (UE) 2017/1939, qualora il procuratore europeo delegato incaricato di prestare assistenza ritenga che una misura alternativa meno intrusiva consenta di conseguire gli stessi risultati della misura investigativa assegnata in questione, esso informa il proprio procuratore europeo incaricato della sorveglianza e consulta il procuratore europeo delegato incaricato del caso per risolvere la questione a livello bilaterale. Ai sensi dell’art. 31, paragrafo 7, del Regolamento (UE) 2017/1939, qualora i procuratori europei delegati interessati non possano risolvere la questione entro sette giorni lavorativi e l’assegnazione sia mantenuta, la questione è sottoposta alla camera permanente competente (causa C-281/22, G.K. e altri (Procura europea), punto 77). Di conseguenza, la sentenza C-281/22, G.K. e altri (Procura europea) stabilisce che gli artt.31 e 32 del regolamento 2017/1939 devono essere interpretati nel senso che il controllo effettuato in seno allo Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato di prestare assistenza, qualora una misura investigativa assegnata richieda un’autorizzazione giudiziaria conformemente al diritto di tale Stato membro, può vertere solo sugli elementi relativi all’esecuzione di tale misura, e non sugli elementi relativi alla giustificazione e all’adozione della misura stessa, i quali devono essere sottoposti ad un previo controllo giurisdizionale effettuato nello Stato membro del procuratore europeo delegato incaricato del caso in situazioni di grave ingerenza nei diritti della persona interessata garantiti dalla Carta (causa C-281/22, G.K. e altri (Procura europea), punto 78). 

Alla luce di ciò è opportuno chiedersi quali sono gli spazi di tutela dei diritti fondamentali nell’ambito dell’ordinamento dello Stati Membro in cui la misura è eseguita. In tal senso, se l’autorità giurisdizionale dello Stato membro del Procuratore europeo decentrato incaricato di prestare assistenza non si trova nella migliore posizione per applicare il diritto penale dello Stato membro del procuratore europeo decentrato incaricato (punto 70), allora l’autorità dello Stato membro del Procuratore europeo decentrato incaricato del caso non si trova nella migliore posizione per applicare i principi fondamentali dello Stato membro del Procuratore europeo decentrato di prestare assistenza (Golino, Minucci, 2023). Inoltre, come riconosciuto dalla Corte di giustizia nella c.d. saga Taricco (sentenza del 5 causa C-42/17, M. A. S. e M. B., punti 46 e 47), gli organi giurisdizionali possono opporre la c.d. teoria dei controlimiti, laddove il diritto dell’Unione comporti la rinuncia ai principi supremi e ai diritti fondamentali parte delle tradizioni costituzionali degli Stati membri. In base alle considerazioni sopraesposte, la recente sentenza della Corte di giustizia segna l’inizio di un dialogo tra Corti nazionali e giudici europei al fine di trovare gli equilibri giusti per il migliore funzionamento della Procura europea tutelando i diritti fondamentali dei cittadini europei.

25 giugno 2024

Alessandro Nato



Bibliografia

Bachmeier Winter L. (ed.), The European Public Prosecutor’s Office. The Challenges Ahead, Springer, 2018

Bellacosa, M., De Bellis, M., The protection of the EU financial interests between administrative and criminal tools: OLAF and EPPO, in Common Market Law Review, 60:1, 2023, pp. 15-50. 

Golino A., Minucci G., La Corte di Giustizia rafforza EPPO nelle indagini cross-border, ma resta aperta la questione della protezione dei diritti fondamentali, in EPPP Observatory, 2023.

Ligeti K., The Structure of the EPPO: Features and Challenges, in Croatian Annual of Criminal Sciences and Practice, vol. 27, no. 1, 2020, pp. 33-54.

Mitsilegas V., Giuffrida F., Judicial Review of EPPO Acts and Decisions, in Ligeti K. et al. (eds.), The European Public Prosecutor’s Office at Launch, Wolters Kluwer CEDAM, 2020, p. 115 ss. 

Mitsilegas, V. (2020). The European Public Prosecutor’s Office between EU and National Law: The Challenge of Effective Judicial Protection, in Croatian Annual of Criminal Sciences and Practice, Vol. 27, no. 1, 2020, pp. 79-88 

Oberg J., The European Public Prosecutor: Quintessential supranational criminal law?, Maastricht Journal of European and Comparative Law, Vol. 28(2), 2021, pp. 164-181. 

Panzavolta M., Choosing the National Forum for Proceedings Conducted by the EPPO: Who is to Decide?, in L. Bachmeier Winter (ed.), The European Public Prosecutor’s Office. The Challenges Ahead, Springer, 2018, pp. 76 ss. 

Sicurella, R., The EPPO’s material scope of competence and non-conformity of national implementations, in New Journal of European Criminal Law, Vol. 14(1), 2023, pp. 18-33.

Venegoni A., Il rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia (caso C-281/22): l’EPPO alla sua prima, importante, prova, in Giurisprudenza Penale,12, 2022, pp. 1-6.


Recensione a M. Pittiruti - "Traditio all'estero e controllo in Cassazione, Giappichelli, Torino, 2023

“Traditio all’estero e controlli in Cassazione” è il titolo del recente lavoro monografico di Marco Pittiruti, con cui l’Autore si è fatto carico di sviscerare il tema – solo all’apparenza secondario – del vaglio giurisdizionale affidato alla Corte di cassazione sulle richieste di consegna di un individuo provenienti da uno Stato estero.  

A tal fine, lo scritto ripercorre le radici storiche del controllo giurisdizionale nell’estradizione passiva, dal Progetto di legge del 1882 allo scrutinio giurisdizionale articolato in un duplice grado di giudizio nel c.p.p. 1913, sino all’evoluzione che ha interessato l’istituto nel passaggio dal c.p.p. 1930 all’attuale codice di rito. Un percorso legislativo indiscutibilmente segnato dal tentativo di ricondurre il regime dettato per il procedimento di estradizione passiva allo schema generale dettato per il procedimento di cognizione, come imposto, del resto, dall’equazione enunciata a chiare lettere dall’art. 111 Cost. tra giusto processo e giurisdizione. 

Percorso culminato, tuttavia, in un disegno rimasto sostanzialmente incompiuto. A stagliarsi con chiarezza sullo sfondo della ricostruzione storica sono, infatti, le ambiguità̀ e le aporie – tuttora insolute – dell’istituto dell’estradizione passiva, nella perdurante difficoltà di rinvenire un adeguato punto di equilibrio tra le opposte esigenze dell’efficienza nella cooperazione tra Stati e della tutela dei diritti individuali.

A tale proposito, la mancanza di un’incisiva ristrutturazione dell’assetto codicistico della garanzia giurisdizionale nei procedimenti di estradizione passiva nel vigente codice di rito, con particolare riguardo alla limitata cognizione del giudice italiano sulla serietà dell’accusa mossa dallo Stato estero, ha senza dubbio contribuito a delineare un controllo “debole” affidato all’autorità giudiziaria nazionale. Per tale via, i difetti “genetici” del controllo affidato in sede di prime cure alle corti d’appello italiane hanno finito per sterilizzare, altresì, il ruolo di controllo affidato alla Corte di cassazione, la quale, nel settore in esame, svolge la funzione di giudice di secondo grado. Non basta.

A ulteriormente depotenziare il ruolo della Suprema Corte hanno contribuito le interpretazioni riduttive degli spazi di controllo offerte dalla giurisprudenza. Basti pensare all’affermazione, ricorrente nella prassi, secondo cui le questioni di fatto non potrebbero essere valutate dalla Cassazione, pure a fronte di una disposizione – l’art. 706 c.p.p. – che espressamente assegna alla Suprema Corte una cognizione estesa alla quaestio facti. Oppure, ancora, alla tesi di matrice giurisprudenziale secondo cui lo scrutinio affidato ai giudici del controllo dovrebbe limitarsi al solo esame cartolare del materiale già acquisito, senza possibilità di svolgere approfondimenti istruttori.

Le pagine dell’opera restituiscono, così, una nitida fotografia della limitata aspettativa di protezione dello status liberatis del consegnando. Fenomeno, questo, che appare persino accentuato nell’ambito del mandato d’arresto europeo passivo, tema anch’esso oggetto di ampia disamina nell’opera. 

A seguito delle modifiche apportate alla l. n. 69/2005 con il d.lgs. n. 10/2021, infatti, la relativa disciplina è rigidamente improntata alla salvaguardia del principio del mutuo riconoscimento. Eppure, come già si è avuto modo di evidenziare in un precedente scritto , il mutuo riconoscimento può essere effettivamente ed efficacemente funzionale al miglioramento della cooperazione giudiziaria solo se accompagnato da un efficace processo di ravvicinamento tra le diverse legislazioni sotto il profilo dei diritti e delle garanzie. 

Per converso, pur nella perdurante assenza di un processo siffatto, l’assetto attuale della l. n. 69/2005 impone al giudice italiano un affidamento pressoché totale alla bontà delle conclusioni raggiunte dall’autorità estera. Come ben evidenziato dall’Autore, vera e propria pietra angolare del nuovo sistema è la valorizzazione dell’autonomia del mandato d’arresto europeo rispetto al provvedimento estero “a monte” dell’iniziativa di cooperazione: circostanza in grado, di per sé, di neutralizzare la verifica delle cause ostative alla traditio pur presenti nel tessuto normativo.

In tal senso vanno lette anche l’elisione degli obblighi di allegazione originariamente previsti dall’art. 6, comma 4, l. n. 69/2005 e la previsione di termini assai stringenti per le scansioni procedimentali. Anziché stimolare il giudice italiano ad uno scrutinio effettivo e non meramente burocratico della richiesta di consegna estera, l’imperativo della mutua assistenza giudiziaria veloce e “ad ogni costo” ha finito per tradire la funzione di garanzia dei procedimenti di cooperazione passiva.

Ma la necessità – senza dubbio reale – di garantire l’efficienza della cooperazione è destinata a cedere il passo dinanzi all’aspettativa di tutela del consegnando.

Sul punto, le pagine di “Traditio all’estero e controlli in cassazione” ben evidenziano un dato fondamentale: l’autentica funzione della garanzia giurisdizionale nei procedimenti in discorso resta quella di evitare che la cooperazione giudiziaria internazionale si risolva in un “sistema giuridico” per violare la libertà e la sicurezza dell’individuo. 

Opportunamente, quindi, l’interrogativo che l’Autore affronta nell’ultima parte dell’opera è come recuperare la dimensione garantista dei procedimenti di consegna di un individuo ad uno Stato estero.

In quest’ottica, è condivisibile lo scetticismo che traspare nelle pagine del volume rispetto a una soluzione di tipo normativo. Scrive in proposito l’Autore: «sarebbe errato […] trascurare la valenza ideologica del tema e l’impatto che quest’ultima ha sull’interpretazione delle norme, cullandosi nell’illusione che il miglioramento della tutela dello status libertatis del consegnando possa rappresentare il frutto di mere operazioni di tecnica interpretativa o di ortopedia normativa». 

Altrettanto condivisibile l’auspicio, formulato dall’Autore, in favore di una forma di rinnovamento diversa, di tipo anzitutto culturale, nel senso di una diversa attenzione riservata alla tematica dei diritti nell’ambito dei procedimenti di mutua assistenza giudiziaria. 

Proprio questo appare l’aspetto maggiormente apprezzabile dell’opera: il tentativo di riportare il tema oggetto di analisi a una dimensione autenticamente processuale. Soltanto un mutamento della prospettiva d’analisi dal piano della mera cooperazione a quella della tutela dei diritti fondamentali, infatti, consente di ricondurre i procedimenti d’estradizione e di mandato d’arresto europeo passivi alla loro originaria e indefettibile funzione, vale a dire quali autentici presidi di libertà per l’individuo. 

 

Rosita Del Coco

14 maggio 2024



AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE

(18 marzo6 aprile 2024)

(*) Nel precedente periodo di riferimento (4 marzo - 16 marzo 2024) non si è provveduto alla pubblicazione dell'aggiornamento giurisprudenziale in quanto non si è riscontrata la presenza di provvedimenti di rilievo in argomento.

Si segnala la pubblicazione del rapporto annuale della Procura europea relativo all'attività svolta nell'anno 2023 


Corte di giustizia dell’Unione europea

Nessuna pronuncia in argomento


Corte europea dei diritti dell’uomo

Nessuna pronuncia in argomento


Corte costituzionale

Nessuna pronuncia in argomento


Corte di cassazione

Cass., sez. VI, 29 marzo 2024, n. 13144 : in tema di mandato d'arresto europeo la Suprema corte, con la sentenza in esame, ha rilevato che alla stregua dei principi affermati dalla Corte di giustizia nella sentenza del 21 dicembre 2023 in caua C-261/2022 l'autorità giudiziaria italiana, richiesta di dare esecuzione ad un mandato d'arresto europeo non può rifiutare la consegna solo perché la persona richiesta sia madre di prole con lei convivente in tenera età. La consegna della persona interessata, può, tuttavia, essere rifiutata, in conformità all'art. 2 della legge n. 69 del 2005, interpretato in senso conforme al diritto dell'Unione e non sulla base di standard puramente interni di tutela, qualora sia dimostrata l'effettività del rischio concreto di violazione del diritto fondamentale della madre al rispetto della sua vita privata e familiare e dell'interesse superiore dei suoi figli minori a causa: a) di carenza sistemiche o generalizzate in ordine alle condizioni di detenzione delle madri di minori in tenera età e di cura di tali minori nello Stato membro emittente del MAE; b) oppure di carenza riguardanti tali condizioni che pregiudicano più specificatamente un gruppo oggettivamente identificabile di persone, come minori con disabilità.



a cura di Michele Oddis


AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE

(19 febbraio – 1 marzo 2024)



Corte di giustizia dell’Unione europea

Nessuna pronuncia in argomento


Corte europea dei diritti dell’uomo

Corte e.d.u., 22 febbraio 2024,  Kaczmarek c. Polonia 

(https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-231432)


La richiedente, Honorata Kaczmarek, è una cittadina polacca nato nel 1960 e residente a Gdynia (Polonia). È la coniuge di J.K., che al momento degli eventi in questione era Ministro degli Interni polacco.

Il caso riguarda la divulgazione da parte dei pubblici ministeri, durante una conferenza stampa, di chiamate private della signora Kaczmarek registrate nell'ambito di un'indagine legata al presunto ostacolo a un'operazione anti-corruzione. Riguarda anche la conservazione di materiale relativo alla signora Kaczmarek ottenuto attraverso l'operazione di sorveglianza segreta.

Basando le proprie pretese sugli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare/corrispondenza) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione, la signora Kaczmarek lamenta, in particolare, la divulgazione pubblica di dati personali e informazioni di sorveglianza su di lei durante una conferenza stampa, la conservazione del materiale di sorveglianza e della mancanza di un rimedio per tali lamentele.

 

Corte di cassazione

Ord. n.47798/2023 (questione penale Decisa n. 33544/2023)

Corte Suprema di Cassazione | Qsp dettaglio (cortedicassazione.it) 


Le Sezioni Unite si sono espresse sulle questioni sollevate con ord. 47798/2023 nella camera di consiglio del 29 febbraio 2024

a) Se il trasferimento all'Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall'Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale, costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell'art. 234-bis cod. proc. pen. o di documenti ex art. 234 cod. proc. pen. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all'acquisizione di prove.

b) Se il trasferimento di cui sopra debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine.

c) Se l'utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine.

Soluzione adottata (cfr. informazione provvisoria Corte di cassazione):

primo quesito: il trasferimento di cui sopra rientra nell'acquisizione di atti di un procedimento penale che, a seconda della loro natura, trova alternativamente il suo fondamento negli artt. 78 disp. att. cod. proc. pen., 238, 270 cod. proc. pen. e, in quanto tale, rispetta l'art. 6 della Direttiva 2014/41/UE;

secondo quesito: negativa, rientrando nei poteri del pubblico ministero quello di acquisizione di atti di altro procedimento penale

terzo quesito: affermativa; l'Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo

 

Ordinanza di rimessione: 2329/2024 (questione penale Decisa n. 41618/2023)

Corte Suprema di Cassazione | Qsp dettaglio (cortedicassazione.it) 

Nella stessa giornata, con una decisione separata ma incidente sui medesimi temi oggetto della prima pronuncia, la Cassazione ha affrontato altresì le seguenti questioni, sollevate con ord. n. 2329/2024

a) Se l'acquisizione, mediante ordine europeo d'indagine, dei risultati di intercettazioni disposte da un'autorità giudiziaria straniera, in un proprio procedimento, su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini integri l'ipotesi disciplinata, nell'ordinamento nazionale, dall'art. 270 cod. proc. pen.

b) Se, ai fini dell'emissione dell'ordine europeo di indagine finalizzato al suddetto trasferimento, occorra la preventiva autorizzazione del giudice.

c) Se l'utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionalenello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine.

Soluzione adottata (cfr. informazione provvisoria Corte di cassazione):

primo quesito: affermativa.

secondo quesito: negativa.

terzo quesito: affermativa; l'Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo.

 

 

Corte costituzionale

Ordinanza 24/2024 

Gazzetta Ufficiale 


La Corte costituzionale dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri), come sostituito dall’art. 15, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2021, n. 10 (Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in attuazione delle delega di cui all’articolo 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117), sollevate – in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 117, primo comma (quest’ultimo in relazione agli artt. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e 17, paragrafo 1, del Patto internazionale sui diritti civili e politici), nonché 11 e 117, primo comma, della Costituzione (in relazione agli artt. 4, punto 6, e 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra gli stati membri, agli artt. 2 e 6 del Trattato sull’Unione europea, e agli artt. 7 e 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea) – dalla Corte d’appello di Napoli, sezione quarta penale, con l’ordinanza indicata in epigrafe.


A cura di Michele Oddis


AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE

30 gennaio-20 febbraio 2024 


CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE EUROPEA

Corte di giustizia UE, 30 gennaio 2024 (Causa 118/22) https://curia.europa.eu/juris/documents.jsf?num=C-118/22 : Contrasta con il diritto dell'Unione la pratica di conservare in modo indifferenziato i dati biometrici e genetici delle persone raggiunte da condanna penale, fino alla loro morte ed anche in caso di riabilitazione, senza porre a carico del titolare del trattamento l’obbligo di esaminare periodicamente se tale conservazione sia ancora necessaria e senza riconoscere all'interessato il diritto alla cancellazione dei dati, laddove, rispetto alle finalità del trattamento, non siano più necessari.


CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

Corte e.d.u. 13 febbraio 2024, X c. Grecia https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-230857 : I giudici di Strasburgo hanno accolto il ricorso con il quale una cittadina britannica, vittima di violenza sessuale durante un soggiorno in Grecia, denuncia la violazione degli artt. 3 e 8 C.e.d.u. Nel dettaglio la Corte ha avuto modo di rilevare come, sebbene l’ordinamento giuridico greco contempli una disciplina adeguata alle peculiarità del caso in esame, le autorità giudiziarie procedenti non ne abbiano tenuto conto, violando gli obblighi imposti dalle norme convenzionali. Queste ultime infatti, oltre a non fornire alla ricorrente i necessari avvisi relativi alle garanzie difensive, omettevano di prestare adeguata attenzione a circostanze cruciali della fattispecie concreta (come la particolare delicatezza dei fatti, o la giovane età della vittima, come anche la circostanza che la vittima si trovasse in un paese straniero del quale non conosceva la lingua).


Corte e.d.u. 15 febbraio 2024, Skoberne c. Slovenia https://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-230885 :  La vicenda ha ad oggetto il ricorso di un cittadino sloveno, ex  magistrato, condannato per corruzione in atti giudiziari, sulla base di dichiarazioni di due coimputati non contro esaminati dalla difesa e di dati tratti da intercettazioni telefoniche ritenute inutilizzabili. La Corte di Strasburgo, in primo luogo , accerta la violazione dell’art. 6 paragrafo 3 d) C.e.d.u.  determinata dall'impossibilità di porre domande ai due coimputati che, pur ammettendo la loro colpevolezza, non erano ancora stati giudicati in via definitiva nel procedimento separato. In secondo luogo, i giudici di Strasburgo ritengono integrata la violazione del diritto alla privacy contemplato dall’art. 8  C.e.d.u., in ragione dell’impiego a fini probatori di dati forniti dai  gestori di servizi di comunicazione i quali, in realtà, sulla scorta del diritto interno successivo rispetto all’epoca della condanna del ricorrente, possono conservare soltanto i dati necessari alla fatturazione  o per scopi commerciali.


CORTE COSTITUZIONALE

Nessuna pronuncia in argomento


CORTE DI CASSAZIONE

Nessuna pronuncia in argomento


A cura di Michele Oddis


INTIMATE LIFE IN DETENTION

The Italian Constitutional Court rules out obligation on visual supervision of partner’s intimate visits by custodial staff 



In judgment 10/2024, the Italian Constitutional Court declared a Prison Code rule (Article 18 of L. 26 July 1975, n. 354) in breach with the Constitution insofar as it did not provide that a detained person was allowed to receive private visits in prison from partner, including those of a sexual nature, without being visually supervised by custodial staff, when security reasons do not preclude it. As a result, Article 18 of L. 26 July 1975, n. 354 should now be understood as allowing visits in this condition.

The constitutional provisions deemed to be breached are as follows: Article 3 on the right of equal treatment, which is constantly interpreted as obliging the legislator to reasonable choices, since the Court believed that allowing no exception whatsoever to supervision of custodial staff on visits lacked proportionality and constituted an unreasonable privation of one’s dignity, and also because it had a disproportionate impact on the right to family life to persons who were not convicted of any offence; Article 27, third subsection on the purpose of rehabilitation of penalties, since depriving detainees of affection could be detrimental to that; Article 117, first subsection, as Article 18 of L. 26 July 1975, n. 354 is deemed a breach of Article 8 of the European Convention on Human Rights (ECHR).

 The judgment is noteworthy in the perspective of a “European criminal justice” for a twofold reason.

First, the role played by Article 8 ECHR. The Constitutional Court acknowledged that detention can well impinge on the right to private and family life, yet proportionality is required. The Court recalled several judgments of the European Court of Human Rights: case of Aliev v. Ukraine, Application no. 41220/98, judgment of April 2003, on the possibility to prohibit conjugal visits to prevent disorder and crime; case of Dickson v. United Kingdom [GC], Application no. 44362/04, judgment of 4 December 2007, on the need to strike a fair balance between individual rights and public interest; case of Leslav Wòjcik v. Poland, Application no. 66424/09, judgment of 1 July 2021, on the need of a case by case assessment. As a result, Article 18 of L. 26 July 1975, n. 354 was deemed in breach with Article 8 because it allowed no exception to the prohibition on affectivity in detention. 

Another reason for holding judgment 10/2024 as pertaining to European Criminal Justice is that the Constitutional Court referred to other European States’ legislation on intimate visits (point 4.4.1 of the judgment), thereby contributing to the emergence of common values in Europe.


Emanuela Pistoia

20 February 2024



MENTAL HEALTH AND DETENTION:

the ECtHR found a structural problem in the Portuguese system 


Cases related to the unlawful situation of detention of individuals with mental illnesses are not uncommon in the case law of the European Court of Human Rights (“ECtHR”) (see, recently, Sy v Italy, Application No. 11791/20, judgment of 24.01.2022). Challenges may come, inter alia, from the inadequacy of mental health care in ordinary prisons and the lack of individualized therapy for mentally ill persons. 

In a recent judgment, Miranda Magro v Portugal (Application No. 30138/21, judgment of 9 January), the ECtHR found not only a violation of Article 3 ECHR (prohibition of inhuman and degrading treatment) and Article 5 ECHR (right to liberty and security) but also a structural problem behind the placement of mentally ill individuals in the prison system. Accordingly, it requested the Portuguese Government to take general measures under Article 46 ECHR to face the systemic problems arising from the enforcement of preventive detention measures in prison facilities rather than in mental health facilities.

The case concerned an applicant diagnosed with paranoid schizophrenia who – after being convicted for several criminal offences and declared not criminally responsible owing to his mental disorder – was placed under preventive detention. He was held in the psychiatric unit of a prison hospital for about six months, where he did not receive adequate medical treatment, until his transfer to a mental health unit outside the prison system. This delay was due to the overcrowding of the facilities belonging to the Ministry of Health.

The Court held a violation of Article 3 ECHR due to the failure of the domestic authorities to provide the applicant with appropriate care during his detention in the prison facility. A situation that must have caused him stress and anxiety and exposed him to mental health risks (§ 81).

In addition, the Court found a violation of Article 5 § 1(e) ECHR as his detention in a prison facility was considered conventionally unlawful. The Court indeed reiterated its well-established case law (see, Rooman v Belgium [GC], Application No. 18052/11, judgment of 31 January 2019, § 210) according to which keeping detainees with mental illness in units belonging to the prison system without the provision of appropriate therapy is incompatible with the protection ensured by the Convention.

Worth of interest, the Court grounded its conclusions about the violations of the Convention on the findings of the European Committee for the Prevention of Torture and Inhuman or Degrading Treatment or Punishment (“CPT”), as well as of the Nation Preventive Mechanism (“NPM” appointed under Article 17 of the 2002 Optional Protocol to the United Nations Convention against Torture) and other relevant human rights monitoring bodies. They have shown the structural nature of the problem in the Portuguese system where individuals with mental illnesses are placed in facilities inappropriate for psychiatric treatment due to the lack of mental health facilities.

The same findings had also a strong bearing on the Court’s decision to adopt general measures. As the violations complained of by the applicant were the result of a structural problem arising in the enforcement of preventive detention measures in prison facilities, the Court requested the Government to take “as a matter of urgency” and “subject to the supervision by the Committee of Ministers” the necessary steps to secure appropriate living conditions to detainees affected by mental disorders, together with the provision of suitable and individualized therapy (§ 107).

This quasi-pilot judgment might be considered a warning from the Court, that, absent execution, might resort to a pilot judgment … Intelligenti pauca!

Roberta Greco

4 February 2024