La Teoria della Tettonica delle Placche

La Tettonica delle Placche è la teoria, corroborata da numerosissimi dati osservativi, che spiega l’evoluzione del guscio più esterno della Terra, la litosfera, frammentato in una serie di elementi minori, le placche, che si muovono l’una rispetto all’altra sulla astenosfera. 

L'involucro più esterno della Terra è formato dalla litosfera (crosta oceanica o continentale + mantello litosferico) che può essere spessa fino a circa 250 km sotto i continenti (con uno spessore medio di circa 100 km). La litosfera è suddivisa in una serie di placche che sono libere di spostarsi su uno strato plastico più profondo chiamato astenosfera. Il movimento delle placche genera i vulcani, i terremoti ed è responsabile dell’attuale configurazione dei continenti. 

I continenti si muovono quindi nello spazio, come passeggeri sul dorso della loro placca, ma anche nel tempo. Alfred Wegener (meteorologo tedesco) aveva già ipotizzato nel 1912 che, dove adesso si trova l’oceano Atlantico, una volta si poteva tranquillamente camminare dalla costa dell’Angola fino al Brasile (teoria del “continental drift”)

Ma anche gli oceani non rimangono immutati nel tempo. Grazie agli studi effettuati da geologi statunitensi negli anni ’50 del secolo scorso come Marie Tharp e Charles Heezen si vide che in mezzo all’oceano Atlantico c’era una grande catena montuosa vulcanica (dorsale oceanica) a circa 2500 m di profondità. Utilizzando i lavori dei suoi colleghi, Harry H. Hess propose nel 1962 una teoria rivoluzionaria: la crosta oceanica terrestre si forma e si espande lateralmente dalle zone vulcaniche delle dorsali attraverso i moti convettivi del mantello terrestre. La teoria venne dimostrata da Vine e Matthews (geologi britannici) nel 1963 attraverso lo studio del campo magnetico associato alle lave ricche in minerali ferrosi emesse dalla dorsale atlantica. l’America del Nord si stava allontanando dall’Europa con velocità di circa 20 mm all’anno a causa dell’espansione dei fondali marini dalla zona della dorsale. Un’oceano si forma quindi inizialmente con la spaccatura di un antico continente in due margini. Successivamente si sviluppa e cresce attraverso la fuoriuscita e l’espansione di nuova crosta oceanica che continua a formarsi lungo la dorsale vulcanica sommersa che sorge al centro del bacino marino. In questo momento sulla Terra possiamo vedere come nella zona del Mar Rosso si stia sviluppando un nuovo oceano che continuerà a evolvere e a dividere sempre più la penisola arabica dall’Africa. Dal punto di vista della teoria della tettonica delle placche i margini legati all’espansione dei fondali oceanici sono chiamati divergenti.   

Ma anche tra gli oceani ci sono delle differenze. Se osserviamo infatti una carta geografica vediamo bene come l’oceano Pacifico, dalla Nuova Zelanda fino alla cordigliera che corre lungo tutta la costa americana dall'Alaska al Cile, è interamente circondato da isole e catene vulcaniche, che possono essere collegate direttamente al continente, come le Ande, o separate da questo da un braccio di mare, come il Giappone. In più queste zone sono caratterizzate dai terremoti più forti che siano mai avvenuti sulla Terra. 

Se osserviamo invece le coste dei continenti che bordano l’oceano Atlantico non troviamo praticamente vulcani o terremoti di grande energia (es., la costa orientale del Sud America). Altro grande elemento di differenza e che le carte batimetriche dell’Oceano Pacifico mostrano delle zone profonde (fosse oceaniche) ai margini dei continenti che non appartengono alle dorsali oceaniche e che non sono presenti nell’oceano Atlantico.

Partendo da queste osservazioni e utilizzando le onde sismiche come tecnica per studiare in profondità la Terra, il geofisico statunitense Victor Hugo Benioff e quello giapponese Kiyoo Wadati evidenziarono dagli anni ’20 agli anni ’50 del secolo scorso che ai margini dei continenti che contornano l’Oceano Pacifico agiscono forze compressive e che i terremoti si disponevano in un piano inclinato immerso sotto i continenti partendo proprio dalle zone di fossa oceanica. Nel 1962, dopo la pubblicazione dell’articolo di Hess sulla formazione dei bacini oceanici, le idee di Wadati e Benioff furono progressivamente integrate negli studi geodinamici. Il piano inclinato dove si localizzano i terremoti fu nominato piano di Wadati-Benioff e si formulò l’ipotesi della subduzione (sprofondamento) della litosfera all’interno del mantello terrestre. Secondo questa nuova ipotesi, a un certo punto della sua storia un oceano compreso tra due margini continentali comincia a essere inghiottito sotto uno dei due continenti (va in subduzione). Questi tipi di margini sono chiamati margini attivi e sono caratterizzati da un arco vulcanico e da una fossa oceanica (che può arrivare fino a 11000 metri come nel caso delle Fossa delle Marianne a est delle Filippine) che segna la zona dove il fondo oceanico comincia a inabissarsi al di sotto del continente. 

Naturalmente, man mano che il processo continua l'oceano tende sempre più a restringersi fino a che il fondo dell’oceano viene completamente subdotto al di sotto del continente. A questo punto può avvenire lo scontro tra i due margini continentali e può iniziare la subduzione di crosta continentale sotto altra crosta continentale. Questo processo sta avvenendo oggi tra l'Australia e l’Indonesia. L’oceano che le separa sta andando in subduzione sotto l’Indonesia e quando verrà totalmente inghiottito allora avverrà lo scontro continentale tra l’Australia e l’Indonesia.

Un continente però non può totalmente sparire sotto un altro perché la crosta continentale è più spessa e soprattutto più leggera rispetto alla crosta oceanica e al mantello litosferico superiore e viene quindi subdotta molto più difficilmente. Quando due continenti entrano in collisione si forma in superficie una catena montuosa (orogenesi). Questo è quello che è successo durante la formazione delle nostre Alpi e della catena montuosa più grande al mondo, l'Himalaya (vedi Garzanti 1989). Secondo la teoria della tettonica delle placche, una catena montuosa è quindi un cuneo deformato che segna la zona dove un antico oceano è scomparso e due margini continentali si sono scontrati. Al suo interno possiamo ritrovare rocce di qualsiasi tipo (magmatiche, metamorfiche e sedimentarie).

La teoria della tettonica delle placche è quindi in grado di spiegare il perché della distribuzione e della forma dei continenti, degli oceani, dei vulcani, dei terremoti e delle catene montuose. Rimangono però ancora alcuni fenomeni naturali che la teoria esposta finora non riesce a spiegare.

Esistono zone vulcaniche, anche di grandi dimensioni (es., le Hawaii) che sono localizzate a centinaia se non a migliaia di km dai limiti divergenti o convergenti delle placche (si trovano perlopiù all’interno delle placche) dove sono stati eruttati in pochi milioni d’anni svariati milioni di metri cubi di magmi. Esistono poi zone della Terra dove i movimenti tra le placche non sono divergenti o convergenti ma le placche scivolanouna di fianco all’altra. 

Nel 1963, J. Tuzo Wilson (geofisico canadese) integrò la teoria della tettonica delle Placche suggerendo che i vulcani presenti all’interno delle placche fossero formati dal movimento della placca che passa al di sopra di una zona relativamente ferma nello spazio (stazionaria) da cui risale del magma dal mantello. Wilson chiamò queste zone “hotspots” (punti caldi).

I punti caldi sono importanti sia per capire la dinamica interna terrestre sia per misurare i movimenti delle placche rispetto al sistema di riferimento che essi stessi costituiscono. In particolare, i punti caldi all’interno della placca Pacifica sono rimasti fermi gli uni rispetto agli altri da alcuni milioni di anni e questo permette di avere un riferimento nel mantello per lo studio del movimento relativo della litosfera. I movimenti relativi tra le placche possono quindi venire ricalcolati rispetto a questo sistema di riferimento. Wilson poi propose il termine trasforme per i limiti tra le placche che scorrono l’una di fianco all’altra senza che si possa formare o distruggere nuova crosta oceanica e/o continentale. Esempi tipici di limiti trasformi sono le faglie che dislocano le creste delle dorsali oceaniche e la faglia trascorrente del Mar Morto che separa la placca araba da quell’africana. 

La teoria della tettonica delle placche, seppur spiegando in maniera funzionale ed elegante il funzionamento della parte più esterna della Terra (la litosfera) rimane però sempre una teoria scientifica che segue il metodo scientifico. È quindi il risultato di innumerevoli osservazioni e ipotesi di moltissimi scienziati e come tale è sempre soggetta a verifiche e cambiamenti (vedi Doglioni et al., 2015)


Secondo la teoria della Tettonica delle Placche, gli oceani possono espandersi al formarsi di nuova crosta oceanica presso la dorsale, oppure restringersi fino a scomparire inghiottiti nelle fosse che li circondano. I margini di un oceano sono «passivi» se sono costruiti solo da processi sedimentari, oppure «attivi» se caratterizzati da vulcanismo legato a processi di subduzione. Quando un oceano si chiude e i due margini si scontrano, uno dei due margini continentali si infossa sotto l'altro causando il formarsi di una catena montuosa e di un bacino sedimentario ("di avampaese").