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Random walk on quicksand

Cogno-intellectualisms

Questioni di stile

L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2025


10 novembre 1871, da qualche parte dell’Africa nera, nei pressi del lago Tanganica. Il giornalista gallese Henry Morton Stanley trova in un villaggio un altro uomo bianco e lo apostrofa:


« Il dr. Livingstone, suppongo?»

« Sì, e sono felice di essere qui a darvi il benvenuto.» 


Si trattava in effetti dell’esploratore scozzese David Livingstone, partito cinque anni prima alla ricerca della sorgente del Nilo e di cui si erano perse le tracce. L’episodio, quasi sicuramente apocrifo, rimase famoso proprio per questo: gli unici due europei in Africa nel raggio di centinaia di chilometri si salutarono come se si incontrassero in un club di Londra. Un aplomb da perfetti gentiluomini vittoriani: “Lo stile è l’uomo”, scrisse Georges de Buffon.

La frase di de Buffon è spesso usata per significare che dai più piccoli particolari è possibile giudicare il carattere di una persona nel suo complesso; ma si può estenderne ulteriormente il significato considerando le azioni e le opere. E’ famoso ad esempio l’aneddoto della O di Giotto: papa Bonifacio VIII era alla ricerca di un pittore cui commissionare il proprio ritratto, e gli era stato suggerito, tra gli altri, Giotto di Bondone (Colle, Firenze 1267 – 1336), che si era già distinto per diverse opere. Il papa inviò in tutta Italia degli emissari, e uno di questi andò, appunto, da Giotto e gli chiese una prova della propria maestria. Il giovane pittore disegnò allora un cerchio su un semplice foglio.


«Ecco il mio miglior dipinto!»

«Vuoi prendermi in giro?»

«No, messere. Questo piacerà al Papa.»


Il cerchio disegnato su tela arrivò così a Roma, e la semplicità della perfetta forma disegnata fece comprendere a Bonifacio VIII la qualità dell’artista.


Ancora. Nel film “La battaglia di Alamo” (di John Wayne, 1960), mentre i volontari statunitensi si stanno radunando nella missione di Alamo, a San Antonio, il clima è turbolento, e l’eroe David Crockett viene aggredito slealmente da sei “cattivi”. Vista la scena, un uomo interviene a favore del più debole, e i due riescono a sopraffare gli assalitori. David Crockett resta impressionato dalla generosità e dal coraggio dell’uomo; guardando il particolare coltello che porta, riconosce in lui (senza averlo mai visto prima) Jim Bowie, un altro eroe popolare del Texas. Ancora oggi quel tipo di coltello viene chiamato “Coltello Bowie”.

Non c’è che dire: il topos dell’uomo che si riconosce dalle opere ha un appeal enorme.

E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia

L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2025


Nel film d'animazione “Coco” (2017, diretto da Lee Unkrich e Adrian Molina) si narra la storia di un ragazzino messicano che finisce nel mondo dei defunti e lotta per tornare nella terra dei vivi e per far accettare alla famiglia la sua passione per la musica. La storia si ispira alla festività messicana del Dìa de Los Muertos, di origine precolombiana, che ha luogo nei primi giorni di novembre. Durante questa festa si visitano i cimiteri e si adornano le tombe dei propri cari con candele, fiori, pane, vino e piatti speciali. Questa festa è paragonata alla festa statunitense di Halloween, che però è molto diversa: Halloween è un giorno macabro e terrificante, mentre in Messico si tratta di un evento allegro e colorato. 

Il messaggio principale del film è che nessuno svanisce fintanto che qualcuno ne conserva il ricordo: quando non ci ricorda più nessuno è come se fossimo un po’ più morti. Spinto proprio da un sentimento di questo tipo, ho intrapreso un’opera lunga e velleitaria. L’idea è quella di raccogliere informazioni sulla mia famiglia e digitalizzare le fotografie, trascrivendo anche le informazioni disponibili. Ho conosciuto altre persone che hanno intrapreso percorsi simili, ma in genere si tratta di gente che cerca di ricostruire il proprio albero genealogico con la speranza di scoprire che discende da Napoleone o da Carlo Magno. Ciò che mi affascina piuttosto sono gli episodi di vita, come per esempio il fatto che, mentre tutti i suoi fratelli emigravano negli USA, il mio nonno paterno rimase in Italia per rimanere con la futura moglie (e mia futura nonna); o come il fatto che, durante una gita sul lago Trasimeno, il mio futuro nonno materno approfittò del momento in cui si posava per la foto di gruppo per stringere a sé quella che sarebbe poi diventata mia nonna. 

 

Da notare che, mentre trascrivo i nomi delle altre persone presenti nelle foto, mi sembra inutile riportare il mio, il che probabilmente porterà a una situazione analoga a quella descritta da Guareschi:


Pensiero profondo  

Ho fatto questa importante osservazione: In fondo, il celebre pittore è uno che dipinge con estrema cura il suo autoritratto per passare ai posteri. Poi i posteri, due secoli dopo, trovano in solaio quel quadro e lo appendono in una pinacoteca con scritto sotto: «Ritratto d'ignoto». 

Bella soddisfazione!


L’ineffabile Kilroy

L'INCONTRO - Luglio-Agosto 2025


Durante la seconda guerra mondiale i marinai angloamericani si trovavano di fronte a una mistero: quando, per esigenze di manutenzione, andavano ad aprire le aree sigillate delle navi, trovavano una inspiegabile frase scritta dappertutto: "Kilroy è stato qui". Secondo una leggenda urbana poi, a causa di queste scritte, che comparivano anche in installazioni naziste considerate sicure, addirittura Adolf Hitler credeva che Kilroy fosse una super spia. Un'altra leggenda metropolitana vuole invece che, alla Conferenza di Potsdam del 1945, Stalin sia stato il primo ad entrare in un gabinetto costruito specificamente per i capi di Stato, nel quale compariva sempre questa scritta. Uscendo Stalin chiese ad un assistente: «Chi è questo Kilroy?». Ebbene, pare che si trattasse di James J. Kilroy, un ispettore tecnico dei cantieri navali statunitensi.

L’ispettore Kilroy lavorava al cantiere navale Bethlehem Steel a Quincy, nel Massachusetts, dove supervisionava i lavori di costruzione delle navi. Il lavoro, retribuito a cottimo, era organizzato così: ogni manovale, che montava i rivetti, a fine turno doveva fare un segno con un gessetto per indicare il punto dove era arrivato, per distinguere la sua opera da quella dell'operaio del turno successivo. Qualcuno però si rese conto che poteva guadagnare di più iniziando a lavorare prima dell'arrivo dell'ispettore, cancellando il segno dell'operaio precedente e riproducendolo molto più indietro: in questo modo attribuiva a sé il lavoro fatto dal collega. Quando J.J. Kilroy lo scoprì, tentò di arginare questa pratica, scrivendo con una matita gialla Kilroy was here (Kilroy è stato qui) vicino a ogni segno “legittimo”. Kilroy apponeva il suo nome durante le varie fasi della costruzione della nave, man mano che procedeva la lavorazione, e per questo motivo le scritte apparivano anche in posti dove era impossibile arrivare a lavoro finito. 

In un qualche momento successivo alla frase fu abbinato anche il disegno di un omino calvo (o con pochi capelli), con un naso prominente, che sbircia da sopra un muro, cui è aggrappato con entrambe le mani. Si tratta di un personaggio di nome Chad creato dal disegnatore di fumetti George Edward "Chat" Chatterton nel Regno Unito prima della seconda guerra mondiale. Probabilmente il disegno e lo slogan si fusero durante gli anni quaranta del novecento. In generale è stato utilizzato per commentare episodi bizzarri, anche tragicamente, in tempo di guerra. A titolo di esempio si può citare il fatto che l’omino fu visto sul lato di un aliante della British 1st Airborne Division, ma stavolta con la scritta “Wot, no engines?” (Cosa? Niente motori?). Più tardi, durante la ricostruzione degli anni cinquanta e sessanta, diventò il protagonista di alcune pubblicità, e tuttora le persone scrivono ovunque nel mondo lo scarabocchio Kilroy was here nei luoghi pubblici: si dice che sia presente sulla torcia della Statua della Libertà, sulla sommità del monte Everest, all'interno dell'Arco di Trionfo, e che sia scarabocchiato nella polvere sulla luna.

Nostalgia dei sogni

L'INCONTRO - Luglio-Agosto 2025


In età prescolare iniziai a sognare a occhi aperti; nelle mie fantasie, ambientate a  Topolinia o Paperopoli, creavo/vivevo delle avventure con trame dettagliate, e lo facevo con molto impegno. Si trattava di una vera e propria immersione in favole da me generate. Con passare del tempo, e con l’esposizione ai programmi televisivi, iniziò una specie di “esternalizzazione” dei sogni a occhi aperti, e le storie erano sempre meno frutto della mia fantasia. Al contempo, le trame dei sogni dovevano essere sempre più verosimili. La “delega” delle fantasie ad altri era ancora più spinta al cinema: in un ambiente buio e, in pratica, isolato dal resto del mondo, ci si immergeva completamente nella vicenda raccontata. Lo stesso meccanismo, in un certo senso, si aveva nella lettura di romanzi, altre opere di fantasia.

In entrambi i casi (cinema e letteratura) entra in gioco la “sospensione dell’incredulità”: bisogna accettare che sia possibile ciò che normalmente non lo sarebbe. Anzi, spesso l’”evento impossibile” è proprio il fondamento della narrazione, come nel caso delle opere basate su magie o superpoteri dei protagonisti. Al contempo, è necessaria una certa coerenza interna delle storie, pena il crollo dell’intero castello di fantasie.

Non so se poi, col tempo, sia aumentato il mio spirito critico o sia aumentata la sciatteria dei cineasti; fatto sta che iniziai a essere infastidito dalle banalità, incongruenze e illogicità rispetto alla vita reale e quotidiana. A quanto pare, non sono solo io ad averle notate: la canzone “Solo nei film” del gruppo bolognese Gem Boy riporta tutto un elenco di cose misteriose. Tra le altre:

 

  • depilate, pettinate e truccate in ogni istante

  • chiunque riesce a far atterrare un aeroplano

  • la macchina va sempre, anche dopo un salto disumano

  • inseguimenti per il centro e non investono mai la gente

  • se la macchina va sbattere di sicuro esploderà

  • il cattivo non ammazza all’istante: prima ti fa un discorsetto

  • sei circondato da 20 nemici, loro ti danzano tutti attorno e si fanno avanti uno alla volta: ognuno aspetta il suo turno!

… (il lettore volenteroso può prolungare questo elenco)

 

Da un certo punto in poi mi diventò quasi impossibile godere con serenità opere di fiction. Sorse la domanda sempre più pressante: “Ma perché mai devo leggere le fantasie altrui?”.

Il risultato è che leggo saggi e guardo documentari; resta comunque un desiderio di favole.


Venderei le mie memorie al miglior offerente, ma non mi ricordo un tubo (M.Marchesi)

L'INCONTRO - Maggio-Giugno 2025


Da bambini si vive in pratica “senza memoria”, e si è quasi completamente assorbiti dal presente; con gli anni iniziamo a ricordare (e a dimenticare): costruiamo la nostra storia e definiamo chi siamo. Da questo punto di vista, noi siamo in gran parte la nostra memoria; per questo sarebbe importante sapere come funziona la memoria umana, ma, per quello che ne so, il cammino è ancora lungo. Un caso interessante è descritto ne “Il fiume della coscienza”, scritto da Oliver Sacks. Neurologo e autore di molti bestseller, è conosciuto al grande pubblico grazie al film “Risvegli” (del 1990, di Penny Marshall), trasposizione  cinematografica del suo libro omonimo. Nel film Sacks è interpretato da Robin Williams. 

Ne “Il fiume della coscienza”, Sacks racconta che per anni aveva ricordato vividamente due episodi legati ai bombardamenti aerei di Londra del 1940-41, e li aveva anche descritti nel libro “Zio Tungsteno”. Qualche mese dopo la pubblicazione del libro, parlandone con il fratello maggiore, scoprì però che il secondo episodio non lo aveva vissuto, ma gli era stato descritto dal fratello. Ciò lo portò a scrivere che “…Tutti noi, in una certa misura, trasferiamo le nostre esperienze, così che a volte non siamo sicuri se una di esse sia qualcosa che ci è stato raccontato, che abbiamo letto o addirittura sognato – o se si tratti invece di qualcosa che ci è effettivamente accaduto…”.A supporto di questa tesi, Sacks riporta poi diversi altri casi, relativi a persona famose, da Ronald Reagan a Mark Twain. 

Tralasciamo qui per brevità le pesantissime implicazioni di questo fatto, come l’affidabilità delle testimonianze oculari o delle testimonianze su abusi subiti nell’infanzia. Voglio solo evidenziare un’ulteriore complicazione. La maggior parte delle persone possiede una memoria “visiva”: quando rievoca episodi del passato li rivive come immagini. Ma questa non è l’unica modalità della memoria: Francis Galton nel 1880 descrisse un caso di incapacità di visualizzare immagini mentali, e nel 2005 un articolo dell'Università di Exeter ha risollevato l’interesse per il fenomeno, battezzato “Aphantasia”. Sospetto che questa sia anche la mia modalità di memorizzazione. Ciò spiegherebbe anche il fatto che tendo spesso a fare fotografie quando sono con amici e colleghi: in questo modo mi procuro una “memoria” esterna e oggettiva, che mi garantisce di avere veramente vissuto alcuni momenti.

(mi viene il sospetto che questo brano sia stato scritto per giustificare la grande quantità e la pessima qualità delle foto che faccio quando sono con amici)

L’italico genio

L'INCONTRO - Maggio-Giugno 2025


Uno dei tanti malvezzi del giornalismo nazionale è il riportare notizie di scoperte o invenzioni, di cui si sottolinea l’”italianità”. Sorvoliamo sulla diffusa mancanza di cultura scientifica dei giornalisti italiani, che si potrebbe “nobilitare” facendola risalire alla riforma scolastica Gentile o al pensiero di Croce. Il fatto è che spesso si esaltano cose di scarso valore, la cui unica caratteristica di rilievo sembra essere l’italianità. 

Questa pessima abitudine ha avuto origine nel ventennio fascista, quando si tentava di esaltare l’”uomo nuovo” fascista. In particolare nel maggio 1939 a Milano ci fu la mostra “Leonardo da Vinci e le Invenzioni italiane”, che doveva “esprimere … i caratteri essenziali della spiritualità della stirpe che nel Fascismo si ricompongono ancora dopo molti secoli in forma unitaria”.

In effetti, leggendo ad esempio “L’Italia delle sconfitte”, di Marco Patricelli, si ritrovano alcune interessanti dimostrazioni di genio italico nella campagna di Russia durante la seconda guerra mondiale:

  • il corpo d’armata non era autotrasportato, ma autotrasportabile: se i mezzi fossero stati disponibili, le divisioni sarebbero state spostate con i camion; altrimenti (e fu quasi sempre così) i soldati avrebbero marciato a piedi;

  • per affrontare i carri armati sovietici da 52 tonnellate si disponeva di carri leggeri L3 da 3 tonnellate, meglio noti come “scatole di sardine”; 

  • le divisioni italiane, anziché essere costituite da tre reggimenti e quattro gruppi di artiglieria, furono composte da due reggimenti e tre gruppi di artiglieria. In questo modo si poteva vantare un maggiore numero di divisioni;

  • le divise erano in panno autarchico, che irritava la pelle. In compenso, i soldati italiani erano gli unici a combattere indossando la cravatta;

  • gli scarponi non erano (come dice qualche male informato) di cartone, ma di “salpa”: una pasta di pellame riciclato, un materiale che non resisteva ne’ alle alte, ne’ alle basse temperature (e stavano andando in Unione Sovietica in inverno!);

  • il generale Cavallero, Capo di Stato maggiore generale, assecondò sempre i sogni di onnipotenza di Mussolini; la sua iniziativa più interessante fu la soluzione del problema della motorizzazione: non dette più automezzi alla truppa, ma portò la tappa quotidiana (da fare a piedi) da 18 a 40 km al giorno.

Considerando la scarsa qualità di tante scoperte o invenzioni che vengono pubblicizzate come italiane, e di cui non si sente mai più parlare in seguito, potremmo sostenere che per lo meno c’è una certa coerenza… 

La cartapecora da 100 petecchioni

L'INCONTRO - Marzo-Aprile 2025


Nell’esilarante film di Monicelli “L’armata Brancaleone” (1966), ambientato nell’XI secolo, si narrano le gesta di Brancaleone da Norcia e del suo manipolo di seguaci. Essi entrano in possesso di una pergamena (la “cartapecora”) che dà diritto, al suo possessore, alla signoria sul feudo di Aurocastro in Puglia, e che per questo “vale almeno 100 petecchioni”. Protagonista assoluta del film è la lingua parlata dai personaggi, ottenuta miscelando tracce di tardo latino e volgare arcaico a parlate del centro Italia. Questa lingua mi ricorda stranamente un testo famosissimo:

“Sao ko kelle terre per kelle fini que ki contene trenta anni le possette parte Sancti Benedicti” 

Si tratta del Placito di Capua, un documento notarile risalente al marzo 960 d.C., che risolve una disputa sulla proprietà di due terre pertinenti all’abbazia di Montecassino. La frase in volgare viene ripetuta da tre testimoni, che affermano: “Io so che quelle terre, entro quei confini qui descritti, le ha possedute per trent’anni il complesso di San Benedetto”. Tralasciando gli aspetti storici e linguistici, quello che mi colpisce è lo squarcio aperto dal documento sulla vita quotidiana di persone così lontane nel tempo, e ho trovato numerosi esempi. 

Arriva dalla Mesopotamia (Iraq), incisa su una tavoletta di argilla, la documentazione dell’adozione, 3200 anni avanti Cristo, di un bambino ittita. Un’altra tavoletta, rinvenuta a Ur e scritta in caratteri cuneiformi circa 3.770 anni fa, è considerata la “lettera di reclamo più antica del mondo”. Fu trovata nell’attuale Iraq meridionale, nella casa del mercante di metalli Ea-nāṣir. In essa un commerciante di nome Nanni si lamenta della bassa qualità del prodotto (rame) fornito e di gravi mancanze nel servizio al cliente. Come documentato da altre tavolette, ci furono diversi reclami anche da altri commercianti; ci è giunta miracolosamente anche una lettera dello stesso Ea-nāṣir a due suoi soci, in cui suggerisce l’atteggiamento da tenere per contrastare eventuali reclami.

Risale invece a 1800 anni fa una tavoletta in cera, su un asse di legno, che riporta i compiti di un bambino egizio. Il piccolo scolaro scrive, in greco,  sagge prescrizioni: “Accetta solo il consiglio di un uomo saggio” e “Non puoi fidarti di tutti i tuoi amici”. Sono poi molte le lettere ritrovate, che documentano la corrispondenza con le famiglie dei legionari romani, da tutti i punti dell’impero. Traspare da tutte la preoccupazione per la salute dei parenti e il desiderio di avere notizie di familiari o amici. 

Un ultimo esempio è costituito da trenta tavolette, risalenti al periodo classico (2.500 anni fa): su di esse sono incise maledizioni, che i cittadini ateniesi erano disposti a far pronunciare a pagamento contro altre persone.

Sono passati millenni, ma relativamente poco è cambiato nella vita degli umani.

La superstizione porta sfiga 

L'INCONTRO - Marzo-Aprile 2025


George Gamow, fisico statunitense di origine russa, nel libro "Trent'anni che sconvolsero la fisica" racconta un aneddoto sul fisico Niels Bohr:

Sulla porta d'ingresso della sua casetta di campagna a Tisvilde aveva attaccato a un chiodo un ferro di cavallo, il proverbiale portafortuna. Vedendolo un visitatore esclamò: "Un grande scienziato come lei crede veramente che un ferro di cavallo sull'uscio di casa porti fortuna?" "No" rispose Bohr, "Certo che non credo in queste superstizioni. Ma sa com'è", aggiunse con un sorriso, "dicono che porti fortuna anche a chi non ci crede!"

L’elenco delle superstizioni diffuse è molto lungo, e spesso si tratta di cose da evitare. Per alcune la spiegazione è abbastanza “semplice”:

  • appoggiare il cappello sul letto: quando qualcuno era gravemente malato e veniva chiamato un medico o un prete, per la fretta questi appoggiava il cappello sul letto.

  •  il sale caduto sul tavolo: anticamente il sale era preziosissimo, e perderne anche poco costituiva una perdita enorme. Stesso discorso vale per l'olio caduto sul tavolo e per la rottura di uno specchio (sette anni di guai!).

  • il gatto nero che attraversa la strada: la credenza deriverebbe dal fatto che, quando ci si spostava con le carrozze e le strade erano buie, i cavalli potevano essere spaventati dagli occhi dei gatti. Si aggiunga che nel 1230 papa Gregorio IX emise una Bolla che associava i gatti neri a presunti riti satanici.

  •  aprire un ombrello in casa: all’inizio gli ombrelli avevano le stecche rigide, ed effettivamente poteva essere molto pericoloso.

  • il colore viola (superstizione diffusa nel mondo del teatro): durante la Quaresima in chiesa si usano paramenti viola, e nel Medioevo venivano vietate tutte le rappresentazioni pubbliche. Ovviamente questo comportava disagi economici per gli attori e per tutti coloro che vivevano di teatro.

Probabilmente in molti casi la superstizione ha origine da quello che Jared Diamond chiama “paranoia costruttiva”. Ne «Da te solo a tutto il mondo» racconta che, trovandosi nella foresta neoguineana, aveva deciso di accamparsi sotto un enorme albero morto. I suoi amici neoguineani non vollero montare le tende lì, e si accamparono allo scoperto. A Diamond sembrò una precauzione esagerata, quasi una superstizione, ma successivamente rifletté: ogni volta che aveva trascorso la notte nella foresta aveva avvertito il tonfo di qualche albero morto che cadeva. I neoguineani avevano ragione ad essere prudenti!

Il mistero del salame chiomato

L'INCONTRO - Gennaio-Febbraio 2025


Nell'estate del 1971 il duo Mogol-Battisti poteva vantare ben sei brani nelle prime dieci posizioni della Hit Parade italiana. Tra questi c’era Eppur mi son scordato di te, eseguito dal gruppo Formula 3; non prestai sul momento grande attenzione al testo e al significato, ma c’era uno strano verso, che attribuivo ad una mancata comprensione da parte mia:

"non piangere salame dai capelli verderame".

Di recente mi sono documentato, e ho capito di cosa si trattava. Nella canzone un uomo si rivolge alla sua ragazza dopo averla tradita con un’altra (“Eppur mi son scordato di te/Come ho fatto non so./Una ragione vera non c'è/lei era bella però”) e cerca di farsi perdonare la scappatella (“Era un gioco non era un fuoco.”, “Lo sai che t'amo io ti amo veramente.”). Lui ha capito di aver sbagliato, e allora la invita a non piangere, e cerca di smorzare la tensione scherzando, la chiama "salame dai capelli verderame". Il verso non è tanto strano per il “salame” (nomignolo affettuoso con cui lui la chiama), ma per il “verderame” (soluzione fungicida a base di rame). Ebbene, dopo anni Mogol raccontò che si era trattato di un errore: i capelli, che dovevano essere rosso rame, per un errore di trascrizione erano diventati verderame.

Per anni quindi sono stato erroneamente convinto di essere incappato in un mondegreen, cioè pensavo che, a causa di un'errata percezione, avessi scambiato la frase per un'altra omofona. Il termine mondegreen è stato coniato dalla scrittrice statunitense Sylvia Wright[1] e deriva dal fatto che l'autrice, da bambina, ascoltava spesso la madre leggerle una delle poesie contenute nella raccolta Reliques Of Ancient English Poetry del poeta Thomas Percy: “Ye Highlands and Ye Lowlands, Oh Where hae ye been? They have slain the Earl of Moray And Lady Mondegreen.” (Voi monti e vallate, Oh, dove siete stati? Hanno ucciso il conte di Moray E Lady Mondegreen). In realtà l’ultimo verso era “And laid him on the green” (E l'hanno disteso sull'erba). Questi fraintendimenti accadono perché il cervello, quando si trova davanti a uno stimolo che non riesce a interpretare, cerca di ricondurlo a qualcosa di noto. Un esempio relativamente recente è quello del cantante iraniano Shahram Shabpareh, il cui brano Paria è famosissimo perché sembra cantato in uno strano italiano: “Ehi, lascia entrare Ascanio dall’otto di gennaio. Perciò limarla è tosta, esce ma non mi rosica!”. C’è addirittura chi, l’otto gennaio, celebra l’”Ascanio day”!



[1] Sylvia Wright, La morte di Lady Mondegreen, Harper's Magazine, nov. 1954

Tre più tre per lui fa sempre sette

L'INCONTRO - Gennaio-Febbraio 2025


Un modo di dire molto usato quando c’è un enorme divario tra una impresa che si deve compiere e i mezzi a disposizione per affrontarla è che bisogna “gettare l’anima (o il cuore) oltre l’ostacolo”. Pare che questo detto derivi dal motto degli aerosiluranti della Regia Aeronautica Cobelligerante alla fine della Seconda Guerra Mondiale: “Getta l’anima oltre l’ostacolo, e vai a riprenderla”. In effetti spesso gli atti eroici sono tali perché compiuti nonostante condizioni sfavorevoli: delle vere e proprie “mission impossible”. La principale personificazione di questa espressione fu il Mantovano Volante: Tazio Nuovolari (1892-1953); la frase del titolo, tratta appunto dalla canzone “Nuvolari”, di Dalla e Roversi, è un altro modo per manifestare l’ammirazione per le leggendarie imprese di questo grande campione automobilistico. Tre vittorie furono veramente leggendarie:

Monza 1925, GP motociclistico delle Nazioni: Tazio Nuvolari, pilota della Bianchi, il giorno prima della gara sostenne un “provino” per passare alla guida delle auto Alfa Romeo; fu bravissimo e velocissimo, ma alla fine gli pneumatici non ressero e l’auto uscì di strada e si capovolse. Estratto ferito dall’abitacolo, fu portato all’ospedale, e secondo i medici ci sarebbe voluto un mese perché si ristabilisse. Invece Tazio, completamente fasciato, si fece confezionare uno speciale corsetto di cuoio, che lo teneva fisso in sella nella sua tipica posizione; la gara fu un calvario lungo 300 km, conclusasi con un trionfo.

Mille Miglia del 1930: una gara da Brescia a Roma e ritorno (1.639 km) affrontata alla guida di una Alfa Romeo 6C 1750 GS spider Zagato. Il principale avversario era in questo caso un suo amico e compagno di squadra, Achille Varzi, al volante di una macchina identica. Sul finire della gara, all’alba del 13 aprile 1930, Varzi era in testa, ma Nuvolari lo raggiunse e spense i fari dell'auto per avvicinarsi senza essere visto, sorpassandolo così a sorpresa.

Gran Premio di Germania del 1935: nel circuito del Nurburgring, Nuvolari si trova a sfidare, con la meno potente Alfa Romeo P3, quattro Mercedes W25 e quattro Auto Union Typ B. Si era in pieno trionfo del nazismo, e ci si aspettava che un trionfo delle “frecce d’argento” (così erano chiamate le auto tedesche) sancisse la supremazia del sistema industriale germanico. Le frecce d’argento partirono avvantaggiate, ma Nuvolari sfruttò l’agilità e la leggerezza della sua Alfa per rimontare giro dopo giro, stravincendo la gara.

Galvanizzati da questi esempi, tenete conto di una raccomandazione: gettate pure l’anima oltre l’ostacolo, ma fate in modo che pure il corpo sia in grado di seguirla…

Toponomastica creativa

L'INCONTRO - Novembre-Dicembre 2024


Agli inizi del 1952 Enrico Mattei avviò la realizzazione di una città-giardino, Metanopoli, che doveva integrare funzioni residenziali, sociali e produttive: una città che doveva svolgere per l’Eni il ruolo svolto da Ivrea per l’Olivetti. La continua espansione della città comportò la nascita di tante nuove vie, piazze e luoghi, e la toponomastica ha risentito delle origini di questa avventura: ci sono uomini politici che hanno avuto un ruolo nella storia dell’Eni (De Gasperi, Vanoni, La Pira), dipendenti dell’Agip (Bellincioni, Sanguinetti e Iannozzi) o località legate a campi petroliferi (Ferrandina, Gela, Spilamberto, Agadir, Alfonsine, Correggio, Piadena, Sergnano, Soresina, Bordolano, Cornegliano, Ravenna, Ripalta, ecc.). Non fa eccezione via S. Salvo: nel 1957 l’Agip Mineraria iniziò delle trivellazioni in Abruzzo, e fu trovato il metano nel pozzo San Salvo 2, da cui il nome della via. 

Una cosa degna di nota avvenne però in seguito: qualcuno, leggendo il cartello “via S. Salvo”, pensò che si trattasse di un nome di persona, e che la “S.” fosse l’iniziale del nome di qualcuno che aveva cognome “Salvo”. Si parlava di “via Salvatore Salvo”, per cui provai a immaginare uno scherzoso appello alla popolazione:   

Caro concittadino,

bisogna fare qualcosa per arginare una voce falsa e tendenziosa: alcuni inqualificabili personaggi sostengono che S. Salvo dovrebbe leggersi “San Salvo”. In questo modo si infanga la memoria del grande e mai dimenticato Salvatore Salvo, cui è dedicata la via, e la cui preclara biografia riportiamo di seguito.

Salvatore Salvo nacque da famiglia di umili origini a San Salvo (Chieti) nel 1905. Dopo un’infanzia dedita agli studi conseguì “magna cum laude” la laurea in Scienze Geoillogiche presso l’Università di Roma. Egli aveva dimostrato sin dalla più tenera infanzia una spiccata propensione per le Scienze Della Terra, come testimonia la sua personale collezione di ciotoli, attualmente patrimonio e fiore all’occhiello del Museo di Scienze Naturali della città di Pescara. I gravosi impegni lavorativi successivi non lo distrassero mai dall’azione sul campo, cui mai si sottrasse, anche a costo di titanici sacrifici. Tanto che lo scoppio delle ostilità nel 1940 lo colse nel mezzo di una campagna di prospezioni. Fu proprio qui che il nostro eroe mostrò la sua tempra: incontrato il nemico durante un campionamento, con atto eroico e dimostrando sommo sprezzo per il pericolo, lanciò la sua piccozza da geologo contro la mitragliatrice avversaria. Fulgido esempio di dedizione alla patria spinto fino al supremo sacrifizio, fu postumamente ricompensato con medaglia d’oro al valore minerale. 

Certi che vorrai unirti a noi nell’arginare l’infame campagna diffamatoria, ti salutiamo

Comitato Salvatori di Salvatore Salvo

Pensavo di fare lo spiritoso sulla sciatteria delle persone. Peccato che la realtà superi la fantasia: ho scoperto che in internet si trova già chi parla di “Via San Salvatore Salvo”!

Etiamsi omnes, ego non

L'INCONTRO - Novembre-Dicembre 2024


Questa locuzione latina significa (letteralmente) “anche se tutti, io no”. Ha origine nel Vangelo secondo Matteo (26, 33), dove è scritto (in greco) «[...] Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai.» Si tratta delle parole pronunciate dall'apostolo Pietro quando Gesù predice ai discepoli il loro abbandono, prima di recarsi nell'orto del Getsemani.

La frase vuole rimarcare il dissenso individuale rispetto a un potere dispotico, approvato invece dall'opinione pubblica. Il dissenso del singolo da ciò che, per conformismo o per paura, è accettato dalla massa è difficilissimo; si tratta di casi molto rari. 

Un primo esempio è quello del tedesco August Landmesser, che avendo sposato nel 1935 una donna ebrea, fu per questo perseguitato. Una delle due figlie lo identificò anni dopo in una fotografia scattata il 13 giugno 1936, pubblicata nel 1991 su Die Zeit. La foto mostra un grande raduno di lavoratori presso un cantiere navale di Amburgo, in occasione del varo di una nave. Nell'immagine, tutti hanno il braccio alzato nel saluto nazista, eccetto un uomo, che sta in piedi con le braccia incrociate sul petto.

Durante la seconda guerra mondiale sembra invece che si siano verificati almeno due casi di soldati che si rifiutarono di obbedire a ordini ingiusti. Josef Schulz, soldato tedesco della 714a divisione di fanteria di stanza in Serbia, e Otto Schimek, soldato austriaco in Polonia, non vollero fare parte di plotoni di esecuzione che uccidevano civili innocenti, e per questo furono entrambi giustiziati. Questi casi sono analoghi a quello di Graziantonio Tomasetti, fante italiano inviato a Milano nel 1898. I milanesi protestavano contro il rincaro del pane, e ci furono 4 giornate di scontri, represse sanguinosamente dalle truppe del generale Bava Beccaris. Secondo il giornalista Paolo Valera, “Graziantonio Tomasetti, del 92° fanteria, dato come morto durante il conflitto al quadrivio con corso Garibaldi, è stato invece freddato sul luogo per disubbidienza. Così almeno si è detto tra i soldati.”

Per tutti gli episodi fin qui citati ci sono dubbi su come le cose sono andate effettivamente, il che è comprensibile, viste le circostanze in cui sono avvenuti. Un caso innegabilmente vero è invece quello dei professori che non giurarono: nel 1931 fu approvata una legge che imponeva a tutti i docenti universitari un giuramento di fedeltà al fascismo. Ebbene, 12 professori su 1225 rifiutarono l’atto di sottomissione al regime, che comportava la perdita del lavoro.

Tira più un biglietto della Lotteria che cento paia di Buoni del Tesoro (Marcello Marchesi)

L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2024


Assistiamo spesso a servizi televisivi allarmanti sulla ludopatia. Suonano un po’ ipocriti, nel momento in cui il principale biscazziere è proprio lo stato: nel 2022 ha ricavato oltre 136 miliardi di euro dalle varie lotterie. Il gioco d’azzardo è praticato da tempo immemorabile, tanto che le prime tracce di lotterie risalgono alla Dinastia Han in Cina tra 205 e 187 a.C., e da tantissimo tempo se ne conosce l’ingiustizia.

Nel saggio An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, principale opera di Adam Smith (il “padre dell’economia”), c’è un paragrafo dedicato alle lotterie, in cui se ne evidenzia la mancanza di equità. Matilde Serao (1856 –1927, giornalista) e Giustino Fortunato (1848 – 1932, storico), a proposito del gioco del lotto, parlarono di tassa sulla “ignoranza”. Così anche il grande matematico Bruno de Finetti (1906 – 1985) scrisse de “la tassa degli imbecilli”.

Non posso che concordare sull’iniquità di un “gioco” in cui in cui si vendono biglietti con probabilità meno che infinitesima di vittoria. D’altra parte mi viene però in mente quell’uomo che, in chiesa, pregava San Gennaro dicendo: “Vedi che io e la mia famiglia ti siamo sempre stati devoti. Adesso abbiamo gravi problemi economici: ti prego, fammi vincere alla Lotteria!”. L’uomo continuò a pregare per diversi giorni, fin quando San Gennaro, esasperato, tuonò: “Figliolo, sono anche disposto a farti vincere. Ma tu almeno un biglietto lo devi comprare!”.

Mi colpisce poi un altro strano conto, e cioè quello relativo alla probabilità che ciascuno di noi aveva di venire al mondo. C’è chi si è preso la briga di fare questo conto[1]. Considerando:

·         Probabilità che un uomo incontri una specifica donna: 1/(2x104)

·         Probabilità che i due abbiano un figlio: 1/(2x103)

·         Probabilità che si incontrino lo spermatozoo e l'ovulo “giusto”: 1/(400x1015)

·         Probabilità che tutti gli antenati si riproducano con successo: 1/10

Considerando che queste probabilità si devono tutte moltiplicare tra loro e che questo tipo di calcolo deve essere ripetuto per 150000 generazioni si arriva a un numero così piccolo che la probabilità di vincere ad una lotteria sembrano enormi: nascendo abbiamo realizzato una vincita sbalorditiva!

Alla luce di queste strambe considerazioni, nelle prossime occasioni comprerò uno (e un solo) biglietto.



[1] Ali Binazir, Are You a Miracle? On the Probability of Your Being Born, HUFFPOST,  Jun 16, 2011, 03:58 PM, Updated Aug 16, 2011

[2] Pennisi E. Behavioral ecology. Elephant matriarchs tell friend from foe. Science. 2001 Apr 20;292(5516):417-9

Il tatto di un elefante

L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2024


Si suol dire “comportarsi come un elefante in una cristalleria” per indicare mancanza di delicatezza, ma in realtà gli elefanti sono in grado di calibrare la forza della proboscide in modo da maneggiare (proboscidare?) persino delle fragilissime tortilla chips.[1] Noi, che amiamo il film Dumbo (di B. Sharpsteen, 1941), sapevamo già che si tratta di un essere intelligente e delicato, tanto simpatico che viene tirato in ballo spesso.

Troviamo ad esempio un proto-elefante che “partendo per il Congo la famiglia salutò e volendo fare: "Ciao!" la proboscide inventò” (9° Zecchino d'Oro, 1967), e gli elefanti che fanno “un passo indietro, tre passi avanti” (12° Zecchino d'Oro, 1970). Tornando al cinema, è indimenticabile la pattuglia di elefanti ne Il libro della giungla (W. Reitherman, 1967), mentre in Hollywood Party (B. Edwards, 1968) dei giovani tentano di lavare via da un elefantino delle scritte hippy. Le scritte risultano offensive perché nella religione induista il dio Ganesha, che rappresenta l’equilibrio tra forza e bellezza, viene raffigurato con una testa di elefante.

Aggiungiamo anche l’intelligenza e la memoria: dei ricercatori hanno fatto ascoltare a degli elefanti registrazioni dei richiami di altri elefanti. I richiami degli estranei hanno fatto sì che le femmine del branco facessero immediatamente cerchio attorno ai loro piccoli, per proteggerli.[2]

Si tratta proprio di un animale meraviglioso e multiforme, come riportato nell’antichissima parabola:

Sei ciechi del Levante

non conoscevano l'elefante

ed un giorno finalmente

si misero in mente

di fare conoscenza

con questo animale madornale,

posseduto da una compagnia di giocolieri

che passava per la via.

Il primo avanzò a mani aperte

sino a toccare il fianco

largo, ruvido, duro ...

allora esclamò: Sembra un muro!

L'altro capitò a caso

a toccare la punta

della zanna ricurva

e ribattè: di sicuro mente

chi dice che è un muro,

mentre è una spada tagliente.

Hai sbagliato. E' un serpente!

gridava il terzo cieco

con la proboscide tra le mani.

Il vero vi dico,

ascoltatemi: Io l'ho capito!

ripeteva il quarto cieco

che circondava con le braccia

la zampa dell'elefante.

L'ho capito: assomiglia al fusto

di un albero robusto!

Il quinto cieco sorrise con tolleranza,

parlò con tranquillità

ed annunciò agli amici:

In verità troppi errori

qui son venuti fuori

a proposito dell'elefante;

solo io non mi sbaglio.

E accarezzando l'orecchio

dichiarò: Questa bestia è un ventaglio.

Il sesto cieco, appeso alla coda,

non volle ribattere ancora;

ma dentro sè sapeva per certo

che quel fantastico animalone

non era altro che un grosso cordone.



[1] Andrew K. Schulz, Jia Ning Wu, Sung Yeon Sara Ha, Greena Kim, Stephanie Braccini Slade, Sam Rivera, Joy S. Reidenberg and David L. Hu (2021) Suction feeding by elephants, J. R. Soc. Interface 18: 20210215

[2] Pennisi E. Behavioral ecology. Elephant matriarchs tell friend from foe. Science. 2001 Apr 20;292(5516):417-9

Utili consigli per le giovani generazioni 

L'INCONTRO - Luglio-Agosto 2024


Da qualche tempo siamo subissati da notizie sui progressi compiuti nello sviluppo dell’ ”intelligenza artificiale” (AI) e sui relativi vantaggi e svantaggi. Un grande timore è quello legato alla possibile (direi quasi sicura) perdita di posti di lavoro, e in altre occasioni circostanze simili hanno causato proteste e sommosse. All'inizio del XIX secolo in Inghilterra il telaio meccanico, da poco introdotto, costituiva una minaccia per gli operai, che vedevano diminuire il proprio stipendio o venivano licenziati. Nacque così il luddismo, dal nome di Ned Ludd, un giovane che secondo la leggenda nel 1779 avrebbe distrutto un telaio in segno di protesta: anche adesso, quindi, si sente parlare di atteggiamenti luddisti. Parzialmente in controtendenza rispetto a questo punto di vista sembrava un report del 2015 della società britannica di consulenza Deloitte, che affermava: “…quando una macchina sostituisce un essere umano, il risultato, paradossalmente, è una crescita più rapida e, nel tempo, un aumento dell’occupazione. … È probabile che il lavoro del futuro sarà vario e conterrà una quota maggiore di interazione sociale ed empatia, pensiero, creatività e abilità. …”. Questo brano è stato riportato in una recente trasmissione radiofonica a favore della AI. Peccato che il report continuasse con “Se il ritmo di adozione della tecnologia sta accelerando, la società dovrà prepararsi a livelli più elevati di disoccupazione tecnologica. E il modo in cui il cambiamento premia sempre più l’istruzione e le competenze di alto livello suggerisce che la disuguaglianza di reddito potrebbe ancora ampliarsi….” Questa seconda parte, più pessimista (e quindi forse meno gradita), è stata bellamente omessa.

Lo sviluppo tecnologico genera tante meraviglie, ma al contempo può destabilizzare molte realtà. A fronte di queste incertezze può risultare difficile anche decidere verso quali studi indirizzarsi: quali diplomi o lauree daranno maggiori garanzie di lavoro? Ogni tanto qualche “esperto” azzarda qualche previsione. Ricordo ad esempio il professor Roberto Vacca, ingegnere e divulgatore scientifico, che negli anni 70 del secolo scorso conduceva una campagna per diffondere la cultura scientifica, e che sosteneva che c’era bisogno di molti programmatori di computer: l’analfabeta del futuro sarebbe stato colui che non conosceva neanche un linguaggio di programmazione. Come si vede, in questo campo anche importanti professori possono essere fuorviati, e quindi non pretendo di avere certezze. Comunque ho la sensazione che nei prossimi anni sia improbabile che ci sia una grande richiesta per le seguenti figure professionali:

• Maniscalchi

• Spazzacamini

• Scribi

• Amanuensi

• Esperti di araldica

• Esperti di codice cavalleresco

• Cerusici

Chi ha ragioni da vendere le porti al mercato

L'INCONTRO - Luglio-Agosto 2024


Il vocabolo “mercato” ci evoca ormai immagini di scialbi signori in giacca e cravatta che celebrano strane liturgie sacrificando i nostri risparmi sull’altare di una crudele e volubile divinità chiamata “Economia”. Non sempre è stato così. Il mercato è nato in pratica con l’umanità: già i Sumeri e i Babilonesi avevano dei mercati alle porte della città, in corrispondenza delle principali vie di comunicazione. Il mercato cittadino era (ed è) un luogo d’incontro e di socializzazione: tutto un vociare  ed un urlare di commercianti. Essendo campano, faccio qui riferimento alla mia regione di origine: una raccolta di “voci” del mercato napoletano si può ritrovare nella bella canzone “’A rumba d’e scugnizze”, tratta dalla commedia del 1932 “L’ultimo scugnizzo”, di Raffaele Viviani. Se ne può ascoltare ad esempio una versione della Nuova Compagnia di Canto Popolare con Peppe Barra all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=btNDw8-85nY.

Esiste poi il cosiddetto “mercato americano”, in cui si vendono indumenti, calzature e pellicce di seconda mano. Nacque durante la Seconda Guerra Mondiale, quando si cominciarono a smerciare oggetti e vestiti ottenuti dai convogli americani e nell’ambito del Piano Marshall. Poi proseguì con balle di indumenti usati provenienti direttamente dagli Stati Uniti; secondo alcuni si trattava degli abiti non più ritirati dai clienti delle lavanderie statunitensi. Questo tipo di mercato esercita in genere un fascino ipnotico soprattutto sulla platea femminile, mentre costituisce un autentico tormento per i bambini al seguito delle madri.

Il mercato è infine una fonte inesauribile di scenette, e concludo qui con due aneddoti:

Mia madre, umbra, da ragazzina si trasferì a Caserta, e per parecchio tempo rimase perplessa per un urlo che sentiva: “tatarù paparù”. Solo più tardi capì che in realtà il venditore ambulante diceva “n’ata zuppa e’ maruzze”, e cioè “un'altra zuppa di lumache”: le maruzze sono le lumache (di terra o di mare).

Negli anni ’70 del 1900 spopolava la serie televisiva “Sandokan”, ispirata ai romanzi del ciclo de “I pirati della Malesia”, di Emilio Salgari, che narra le avventure del pirata Sandokan e il suo amore per Marianna, la “perla di Labuan”. Vennero quindi immesse in commercio t-shirt con ritratti di Sandokan, e al mercato potei sentire urlare “A maglietta ‘e Sandokàn!”: “la maglia di Sandokan”. I venditori di generi alimentari potevano qui sembrare svantaggiati; e invece sentii un venditore di dolciumi reclamizzare a gran voce “A briosc ’e Marianna”. Proponeva quindi in vendita la “brioscia di Marianna”, puntando evidentemente su un doppio senso.

”La vodka è forte, ma il roast beef è marcio”

L'INCONTRO - Maggio-Giugno 2024


La frase del titolo, secondo una leggenda metropolitana, sarebbe l’output di uno dei primi programmi per la traduzione automatica, cui era stato chiesto di tradurre “Lo spirito è forte, ma la carne è debole” (parafrasi da Mt 26,41). E’ un tipico esempio di quello che succede quando si parte dall’idea sbagliata che una lingua sia come un linguaggio di programmazione, in cui ogni elemento ha un significato ben definito e univoco. Il linguaggio è uno strumento umano, pieno ambiguità, sfumature e sottintesi; inoltre nel linguaggio quotidiano usiamo, spesso senza accorgercene, tutta una serie di figure retoriche e artifici. Grazie a questa ricchezza di possibilità, la lingua può essere usata in modo fuorviante, allo scopo di “modellare” la realtà.

Risale a qualche anno fa la pubblicazione negli Stati Uniti del libro Don't Think of an Elephant!, di George Lakoff[1], linguista e scienziato cognitivo. Secondo Lakoff la mente funziona per metafore: ogni parola o frase evoca una cornice (o frame) che rispecchia un’idea del mondo. In effetti, soprattutto nel discorso politico, da qualche anno a questa parte è esploso lo storytelling, e cioè la creazione di narrazioni allo scopo di rendere appetibili programmi politici e diffondere idee o ideologie. Volendo, si potrebbe dire che è una tecnica mutuata dal marketing e dalla pubblicità: già in campo pubblicitario ci vendono prodotti tramite rappresentazioni che ci fanno sognare. Nei casi estremi, si può dire che, tramite eufemismi e spostamenti semantici, si attuano delle vere e proprie falsificazioni.

Si consideri ad esempio il caso della parola “filantropo”, che dovrebbe essere  qualcuno che promuovere la felicità e il benessere degli altri. Ebbene, dall’inizio del nuovo millennio si è sempre più diffuso il filantrocapitalismo: grazie agli sgravi fiscali statunitensi sulle donazioni alle fondazioni benefiche, non solo i super-ricchi vengono tassati di meno, ma sono anche in grado di esercitare un’influenza sempre maggiore sul governo del mondo. Dulcis in fundo, ci vengono portati ad esempio come generosi uomini di successo.

Un caso analogo è quello del vocabolo “beneficenza”: in altri tempi si riteneva che un eventuale benefattore dovesse rimanere anonimo, e si parlava di “carità pelosa” quando le azioni benefiche venivano fatte con secondi fini. Con l’avvento della civiltà dei consumi si è creato uno strumento di marketing che ribalta la logica: per vendere un prodotto, lo si associa a qualche causa benefica. Meglio ancora se a supporto sono disponibili immagini terribili di povertà o malattia dei potenziali beneficiari.



[1] la traduzione italiana Non pensare all'elefante! fu prodotta dalla casa editrice Fusi Orari nel 2006


…e il naufragar m'è dolce in questo mare

L'INCONTRO - Maggio-Giugno 2024


E’ un peccato che tanti capolavori della letteratura (e del sapere in genere) siano proposti a scuola a ragazzi che, anziché apprezzarli, li subiscono come una noiosa imposizione. Spero che comunque successivamente abbiano modo di tornare sulle loro posizioni; sicuramente non aiutano in questo le battute di “comici” che fanno ridere ricorrendo a stereotipi e descrizioni caricaturali. Una delle vittime più illustri di questo malcostume è Giacomo Leopardi, descritto come gracile, triste e depresso. A questo proposito, la risposta migliore è quella di Dino Buzzati[1]:

«Non mi venite a raccontare che Giacomo Leopardi era fisicamente debole e inefficiente. Le testimonianze del tempo, le sue stesse dichiarazioni sono, lo so, tutte concordi sull’argomento. Il conte Giacomo era ancora peggio di quello che si dice una mezza cartuccia, era un cerotto, una piaga, un ospedale ambulante, che teneva l’anima coi denti. Ebbene, tutto questo è inverosimile, i fatti lo smentiscono nel modo più clamoroso. Se fosse stato veramente quella Madonna dei sette dolori che si dice, mai e poi mai avrebbe scritto quelle poesie che ha scritto. La poesia, quella autentica, è prima di tutto una manifestazione di vigore fisico. Il genio sta dietro, naturalmente, ma senza una potente riserva di energie corporali, il genio non combinerebbe da solo un fico secco. Insomma, avrà sofferto tutti gli acciacchi possibili e immaginabili, Leopardi, ma non c’è dubbio che quando compose le sue poesie più belle, doveva in cuor suo sentirsi, pur se disperatissimo, una forza scatenata della natura.»

Si aggiunga che, anche se tormentato da malattie fin dalla più tenera età, si divertì varie volte a burlarsi di letterati ed eruditi. Ad esempio, nel maggio del 1817, sullo “Spettatore italiano” fu pubblicato l’articolo “Inno a Nettuno d’incerto autore nuovamente scoperto. Traduzione dal greco del conte Giacomo Leopardi di Recanati”. La pubblicazione ebbe un’enorme risonanza tra gli specialisti, e si scatenò la ricerca di chi avesse fornito il reperto a Leopardi. Si trattava ovviamente di un falso: lo stesso anno, in una lettera ad un amico, Leopardi scriveva: “L’inno a Nettuno ha avuto fortuna a Roma, dove meno dovea. S’arrabbattano per trovare quel Ciamberlano, il quale per la paura è corso subito a intanarsi, e rannicchiarsi in me di maniera che siamo diventati tutt’uno.”

Ci furono diverse altre burle di questo tipo, e in alcune ci fu anche lo zampino del padre di Giacomo, il conte Monaldo:  altro che tristezza e disperazione!



[1] Dino Buzzati, “Che atleta!”, da Siamo spiacenti di, Oscar Mondadori, 1975, p.44


Edipo a Cologno…e zone limitrofe

L'INCONTRO - Marzo-Aprile 2024


Edipo è il protagonista di due tragedie di Sofocle: “Edipo re” e “Edipo a Colono”.Re di Tebe, riuscì a risolvereil quesito della Sfinge, il mostro chea Tebeproponeva ai passanti questo enigma: 

«Qual è l'essere che cammina ora a quattro gambe, ora a due, ora a tre e che, più gambe ha, più mostra la propria debolezza?»

Ogni giorno i Tebani cercavano di risolvere l'indovinello senza riuscirci, e per questo la Sfinge ne divorava uno. La risposta giusta fu data da Edipo: si trattadell'uomo, perché esso cammina a quattro gambe durante l'infanzia, poi a due, e infine nella vecchiaia si appoggia a un bastone.

Edipo e la Sfinge sono emblemi dell’enigmistica(prima o poi ciascuno di noi si è trovato a risolvere qualche gioco della “Settimana Enigmistica”, la diffusissima rivista milanese). Storicamente il primo tipo di enigma che è apparso è l'indovinello, mentre diversi secoli dopo Leonardo da Vinci contribuì alla diffusione di un nuovo tipo di gioco: il rebus. Un rebus è composto da una vignetta i cui elementi, con eventuali grafemi (lettere, numeri o altri segni), devono essere interpretati per giungere alla soluzione.

La prima traccia di qualcosa di simile a un rebus risale al IIImillenio a.C.: è la rappresentazione geroglifica del nome delfaraone Narmer medianteun pesce (“nar” in egizio) e uno scalpello (“mer”).I primi esempi moderni direbus si trovano in due raccolte francesi del XVI secolo; fu in Italia però che il rebus fu particolarmente sviluppato.Non c’è qui spazio per dilungarsi ulteriormente: mi limiterò ad illustrare un esempio autoprodotto, confidando nella comprensione del lettore.

I numeri riportati (la “frase”), in questo caso (7,”1,8”), indicano la lunghezza delle parole che costituiscono la soluzione. La figura rappresenta l’interno di una casa, da una cui finestra si ammira un paesaggio estivo. Per quanto riguarda la soluzione, il disegno dovrebbe essere interpretato così:

- Due fogli sono appesi al muro, a sinistra della finestra; riportano le sigle di province italiane. Quelle d’interesse sono indicate (per convenzione, nei rebus) da ||, il che indica che si tratta sigle da due lettere. Le sigle sono quelle di Lecce e di Genova, tra cui si trova il grafema “G”.

- Nel paesaggio marino che si scorge si vedono dei teli, con il grafema “NC”.

- Sul muro a destra della finestra c’è un interruttore; in corrispondenza di una delle posizioni dell’interruttore c’è “||”, contrapposto a “off”. Ci sono quindi la lettera T e la lettera greca  (rho).


La prima lettura (quella diretta) è quindi:

LE, G, GE, teli, NC, on, T, ro


Considerando la frase si ottiene così la soluzione:

Leggete “L’ incontro”


Proprio il consiglio che volevamo darvi!

Quando la fortuna è sfiga cambiata di segno

L'INCONTRO - Marzo-Aprile 2024


Chi scampa a eventi catastrofici è fortunato, e si potrebbe pensare che sia improbabile che qualcuno riesca a scampare due volte allo stesso terribile pericolo. Ebbene, si sono verificati alcuni casi interessanti.

Tuula Annikki Hyyärinen, una donna finlandese, il 18 dicembre 1979 stava compiendo una gita su un aereo da turismo presso Reykjavik. L’aereo si schiantò nella neve, e lei rimase ferita gravemente, ma viva. Un elicottero la caricò per portarla in ospedale, ma poco dopo il decollo precipitò anche l’elicottero. Per fortuna (è il caso di dire) Tuula sopravvisse anche a questo secondo schianto, e dopo tre mesi di ospedale poté tornare in Finlandia.

Un altro caso singolare è quello dell’ingegnere giapponese Tsutomu Yamaguchi. Per motivi di lavoro il 6 agosto 1945 Yamaguchi si era recato a Hiroshima; mentre stava scendendo dal tram, fu sganciata sulla città la prima bomba atomica. L'esplosione gli provocò molte lesioni, e restò per tutta la notte successiva in un rifugio antiaereo. Il giorno successivo riuscì a rientrare nella sua città natale, Nagasaki, dove però fu sganciata la seconda bomba atomica. Yamaguchi soffrì per tutta la vita per gli effetti dei bombardamenti, e morì a 93 anni (sono state ben 165 le persone vittime di entrambe le bombe atomiche, come descritto in un documentario intitolato Bombardati due volte). 

Tony Soter lavorava invece nella torre sud del World Trade Centre di New York. il 26 febbraio 1993 era nel parcheggio sotterraneo quando esplose un furgone-bomba preparato da terroristi islamici: rimasero uccise 6 persone e ci furono più di 1000 feriti. Nove anni più tardi, l’11 settembre del 2001, Soter era nel suo ufficio al trentaduesimo piano quando ci fu l’attacco alle torri gemelle. Sentito il boato, prese subito l'ascensore; questa scelta (irrazionale) lo salvò: per la discesa impiegò circa 2 minuti, mentre con la scala ne avrebbe impiegati almeno 30.

Un caso ancora più eclatante è quello di Violet Constance Jessop. Lavorò prima come cameriera sul transatlantico Olympic, che entrò in collisione con un incrociatore nel 1911; divenne quindi assistente di bordo sul Titanic, che affondò nel 1912; prestò servizio come infermiera sul Britannic, che fu affondato nel 1916. Sopravvissuta a tre affondamenti, Jessop morì nel suo letto a 83 anni: non è strano che fosse soprannominata "Miss Unsinkable" (signorina inaffondabile)! 

I protagonisti di queste vicende sono stati particolarmente fortunati o particolarmente sfortunati? Forse sono stati particolarmente fortunati nella sfortuna.


Ormai pubblicano anche cani e porci

L'INCONTRO - Gennaio-Febbraio 2024


Perché un articolo scientifico sia accettato per la pubblicazione sulle riviste scientifiche, deve passare un esame: la peer review. Mentre tra il XVII e il XIX secolo  la comunità scientifica era un piccolo gruppo di persone, che comunicavano regolarmente tra loro, nel XX secolo, con il boom dell'impresa scientifica si è affermato questo processo. L'editore, cui l’autore propone un manoscritto, lo invia a un numero ristretto di esperti del settore, cui viene richiesto un giudizio. Questo processo non è esente da difetti; tra l’altro, si sono verificati alcuni casi curiosi.

Nel 1975 il professor Jack H. Hetherington, della Michigan State University, aveva preparato un articolo per la rivista Physical Review Letters; lo fece leggere ad alcuni colleghi, che osservarono che era scritto in prima persona plurale, mentre l’autore indicato era soltanto uno. Per non riscrivere tutto il documento, aggiunse come coautore il suo gatto siamese Chester, come F.D.C. Willard: Felis Domesticus Chester Willard (il padre di Chester si chiamava Willard). L’articolo fu pubblicato, e ne seguirono altri tre[1].  Un caso analogo fu quello dell'immunologa francese Polly Matzinger, che nel 1978 incluse come coautore il suo levriero afgano, Galadriel Mirkwood.


Risale invece al 1987 l’inizio della pubblicazione, su alcune riviste di fisica, di articoli, tra i cui autori figurava il professore Stronzo Bestiale, dell’Università di Palermo. La cosa suscitò scalpore, e l’allora Rettore dell’Università di Palermo si sentì in obbligo di precisare che nessun ricercatore della sua istituzione rispondeva a quel nome. La beffa era stata originata dalla frustrazione di uno dei coautori statunitensi, William G. Hoover, perché alcuni suoi lavori innovativi erano stati respinti dai revisori. Durante un viaggio in aereo sentì due donne italiane che, parlando tra loro, dicevano spesso “che stronzo!” e “è uno stronzo bestiale”. Si fece tradurre il significato delle parole, e decise che quello sarebbe stato il terzo co-autore. Cambiò qualche dettaglio, aggiunse il nuovo collega, e questa volta i revisori accettarono i lavori! 

Ma il caso di gran lunga più famoso è l’affare Sokal: nel 1996 Alan Sokal, professore di fisica alla New York University, sottopose l'articolo Transgressing the Boundaries: Towards a Transformative Hermeneutics of Quantum Gravity ("Violare le frontiere: verso una ermeneutica trasformativa della gravità quantistica") alla rivista accademica Social Text. Voleva così vedere se il giornale avrebbe pubblicato un articolo pieno di frasi senza senso, purché queste suonassero bene e fossero in accordo con i presupposti ideologici dei curatori. L’articolo fu pubblicato.


[1] https://scholar.google.com/citations?view_op=list_works&hl=en&hl=en&user=xFmQpf4AAAAJ 

Gli eroi son tutti giovani e belli

L'INCONTRO - Gennaio-Febbraio 2024


Stando a quanto dice il filosofo/psicoanalista Slavoj Žižek, un proverbio sloveno recita: “la fantasia realizzata si chiama incubo”. Infatti la realizzazione di un sogno ne decreta la morte, ne’ è detto che la realtà che così si concretizza sia poi all’altezza delle aspettative. Žižek lo cita a proposito della repressione sovietica della primavera di Praga ad agosto del 1968: l’intervento delle truppe del patto di Varsavia mantenne l’illusione che un altro comunismo fosse possibile. Le persone pensarono che, se non fosse intervenuta la violenta repressione sovietica, magari sarebbe stato possibile arrivare ad un “comunismo dal volto umano”. Questo sogno in qualche modo potrebbe quindi avere contribuito a ritardare il collasso del sistema sovietico, che poi avvenne nel 1991. Spesso la mancata realizzazione di un sogno contribuisce a preservarlo (tenetelo presente, la prossima volta che vi innamorate: forse è meglio conservare il sogno…).


Anche la morte a 39 anni, nel 1967, di Ernesto Guevara, più noto come “el Che”, ha impedito a noi di vedere cosa sarebbe diventato se non fosse stato ucciso e fosse riuscito nei suoi scopi. Magari sarebbe diventato un autocrate attaccato al potere e logorroico come Fidel Castro. Un altro esempio è quello di JFK, il presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy: se non fosse morto a Dallas nell’attentato del 1963 probabilmente oggi sarebbe meno mitizzato. Si pensa all’eroe giovane come a una persona eccezionale che, morendo in giovane età, resta impressa nella memoria. Nella canzone “La locomotiva”, Francesco Guccini cantava “gli eroi son tutti giovani e belli”[1] , echeggiando il commediografo greco Menandro (342 a.C. circa – 291 a.C. circa), che aveva scritto “muor giovane colui che al cielo è caro”. Le considerazioni precedenti fanno invece pensare che (almeno in alcuni casi) la questione potrebbe essere invertita: è a causa della morte prematura che l’”eroe” diventa tale, e che la figura dell’eroe viene mitizzata.


[1] Dall’album Radici, del 1972

Reale, ma non troppo

L'INCONTRO - Novembre-Dicembre 2023


Dicono che un uomo abbia criticato Picasso perché realizzava opere poco realistiche. Il fondatore del cubismo allora gli chiese: “Mi può mostrare dell’arte realistica?”  L’uomo gli mostrò la foto della propria moglie, e a quel punto Picasso gli domandò: “Quindi sua moglie è alta cinque centimetri, bidimensionale, senza braccia né gambe, e senza colori tranne sfumature di grigio?”. 

Questo aneddoto solleva la questione della realtà e della sua rappresentazione, un tema che fu affrontato anche da René Magritte, che fu detto anche le saboteur tranquille (il sabotatore silenzioso) proprio per la sua capacità di insinuare dubbi sul reale. Nel suo dipinto"Il tradimento delle immagini" c’è una pipa dipinta su fondo uniforme, accompagnata dalla scritta: "Ceci n'est pas une pipe" (questa non è una pipa); e infatti l'immagine della pipa non è la pipa reale. In un altro quadro, "I due misteri", oltre alla prima pipa, con la didascalia, c’è anche una seconda pipa sullo sfondo. E’ un'immagine, né vera né falsa, a mezz'aria, gigantesca e grigia. Scrive Magritte: "un oggetto non svolge mai la stessa funzione del suo nome o della sua immagine".


La confusione fra realtà e rappresentazione si presenta in pratica in tutti i campi. Un esempio legato alla mia esperienza lavorativa è quello dei modelli matematici, che sono delle rappresentazioni di fenomeni naturali. Essendo la realtà variegata e complessa, i modelli ne sono necessariamente delle approssimazioni: si potrebbe dire che vanno presi sul serio, ma non troppo. 


Volendo, questa considerazione è in sintonia con il principio “La mappa non è il territorio e il nome non è la cosa designata”, formulato dall’ingegnere, filosofo e matematico polacco Alfred Korzybski (1879 –1950), fondatore della "Semantica generale". In sintesi, affermava che gli uomini sono limitati nelle loro conoscenze, e non possono sperimentare il mondo direttamente, ma solo attraverso le loro astrazioni. Korzybski sottolineò l'importanza dell'addestramento alla consapevolezza dell'astrazione, che chiamò "coscienza dell'astrarre" (consciousness of abstracting). A proposito di consapevolezza, si racconta che un giorno, mentre teneva una lezione, prese dalla sua borsa un pacchetto di biscotti avvolto in un foglio bianco. Ne mangiò e ne offrì anche agli studenti, che accettarono; dopo un po’ tolse il foglio bianco, mostrando il pacchetto originale:si trattava “biscotti per cani”. Gli studenti, disgustati,corsero verso i bagni: Korzybskiaveva dimostrato che la gente non mangia solo il cibo, ma anche la sua rappresentazione linguistica.

Chi nasce tondo non può morire quadrato

L'INCONTRO - Novembre-Dicembre 2023


La favola che segue è attribuita ad Esopo, ma l’autore è in realtà sconosciuto.


Uno scorpione doveva attraversare un fiume, ma non sapeva nuotare, per cui provò a chiedere aiuto ad una rana che si trovava sul greto. Con voce dolce e suadente, le disse: "Ho bisogno di attraversare il fiume. Per te è una cosa semplice; per favore, fammi salire sulla tua schiena e portami sull'altra sponda." 

La rana, giustamente, gli rispose: "Fossi matta! Se quando siamo in acqua mi pungi, mi uccidi! Non mi fido!".

"E perché dovrei farlo?" incalzò lo scorpione. "Andrei contro il mio interesse: se ti pungessi durante la traversata, tu moriresti ed io, non sapendo nuotare, sarei trascinato in acqua e annegherei!".

Dopo molte esitazioni da parte della rana, e grazie a molta insistenza da parte dello scorpione, la rana, convintasi della sensatezza dell'obiezione dello scorpione, lo caricò sul dorso, e insieme entrarono in acqua. 

Per un po’ tutto filò liscio; quando però furono a metà tragitto, la rana sentì un dolore acutissimo provenire dalla schiena, e capì di essere stata punta dallo scorpione. Mentre perdeva i sensi chiese: “Perché l’hai fatto? Adesso morirò e ti trascinerò in acqua con me!”. Lo scorpione rispose "Lo so, ma … è la mia natura!".


Come si vede, non sempre la personalità, l’indole o il carattere sono cose di cui andare fieri: a tal proposito Renard scrisse che gli uomini di carattere di solito hanno un pessimo carattere. 


Un’ altra divertente storiella, sempre a proposito del carattere, la raccontava il mio professore di italiano, don Nicola Paradies. Protagonista ne è la santa e mistica spagnola Teresa d'Avila, (Avila, 28 marzo 1515 – Alba de Tormes, notte tra il 4 e il 15 ottobre 1582), che fu proclamata beata nel 1622, ed è annoverata tra i dottori della Chiesa. Oltre a essere una delle più grandi mistiche, era una donna molto energica, che aveva fondato diversi conventi. Per controllarne l’andamento, passava tutte le sue giornate andando a cavallo da un monastero all’altro.

Un giorno, durante uno dei suoi viaggi, cadde da cavallo e si fece male. Ora, santa Teresa parlava direttamente con Dio, per cui Gli disse: 

“Signore, Tu vedi che ho dedicato tutta la mia vita a Te: non mi sono sposata, faccio continue penitenze, prego in continuazione, digiuno, dormo poco, giro come una trottola da un convento all’altro per Te, e Tu mi fai anche cadere da cavallo?”

Dio rispose: “IO I MIEI AMICI COSI’ LI TRATTO!”

Al che Santa Teresa: “E ci credo che ne hai così pochi!!!”

Mentre vagavo nello spazio

L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2023


Mentre vagavo nello spazio, un pensiero continuava a ronzarmi nella testa: ogni parte di questo razzo è stata fornita da quelli che hanno fatto l'offerta più bassa (John Glenn)


Durante la guerra fredda si sfidarono astronauti (statunitensi) e cosmonauti (sovietici). Le difficoltà furono formidabili, essenzialmente perché non è possibile prevedere tutto.


Ad esempio, durante la missione Voskhod 2 (1965), il cosmonauta sovietico Alexei Leonov fece la prima “passeggiata” extraveicolare. Leonov rimase all'esterno per circa 12 minuti, ancorato mediante un cavo. A causa del vuoto dello Spazio, la tuta si gonfiò come un pallone, rendendogli impossibile il rientro a bordo; per fortuna il cosmonauta riuscì a scaricare la pressione mediante una valvola e a rientrare (Leonov perse 6 kg in sudore!). Anche il rientro fu fortunoso: atterrato in una foresta, l’equipaggio dovette rimanere una notte all’interno della navicella perché attorno vagavano lupi e orsi. Da allora, e per molti anni, i cosmonauti portarono con sé una pistola.


Un altro incidente durante un lavoro extraveicolare si ebbe nel 2001, durante il montaggio della Stazione Spaziale Internazionale. Una valvola difettosa fece uscire dell’ammoniaca, che formò uno strato solido sulla tuta e sul casco dell’astronauta Robert Curbeam. Se fosse rientrato così, all'interno della stazione il ghiaccio di ammoniaca si sarebbe trasformato in vapori velenosi. Fu quindi detto a Curbeam di restare esposto al Sole per un’intera orbita, per fare evaporare completamente l'ammoniaca.


A causa della rivalità tra est e ovest nacquero anche delle leggende metropolitane. Secondo una di queste, la NASA si pose il problema di come prendere appunti nello spazio: in assenza di forza di gravità l’inchiostro non sarebbe fluito. La NASA avrebbe speso milioni di dollari per realizzare una penna ad hoc, mentre i sovietici avrebbero dato ai cosmonauti una matita. In realtà, una mina in grafite all’interno di una capsula spaziale sarebbe pericolosa: la grafite può generare particelle infiammabili. Furono proposte diverse soluzioni, e alla fine si affermò una penna pressurizzata. 


Tantissimi altri problemi sono stati affrontati, e la visita ad un “museo dello spazio” può lasciare sbalorditi. Al Kennedy Space Center è possibile vedere il razzo Saturn V, con un diametro di 10 m e un’altezza di 110 m, più o meno come un palazzo di 40 piani. Questo razzo fu usato per lanciare la navicella Apollo, le cui dimensioni sono molto diverse: 4 metri di diametro per un’altezza di 3.5 m. Ma la cosa che impressiona di più è il coraggio di tre uomini che affrontano un viaggio in uno spazio ristrettissimo (come l’abitacolo di una piccola utilitaria) piazzati in cima a una “bombola” di combustibile e comburente alta come un grattacielo.

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L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2023


In fascia pre-serale le reti televisive ci propongono spesso episodi di serie poliziesche, in cui un team di giovanotti e giovanotte risolve casi di efferati delitti facendo ricorso a svariati strumenti tecnologici. E’ interessante che l’investigatore-capo, uomo di azione, si limita spesso a dare ordini e indicazioni sorprendentemente banali: “trovatemi il sospettato!”; “lo voglio qui subito!”; “scopri la password!”

…

Gli ordini sono indirizzati al gruppo di giovani agenti, tra cui è immancabilmente presente un laureato dell’MIT (Massachusetts Institute of Technology), che riesce nel giro di pochi secondi ad aggirare qualsiasi firewall e a “crackare” qualsiasi password, e il tutto semplicemente con pochi tentativi manuali. 


E’ anche vero che, proprio per individuare le parole e le stringhe vulnerabili più utilizzate, nel 2019 il National Cyber Security Centre del Regno Unito ha analizzato gli elenchi degli account violati, per scoprire che in cima alla lista c'era 123456, seguita da 123456789. Inoltre le prime cinque includevano "qwerty", "password" e 1111111. Se questo è il livello, possiamo anche non ritenere troppo inverosimili i telefilm.


E’ ragionevole quindi che le società attuino delle politiche di sensibilizzazione. Tutti siamo stati (e saremo) costretti a farlo: creare una password con almeno 8 caratteri, contenere lettere sia minuscole che maiuscole, e almeno un numero e un carattere speciale (!£$%* eccetera). Inoltre la password  ha una scadenza, per cui spesso (e in genere quando si ha più fretta) ci si ritrova a dover inventare una password diversa, che rispetti gli stessi vincoli.

Questi vincoli hanno avuto origine da un rapporto del 2003 del National Institute of Standards and Technology (NIST) statunitense . Ebbene, Bill Burr, l’autore del rapporto, nel 2017 ha ammesso che sono regole inutili, e si è scusato. La sua “ricetta” derivava principalmente da un white paper scritto negli anni '80: l’uso di caratteri vari può essere un deterrente per un essere umano, ma non fa differenza per i bot, che sono gli strumenti più usati dai malintenzionati.


Il NIST ha emesso delle nuove linee guida:

1. Lunga è meglio che complessa: una password più lunga è più difficile da decifrare.

2. I caratteri speciali portano a minore sicurezza: nel cambiare password molti utenti cambieranno solo un singolo carattere con un carattere speciale simile.

3. I reset periodici complicano la vita degli utenti e diminuiscono la sicurezza: spesso gli utenti ricorrono alla modifica delle password secondo schemi prevedibili, che ne facilitano la decrittazione.

Sotto la presentazione niente

L'INCONTRO - Luglio-Agosto 2023


Nel 2010, sulla rivista American Economic Review,Reinhart e Rogoff, professori dell'Università di Harvard,pubblicarono un articolo che ebbe una grande risonanza internazionale[1]. La tesi sostenuta era che,quando il debito estero lordo di un paese è elevato, la crescita del PIL si riduce. L’articolo fu ripreso internazionalmente da politici e commentatori per sostenere politiche economiche di austerity, ed ebbe un’enorme influenza sulle decisioni degli anni successivi, con un forte impatto sulla vita di milioni di persone. Peccato che lo studio fosse affetto da diversi errori metodologici: tre economisti dell'Università del Massachusetts "usando il foglio elettronico su cui hanno lavorato Reinhart e Rogoff,” identificarono “errori di codifica ed esclusioni selettive di dati disponibili, e di pesatura non convenzionale nelle statistiche riassuntive"[2]. Correggendo gli errori, tutte le conclusioni tratte si rivelavano errate: il software Microsoft Excel, un buon programma per effettuare calcoli, era stato usato in modo errato. D’altronde, i fogli di calcolo sono creati dalle persone, e le persone possono commettere errori.

Molte critiche sono state invece mosse a un altro software Microsoft: PowerPoint. L’inattesa (e credibile) fonte delle critiche è una istituzione enorme: l’esercito degli Stati Uniti d’America. Secondo questi critici, le riunioni di coordinamento sono diventate semplicemente dei momenti in cui i partecipanti subiscono un indottrinamento tramite presentazioni[3]. A titolo di esempio, ecco alcune delle affermazioni degli ufficiali:

"PowerPoint ci rende stupidi" (generale James N. Mattis)

“È pericoloso perché può creare l'illusione della comprensione e l'illusione del controllo" (generale H.R. McMaster)

"Alcuni problemi nel mondo non sono riconducibili a elenchi puntati." (generale H.R. McMaster)

Assistere ad alcune presentazioni in PowerPoint è "solo un'agonia" (geneale David H. Petraeus)

In sintesi, secondo quanto detto dal colonnello della Marina in pensione Thomas X.Hammes, il programma è utile quando l'obiettivo NON è fornire informazioni, come nelle conferenze stampa per i giornalisti. Le sessioni di presentazione di circa 25 minuti, con 5 minuti alla fine per le domande di chiunque sia ancora sveglio, sono note nell’ambiente come "ipnotizza-polli".



[1]Reinhart, Carmen M.; Rogoff, Kenneth S. (2010). "Growth in a Time of Debt". American Economic Review. 100 (2): 573–578.

[2]Herndon, Thomas, Ash, Michael and Pollin, Robert, (2014), “Does high public debt consistently stifle economic growth? A critique of Reinhart and Rogoff”, Cambridge Journal of Economics, 38, issue 2, p. 257-279.

[3]Elisabeth Bumiller (2010). “We Have Met the Enemy and He Is PowerPoint”, The New York Times, April 27, 2010, Section A, Page 1

Una cultura è poca, ma due sono troppe

L'INCONTRO - Luglio-Agosto 2023


Parecchi anni fa, in una trasmissione televisiva, sentii dire dallo scrittore Andrea Camilleri: “Io di matematica non ho mai capito niente!”; seguì uno scrosciante applauso del pubblico (probabilmente comandato dalla regia). L’ammissione di non sapere qualcosa potrebbe essere indicativa di onestà intellettuale (anche se il tono mi sembrò più quello di una rivendicazione trionfalistica), ma l’applauso denotava una soddisfazione liberatoria: si condivideva con un famoso scrittore l’idiosincrasia per la matematica.

Ora, a prescindere dalla pregevole opera letteraria di Camilleri, lascia un po’ spiazzati il fatto che l’ignoranza possa essere motivo di vanto: non solo si ammette di ignorare qualcosa, ma questa rivendicazione viene condivisa con entusiasmo. In realtà poi l’atteggiamento “sprezzante” verso le “aride” discipline tecniche è molto diffuso, basti pensare al modo di dire inglese “engineering is where creativity dies”, l'ingegneria è dove muore la creatività. In molti casi fa da controaltare a questi atteggiamenti la spocchia di alcuni (pessimi) tecnici, che si ritengono detentori di un sapere “superiore” (chi vorrebbe volare su un aereo progettato da un latinista?), e che ritengono che il sapere scientifico sia l’unico di valore.

Il divario tra i campi disciplinari umanistico e scientifico si sviluppò nel corso del XIX secolo, quando si ebbero straordinari cambiamenti nel campo scientifico e tecnologico; grazie a un celebre pamphlet del 1959 la questione è nota come il problema delle “due culture”.[1] Il fenomeno riguarda tutta la civiltà occidentale, ma in Italia il solco è un po’ più profondo. Infatti il filosofo Benedetto Croce, per sostenere le sue tesi contro quelle del matematico Federigo Enriques, ebbe modo di affermare che soltanto le menti profonde coltivano la filosofia e la storia, mentre gli “ingegni minuti” si occupano di aritmetica o di botanica. Anche se questa sua affermazione/convinzione fu dopo ridimensionata, purtroppo si rispecchiò nell’impianto del sistema scolastico nazionale (riforma Gentile, 1922-23), e quindi ebbe significativi effetti sulla cultura del paese. Nonostante alcune variazioni legislative intercorse negli anni, da noi il divario fra i due saperi è ancora grande.

Sarò forse irriverente, ma questa rigida contrapposizione mi fa venire in mente una scena del film “Scusate il ritardo” (di Massimo Troisi, 1982):

Tonino/Lello Arena:

Meglio un giorno da leone, Vincè! Sono meglio cento giorni da pecora? Meglio un giorno da leone, no?

Vincenzo/Massimo Troisi:

            …Fai cinquanta giorni da orsacchiotto!



[1] Charles Percy Snow, The two cultures and the scientific devolution, Cambridge University Press (1959)

C'è sempre una soluzione: netta, plausibile e sbagliata

L'INCONTRO - Maggio-Giugno 2023


La frase del titolo,parafrasata da un articolo di H. L. Mencken[1], fa venire in mente il “grande balzo in avanti” cinese.  Nel gennaio del 1958, Mao Tse-tung lanciò il secondo piano quinquennale, per sviluppare rapidamente e in parallelo agricoltura e industria. Il programma fu portato avanti fino al gennaio del 1961, quando, a fronte delle catastrofi causate, venne bloccato. Il piano si era sviluppato lungo tre direttrici: opere idrauliche, innovazioni agricole e produzione di acciaio.

Nel campo delle opere idrauliche, 100 milioni di contadini furono mobilitati per costruire enormi dighe, bacini e canali. Ma la progettazione dei lavori fu affidata agli stessi contadini e ai quadri di partito locali, piuttosto che a tecnici qualificati, per cui i risultati furono modesti.

In campo agricolo,basandosi sulle stravaganti teorie dell’agronomo sovietico Lysenko (detto “lo scienziato scalzo”), furono incoraggiate l'aratura in profondità (fino a 3 metri) e la semina ravvicinata, sostenendo che i semi di una stessa "classe" non sarebbero entrati in competizione, ma si sarebbero aiutati a vicenda. Si sosteneva che si potessero ottenere incroci fra maiali e bovini o fra cotone e pomodoro (ovviamente ne sarebbe risultato un cotone rosso). Mao stabilì inoltre la necessità di sterminare zanzare, mosche, ratti e passeri, questi ultimi perché “rubavano” parte del raccolto dei cereali. Furono quindi abbattuti otto milioni di uccelli, con il brillante risultato che le cavallette, private dei loro predatori naturali, prosperarono e distrussero i raccolti successivi, provocando una carestia che causò decine di milioni di morti.

Per quanto riguarda la produzione di acciaio, secondo Mao nel giro di 15 anni la Cina avrebbe dovuto raggiungere quella della Gran Bretagna. Un segretario provinciale del partito gli mostrò una piccola fornace "da cortile”, dichiarando (falsamente) che l'acciaio così prodotto era di elevata qualità. Mao quindi incoraggiò la creazione di piccole fornaci dovunque: tutti gli oggetti metallici, dalle reti dei letti agli utensili da cucina, furono destinati alla fusione, mentre mobili e infissi furono usati come combustibile. Inoltre fu impiegata legna ricavata tagliando migliaia di alberi, e decine di milioni di persone furono allontanate dal proprio lavoro per produrre acciaio. Come prevedibile, l'acciaio prodotto si rivelò inutilizzabile.

Volendone trarre un insegnamento: non esistono soluzioni semplici per problemi complessi e su vasta scala.



[1] “Explanations exist; they have existed for all time; there is always a well-known solution to every human problem — neat, plausible, and wrong”.  Da: "The Divine Afflatus" nel “New York Evening Mail” del 16 Novembre 1917. Fu ripresa più volte dallo stesso autore.

Il buono, l’umano, il cattivo

L'INCONTRO - Maggio-Giugno 2023


Le idee sulla natura dell’uomo sono polarizzate tra due modelli estremi. Da un lato c’è l’idea di Thomas Hobbes (1588-1679),che pensava che lo stato naturale dell’uomo sia quello della lotta di tutti contro tutti. All’altra estremità della scala era Jean-Jacques Rousseau (1712- 1778): per lui l’uomo nello stato di naturaviveva felice in una società egualitaria. Come stanno veramente le cose?

La concezione pessimistica potrebbe essere un accorgimento della selezione naturale per proteggerci: nel momento in cui si incontrano degli sconosciuti, potenzialmente pericolosi, partire dall’idea che siano aggressivi può contribuire a salvaguardare la vita e assicurare la prosecuzione della specie. Nella stessa direzione negativa vanno le notizie con cui giornali e telegiornali ci intrattengono full time. Qui però entra anche l’intento di aumentare l’audience: più truce è la notizia, maggiore sarà l’impatto. Probabilmente anche qui entra l’effetto della selezione naturale: siamo più sensibili alle informazioni negative, che ci preparano ad affrontare eventuali pericoli. Inoltre c’è un effetto paradossale: perché un avvenimento costituisca una “notizia”, deve essere eccezionale; quindi il fatto che la cronaca ci subissi di pessime notizie potrebbe significare che viviamo in un mondo collaborativo e solidale.

Se cerchiamo nella letteratura, è emblematico il caso de “Il signore delle mosche”, con cui William Golding vinse il premio Nobel per la letteratura 1983. Il libro ha come protagonisti dei ragazzi bloccati su un'isola deserta, e racconta di come regrediscono ad uno stato bestiale. Questo rispecchia le concezioni dell’autore: "Gli umani producono il male come le api producono il miele". Visione cupa, condivisa dalla commissione Nobel: la motivazione recitava: «per i suoi romanzi che, …, illuminano lo stato umano nel mondo di oggi».

Golding e il comitato Nobel evidentemente hanno una pessima opinione degli umani. Ma cosa ci dice l’evidenza empirica? Non sembrava possibile trovare un caso reale che rispecchiasse una situazione analoga, ma invece qualcuno ci è riuscito. Rutger Bregman, nel suo “Una nuova storia (non cinica) dell’umanità”, descrive proprio un caso simile. Nel giugno del 1965 sei ragazzi, di età compresa tra i 13 e i 16 anni, fuggirono con una barca da un convitto anglicano dell’isola di Tonga, in Polinesia, e fecero naufragio su un’isoletta. Rimasero isolati e furono ritrovati, per caso, a ottobre del 1966: dopo ricerche infruttuose, erano stati dati per morti. Ebbene, sembra proprio che Golding avesse torto: i ragazzi avevano organizzato una piccola comune, ed avevano collaborato per sopravvivere!

L’essere umano è migliore di come ce lo rappresentiamo.

Dei dilettanti costruirono l’arca, mentre il Titanic fu costruito da professionisti

L'INCONTRO - Marzo-Aprile 2023


Viviamo in un mondo basato sulla fiducia. Saliamo su aerei progettati, costruiti, gestiti e pilotati da perfetti sconosciuti: confidiamo nella loro “professionalità”.  Il professionista non è un signore vestito di nero, con occhiali neri e valigetta contenente un’arma di precisione. Per professionista si intende chi esercita una certa attività in modo costante, esclusivo, retribuito, e previa stipula di un contratto. Chi non procede così è un dilettante, ed è ovvio che come piloti d’aereo, chirurghi, idraulici e simili cerchiamo dei professionisti. Il professionista fa le cose “come vanno fatte”, il che significa che in precedenza qualcuno deve aver definito sia le modalità di esecuzione, sia i criteri di accettazione del risultato. Quindi, per quanto possa essere un “virtuoso” del settore,  difficilmente potrà essere originale. Un dilettante invece, proprio perché fa le cose “per diletto”, otterrà dei risultati meno “standardizzati”, ma ci si divertirà di più e avrà più probabilità di ottenere sia fallimenti, che risultati innovativi e originali.


Un esempio eclatante di successo è il caso di Heinrich Schliemann, che, dopo avere lavorato ed essersi arricchito commerciando, a 46 anni si ritirò e si dedicò alla sua passione: l’archeologia. Mentre all’epoca si riteneva che le vicende narrate nell’Iliade fossero solo frutto di fantasia, lui andò ad effettuare degli scavi sulla base delle informazioni contenute nei poemi omerici. In questo modo scoprì la città di Troia e, successivamente, il cosiddetto tesoro di Priamo a Micene. Non sempre però le cose filano così lisce: ad esempio l’ottantunenne Cecilia Giménez, parrocchiana e pittrice dilettante, decise di restaurare un dipinto del santuario di Borja, l’ Ecce Homo, di Elias García Martínez (Santuario de Misericordia di Borja, Spagna). Il risultato è così brutto che è diventato un’icona pop detta Monkey Jesus, Ecce Mono (ecco la scimmia) o Potato Jesus. 


In effetti, tutti i grandi innovatori sono (necessariamente) dei dilettanti: non si può essere professionisti di qualcosa che non è stato ancora definito. La questione è stata ben messa in evidenza da Mark Twain:


Il miglior spadaccino del mondo non deve temere il secondo miglior spadaccino del mondo. Deve temere l’antagonista ignorante che non ha mai preso prima una spada in mano, e fa quello che non dovrebbe, una mossa cui l'esperto non è preparato. Fa quello che non dovrebbe fare, e spesso coglie l'esperto di sorpresa e lo batte.


(Mark Twain, “Un americano alla corte di re Artù”, Capitolo XXXIV)

L'Inghilterra si aspetta che ogni uomo faccia il proprio dovere

L'INCONTRO - Marzo-Aprile 2023


Durante le guerre napoleoniche, Napoleone progettò di invadere la Gran Bretagna; per questo motivo la marina francese e quella spagnola dovevano prendere il controllo del canale della Manica, per garantire un passaggio sicuro per la Grande Armée. Comandata dall'ammiraglio Villeneuve, la marina alleata intercettò la flotta britannica, comandata dal vice ammiraglio Horatio Nelson, a Cape Trafalgar, nei pressi dello stretto di Gibilterra, il 21 ottobre 1805. Nell’imminenza della battaglia, Nelson fece trasmettere alla flotta un messaggio issando delle bandiere predisposte secondo il codice dei "Segnali telegrafici del vocabolario marino".


"L' Inghilterra si aspetta che ogni uomo faccia il proprio dovere" fu il segnale inviato dal dalla nave ammiraglia HMS Victory. Un grande applauso si levò quando il segnale fu issato e ripetuto per tutta la flotta. 


La flotta di 27 navi di Nelson era contrapposta alla flotta combinata spagnola e francese di 33 navi. All’epoca nelle battaglie navali le flotte nemiche navigavano parallelamente mentre si cannoneggiavano; in questo modo però potevano sparare con i cannoni posti su una sola fiancata. Nelson fece navigare la sua flotta verso il fianco della flotta alleata (manovra “a T”), e in questo modo potè avvalersi di una maggiore potenza di fuoco. La battaglia navale provocò la perdita di 22 navi alleate, mentre gli inglesi non ne persero nessuna. Di conseguenza, gli inglesi vinsero, assicurandosi il controllo del mare e eliminando la possibilità di un'invasione francese della Gran Bretagna.

Il messaggio mandato da Nelson è rimasto famoso ed è stato parafrasato moltissime volte, magari con piccole variazioni: nel Regno Unito è sulla tomba di Nelson, nella cattedrale di St. Paul,e sulla base della Colonna di Nelson. Addirittura, viene ancora issato sulla Victory al suo bacino di carenaggio a Portsmouth il giorno di Trafalgar (21 ottobre) ogni anno. Si tratta in effetti di un richiamo molto efficace alla responsabilità di ciascuno nel momento in cui sta per iniziare una battaglia, un evento critico e caotico il cui esito dipende da milioni di eventi e decisioni di singoli individui. Una morale analoga si ricava da un episodio riportato su una visita del presidente degli USA John F. Kennedy alla NASA nel 1962. Lungo il percorso, in un corridoio, JFK si imbatté in un uomo delle pulizie, lo salutò e gli chiese cosa facesse per la NASA. L’uomo rispose: "Sto aiutando a mandare l’uomo sulla luna".

Quel cornuto di Mosè

L'INCONTRO - Gennaio-Febbraio 2023


Tutti ricordiamo il monito del Vangelo "È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli" (Matteo 19,24). E’ una immagine strana, che ha indotto a lungo perplessità. In seguito si evidenziò che la parola aramaica gamal può significare sia “cammello” che “corda”: il traduttore greco del Nuovo Testamento avrebbe optato per il significato sbagliato. L'immagine di una corda che non può passare per la cruna di un ago a causa delle sue dimensioni è sicuramente più comprensibile; è però anche vero che nella letteratura rabbinica antica si trovano iperboli simili, come: "Chi può far passare un elefante per la cruna di un ago?" (Talmud Babilonese, Baba Mezi'a 38b). La questione non è ancora conclusa.


Un caso analogo di errata traduzione si incontra nelle vicende di Mosè, che guidò il popolo ebraico nella fuga dall’Egitto. Sul monte Sinai Mosè ricevette le Tavole della Legge; nella traduzione dall'ebraico realizzata da san Gerolamo, dopo aver ricevuto da Dio le tavole Mosè non sapeva che la sua faccia fosse cornuta ("ignorabat quod cornuta esset facies sua", Es34,29). Indubbiamente si tratterebbe di uno strano effetto prodotto dall’incontro con la divinità! In realtà nell’originale ebraico si legge che Mosè ignorava che la sua pelle fosse “raggiante” (verbo ebraico qrn). Ora, nell'ebraico scritto non si riportavano le vocali, per cui uno stesso vocabolo può assumere significati differenti a seconda delle vocali che il lettore inserisce. In questo caso si poteva leggere sia “radiosità” che “corna”, ed ecco come il volto “luminoso” divenne “cornuto”. Così per molto tempo l'iconografia tradizionale prevedeva un Mosè “cornuto”; vista la palese assurdità della cosa, lo si rappresentava due fasci di luce, simili a corna, che partivano dalla sommità del capo. Non fece eccezione Michelangelo Buonarroti con il suo Mosè di San Pietro in Vincoli a Roma.


A proposito di questo capolavoro, realizzato verso il 1515, si racconta che Michelangelo, contemplandolo, abbia esclamato «Perché non parli?». Stando poi a Christoph L. Frommel, grande studioso di Michelangelo, e sulla base di un documento ritrovato, la statua subì una torsione più di 25 anni dopo. Per volgergli lo sguardo verso sinistra, distogliendone lo sguardo dalle catene di Pietro, Michelangelo avrebbe girato la testa del Mosè, accompagnandola con una torsione dinamica di tutto il corpo, solo dopo il marzo del 1542.

Solo Michelangelo poteva essere in grado di girare la testa a una statua di marmo!

Un inferno accogliente

L'INCONTRO - Gennaio-Febbraio 2023


Un peccatore muore ed arriva all’ingresso dell’inferno. Il receptionist-diavolo, vedendolo preoccupato, gli dice:

” Oggi sono di buonumore, per cui ti darò una possibilità: puoi scegliere tra l’inferno tedesco e quello italiano.”

Il peccatore chiede spiegazioni, e il diavolo:

” Beh, nell’inferno tedesco i dannati sono costretti a spalare letame mentre i diavoli li frustano.”

“E in quello italiano?”

 “In quello italiano i dannati sono costretti a spalare letame mentre i diavoli li frustano. Personalmente ti consiglio quest’ultimo.”

 “Ma sono uguali! Perché dovrei scegliere quello italiano?”

 “Quello italiano è un po’ meglio: un giorno mancano le fruste, un giorno non arrivano le pale, un giorno c’è sciopero dei diavoli, un giorno è finito il letame…”


E ancora:


Il Paradiso è un luogo in cui: 1) i meccanici sono tedeschi; 2) i vigili sono inglesi; 3) i cuochi sono francesi; 4) gli amanti italiani; 5) e tutto è organizzato dagli Svizzeri. 

L’Inferno è un luogo in cui: 1) i meccanici sono francesi; 2) i vigili tedeschi; 3) i cuochi inglesi; 4) gli amanti svizzeri 5) e tutto e' organizzato dagli Italiani.


Queste due barzellette rispecchiano lo stereotipo degli Italiani, che sarebbero eccezionali da soli o in piccoli gruppi, ma disorganizzati su ampia scala. Un esempio recentissimo: in una trasmissione radiofonica il giornalista Paolo Mieli, parlando della legge marziale imposta dalla Russia nei territori occupati dell’Ucraina, ha detto che “La legge marziale russa è bestiale, non è una legge marziale all’italiana” .

Perché le cose stiano (o siano percepite) così è difficile da determinare; le possibili spiegazioni che si propongono (mancanza di senso dello stato, familismo amorale, superficialità, mancanza di controllo sociale) sono più che altro tautologiche. Anche il perseguimento del proprio “particulare”, evidenziato da Guicciardini  non spiega perché proprio gli italiani siano così. 

Uno spunto venne da un mio amico, che osservò che, ad onta di tutti gli inverosimili proclami del ventennio fascista, italiani e antichi Romani sono diversissimi. Cosa è successo nel passaggio tra l’Impero Romano e la formazione dell’Italia? Una possibile ipotesi è che l’affermarsi della religione cattolica abbia portato ad una situazione in cui per un lunghissimo periodo ci sono state due autorità, una religiosa e una civile, che non solo si contendevano la supremazia, ma facevano anche di tutto per evitare che si formasse uno stato unitario. In un contesto simile, senza un’affidabile autorità statuale di riferimento, non c’è da meravigliarsi se gli italiani tendono a fare più affidamento su sé stessi e sulla propria famiglia.

Quando sarò morto mi mancherò molto

L'INCONTRO - Novembre-Dicembre 2022


Tutti gli esseri viventi e senzienti devono fare i conti con la fine della vita, e in alcune specie animali si sono osservati comportamenti che lo denotano. Ad esempio, si è osservata una femmina di tursiope (una specie di delfino) che per parecchi giorni ha tenuto il cadavere del proprio cucciolo a cavallo del proprio dorso, vicino alla superficie, come per aiutarlo a respirare. Altri cetacei seguivano la madre, come per proteggerne il dolore. Gli elefanti organizzano per i loro morti una vera e propria veglia funebre, radunandosi intorno al corpo del defunto e toccandolo con la proboscide. Anche dopo anni si soffermano a toccare le ossa degli animali deceduti. Tra gli scimpanzé si osservano poi dei comportamenti ancora più inequivocabili (o forse siamo noi che siamo più in grado di capirli): nel 2008 morì una femmina di scimpanzé presso il Sanaga-Yong Chimpanzee Rescue Centre, in Camerun. Ebbene, mentre il suo feretro veniva portato alla sepoltura, gli altri scimpanzé si ammassarono, abbracciandosi e rimanendo in silenzio.


Nell’attuale società occidentale è raro assistere direttamente alla fine di una vita, mentre per millenni si è trattato di un evento presente e manifesto a tutti. Secondo lo psicologo Luigi De Marchi, lo “shock primario”, e cioè l'intuizione del destino di morte riservato a tutti, provocò nell'uomo primordiale una reazione di terrore, che sarebbe alla base della cultura umana: si sarebbe prodotta una negazione immediata, con fantasie di sopravvivenza dopo la morte. Magia e religione si sarebbero sviluppate come difese e rassicurazioni contro l'angoscia di morte, percepita come punizione per un'offesa dell'uomo alla Divinità. La colpa primaria dell'uomo, nel mito biblico dell'Eden, sarebbe stata la brama di amare e di conoscere.


Un altro interessante tentativo di superamento dell’angoscia è l’idea di rimanere tramite il ricordo altrui. Già sui sarcofagi egizi erano riportate iscrizioni con cui la mummia chiedeva al lettore di pronunciare il suo nome ad alta voce: il potere evocativo del nome ne avrebbe in qualche modo prolungato la vita. In un certo senso il desiderio di diventare famosi (monumenti, memoriali, libri) ha la stessa origine. Si tratta comunque di una prospettiva futura così inconcepibile, che può generare degli interessanti paradossi, come questo “sogno straniante”:

una mattina mi alzo, esco di casa per fare quattro passi e, per strada, do un’occhiata ai manifesti funebri. Con mia sorpresa (ma senza angoscia) leggo “Sebastiano Correra … ne danno il triste annuncio … le esequie si terranno …”

Divo per caso

L'INCONTRO - Novembre-Dicembre 2022


Un “topos” frequente nel mondo cinematografico è quello dell’inizio casuale della carriera dei grandi divi. Ad esempio Ornella Muti a 14 anni, mentre accompagnava la sorella maggiore a un provino, venne notata e scelta dal regista Damiano Damiani: divenne protagonista del film “La moglie più bella”, il primo della sua carriera. Altre attrici raccontano episodi analoghi: accompagnando un’amica ad un provino, sarebbero state invece notate e ingaggiate loro. Non abbiamo purtroppo indicazioni sulle reazioni delle amiche, ne’ sappiamo se poi l’amicizia sia proseguita o abbia subito qualche brusca evoluzione. Comunque il caso ci va giù duro, anche ad Hollywood: stando a quanto raccontano, anche Mel Gibson, Natalie Portman, Charlize Theron, Harrison Ford, Will Smith e molti altri sarebbero stati scoperti per caso.


Si potrebbe pensare che si tratti di casi “fortuiti” per modo di dire: in fin dei conti, si tratta di persone selezionate in base all’aspetto fisico da talent scout alla ricerca di volti interessanti. Visto che il nostro aspetto è direttamente accessibile a chiunque ci incontri, non c’è molto da meravigliarsi. Casi più strani ci mostrano comunque il grande peso che il caso ha nella vita di tutti noi. Passando al mondo della canzone italiana, si ha il caso di Gianni Morandi. Il Gianni nazionale ha infatti recentemente raccontato che al grande paroliere Migliacci, oberato dal materiale da esaminare per la RCA, cadde per caso per terra un nastro con una sua incisione; Migliacci lo raccolse e lo ascoltò, e così Gianni Morandi fu “scoperto” ed iniziò la sua brillante carriera.


Altro caso che si può citare è quello di Leopoldo Fregoli (1867-1936), attore, regista, sceneggiatore, ma soprattutto trasformista.  Riusciva a cambiare in pochi secondi il personaggio che interpretava, tanto che è considerato il trasformista per antonomasia: un precursore, ad esempio, di Arturo Brachetti. Ebbene, pare che Fregoli avesse iniziato a fare l’attore durante il servizio militare a Massaua, organizzando alcuni spettacoli con dei commilitoni. Un giorno in cui aveva organizzato uno spettacolo, i soldati che avrebbero dovuto recitare furono mandati improvvisamente in un’altra località, e Fregoli fu costretto a coprire da solo diversi ruoli, con molti cambi d'abito. Era così nato un nuovo genere di spettacolo: il trasformismo.

Taci! L’elettrodomestico ti ascolta

L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2022

Durante la seconda guerra mondiale Leo Longanesi coniò lo slogan “Tacete! Il nemico vi ascolta.” Questa esortazione potrebbe dover essere attualizzata alla luce degli sviluppi della tecnologia. Un esempio. A luglio del 2019 a Hallandale Beach, in Florida, una donna morì dopo una lite domestica. Stando alle dichiarazioni del suo convivente, quella sera avevano litigato, e lui aveva tentato di cacciarla via. Poiché lei non si muoveva, lui l’aveva afferrata per le gambe e stava tentando di tirarla giù dal letto, quando sentì uno schianto: un pezzo del letto (un pezzo di metallo appuntito) l’aveva trafitta. L’uomo allora chiamò aiuto, cercando inutilmente di salvarla. Fin qui le sue dichiarazioni; la polizia, cercando riscontri, chiese e ottenne la registrazione audio di due dispositivi Amazon Echo, altoparlanti intelligenti connessi ad Amazon Alexa. Si sperava di ritrovare una registrazione del diverbio, per ricostruire la dinamica dei fatti. Non sappiamo come siano poi proseguite le indagini, ma l’interessante è che siamo qui di fronte a un elettrodomestico che “ascolta”, “ricorda” e, in qualche modo viene chiamato a testimoniare.

Un caso di oggetto che invece parla e pensa è quello prospettato nel film 2001: Odissea nello spazio, di S. Kubrik (1968). HAL 9000, il computer di bordo della nave spaziale, grazie all'intelligenza artificiale riproduce le attività della mente e ha sentimenti “umani”. Quando gli astronauti decidono di disattivarlo, il computer, impaurito, tenta di eliminare l'intero equipaggio. Questa, per il momento, è solo fantascienza (e speriamo che resti tale).

Anche l’atteggiamento di noi umani è importante, come dimostra il caso di ELIZA. Nel 1966 J. Weizenbaum programmò questo Chatterbot (software che simula una conversazione con un essere umano), che fa la parodia di un terapeuta Rogersiano: risponde al paziente con domande ottenute riformulando affermazioni del paziente stesso. All’epoca (ovviamente) avveniva tutto tramite schermo e tastiera. Un esempio:


Paziente > Beh, il mio ragazzo mi ha fatto venire qui.

ELIZA > Il tuo ragazzo ti ha fatto venire qui?

Paziente > Dice che sono depressa per la maggior parte del tempo.

ELIZA > Mi dispiace sentire che sei depressa.

Paziente > è vero. Sono triste.

ELIZA > Credi che venire qui ti aiuterà a non essere infelice?

…


Talvolta la cosa risultava tanto convincente che (si dice che) la stessa segretaria di Weizenbaum gli chiese di lasciare la stanza per poter parlare con ELIZA. Date queste premesse, mi raccomando: non date confidenza al tostapane e siate educati con l’aspirapolvere!


Se una cosa puzza, non metterci il naso

L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2022

Un proverbio turco recita “se una cosa puzza, non metterci il naso”; tenetevi quindi lontani dall’aro titano, il fiore più puzzolente del mondo. E’ una pianta endemica dell'isola di Sumatra, il cui odore è simile a quello di una carcassa in decomposizione, tanto che è chiamato "fiore cadavere". Si tratta di una pianta perenne, che può raggiungere i 3 metri di altezza e somiglia a un gigantesco fallo. Durante la fioritura, che (per fortuna!?) dura solo 3-4 giorni, emana un odore che ricorda la carne in decomposizione, e attira così gli insetti che mangiano carogne. In questo lo aiutano il colore rosso intenso e la consistenza, che contribuiscono all'illusione che si tratti di un pezzo di carne. Di più: durante la fioritura assume una temperatura simile a quella del corpo umano, il che aiuta a volatilizzarne l’odore. La fioritura avviene raramente; per questo è un evento la fiorutura avvenuta agli inizi di novembre 2021 al San Diego Botanic Gardens, che si può osservare in time lapse cliccando su questo link video.corriere.it. (la tecnologia attuale non consente di trasmettere l’odore, ma in questo caso ciò potrebbe essere un vantaggio).

Non è detto però che ciò che è sgradito in certi casi non possa invece essere apprezzato altrove, come i formaggi puzzolenti (Vieux Boulogne, Roquefort, Camembert, Taleggio, Puzzone di Moena, Marcetto Teramano e tanti altri). Qualcuno si è addirittura preso la briga di cercare i cibi più puzzolenti del mondo. Uno dei più famosi è il durian, frutto considerato una prelibatezza in gran parte del sud-est asiatico, e una porcheria nel resto del mondo. La lista è comunque lunga: si va dall’ Hàkarl (carne fermentata di squalo della Groenlandia) allo Stinky tofu (cagliata di soia fermentata), all’Uovo Millenario (un uovo che viene sepolto in una pasta di argilla e sale, poi arrotolato nel riso e lasciato a riposare per tre-cinque anni), al Nattō (semi di soia fermentati), alla Jatobà (frutto dell'albero delle locuste). La lista sarebbe ancora molto lunga…

C’è poi chi ha pensato di sviluppare armi basate sulla puzza: nel 1998 la psicologa Pamela Dalton fu incaricata dal dipartimento della Difesa americano di sviluppare una bomba puzzolente. Riuscì a sviluppare una “puzza universale”: una sostanza chiamata U.S. Government  Standard Bathroom Malodor, che

emana una puzza simile a quella delle latrine dell’esercito statunitense, ma molto più forte. Lo chiamò “Stench Soup”: zuppa di puzza.

Sfumature di falso

L'INCONTRO - Luglio-Agosto 2022

Le applicazioni di messaggistica si sono aggiunte alle “tradizionali” e-mail per affossare la posta cartacea. Come il petrolio e il motore a scoppio hanno fatto sparire cavalli, maniscalchi e cocchieri, così in poco tempo abbiamo archiviato un altro insieme di usi e abitudini: sembrano (sono?) ormai remotissimi i tempi in cui si usava la posta tradizionale. Per questo motivo la storia dei «Falsari Riuniti» sembra ancora più remota. Era il 1989 quando tre ragazzi napoletani inventarono per divertimento il loro primo finto francobollo, che celebrava la «doccia nel mondo». Il salto di qualità ci fu però nella primavera del ’90, quando affrancarono una cartolina con un loro “falsobollo”, e la cartolina fu regolarmente recapitata! Visto il successo continuarono per alcuni anni, emettendo francobolli divertentissimi.[1]

Un’altra vicenda curiosa è quella dei falsi di Modigliani. Secondo una diceria, Amedeo Modigliani in un momento di rabbia avrebbe gettato in un fossato di Livorno alcune sue sculture. Nel 1984 si decise di dragare il fossato, e vennero ritrovate tre teste scolpite; i critici d'arte ebbero pareri discordi: mentre Federico Zeri negò subito l'attribuzione, altri furono tratti in inganno. Un mese dopo il ritrovamento, tre studenti universitari livornesi svelarono ad un settimanale di essere loro gli autori di una delle teste, e ne portarono anche una prova fotografica. In seguito anche l’autore delle altre due teste uscì allo scoperto, portando a riprova addirittura un filmato.

Un falso risalente all’800 è invece quello che viene presentato come un estratto del “Regolamento da impiegare a bordo dei legni e dei bastimenti della Real Marina del Regno delle Due Sicilie del 1841”; in questo testo viene riportato il comando “Facite ammuina” (Fate confusione), “da usare in occasione di visite a bordo dell'Alta Autorità del Regno”. Quando viene dato questo ordine, “…quelli che stanno a prua vadano a poppa e viceversa; quelli a sinistra vadano a destra e viceversa; quelli sottocoperta salgano, e quelli sul ponte scendano, passando tutti per lo stesso boccaporto…” Ora: il regolamento vero aveva un’altra intestazione, i cognomi degli ufficiali che lo avrebbero firmato sono inventati, il grado di uno dei due non è mai esistito e il regolamento originario era scritto in italiano. Se ciò non bastasse, magari si può considerare l’assurdità logica di un ordine di questo tipo, codificato ufficialmente e per iscritto in un documento ufficiale da un’autorità dello stesso Stato i cui esponenti dovevano essere ingannati.


[1] Vedi https://www.facebook.com/FALSARI-RIUNITI-i-falsobolli-e-la-leggenda-della-beffa-alle-poste-163598300395748

Ricordatevi di ricordare

L'INCONTRO - Luglio-Agosto 2022

Nel Fedro, dialogo scritto da Platone intorno al 370 a.C., è riportato il mito secondo cui Theuth, dio della luna, sottopose al re egizio Thamus alcune invenzioni che potevano essere utili per il suo popolo. Propose anche la scrittura, dicendo «Questa conoscenza, o re, renderà gli egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è ritrovato il farmaco della memoria e della sapienza».

Il re però cercò di declinare, dicendo (tra l’altro) che «la scoperta della scrittura avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché fidandosi della scrittura si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi».

Infatti nelle società prive di scrittura la trasmissione del sapere avveniva oralmente, tramite canti da imparare a memoria. La scrittura ha ridotto la necessità di memorizzare brani, e il fenomeno si è amplificato dopo la rivolta del ’68 contro il nozionismo. Quando iniziai io il liceo, verso il 1972, non era più richiesta la memorizzazione di brani classici. Accadde però che don Paradies, il mio professore di italiano, spiegando Dante, si chiese se qualcuno di noi studenti avesse, di sua spontanea volontà, imparato qualche brano. Ora, l’idea di imparare spontaneamente a memoria qualcosa non mi era mai passata per la testa (e ora me ne pento); in compenso mia madre mi aveva spesso ripetuto, in forma parodistica, alcuni versi del sonetto “Tanto gentile e tanto onesta pare”(Dante Alighieri, XXVI capitolo della Vita Nova[1]): grazie all’intonazione, il “pare = appare, si manifesta” suonava come un “pare = sembra, ma non è”. Iniziai quindi a declamare il sonetto, rendendomi conto però che, mentre sapevo le prime due strofe, la terza la ricordavo approssimativamente e la quarta si perdeva nel buio. Quindi, man mano che proseguivo, la mia voce si abbassava; per fortuna, però, don Paradies, esaltato dalla cosa, iniziò a recitare anche lui i versi, con voce sempre più alta: l’ultima strofa la recitò da solo. Grazie a questa concatenazione di eventi ebbi un buon voto e mi guadagnai, meritatamente, la cordiale antipatia di tutti i miei compagni di classe.

L’interconnessione via web e la diffusione capillare degli smartphone sono altri elementi che vanno nella stessa direzione indicata da Thamus: da un lato ci rendono facilmente accessibile una quantità inimmaginabile di informazioni; dall’altro possono portare a un sapere sempre più “superficiale”.


[1 ] https://it.wikipedia.org/wiki/Tanto_gentile_e_tanto_onesta_pare

Cogno-intellectual storytelling: un approccio resiliente all’eccellenza

L'INCONTRO - Maggio-Giugno 2022

Molti ricorderanno Dario Fo o Gigi Proietti mentre si esibiscono in discorsi fatti di suoni, onomatopee, parole e fonemi privi di significato: in sintesi, nel grammelot (dal francese grommeler = borbottare). Questo modo di recitare era utilizzato dagli attori comici della commedia dell'arte: senza conoscere la lingua locale potevano così farsi capire anche in paesi stranieri. Il grammelot vanta una lunga storia, e si possono citare parecchi altri esempi, come l’uso del grammelot da parte di Charlie Chaplin nel film Tempi moderni (la canzone “Titine”, si veda https://www.youtube.com/watch?v=Zqd1ar5_7qw) e per il discorso di Adenoid Hynkel ne Il grande dittatore. Così anche Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano, che sembra una canzone in inglese, e il modo di esprimersi della Linea, personaggio di animazione protagonista di un famoso Carosello, sono tutte espressioni in grammelot.

Se il grammelot serve per farsi capire anche senza conoscere la lingua, il caso antitetico è quello della supercazzola: qui l’obiettivo è non farsi capire, pur utilizzando la lingua. Si tratta di una modalità espressiva resa famosa dal film Amici miei di Mario Monicelli (1975). Stando allo stesso Monicelli, la gag era una trovata del cabarettista Marcello Casco, mentre il vocabolo originario sembra che fosse “supercàzzora”, e fu inventato da Corrado Lojacono (un esempio: https://www.youtube.com/watch?v=IoEK2Z3-JH8). Anche per la supercazzola gli esempi possibili sono numerosi; citiamo qui il comico Salvatore Marino, che si produce in servizi giornalistici apparentemente in Italiano, privi di significato.

Spesso si sentono poi discorsi appartenenti a una categoria intermedia, che non sono necessariamente conseguenza di intenzioni truffaldine: si può andare dal desiderio di nobilitare l’eloquio (Rino Gaetano citava “mi sia consentito dire” e “nella misura in cui”; aggiungerei per esempio “ringrazio per l’opportunità” e “piuttosto che”) all’uso improprio di gergo pseudo-tecnico (“ingegnerizzare”, “è nel nostro DNA”). Per non parlare poi dei discorsi in itanglese, che derivano dal corporate speak (o aziendalese), il gergo usato nelle aziende per rendere più interessanti concetti banali o per mascherare concetti sgradevoli. Si tratta comunque di fenomeni diffusi, tanto che hanno dato origine a scherzose prese in giro, come il “bullshit bingo“: i partecipanti sono dotati di cartelle da tombola su cui sono  riportate parole vuote, frasi fatte e luoghi comuni. Mentre partecipano a una riunione lavorativa, i giocatori cancellano le parole che ascoltano; vince chi prima sente pronunciare tutte le parole della propria cartella (si veda ad esempio https://www.paroledimanagement.it/il-bingo-delle-cazzate-e-la-ricerca-dellautenticita/). 

La macchina del tempo che abbiamo tra le orecchie

L'INCONTRO - Maggio-Giugno 2022

Il film “L’uomo che visse nel futuro” (di George Pal, 1960) è tratto dal romanzo “La macchina del tempo”, di H. G. Wells (1895). Il protagonista ha inventato una macchina che gli consente di viaggiare nel tempo; nella trasposizione cinematografica il fatto che il tempo stia passando velocemente è reso tramite un manichino esposto in una vetrina, che cambia rapidamente gli abiti (una sorta di time-lapse). Un artifizio simile si ritrova nel romanzo “Flatlandia: Racconto fantastico a più dimensioni” (di Edwin Abbott Abbott, 1884): in un mondo geometrico bidimensionale, tra gli altri enti geometrici (punti, segmenti, poligoni) si manifesta un cerchio che varia di diametro. Ebbene, si tratta di una sfera che sta attraversando il piano, che viene percepita in questo modo in due dimensioni.     

Un altro tipo di “viaggio” nel tempo è quello descritto ad esempio in “Ho fatto splash” (di Maurizio Nichetti, 1980): nel 1958 un bambino, Maurizio, si addormenta mentre i suoi familiari assistono a Canzonissima, per risvegliarsi venti anni dopo, oramai adulto. Analogamente, nella terza stagione della trasmissione Avanzi (di Rai 3), il comico Antonello Fassari interpretava il compagno Antonio: un comunista caduto in coma negli anni settanta e risvegliatosi nel 1993, profondamente avvilito perché del mondo che conosceva non era rimasto quasi nulla.

Questi sono esempi di viaggi o balzi immaginari nel tempo, che ci sembrano impossibili. In realtà forse non è così. Da appassionato dei programmi di Rai Storia seguo assiduamente tutti i documentari, e non posso evitare un senso di straniamento quando vedo filmati dagli anni ’60 in poi: era un mondo completamente diverso, e io c’ero gia! E molte cose le ricordo:

  • La contestazione, le rivendicazioni sindacali, gli “anni di piombo” e il “riflusso”, seguiti poi da “Mani pulite”, la “seconda repubblica”, l’adozione dell’euro e l’adesione all’Unione Europea;

  • La televisione in bianco e nero, con due soli canali e la programmazione che iniziava alle 12 e terminava alle 24;

  • Lo sviluppo enorme e pervasivo della elettronica di consumo, la telefonia e il web;

  • e tanto altro…

Si tratta di tutte cose che io ho, più o meno, ho seguito “in diretta”, ma che, riviste in documentario, sembrano remotissime; inoltre sono poste tutte sullo stesso piano. Non c’è da meravigliarsi che ai miei figli sembra che si tratti di preistoria (e mi trattino di conseguenza).

Questioni di priorità

(Attenzione: è richiesta la partecipazione attiva del lettore)

L'INCONTRO - Marzo-Aprile 2022

Il Male è stata una delle più importanti riviste satiriche italiane. Nato nel 1977, raggiunse l’apice nelle vendite con i famosi falsi dei quotidiani: false prime pagine dei giornali, identiche agli originali per l’impaginazione e la grafica, ma con sconvolgenti notizie false e ridicole. La beffa più famosa è quella in cui si diede notizia dell'arresto dell’attore Ugo Tognazzi perché capo delle Brigate Rosse. False prime pagine di diversi quotidiani riportavano le foto di Tognazzi ammanettato e scortato dai carabinieri. Un’altra una finta prima pagina de La Repubblica  annunciò lo scoppio della “Terza Guerra Mondiale”, con “l’Italia che nicchia”, si leggeva in piccolo,  “tenendo fede alla propria fama”. 

All’epoca, un mio amico tornò a casa proprio con questo giornale in bella evidenza, curioso di vedere le reazioni dei familiari. Quando entrò in casa, sua mamma, che era al telefono con un’amica, visto il titolo esclamò “Oddio! Come faremo?”; poi però riprese a chiacchierare normalmente. Evidentemente lo scoppio di un conflitto mondiale era sì preoccupante, ma fino a un certo punto.

Questo episodio è indicativo del fatto che le nostre priorità differiscono da quelle altrui, e questo complica le interazioni tra le persone e la comprensione degli eventi.

Un altro esempio. Mio padre, che era professore di Matematica e Fisica, morì quando avevo poco più di 4 anni. Quando, dopo altri quindici anni, mi iscrissi alla facoltà di Ingegneria, andai a frugare tra i suoi libri, cercando testi scientifici universitari; ebbene, trovai solo libri (nuovi o intonsi) per scuole medie superiori o istituti tecnici. Questo strano fatto mi lasciò perplesso per parecchio tempo, fin quando non venni a sapere da mia madre che, alla morte di mio padre, mia nonna aveva fatto “pulizia”: aveva mantenuto solo i libri più nuovi, e aveva buttato via i libri più consumati e usati (che ovviamente sarebbero stati i più interessanti dal mio punto di vista).

Possiamo finire con un ipotetico dialogo illustrativo, che può essere personalizzato dal lettore.

Un figlio dice alla mamma:

(si scelga una frase fra le seguenti o se ne metta una a propria scelta)

• Ho perso il lavoro

• Mi drogo

• Mia moglie mi ha lasciato

• Sono ricercato dalla polizia

• …


La mamma risponde:

“Povero figlio mio, mi dispiace! Hai mangiato...


(si scelga una pietanza fra le seguenti o se ne metta una a propria scelta)


• i peperoni 

• la lasagna

• il polpettone

• la parmigiana di melanzane

• …


...che ti ho preparato?”

L’eterno Fantozzi

L'INCONTRO - Marzo-Aprile 2022

Nel 1974-75, in Siria, l'archeologo Paolo Matthiae fece una scoperta eccezionale: 1.800 tavolette di argilla intere e circa 5000 frammenti. Erano gli archivi del palazzo reale dell'antica città di Ebla, risalenti a un periodo compreso tra il 2500 a.C. e l’incendio della città, nel 2250 a.C. circa. Sono tavolette scritte in caratteri cuneiformi; si tratta di documenti economici e burocratici, testi rituali e letterari.

L’incendio distrusse il palazzo e contribuì alla conservazione delle tavolette: la scaffalatura bruciò e crollò preservandone l'ordine, mentre le tavolette subivano un processo di cottura. Negli scaffali di legno erano poste con la parte anteriore rivolta verso l'esterno, ed erano piegate all'indietro ad angolo, in modo che l'incipit di ciascuna tavoletta potesse essere visto a colpo d'occhio. Si tratta del più antico archivio di documenti che ci è pervenuto: la burocrazia e la “vita d’ufficio” risalgono a tempi immemorabili. La riflessione sulle diverse possibili forme organizzative è invece più recente, ed ha “solo” qualche secolo; ancora più giovane è la riflessione sulle dinamiche psicologiche e sociali all’interno degli uffici, spesso presentate in modo scherzoso. Si hanno così delle “leggi” che fanno sorridere, ma inducono alla riflessione:

Legge di Parkinson

«Il lavoro si espande fino ad occupare tutto il tempo disponibile; più è il tempo e più il lavoro sembra importante e impegnativo.» (Cyril Northcote Parkinson, 1955)

Come conseguenza, una organizzazione cresce indipendentemente dalla quantità di lavoro da svolgere; ovvero "più tempo a disposizione si avrà, più se ne sprecherà".

Principio di Peter (principio di incompetenza)

«In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza» (Laurence J. Peter, 1969)

Secondo questo principio, i membri della gerarchia, che dimostrano buone capacità nella posizione in cui si trovano, vengono promossi. Questo processo prosegue, e si arresta solo quando i promossi arrivano a un livello per cui sono incompetenti.

Dal principio discendono due corollari:

«Con il tempo, ogni posizione lavorativa tende a essere occupata da un impiegato che non ha la competenza adatta.»

«Tutto il lavoro viene svolto da quegli impiegati che non hanno ancora raggiunto il proprio livello di incompetenza.»

Il principio di Peter fu perfino “validato” matematicamente:  nel 2009 tre ricercatori italiani realizzarono un programma che simulava il comportamento di una organizzazione gerarchica.[1] Risultò che il meccanismo individuato da Peter porta a una rapida diminuzione dell'efficienza, mentre andrebbe meglio se le promozioni fossero effettuate a caso. Coerentemente con lo spirito giocoso dell’argomento, l’articolo che descriveva questi risultati ricevette il premio Ig Nobel nel 2010.


[1] A.Pluchino, A.Rapisarda, C.Garofalo,  The Peter Principle Revisited: A Computational Study, arXiv:0907.0455 (2009)

Strangolato con un doppio legame

L'INCONTRO - Gennaio-Febbraio 2022

   

In un recente articolo alcuni ricercatori della Australian National University hanno realizzato l'idrocarburo aciclico più ricco di doppi legami finora sintetizzato: il tetravinilallene[1]. E’ un composto che, pur avendo solo undici atomi di carbonio, racchiude ben sei doppi legami covalenti; grazie a questa caratteristica il nuovo composto può essere impiegato come reagente per ottenere prodotti complessi con pochi passaggi. Infatti i doppi legami presentano una maggiore reattività rispetto ai legami semplici. E pensare che uno dei chimici che individuò la struttura del doppio legame, Aleksandr Michajlovič Butlerov (1828-1886), fu inizialmente scoraggiato dall’intraprendere gli studi di chimica! Infatti, quando aveva circa 15 anni, un suo esperimento causò un’esplosione a scuola, e per questo fu esposto a mensa, di fronte ai suoi compagni, con un cartello al collo: “Il grande chimico”. (per fortuna i tempi e i metodi educativi sono molto cambiati…)

Fino a qualche anno fa l’unico doppio legame che conoscevo era quello chimico; ho poi scoperto che anche in psicologia esiste un doppio legame. Si tratta di un concetto elaborato da Gregory Bateson, che indica una situazione in cui la comunicazione tra due individui presenta una incongruenza, che finisce per “intrappolare” il destinatario del messaggio: gli vengono fatte contemporaneamente delle richieste antitetiche. Bateson ipotizzò che il doppio legame potesse essere presente in contesti schizofrenogeni, ma anche che potesse essere usato in psicoterapia, per sbloccare alcune situazioni in cui lo schizofrenico precipita spesso. Una versione scherzosa del doppio legame fu fornita poi da Moni Ovadia nello spettacolo “Oylem Goylem”, con una storiella, che qui parafraso, sulla “Yiddishe Mame” (mamma yiddish):

Una Yiddishe Mame regala al figlio, nel giorno del suo compleanno, due cravatte, una rossa e una blu, scelte con vero amore materno. Visto che tutte le domeniche lui va in visita dalla mamma, la domenica successiva indossa la cravatta blu, per mostrare che ha apprezzato il regalo. Ma, appena varca la soglia, la mamma lo apostrofa: “Cosa aveva la cravatta rossa che non andava?”

Ovviamente il poveretto ci rimane male. La settimana successiva, alla luce dell’esperienza, si presenta con entrambe le cravatte annodate insieme; appena aperta la porta, la mamma fa una smorfia e gli dice: “Te lo avevo detto di non sposare quella mentecatta! Guarda come ti ha ridotto! Ti sta facendo diventare scemo!”



[1] C. Elgindy, J. S. Ward and M. S. Sherburn, Angewandte Chemie International Edition, Volume 58, Issue 41 p. 14573-14577

Effetto Nerone

L'INCONTRO - Gennaio-Febbraio 2022

   

Nerone, imperatore di Roma dal 54 al 68, fu probabilmente un imperatore simile agli altri; ci sono però pervenuti solo scritti di suoi avversari politici, che ce lo fanno ricordare come colui che incendiò Roma e che faceva altre stranezze. In particolare, odiava perdere: si narra che abbia partecipato personalmente alle olimpiadi del 67 d.C., vincendo diverse gare grazie a giurie compiacenti. In una competizione fu sbalzato fuori mentre guidava il cocchio. Gli avversari, terrorizzati, si fermarono, attesero che l'imperatore risalisse, e (ovviamente) lo fecero vincere.

In fin dei conti, non fu poi una cosa così grave: non sempre il desiderio di compiacere il potere si risolve senza vittime. La storia è piena di casi istruttivi:

* Il Vasa fu costruito a Stoccolma nel 1628 per il re Gustavo II Adolfo, che impose l'aggiunta di un secondo ponte di cannoni. La nave fu poi dichiarata pronta, nonostante che nella prova di stabilità avesse iniziato a oscillare troppo. Inoltre, per l’inaugurazione, era appesantita da arredi, e il livello dell’acqua era vicino ai portelli. Nel viaggio inaugurale il vento la fece inclinare, e la nave affondò, causando la morte di almeno 40 persone.

* In URSS il maresciallo Nedelin aveva l’obiettivo di effettuare il lancio dal Cosmodromo di Bayqoñyr dell'R-16, un missile a due stadi, entro il 25 ottobre 1960 (anniversario della rivoluzione sovietica). Ora, i componenti del carburante si accendevano appena entravano in contatto tra loro: bisognava adottare precauzioni estreme. Rifornito il prototipo, però, i motori non si avviarono; Nedelin decise allora di operare direttamente sul missile pieno di carburante: fece portare una scrivania a venti metri dalla rampa, e si violò ogni norma di sicurezza. Il 24 ottobre, mentre i lavori continuavano, i motori del secondo stadio si accesero incidentalmente, incendiando il primo stadio. L'esplosione che ne seguì incenerì coloro che lavoravano intorno al vettore; le vittime (tra cui lo stesso Nedelin) furono circa ottanta.

* Negli Anni 80 i voli dello Shuttle si susseguivano, e c'era pressione per fare presto. Si decise di lanciare il «Challenger» il 28 gennaio 1986, in una mattinata molto fredda. Già si sapeva che gli o-ring, che sigillavano i segmenti dei razzi vettori, avrebbero potuto essere danneggiati dal gelo, ma le obiezioni della società costruttrice furono trascurate. Subito dopo l'accensione dei razzi una guarnizione del razzo iniziò a perdere, e poco dopo il lancio il sistema si sfasciò, facendo morire 7 astronauti. …

La perfezione è del nostro mondo

L'INCONTRO - Novembre-Dicembre 2021

   

Nel dare le dimissioni dal Friar's Club di Hollywood, Groucho Marx disse:

“Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me.”

Questa battuta ci offre lo spunto per una riflessione sulla nostra percezione di noi stessi. Conviviamo con noi stessi dalla nascita, e dovremmo quindi conoscerci, nel bene e nel male; ma in tutto questo si configura un conflitto di interessi: è un processo in cui siamo contemporaneamente imputati, testimoni e giudici. Per fortuna millenni di evoluzione hanno portato allo sviluppo di una serie di meccanismi che ci aiutano. Il cervello cerca continuamente di organizzare e dare un senso a tutti gli impulsi che riceve: è sua quella petulante “vocina” interna, che parla in continuazione e ci racconta una meravigliosa avventura, in cui giganteggia la nostra eroica figura. Quando proprio non trova qualcosa di positivo, ricorre a tutte le scuse possibili, o “butta a dimenticare”. In questo è aiutato da meccanismi psicologici, o bias cognitivi: possiamo ad esempio citare la percezione selettiva, meccanismo in base al quale ignoriamo e dimentichiamo rapidamente le informazioni che contraddicono le nostre opinioni e le nostre convinzioni; o il pregiudizio di conferma, in base al quale tendiamo a dare maggior peso alle informazioni che confermano i nostri pregiudizi e le nostre convinzioni, che alle altre. Un altro caso interessante è quello del bias del commitment, in base al quale tendiamo a sostenere le nostre decisioni passate, che ci sono costate impegno. E’ questo per esempio il motivo per cui, quando per errore prendiamo da un distributore uno snack che non desideravamo, poi ce lo mangiamo comunque. Famoso è poi l’effetto Dunning-Kruger, per cui le persone meno competenti si sopravvalutano e tendono a imporsi. 

Altri meccanismi provvedono a “ritoccare” opportunamente il passato: nel giudicare i nostri comportamenti questionabili prendiamo in considerazione cause esterne, mentre per quelli degli altri attribuiamo la responsabilità unicamente a loro (errore di attribuzione); oppure ci attribuiamo il merito dei risultati positivi, mentre diamo la responsabilità dei risultati negativi a fattori esterni (bias di auto-attribuzione del merito).

Questo è solo un elenco parziale delle “astuzie” che ci aiutano a tirare avanti: è evidente che abbiamo una percezione enormemente sbilanciata di noi stessi. Se per un attimo avessimo la possibilità di osservarci dall’esterno e di giudicarci come ci giudicano gli altri, difficilmente troveremmo la forza per proseguire.

Il nano di Rodi

L'INCONTRO - Novembre-Dicembre 2021

   

Il Colosso di Rodi era una delle sette meraviglie del mondo antico: un'enorme statua del dio Helios, posta nel porto di Rodi in Grecia nel III secolo a.C. Era stata costruita a partire da una torre d’assedio che era stata abbandonata davanti alle mura, e fungeva da faro. La statua restò in piedi fino a che un terremoto nel 226 a.C. la fece crollare in mare. Anche adagiata sul fondo marino la statua era impressionante: Plinio il Vecchio (Naturalis historia, XXXIV) scrisse: «Il più ammirato di tutti i colossi era quello del Sole che si trovava a Rodi opera di Carete di Lindo, discepolo di Lisippo. Esso era alto 70 cubiti [circa 32 metri]. Questa statua, caduta a terra dopo sessantasei anni a causa di un terremoto, anche se a terra, costituisce tuttavia ugualmente uno spettacolo meraviglioso.»

Per avere un’idea delle dimensioni del colosso di Rodi, si può fare riferimento alla statua di San Carlo Borromeo ad Arona (NO), sul Sacro Monte di San Carlo. Finita nel 1698, presenta un’altezza complessiva (piedistallo + statua) di 35,10 m. E’ stato il monumento più alto al mondo per quasi due secoli, superato nel 1886 dalla Statua della Libertà (46 m).

Si tratta di dimensioni imponenti. Comunque, al mondo ci sono numerose statue più alte (https://it.wikipedia.org/wiki/Statue_più_alte_del_mondo). In Europa attualmente la statua più alta è quella di Pietro I a Mosca, che, con i suoi 96 m è al 7º posto tra le statue più alte del mondo. Questo monumento ha una storia curiosa: era stato concepito per celebrare Cristoforo Colombo per il 500º anniversario della scoperta dell'America, nel 1992, ma non si trovarono finanziatori. Fu allora "riciclato" dall’autore, trasformandolo in un monumento commemorativo del 300º anniversario della flotta russa: la testa di Colombo fu sostituita con quella dello zar. Probabilmente grazie anche a questo è considerata tra le statue più brutte del mondo, e la città di Mosca sta tentando di disfarsene.

La statua di Pietro I è l’unica, tra le 10 più alte, situata in Europa; tutte le altre sono in Asia. Primeggia la Statua dell'Unità, un monumento dedicato al capo del movimento d'indipendenza indiano Sardar Vallabhbhai Patel, con un'altezza di 182 m. Sempre in India,  vicino a Mumbai, è però già in costruzione una statua equestre di 212 metri, lo Shiv Smarak.

E’ evidente che, a fronte di questi colossi, quello di Rodi era un “colossino”…

Eia Eia augh

L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2021

   

Nel romanzo “Comma 22” il capitano Yossarian è un aviatore che esegue missioni di bombardamento durante la seconda guerra mondiale. Per essere esentato tenta di farsi passare per pazzo, ma si scontra con il comma 22: «Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo.» E’ una norma mai esistita, ma pare che in un paradosso simile fosse effettivamente incappato un certo Wilhelm Voigt. Nato nel 1849 in Prussia, fin dall’adolescenza visse rubacchiando, e passò parecchi anni in prigione. Uscitone nel 1906, andò a vivere a Berlino, e iniziò a lavorare come calzolaio; ma la polizia lo espulse dalla città come "indesiderabile". Secondo alcune versioni si verificò il classico schema da comma 22: non avendo un indirizzo di residenza non poteva avere un lavoro o un passaporto; non avendo un lavoro o un passaporto non poteva acquisire la residenza.

Il 16 ottobre 1906 Voigt, indossando una uniforme da capitano (comprata usata), ordinò a dieci granatieri, di ritorno da un servizio di pattuglia, di seguirlo. I soldati, abituati ad obbedire, lo seguirono, e l’improvvisato plotone si recò in treno a Köpenick. Lì Voigt occupò il municipio, fece arrestare il tesoriere e il sindaco, e confiscò circa 4000 marchi, lasciando perfino una ricevuta (firmando col nome del direttore della prigione); riuscì quindi a dileguarsi. Se l’abito non fa il monaco, si può forse quindi dire che fa il capitano!

Alla luce poi del caso Laplante-Cervo Bianco, potremmo forse anche dire che l’abito fa il pellerossa. Nato nel 1888 da madre nativa americana, Edgar Laplante iniziò presto a girare l’America con compagnie di teatro. Nel 1923 la Paramount ingaggiò la sua compagnia per promuovere un film western, in cui lui interpretava la parte di un pellerossa. Il tour pubblicitario lo condusse in Europa, dove Edgar, mascherato da pellerossa, raccontò di essere Cervo Bianco, l’ultimo di 1600 capi indiani. Quando la compagnia tornò negli States lui rimase in Europa e, spacciandosi per un vero capo indiano, riuscì a sposare una ricchissima contessa austriaca, conducendo una vita dispendiosa. Venne anche in Italia, dove ricevette la tessera ad honorem del partito nazionale fascista. A Firenze si affacciava dal balcone dell’albergo urlando “alalà”, e un cantastorie fiorentino gli dedicò uno stornello: “Fior di mughetto/Al Prence canadese il sottoscritto/ grida Eja eja alalà con gran rispetto”.

Viaggio nel futuro del passato 

L'INCONTRO - Settembre-Ottobre 2021

   

"È molto difficile fare previsioni, specialmente riguardo al futuro” (K. K. Steincke, in “Farvel og Tak”, 1948)

Proprio per la difficoltà di prevedere il futuro, risulta affascinante vedere come se lo immaginavano i nostri antenati. Può essere particolarmente interessante considerare le previsioni fatte nella Belle Époque: da un lato, nel pieno della rivoluzione industriale si aveva una sconfinata fiducia nel progresso; dall’altro, un secolo può essere una scala dei tempi abbastanza ragionevole per un confronto. Paragoniamo quindi le fantasie di Emilio Salgari (“Le meraviglie del 2000”, romanzo del 1907 ambientato nel 2003) e quelle di Jules Verne (“La giornata di un giornalista americano nel 2889”, racconto del 1889 ambientato nel 2889; “Parigi, nel xx secolo”, romanzo del 1860, ambientato nel 1960).

Gli sviluppi delle telecomunicazioni sono stati centrati bene: Salgari e Verne previdero sistemi simili alla filodiffusione, alla TV e alla radio. Entrambi gli autori previdero anche grossi sviluppi nei trasporti, e per alcuni versi la realtà ha superato la fantasia: gli aerei di Salgari avevano le ali battenti e viaggiavano alla “mirabolante” velocità di 150 km/h (la velocità media attuale dei voli di linea è 980 km/h). Un mezzo di trasporto di cui entrambi gli autori prevedevano un grande sviluppo era la ferrovia pneumatica, e qui invece non ci siamo.

Da un punto di vista energetico, non immaginavano la nostra economia fondata sugli idrocarburi: Salgari parlò di energia dal Radium (elemento chimico radioattivo scoperto nel 1898 dai coniugi Curie), mentre Verne si dimostrò più preveggente parlando di energia di origine solare, eolica, geotermica, e soprattutto della sua distribuzione a domicilio. Ovviamente entrambi gli autori previdero un enorme sviluppo delle armi; non so però quanto si possa parlare in questo caso di una previsione, alla luce di una storia millenaria piena di guerre e stragi!

Passando alle previsioni politiche e sociali, Salgari previde che la Gran Bretagna avrebbe perso le colonie (vero), che l’Italia sarebbe stata una grande potenza (era forse un auspicio) e che, a causa di terribili guerre intercorse, la guerra sarebbe stata bandita ovunque (qualcosa di simile all’”equilibrio del terrore” durante la guerra fredda). Verne previde l’abolizione degli eserciti, e che ci sarebbero stati tre grossi stati: uno latino, uno slavo e uno asiatico: qui non ci siamo proprio!

Su una cosa entrambi concordavano: il ritmo della vita sarebbe stato molto accelerato; e questo è sotto gli occhi di tutti.

I sordi non sentono

L'INCONTRO - Luglio-Agosto 2021

   

La realizzazione dei Moai, le colossali statue dell’isola di Pasqua, sembra essere stata abbandonata all'improvviso. Narra una leggenda che il segreto per la loro costruzione era detenuto da un’anziana maga, che, avendo catturato un’aragosta, la lasciò agli scalpellini, chiedendo che gliene lasciassero un pezzetto. Gli operai invece la mangiarono tutta, e la maga, arrabbiata, con un incantesimo impedì ulteriori costruzioni.

Questa leggenda rispecchia una situazione frequente: quella in cui grandi imprese innovative si arrestano per eventi legati a una singola persona. E’ questo per esempio il caso di Sergej Korolëv, progettista di razzi sovietico, conosciuto allora semplicemente come “il Capo progettista”. Raccolse successi con lo Sputnik 1 (il primo satellite artificiale), lo Sputnik 2 (con la cagnolina Laika) e la Vostok 1 (con Jurij Gagarin). La sua improvvisa morte nel 1966 fu determinante per far perdere all’Unione Sovietica la corsa verso la Luna.

Ma forse il caso più eclatante è quello di Adriano Olivetti, presidente della Olivetti nel secondo dopoguerra: grazie a lui la Olivetti divenne la principale azienda del mondo nel settore dei prodotti per ufficio, e sotto la sua direzione fu sviluppato Elea 9003, uno dei primi computer a transistor commerciali del mondo. Alla sua morte la società passò sotto il controllo di diversi azionisti, tra cui la Fiat. Vittorio Valletta, allora amministratore delegato della Fiat, disse «La Olivetti è strutturalmente solida ... Sul suo futuro pende però una minaccia…: l'essersi inserita nel settore elettronico». Questo fatto mi ricorda un aneddoto che raccontava don Nicola Paradies, mio professore al liceo:

Un magnate americano si aggiudicò ad un’asta un violino pregiatissimo. Essendo abituato a viaggiare pilotando personalmente l’aereo, imbarcò il violino e decollò. Poco dopo, però, ci fu un’avaria, e il magnate si gettò con il paracadute, portando con sé il violino. Atterrò nel mezzo del deserto, e fu attaccato da un leone. Non potendo scappare, fece un tentativo disperato: provò a placare la belva suonando. Il leone, ascoltando la musica, si accucciò come un gattino; poco dopo arrivò ruggendo una leonessa, e il magnate riuscì a calmare anche lei.

Ormai l’uomo era abbastanza confidente: quando arrivò un terzo leone,tranquillo, riprese a suonare. Il nuovo arrivato però non si fermò, e lo divorò.

Il primo leone allora, rivolgendosi alla leonessa, disse:

“Hai visto? E’ arrivato Peppe o’surdo e è ffernuto o cuncertino!”

(trad.: è arrivato Peppe il sordo ed è finita la musica)

Ottavo comandamento: non documentire

L'INCONTRO - Maggio-Giugno 2021

   

I documentari non sono riproduzioni fedeli della realtà; come qualsiasi manufatto possono presentare diverse imperfezioni. Si possono ad esempio avere delle sciatterie linguistiche, spesso derivanti da traduzioni maccheroniche: si sente parlare ad esempio di “nitrogeno” liquido (anziché “azoto”), o di possibili forme aliene di vita basate sul silicone (anziché “silicio”). A pensarci bene, questo potrebbe far pensare a nuove frontiere della chirurgia estetica…

Anche le rielaborazioni di vecchi filmati, eventualmente inserite, possono dare origine a incongruenze. Come quando pezzi originariamente in bianco e nero vengono rielaborati sbagliando i colori delle divise militari; o quando, per rappresentare l’attacco al Palazzo d’inverno di San Pietroburgo, si utilizza un brano tratto dal film muto “Ottobre” (Ėjzenštejn, 1928), ma abbinandovi il sonoro di un combattimento di film western, con rumori di cavalli e pellirossa.

Nei documentari sulla natura si ha un altro tipo di inconveniente: mentre vengono presentate lotte, uccisioni e sbranamenti, una voce pacata in sottofondo ci dice che gli animali fanno tutto questo per diffondere il proprio patrimonio genetico. Così una feroce lotta per la sopravvivenza finisce per sembrare il risultato di un’analisi costi/benefici con uno scopo cosciente. Non è escluso che in questo ci sia una componente “puritana”, legata alla volontà di giustificare con un “fine superiore” delle immagini altrimenti atroci o pruriginose.

Non si contano poi gli errori nei documentari storici, come quelli evidenziati dal professor Alessandro Barbero nei programmi di Rai Storia: l’esagerato numero di soldati napoleonici con gli occhiali, o imperatori romani (gli uomini più potenti dei loro tempi) vestiti con abiti che sembrano asciugamani. È inevitabile che, quando si fanno delle ricostruzioni storiche, alcuni particolari sfuggano; ma alcuni casi sono palesemente frutto di superficialità. Come quando, nella sua fuga verso la Svizzera, Mussolini, che per non essere catturato si era messo un cappotto della Wehrmacht e si era nascosto tra i soldati tedeschi nel fondo del pianale di un camion telonato, viene invece rappresentato tra ufficiali delle SS in una auto con la capote aperta: un vero e proprio invito alla cattura!

Alcune imperfezioni sono legate alla necessità di sintesi. Vediamo così ad esempio che Napoleone si comporta come se avesse l’obiettivo di diventare imperatore fin dall’inizio della sua carriera; o ancora vediamo Vittorio Emanuele II che da solo, in camera sua, riflette a voce alta, indossando la divisa completa di medaglie: possibile che in casa non si mettesse qualcosa di più comodo? 

Le parole sono importanti

L'INCONTRO - Marzo-Aprile 2021        

Nel film “Palombella Rossa” (1989, di Nanni Moretti) c’è un famosissimo dialogo tra il protagonista Michele e una giornalista:

Reporter: Io non lo so però senz'altro lei ha alle spalle un matrimonio a pezzi.

Michele: No, che dice?

Reporter: Forse ho toccato un argomento che non...

Michele: No, no. È l'espressione. Non è l'argomento, non è l'argomento, non è l'argomento è l'espressione: "matrimonio a pezzi" ma come parla?

Reporter: Preferisce "rapporto in crisi"? Ma è così kitsch.

Michele: "Kitsch" ma dove le andate a prendere queste espressioni? Dove le andate a prendere? [toccandosi il cuore]

Reporter: Io non sono alle prime armi.

Michele: "Alle prime armi" ma come parla? Il linguaggio è...

Reporter: Anche se il mio ambiente è molto cheap.

Michele: Il suo ambiente è molto?

Reporter: È molto cheap.

Michele [le dà uno schiaffo]: Ma come parla?

Reporter: Senta ma lei è fuori di testa!

Michele: E due. [le dà un altro schiaffo] Come parla? Come parla? Le parole sono importanti!

Più avanti, Moretti afferma: “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”. 

Sono così importanti che secondo alcuni (cfr. S. Pinker, L'Istinto del Linguaggio, 1998) il linguaggio ci contraddistingue come esseri umani. Uno strumento utile per l’analisi del linguaggio è ad esempio Google Ngram Viewer: un motore di ricerca online, che genera grafici delle frequenze di ricorrenza di parole in libri e riviste digitalizzati da Google. È possibile fare ricerche fra testi in diverse lingue, fra cui l’Italiano; a titolo di esempio, si possono cercare tra i testi italiani le parole “sciopero”, “manager” e “resilienza”:

Si vede che “sciopero” nel corso del secolo scorso ha avuto due picchi, corrispondenti a due periodi particolarmente turbolenti, mentre il vocabolo di importazione “manager” ha iniziato a diffondersi in coincidenza con la diffusione della “globalizzazione”. Il vocabolo “resilienza”, dal significato non ancora consolidato, si sta diffondendo ora, ma promette molto bene.

Un altro caso molto interessante è costituito dal vocabolo sperimentale “cogno-intellectual”, inventato per studiare la diffusione delle parole nuove. Non ha alcun significato ed è stato utilizzato per la prima volta nei mini-Annals of Improbable Research all'inizio di dicembre 1997. L’idea è che le persone usano le parole (anche senza capirne il significato) perché le trovano “raffinate”. L’esperimento è partito il 3 dicembre 1997; attualmente, cercando con Google, si ottiene che ricorre 2.250.000 volte.

Quanto era bella la miseria di una volta

L'INCONTRO - Gen-Feb 2021

Molti anni fa, durante una vacanza in Umbria, visitai un museo della civiltà contadina. E’ un tipo di museo molto diffuso in Italia, e vi sono esposte attrezzature agricole e suppellettili casalinghe recuperate da vecchie cascine e case di campagna. Sono in genere oggetti di uso comune, e la guida ne illustrava uso e funzione, descrivendo la vita quotidiana dei contadini di fine ottocento/inizio novecento. Era una vita più “integrata” e “naturale”, ma durissima: tutti gli oggetti rispecchiavano una miseria nera, una vita ai limiti della sussistenza. Mentre però le mie impressioni erano queste, i commenti degli altri visitatori erano di ben altro tenore:

“Allora sì che si stava bene !”

“Si viveva in armonia con la natura”

“Si poteva lasciare aperta la porta di casa”

Tralasciando l’ovvia considerazione che, se non c’è niente da rubare, è ovvio che le porte di casa magari si possono lasciare aperte, rimasi colpito da questi commenti: si tratta di nostalgie fasulle, che si richiamano ad un’ “età dell’oro” mai esistita. Tutti gli indicatori che possediamo sulle condizioni di vita e di salute della popolazione mondiale indicano un lento miglioramento dalla rivoluzione neolitica (X millennio a.C.) in poi. Basterebbe considerare semplicemente l’incremento esponenziale della popolazione o l’aumento della speranza di vita, resi possibili dallo sviluppo delle tecnologie e dalla disponibilità di energia a basso costo. A titolo di esempio, nel 1995 negli Stati Uniti il consumo di energia giornaliero pro capite era 270 kWh, equivalente a quello che in altri tempi sarebbe stata la disponibilità pro capite di circa 90 schiavi a tempo pieno. Tutto ciò sta comportando anche tutti i problemi ecologici che affliggono il mondo, ma questa è un’altra storia…

Da cosa deriva la nostalgia dei bei tempi andati? Nella Bibbia e nella mitologia sumera si parla del giardino dell’Eden, in cui non esistevano malattie e morte. In occidente un mito simile compare per la prima volta nel poema “Le opere e i giorni” di Esiodo, per essere poi ripreso da un’infinità di autori, tra cui Virgilio (nelle Bucoliche e nell’Eneide). Probabilmente nasce dal desiderio di spiegare la morte e il dolore: in origine eravamo felici e immortali, ma poi, per un motivo che varia da mito a mito, siamo decaduti. Il sogno dell’età dell’oro è così radicato, che i pubblicitari lo sfruttano in continuazione, vendendoci i buoni prodotti “di una volta”.

La vera leggenda scozzese   

L'INCONTRO - Nov-Dic 2020

Da bambino fui molto colpito da un film visto in TV: “Il fantasma galante” (di R. Clair, 1935). Nel film, ambientato inizialmente nella Scozia del XVIII secolo, un signorotto locale, durante una battaglia fra clan, muore senza combattere, perché distratto da una ragazza. Il suo fantasma viene quindi condannato a vagare nel castello fin quando non sarà riuscito ad umiliare un esponente della famiglia nemica. Si passa quindi al XX secolo: il castello è in rovina e l’ultimo erede lo vende al padre di una graziosa americana. Il castello viene smontato e ricostruito (reinterpretato “all’americana”) in Florida; per l’inaugurazione, il nuovo proprietario organizza una grande festa. Tra gli invitati vi è un industriale, concorrente del ricco yankee, che si dichiara di origine scozzese: si tratta dell'ultimo discendente della famiglia rivale. Compare allora subito il fantasma, che lo insegue fino a fargli implorare pietà; il fantasma può così finalmente riposare tra gli avi, mentre l'ereditiera americana e il discendente scozzese convolano a nozze.Grazie a questo film mi appassionai alla Scozia, e ai suoi aneddoti. Come quello dell’ufficiale canadese che segnalò:

"Abbiamo bisogno di rinforzi. Mandateci sei carri armati o un suonatore di cornamusa" (il suono della cornamusa esalta il valore in battaglia). O anche quello del nobile scozzese che fu ricevuto da un nobile inglese, con sfoggio di stoviglie, decorazioni e candelabri d’oro. Quando lo scozzese ricambiò la cortesia, i due cenarono alla luce di torce mantenute con il braccio teso da rappresentanti del clan (esaltazione della forza degli scozzesi, gli “uomini bruni più alti d’Europa”).

Potete capire ora la mia meraviglia quando scoprii che tutte queste “antiche tradizioni” furono inventate di sana pianta: fino a metà settecento non ce n’è traccia. Nel 1760 il poeta James MacPherson pubblicò “I Canti di Ossian”, in cui finse di aver tradotto fedelmente delle antichissime poesie di un bardo locale. L’opera era in realtà una «ricostruzione creativa», che fondò dal nulla una comunità etnica. Nel 1822 lo scrittore Walter Scott organizzò una festa in onore del re ad Edimburgo, e la cerimonia fu allestita con cornamuse, canti gaelici e kilt (gonnellini). In questo clima, la ditta tessile W. Wilson & Son capì che, sfruttando il campanilismo, poteva incrementare le vendite: era nato anche il tartan, il disegno dei tessuti che distingue ciascun clan.

N.B.: Mi scuso se con questo articolo ho demolito i miti di qualcun altro!

Quanto è buono il lupo cattivo

L'INCONTRO - Set-Ott 2020     

Le forme più antiche di “fiction” sono i miti e le fiabe, e nella versione originaria sono per lo più narrazioni di fatti atroci e crudeli. Gli autori traevano ispirazione da storie e leggende popolari, che non sembrano affatto rivolte a bambini: Biancaneve, salvata dal principe, si vendica della regina facendola danzare con delle scarpe di ferro incandescenti; la principessa de “La bella addormentata nel bosco” viene stuprata dal re e partorisce due gemelli, che la regina tenta di far mangiare al re stesso; Cenerentola spezza il collo alla matrigna; il pifferaio magico fa sparire tutti i bambini di Hamelin; la Sirenetta di Andersen muore di crepacuore quando il principe sposa un’altra; Peter Pan uccide i bambini sperduti quando diventano troppo numerosi; e così via.Come mai le fiabe “moderne” sono invece edulcorate? Pare che, almeno in parte, la cosa abbia avuto origine all’epoca della grande crisi economica del 1929, che generò paura e incertezza in tutto il mondo. Il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt cercò allora di rilanciare l'economia con il New Deal, un pacchetto di interventi economici. Anche il cinema fu chiamato a rilanciare l'ottimismo, la fiducia e i valori tradizionali. Un avvocato di Washington, William Hays, redasse un codice di autocensura. Iniziò così un controllo preventivo delle sceneggiature, che dovevano essere basate su: rispetto delle leggi; rappresentazione del male subordinata alla vittoria del bene; censura nella rappresentazione di crimine e immoralità. L’applicazione di queste regole portò a edulcorare le trame e impose l’immancabile lieto fine, che osserviamo ad esempio in tanti lungometraggi animati. Proprio la diffusione planetaria di questi film ha fatto sì che la versione più conosciuta di tante favole non sia più quella originaria, ma quella che potremmo definire “buonista” (o politicamente corretta).

Anche se il codice Hays fu abbandonato nel 1967, molte trame di cartoni animati e di film ne sembrano ancora influenzate. In molti film si è poi aggiunto un elemento “volitivo”, che lega il lieto fine all’impegno profuso dal protagonista nel perseguire i suoi obiettivi. Il messaggio sembra essere: se hai un obiettivo, ti impegni e lavori sodo, alla fine sarai premiato. Questo messaggio, che qualcuno potrebbe ricollegare all’etica protestante, mi sembra ancora più pericoloso: se non raggiungi quello che ti sei prefissato, non solo ti è andata male, ma è anche solo colpa tua! (in Campania si direbbe: sei “cornuto e mazziato!”).

Tradurre è tradire  (ma forse è meglio non esagerare)

L'INCONTRO - Lug-Ago 2020                                           

Nel dicembre 1977 il presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter pronunciò un discorso all'aeroporto di Varsavia. Questo discorso passò alla storia per le gaffe che il presidente, a causa dell’interprete, fece di fronte a un pubblico esterrefatto: l'interprete aveva una scarsa conoscenza del polacco. Alcuni esempi: -      la frase iniziale «Sono partito dagli Stati Uniti questa mattina» («I left the United States this morning») fu tradotta «Ho abbandonato gli Stati Uniti questa mattina».

-      «I wish to understand your desires for the future» (e cioè «Desidero sapere cosa desiderate per il futuro») divenne «Ho voglia di conoscere i polacchi carnalmente».

-      «Poland is the ancestral home of more than 6 million Americans» («La Polonia è la patria di origine di piùdi 6 milioni di americani») divenne «Uno Stato inoltre che rappresenta la madrepatria di 10 milioni di americani».

-      «His prediction came true» («La sua predizione si è avverata») divenne «E questo è quello che è successo».

Ovviamente il Dipartimento di Stato Americano licenziò l'interprete in tronco. Come se non bastasse, l'interprete chiamato successivamente non capiva ciò che diceva Carter, e fu sostituito, seduta stante, dall'interprete del leader polacco.

Un caso ancora più curioso si presentò a Soweto il 10 dicembre 2013, alla cerimonia di addio a Nelson Mandela. I discorsi commemorativi di Barack Obama, Raul Castro, Jabob Zuma e Ban ki-moon, vennero “tradotti” nella lingua dei segni da un interprete presente  sul palco. Peccato che l’interprete gesticolasse senza conoscere la lingua: si trattava di uno schizofrenico che, a suo dire, quel giorno iniziò a sentire voci, ad avere allucinazioni e a vedere gli angeli. Alla mancata traduzione si aggiunge quindi il rischio di uno schizofrenico potenzialmente violento a meno di un metro dal presidente degli Stati Uniti. Restano comunque alcuni esempi esilaranti della sua traduzione:

«Se minacci una donna con una pistola (e te lo dico con tutto il cuore) rischi che lei ti tagli la testa. Quindi non tirare troppo la corda: per me è meglio se vai a pescare. Se poi quattro pesci abboccano, mangiali, che fanno bene al cuore e alla vista. Se non hai il cazzo lungo così, baciare bene è fondamentale. Devi usare la testa e dimostrarle affetto, suonarle il pianoforte e affettarle il salame e pagarle la cena; oppure, come dicevamo prima, minacciarla con una pistola».

Non è mai detta l'ultima parola

L'INCONTRO - Mag-Giu 2020                                           

Un certo Richard Gibson in Louisiana ha conservato i frammenti delle sue unghie, raccolti ogni volta che le tagliava, per gli ultimi 35 anni. A prima vista la cosa sembra strana, ma ripensandoci forse è strano il fatto che non proviamo affezione per quella che, fino all’istante precedente, è stata una parte di noi stessi. Si pone la questione di quali sono i nostri confini/limiti: dove finisce il nostro corpo? Se poi consideriamo il ricambio delle cellule del corpo umano, la cosa diventa ancora più complicata. Dei ricercatori dell'Istituto Karolinska di Stoccolma hanno applicato al DNA le tecniche di datazione del carbonio 14, scoprendo che l'età media di tutte le cellule nel corpo di un adulto è compresa tra 7 e 10 anni. Ogni dieci anni tutte le nostre cellule cambiano; come si può dire che noi siamo sempre noi stessi? Magari ci possiamo raccontare che noi siamo la nostra personalità, le nostre convinzioni, i nostri pensieri, ecc.: la nostra “mente”. Ma, visto che poi nel tempo cambiamo anche idee, convinzioni e comportamenti (maturiamo?), neanche questa può essere una soluzione. Basti pensare a come il nostro giudizio su tanti personaggi storici sarebbe stato diverso se la loro vita fosse finita in data diversa. Per esempio, se Vittorio Emanuele III fosse morto immediatamente dopo la prima guerra mondiale, sarebbe ricordato come il re della Vittoria, anziché come il re delle leggi razziali.

Una questione analoga sorge nel racconto di Erodoto sull’incontro tra il saggio Solone e il re Creso, in Lidia. Dopo qualche giorno, in cui furono mostrate a Solone tutte le ricchezze di Creso, quest’ultimo gli chiese se conosceva l’uomo in assoluto più felice. Solone ribatté che un tale Tello di Atene, che aveva avuto una progenie sana e intelligente ed era morto combattendo valorosamente per la patria, era l’uomo più felice. Creso insisté, chiedendo altri casi e aspettandosi di essere citato, il che non avvenne. Allora il re si irritò e gli disse: "non mi ritieni felice?". Al che Solone rispose: ”come posso sapere se la tua è una vita felice, se non è ancora finita?”.

Come recita l’aforisma dell’allenatore di baseball Yogi Berra, "Non è finita finché non è finita": non sapremo mai chi siamo e se la nostra è stata una vita felice. Al massimo, potrà farsene un’idea chi ci sopravviverà, nell’improbabile eventualità che gli interessi.

Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare

L'INCONTRO - Mar-Apr 2020                                           

Doveva proprio essere un duro il comandante delle guardie del corpo di Diocleziano, colui che sarebbe divenuto “San” Sebastiano. Nato a Narbona nel 256, fu educato a Milano, dove fece una brillante carriera e divenne comandante della prima coorte pretoria; convertitosi poi al cristianesimo, cercò di diffonderlo. Nel 299 ad Antiochia di Siria gli imperatori Diocleziano e Massimiano presero parte a un sacrificio a scopo divinatorio; ma gli aruspici non riuscirono a leggere le viscere degli animali sacrificati, e ne diedero la colpa ai cristiani. Fu quindi ordinato che tutti i membri della corte e dell’esercito eseguissero un sacrificio purificatorio, e che fossero espulsi quelli che si rifiutavano: così Diocleziano scoprì che Sebastiano era cristiano, e lo condannò a morte. Sebastiano fu denudato, legato ad un palo e trafitto da molte frecce. E’ questo il famoso supplizio di San Sebastiano, effigiato innumerevoli volte (solo nella pinacoteca di Brera ce ne sono almeno quattro versioni). Meno noto è che quella non fu la fine di Sebastiano. Creduto morto, fu abbandonato perché le bestie lo mangiassero; ma santa Irene, che recuperò il corpo, si accorse che era ancora vivo e lo curò. Appena guarito, Sebastiano raggiunse di nuovo gli imperatori e li rimproverò per le persecuzioni contro i cristiani. Diocleziano lo fece allora flagellare a morte, e il corpo fu seppellito nelle catacombe sulla via Appia.

Questo rude soldato martire fu però raffigurato con un corpo efebico e glabro, ed era uno dei pochi nudi che potevano essere esposti in una chiesa. Emblematico è l'episodio tramandato da Giorgio Vasari ne “Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori”, relativo al pittore Fra Bartolomeo:

«[...] Laonde per prova fece in un quadro, un San Sebastiano ignudo con colorito molto alla carne simile, di dolce aria e di corrispondente bellezza alla persona parimente finito, dove infinite lode acquistò appresso agli artefici. Dicesi che, stando in chiesa per mostra questa figura, avevano trovato i frati nelle confessioni, donne che nel guardarlo avevano peccato per la leggiadria e lasciva imitazione del vivo, datagli dalla virtù di fra’ Bartolomeo; per il che levatolo di chiesa, lo misero nel capitolo [...]»

Come se non bastasse, a partire dal XIX secolo c’è stato un ulteriore sviluppo: la combinazione di fisico attraente, simbolismo fallico dato delle frecce ed espressione languida ne ha fatto una icona LGBT.

Ma perché devo andare a scuola?

L'INCONTRO - Gen-Feb 2020         

Questa è una domanda che tutti i bambini pongono ai genitori. E non è priva di senso, visto l’enorme sforzo richiesto da un’attività per molti versi “innaturale”. I genitori di solito sono abbastanza spiazzati, e farfugliano qualcosa (non sempre di senso compiuto). Una risposta tanto impiegata quanto falsa è “per trovare un buon lavoro da grande”. È falsa, perché lo studio non è direttamente e sicuramente collegabile al lavoro che poi si farà; inoltre può essere controproducente, perché si associa lo studio con qualcosa di remoto e “da grandi”, e di cui i grandi si lamentano in continuazione (non a caso, Adamo fu condannato a lavorare quando fu cacciato dal paradiso terrestre).

Nel tentativo di spiegare che lo studio serve, si cita spesso il motto “Non scholae, sed vitae discimus”, che significa: “Non impariamo per la scuola, ma per la vita”. Peccato che il detto originale fosse, al contrario, “Non vitae, sed scholae discimus”! Il detto di Seneca (Epistole a Lucilio, XVII-XVIII, 106, 12) ha il significato diametralmente opposto, perché Seneca non credeva all'utilità dell'insegnamento scolastico!

Per affrontare un compito così faticoso, sicuramente la passione aiuterebbe, ma si arriverebbe così all’imperativo assurdo “appassionati!” (qualcosa del tipo “sii spontaneo!”). Gli insegnanti si dovrebbero quindi assumere questo compito impossibile, e per questo spesso sono accusati di non saper interessare e appassionare gli studenti. Ora, a parte che non si può pretendere di avere tutto un corpo docente formato di showman, qualche dubbio ulteriore viene direttamente da docenti eccellenti. Il fisico Richard Feynman (Nobel per la Fisica nel 1965) disse: «L' insegnamento è sempre inutile, eccetto nei casi in cui è superfluo». Intendeva che l'insegnamento è utile solo quando gli allievi non ne hanno bisogno, perché sono abbastanza svegli e motivati da comprendere da soli.

Senza arrivare a questi estremi, è indubbio che un buon insegnante è importantissimo per l’apprendimento, ma comunque la cosa non può ridursi solo alla scuola. Forse bisognerebbe partire da “nuclei” di interesse (curiosità) dei figli, indirizzandoli verso le fonti sull’argomento, con la speranza che si appassionino.   

Un’ultima annotazione: la possibilità di studiare per anni e fino all’età matura è un lusso che è stato reso possibile recentemente. Per la maggior parte della storia dell’Umanità la lotta per la sopravvivenza è stata così faticosa e impegnativa, che immaginare di poter passare i primi 30 anni della vita a studiare sarebbe sembrato un lusso sardanapalesco.

La zumba e il caso

L'INCONTRO - Nov-Dic 2019    

Tutti probabilmente hanno sentito parlare della Zumba, che è un tipo di fitness musicale di gruppo creato negli anni novanta dall’istruttore colombiano Alberto "Beto" Perez. La Zumba combina i ritmi della musica afro-caraibica con esercizi fisici derivati dall'aerobica: le musiche e le coreografie divertono, facendo dimenticare lo sforzo fisico. Il nome deriva dal verbo "zumbar" (ronzare, vibrare) con riferimento alle vibrazioni che si sperimentano in tutto il corpo durante gli esercizi. Almeno 15 milioni di persone frequentano corsi settimanali di Zumba in oltre 180 paesi, e diversi personaggi famosila praticano: Madonna, Michelle Obama, Ricky Martin, Jennifer Lopez, Natalie Portman, Emma Watson e tanti altri. Un successo e una diffusione sbalorditivi, soprattutto alla luce della sua origine. Si dice infatti che Alberto Perez un giorno abbia dimenticato a casa la musica che impiegava per la lezione di aerobica e si sia ritrovato a improvvisare un genere completamente nuovo, impiegando le musicassette che aveva con sé nello zaino. 

Se l’aneddoto è vero, si tratta di un tipico caso di "effetto farfalla", e cioè di variazioni apparentemente insignificanti (la dimenticanza delle musicassette) che producono grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema (il successo e la diffusione planetaria).Forse però l’aspetto più intrigante è l’atto creativo di utilizzare le musiche disponibili per improvvisare una lezione. Questo fatto mi ricorda un episodio personale.

Alcuni anni fa partecipai ad un congresso scientifico in Norvegia, e la cena sociale fu organizzata in un centro di ricerca affacciato su un fiordo. Alla fine della cena il chairman (professore della locale Università) prese il microfono e disse che, seguendo una tradizione locale, ciascun partecipante avrebbe cantato qualcosa del suo paese d’origine. Il professore diede l’esempio, cantando un brano, e poi passò il microfono ad altri partecipanti. I gruppi del nord Europa, abituati a cantare in coro nei pub, se la cavarono in scioltezza. Noi del sud Europa e di altri continenti avemmo un po’ più di difficoltà, ma comunque in qualche modo ce la cavammo. Tutti comunque mantenemmo un buon ricordo della serata.

Anni dopo incontrai di nuovo il professore e rievocai l’episodio. Scoprii così l’origine della performance canora: durante la cena gli era stato comunicato che gli autobus per riaccompagnare gli ospiti erano in ritardo di due ore! Il pover’uomo si era trovato improvvisamente a dover intrattenere 250 persone per due ore, e aveva ideato l’happening. 

È proprio vero il vecchio adagio “la necessità aguzza l’ingegno”!

È molto meglio essere allegri che tristi

L'INCONTRO - Set-Ott 2019       

Nella trasmissione di RAI 2 "Quelli della notte", condotta nel 1985 da Renzo Arbore, tra i tanti comici c'era anche Massimo Catalano (1936 –2013), che dispensava perle di saggezza:

È meglio innamorarsi di una donna bella, intelligente e ricca anziché di un mostro, cretino e senza una lira.

È meglio lavorare poco e fare tante vacanze, piuttosto che lavorare molto e fare poche vacanze.

È molto meglio essere giovani, belli, ricchi e in buona salute, piuttosto che essere vecchi, brutti, poveri e malati.

Se uno lavora molto, si stanca parecchio. Chi lavora poco, viceversa, secondo me, si stanca molto meno.

Cari ragazzi, è meglio essere promossi a giugno, che bocciati a settembre!

Se ti innamori è molto meglio innamorarsi di una persona che ti ama, anziché di una che non ti vede proprio.

 

Ci si riferisce ad affermazioni come queste come a "verità lapalissiane".L'aggettivo lapalissiano ha origine da un episodio dell'assedio di Pavia (1525). I soldati agli ordini del maresciallo Jacques de La Palice, morto nell'assedio della città, per rendere onore al coraggio del loro comandante composero una canzone che recitava  

( originale )                                                                              ( traduzione)

Hélas ! la Palice est mort                                                  Ahimè! La Palice è morto,

il est mort devant Pavie ;                                                     è morto davanti a Pavia;

Hélas !s'il n'estoit pas mort,                                               Ahimè! se non fosse morto,

il feroit encore envie.                                                           farebbe ancora invidia.

 

Ora, Il sostantivo "envie" (invidia) e l'espressione "en vie" (in vita) in francese hanno lo stesso suono; inoltre all'epoca c'era un'ambiguità grafica tra s e f. Per questo motivo il testo fu stravolto e l'ultimo verso divenne:

 

il seroit encore en vie.                                                         sarebbe ancora in vita.

 

Una versione moderna della strofa recita invece "un quart d'heure avant sa mort il était encore en vie" ("un quarto d'ora prima della sua morte egli era ancora in vita").Questo testo fu riscoperto più di un secolo dopo da Bernard de La Monnoye, che compose una canzoncina ove aggiunse altre strofe a quella originaria. Nel XIX secolo Edmond de Goncourt coniò il termine lapalissade per indicare un'affermazione ovvia. Si arrivò poi al secolo scorso, con la canzone "Monsieur de La Palisse"di Henri Salvador.

Paradossale destino quello del nobile maresciallo di Francia: magari pensava di rimanere nella storia per il suo valore bellico e invece è associato a proposizioni scontate e ridicole!

Dov'è Figaro

L'INCONTRO - Lug-Ago 2019                                           

Nella famosissima opera Il barbiere di Sivigliail protagonista, il barbiere Figaro, dà queste indicazioni:

 ... / La bottega? non si sbaglia, / guardi bene: eccola là. / (additando fra le quinte) / Numero quindici a mano manca, / quattro gradini, facciata bianca, /

cinque parrucche nella vetrina, / sopra un cartello «Pomata fina», / mostra in azzurro alla moderna, / v'è per insegna una lanterna / ...

(Il barbiere di Siviglia, opera buffa in due atti, musica di Gioachino Rossini, libretto di Cesare Sterbini, 1816 - atto primo, scena quarta)

Quindi la bottega del barbiere viene identificata grazie a delle parrucche nella vetrina e ad una lanterna. Spesso invece si vede, soprattutto nei film statunitensi, il classico "palo del barbiere", e cioè un’asta rotante, dipinta con una spirale di strisce bianche e rosse,o bianche, rosse e blu. Le origini di questa insegna risalgono addirittura al Medioevo.

In origine i sacerdoti curavano anche i malati e eseguivano piccole operazioni chirurgiche. Tra il XII e il XIII secolo venne però loro proibito di praticare la medicina, e furono sostituiti dai barbieri:oltre a tagliare barbe e capelli, i barbieri finirono anche per incidere gli ascessi e estrarre i denti cariati. Ma il servizio più importante che prestavano era il salasso, una pratica medica allora molto usata. Avvenne così che, per farsi pubblicità, nella Londra medioevale i barbieri esponevano alla finestra dei grandi boccali ripieni del sangue dei clienti.La cosa, che oggi ci appare ripugnante, evidentemente neanche allora doveva essere eccessivamente apprezzata, tanto che nel 1307 a Londra venne proibita. Fu così che la corporazione dei barbieri iniziò ad usare come simbolo il palo a strisce.L’asta rimandava al palo che veniva dato da stringere al paziente durante il salasso, per far sì che il braccio restasse orizzontale e le vene risultassero bene evidenti. Il pomo in bronzo all’ estremità aveva invece la forma del vaso, in cui il sangue si raccoglieva. Le strisce rosse poi erano le garze insanguinate, avvolte intorno al palo e asciugate dal sole. Negli Stati Uniti questa insegna è molto diffusa, mail palo ha però anche una striscia blu. Alcuni sostengono che i colori indicano il sangue arterioso (rosso) e il sangue venoso (blu), ma è più probabile che ci si rifaccia al colore della bandiera americana.In genere il palo è motorizzato e rotante,e genera così un'illusione ottica: le strisce sembrano viaggiare su o giù per la lunghezza del palo, piuttosto che attorno ad esso. 

Duro come l'acqua

L'INCONTRO - Mag-Giu 2019                                           

Nella scuola primaria si insegna che esistono tre diversi stati della materia. Un solido "ha volume e forma propria", un liquido "ha volume proprio, ma assume la forma del recipiente in cui è contenuto", mentre un gas "non ha né volume né forma propri". Questa semplice classificazione risulta però inadeguata. Non c'è bisogno di ricorrere a sistemi "esotici", quali i plasmi (gas ionizzati) o sistemi quantistici per rendersi conto che la realtà è, per fortuna, molto più variegata e complessa. Basta pensare già solo alla plastilina (è un solido multiforme?), alla marmellata (è un liquido che non scorre?) o alle sabbie mobili (un solido in cui si affonda!?) per rendersene conto.

La branca della fisica che si occupa di questi sistemi "ambigui" è la Reologia (dal greco antico ῥέω, reo, ossia "scorrere"): studia come i corpi, sottoposti a forze, si deformano o scorrono. I reologi amano richiamarsi all'aforisma, attribuito in maniera apocrifa a Eraclito, Panta rhei os potamòs (in greco πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός), e cioè "tutto scorre come un fiume".

Continuando con questi richiami classici, si può citare anche il numero di Deborah, utilizzato in reologia per descrivere la fluidità di un materiale. Il nome deriva dal versetto biblico, attribuito alla profetessa Debora, "I monti si sciolgono come cera davanti all'Eterno, davanti al Signore di tutta la terra" (Salmi 97:5). Questo volendo significare che anche alcuni materiali apparentemente solidi si comportano come fluidi, se vengono osservati sufficientemente a lungo. Viceversa, in opportune condizioni un liquido può comportarsi come un solido.

Consideriamo il liquido per eccellenza: l’acqua. In certe condizioni l'acqua può comportarsi elasticamente, come un solido. Esperimenti sono stati fatti, ad esempio, filmando l'impatto di goccioline di acqua su una superficie liquida con telecamere/fotocamere capaci di registrare un numero elevatissimo di fotogrammi al secondo. Visualizzando poi il filmato al rallentatore si è visto che in alcuni casi le gocce rimbalzano, in dipendenza dall'angolo e dalla velocità dell'impatto: la superficie dell'acqua e la goccia si comportano, per pochi millisecondi, come se fossero solidi. Ma arriviamo a un’esperienza molto comune. Tutti abbiamo provato, prima o poi, a far rimbalzare un sasso sull'acqua; ebbene, la disciplina che consiste nel far rimbalzare una pietra piatta il maggior numero di volte possibile sull’acqua viene chiamata rimbalzello. L’attuale primatista mondiale, Russell Byars, nel luglio 2007 è riuscito a far rimbalzare il suo sasso per ben 51 volte, coprendo una distanza di 76 metri. Una pietra che cammina sull’acqua!

Ma quanto parlava Einstein?

L'INCONTRO - Mar-Apr 2019                                           

Nel De natura deorum (I, 5, 10) Marco Tullio Cicerone riporta che i pitagorici citavano i detti di Pitagora con la frase "Ipse dixit" (l'ha detto lui stesso): se lo ha detto una persona autorevole come lui, non c'è da discutere. Cicerone precisa però che «nelle discussioni si deve cercare non il peso dell'autorità, ma la forza degli argomenti». Non tutti però seguirono il consiglio di Cicerone: nel medioevo, il principio di autorità veniva utilizzato spesso nelle controversie filosofiche: quando si era a corto di argomenti razionali, ci si poteva sottrarre alle discussioni grazie a opportune citazioni di autorità del passato. Tra gli autori pagani più "gettonati", oltre a Pitagora, si trovava Aristotele. Trattandosi però spesso di dispute teologiche, dominava spesso l'autorità suprema, e cioè il testo della Bibbia: Dio è l'Autore per antonomasia.

Il ricorso a questo modo di argomentare (sophisma auctoritatis) per supportare le proprie tesi può facilmente degenerare. Si racconta che in un concilio, stanco di sentire citazioni a caso, un cardinale abbia detto a un confratello: « Eminenza, prenda Matteo 27: 5 e legga 'E Giuda s’allontanò e andò ad impiccarsi' , e Luca 10: 37 e legga 'Va' e anche tu fa' lo stesso' ».

Grazie all'umanesimo e al razionalismo l'autorità dei testi profani, come le opere di Aristotele, fu messa in discussione. La riforma protestante mise poi in discussione l'autorità della patristica cristiana e della Chiesa stessa. Con Cartesio e Hobbes, infine, si affermò il primato della ragione e il principio di autorità venne abbandonato. Sembrava che fosse ormai un relitto del passato, anche se tutti noi abbiamo prima o poi incontrato qualcuno che, magari per darsi un tono, ricorre a citazioni più o meno colte (e più o meno vere).

Purtroppo la pratica della citazione a supporto delle proprie tesi o delle proprie credenze ha fatto un vero e proprio salto di qualità grazie ai social network. Anziché ragionare e argomentare, si ricorre a citazioni di personaggi famosi, accompagnate da immagini o foto del "saggio". È evidente che questo modo di procedere ha potenzialmente un grande impatto: l'autore funge da testimonial per veicolare il messaggio. La cosa è così efficace e la tentazione è così forte che si assiste sempre più spesso a citazioni false, e proliferano ad esempio le citazioni di Einstein: se veramente avesse detto tutto ciò che gli è attribuito, ne dovremmo dedurre che era un logorroico sputasentenze. La tentazione è così forte che neanche io ho resistito: 

Lars Onsager, il genio incomprensibile

L'INCONTRO - Gen-Feb 2019                                           

Il "genio incompreso" è qualcuno che, avendo avuto una intuizione che precorre i tempi, non vede riconosciuti i propri meriti: la comunità scientifica fatica a accettare la nuova teoria. Albert Einstein ad esempio all'inizio fu considerato uno studente indocile e arrogante: non divenne assistente universitario, ma esaminatore di brevetti. Per nostra fortuna la cosa si risolse felicemente.

Molto peggio andò al medico ungherese Ignác Fülöp Semmelweis (1818 - 1865), dell'Ospedale di Vienna. All'epoca una terribile malattia, la "febbre puerperale", falcidiava le puerpere. Semmelweis intuì che veniva trasmessa per contatto: i medici, che effettuavano autopsie e immediatamente dopo esaminavano le partorienti, involontariamente la diffondevano. Semmelweis dispose che tutti coloro che entravano in reparto fossero obbligati a lavarsi le mani con una soluzione disinfettante, e in questo modo la mortalità calò drasticamente. Purtroppo questo successo gli attirò gelosia, invidia e risentimenti: la sua scoperta fu accettata solo dopo quarant'anni, con un enorme tributo in termini di sofferenze e morti.

Con Lars Onsager (1903 - 1976) vogliamo qui introdurre un'altra categoria: quella del "genio incomprensibile". Durante gli studi di Ingegneria Chimica a Trondheim giunse ad una correzione della teoria di Debye-Hückel sulle soluzioni elettrolitiche. Recatosi a Zurigo, dove Peter Debye insegnava, lo affrontò, dicendogli che la sua teoria era sbagliata; Debye ne fu così impressionato che lo fece diventare suo assistente. Nel 1928 si spostò alla Johns Hopkins University, per insegnare chimica alle matricole. Fu purtroppo subito evidente che, mentre era un genio della chimica fisica, aveva poco talento per l'insegnamento: fu licenziato dopo un solo semestre. Accettò allora un posto alla Brown University. Qui fu chiaro che neanche l'insegnamento in corsi più avanzati gli era congeniale, anche se stava fornendo significativi contributi alla termodinamica: sviluppò le relazioni che nel 1968 gli valsero il premio Nobel per la chimica.

Nel 1933 fu assunto dalla Yale University, e anche qui si verificò una situazione imbarazzante: era stato assunto come borsista post-dottorato, ma si scoprì che non aveva mai ricevuto un dottorato. Il brillante lavoro sottoposto a Trondheim era stato ritenuto ancora incompleto. Avrebbe potuto proporre come tesi uno degli articoli pubblicati nel frattempo; ma lui preferì proporre una nuova ricerca, che, quando fu presentata, risultò incomprensibile ai commissari di chimica e fisica. Solo quando alcuni membri del dipartimento di matematica dissero che se il dipartimento di chimica non lo avesse fatto, gli avrebbero concesso un dottorato in Matematica, la situazione si risolse. 

Quanto è piccolo il mondo!

L'INCONTRO - Nov-Dic 2018                                           

Aristotele, nel libro I della Politica, dice che l'uomo è sociale «per natura». E in effetti tutta la nostra vita è definita dalle reti sociali di cui facciamo parte. La nascita dei social network ha poi agevolato la formazione di reti sempre più estese. 

Lo studio delle reti sociali ha portato allo sviluppo della teoria "del mondo piccolo", secondo cui le reti presenti in natura sono tali che due qualunque nodi/persone possono essere collegati da un percorso costituito da un numero relativamente piccolo di collegamenti. La cosa ebbe origine da un esperimento del 1967 dello psicologo americano Stanley Milgram. Egli chiese a un gruppo di abitanti del Midwest degli U.S.A., selezionati a caso, di spedire un pacchetto a un estraneo del Massachusetts. Ciascuno conosceva il nome del destinatario, il suo impiego e la zona in cui risiedeva, ma non l'indirizzo preciso. Ciascuno dovette spedire il proprio pacchetto a un proprio conoscente, che, suo giudizio, aveva la maggiore probabilità di conoscere il destinatario. Quella persona avrebbe fatto lo stesso, e così via, fino a raggiungere il destinatario finale. Milgram si aspettava che fosse necessario almeno un centinaio di intermediari, ma invece i pacchetti impiegarono solo tra i cinque e i sette passaggi. L'esperimento fu descritto in Psychology Today e ne nacque l'espressione "sei gradi di separazione". 

Il numero dei gradi di separazione tra due persone è appunto un modo per esprimerne la distanza reciproca in una rete sociale. Nella comunità dei matematici, ad esempio, si è introdotto il numero di Erdős. Paul Erdős (1913 - 1996) pubblicò circa 1400 lavori con un gran numero di matematici diversi. Gli amici di Erdős crearono questo numero proprio come un tributo scherzoso a lui: misura la "distanza" tra una persona e Erdős, in termini di collaborazione in pubblicazioni matematiche. Per curiosità, sul sito dell'American Mathematical Society è disponibile un "calcolatore di distanza di collaborazione" che permette di calcolare il numero di Erdős.

Lo stesso concetto è stato applicato anche in altri casi. Ad esempio il numero di Bacon misura la distanza di qualsiasi attore da Kevin Bacon mediante i film in cui i due attori hanno recitato. Altri esempi sono il numero di Morphy (distanza in partite di scacchi dal campione Paul Morphy), e il numero di Shusaku (distanza in partite di go dal goista Shūsaku). Tutte queste fantasiose misure comunque finiscono per confermare l'affermazione di Aristotele: il mondo sociale è veramente piccolo!

One Riot, One Ranger

L'INCONTRO - Set-Ott 2018                                           

La serie di telefilm Walker Texas Ranger, interpretata da Chuck Norris, ha fatto conoscere anche in Italia i Ranger del Texas. La Texas Ranger Division è la più antica forza di polizia di livello statale degli Stati Uniti d'America, ed ebbe origine nella prima metà dell'Ottocento. Negli anni immediatamente successivi alla guerra d'indipendenza del Messico si erano stabilite in Texas parecchie famiglie statunitensi. Per proteggere i cittadini dagli attacchi dei nativi americani e per mantenere l’ordine pubblico, nel 1823 fu organizzato un piccolo gruppo armato, non ufficiale, per pattugliare il territorio. Proprio per questo motivo gli agenti furono chiamati “ranger”, dal verbo “to range over”, e cioè "girovagare".

Il corpo dei Texas Ranger fu istituito ufficialmente solo nel 1835, formando tre compagnie, per un totale di sessanta uomini. I Texas Ranger iniziarono occupandosi di proteggere i coloni e le frontiere texane dagli attacchi dei Nativi; parteciparono quindi alla guerra d'indipendenza del Texas (detta anche “rivoluzione texana”), appoggiando i coloni. Durante la guerra di secessione combatterono per gli stati sudisti, e per questo furono sciolti nel 1865. Nel 1870, quando il Texas tornò a essere uno stato federale, furono ricostituiti e nel 1935 il corpo divenne una divisione del Texas Department of Public Safety.

Fin dai suoi primi giorni, i Ranger erano circondati dalla mistica del vecchio West. Tra le altre cose degne di nota, si deve ai Ranger l'adozione del revolver Colt Paterson a cinque colpi (che era stato scartato dall'Esercito Americano). Su suggerimento di un Ranger, Samuel Hamilton Walker, la versione successiva di questo revolver fu la famosa pistola a sei colpi del Far West, la Walker Colt. I Ranger introdussero anche un’innovazione radicale nei combattimenti, imparando a mirare, sparare e ricaricare le armi senza scendere di sella. Questa tattica efficacissima fu poi adottata anche dalle forze armate.

Un motto apocrifo associato ai Rangers è “One Riot, One Ranger” (una sommossa, un Ranger). La frase fu coniata dal capitano dei Ranger William "Bill" McDonald, che fu inviato a Dallas nel 1896 per impedire un combattimento illegale. Era infatti stato organizzato un incontro di boxe tra i pesi massimi Pete Maher e Bob Fitzsimmons. Il sindaco di Dallas andò alla stazione a ricevere i Ranger, ma dal treno discese il solo McDonald. Il sindaco gli chiese allora dove fossero gli altri agenti. Si dice che McDonald abbia risposto: "Diavolo, non è abbastanza? C'è un solo combattimento!"

Trasporti eccezionali

L'INCONTRO - Mag-Giu 2018                                           

Caesarem vehis  (Plutarco, vita di Cesare 38)

Plutarco, nato a Cheronea il 46 o il 48 d.C. e morto a Delfi intorno al 125 d.C., fu uno scrittore e sacerdote greco, console e magistrato dell'Impero Romano. La sua opera principale è "Le vite parallele", in cui alla biografia di un personaggio greco viene accostata, generalmente, quella di un romano. L'opera riguardava 23 coppie di personaggi (una è andata perduta). Tramite questo accostamento Plutarco intendeva esaltare uomini ellenici illustri e dimostrare che i romani non erano da meno. Quasi tutte le biografie si chiudono con dei confronti, che evidenziano similitudini e divergenze tra i due personaggi. 

Un esempio è costituito dalle vite di Alessandro Magno e Giulio Cesare. In particolare, dalla vita di Cesare deriva la locuzione latina "Caesarem vehis": "stai trasportando Cesare". Si tratta della frase con la quale Cesare, durante una burrasca, esortò il capitano che pilotava la nave sulla quale si trovava, ricordandogli l'importanza del passeggero. Si usa (anche talvolta in modo scherzoso) per incoraggiare quanti lavorano per una causa ritenuta giusta e importante. 

Se però andiamo a esaminare il testo originario, abbiamo una sorpresa. Ne riportiamo di seguito la traduzione: 

Poiché il fiume contrastava il flusso del mare e l'onda che gli si contapponeva, e era respinto all'indietro con gran fragore e con vortici paurosi, era impossibile per il timoniere venirne fuori. Ordinò allora ai rematori di cambiare rotta per tornare indietro. Allora Cesare, accortosene, si fece riconoscere e, presa la mano del pilota sbigottito per la sua apparizione, disse: "Va, o coraggioso. Osa e non aver paura: tu trasporti Cesare e la Fortuna di Cesare, che naviga con lui". I marinai dimenticarono quindi la tempesta e, aggrappatisi ai remi, tentarono di far forza contro il fiume con grande tenacia. L'impresa era però impossibile, perché la nave imbarcava molta acqua alla foce e correva pericolo. Allora Cesare, a malincuore, si arrese e chiese al timoniere di tornare indietro. 

Quindi, la frase ad effetto effettivamente vuole spingere ad agire in nome di un interesse superiore (di Cesare), ma nella realtà il fiume (o la natura, o il destino) tennero ben poco conto delle aspirazioni del futuro imperatore: lo trattarono con imparziale indifferenza. Non basta chiamarsi Cesare per vincere la forza della natura!

Genrich Altshuller, l'inventore seriale - Vite parallele

L'INCONTRO - Gen-Feb 2018                                           

Dopo la laurea nel 1900, Einstein trascorse due anni frustranti alla ricerca di un lavoro da insegnante. Ottenne poi un impiego presso l'Ufficio federale della proprietà intellettuale svizzero, come esaminatore di domande di brevetto. Lui stesso definisce questo ufficio «il convento secolare dove hanno visto la luce le mie migliori idee»: nel 1905 (l' "annus mirabilis") pubblicò sul giornale "Annalen der Physik" quattro articoli che rivoluzionarono la fisica classica.

Effettivamente deve trattarsi di un ambiente molto favorevole alla riflessione, visto che sempre in un ufficio brevetti ha avuto origine un metodo altamente innovativo: il TRIZ (acronimo del russo Teoriya Resheniya Izobreatatelskikh Zadatch, traducibile in italiano come "Teoria per la Soluzione Inventiva dei Problemi"). Il suo ideatore, Genrikh S. Altshuller nacque da una famiglia di origini ebraiche a Tashkent, in Uzbekistan. Iniziò a lavorare nel 1946 come esaminatore di brevetti nel Centro Innovazione della Marina Sovietica. Lui ed i suoi colleghi analizzarono oltre 200.000 brevetti, e arrivò così alla conclusione che qualsiasi specifico problema tecnico può essere ricondotto ad un modello generale, ed i processi logici di risoluzione possono essere raggruppati in un numero finito di principi risolutivi.

In particolare Altshuller sostiene che ciascun problema tecnico rispecchia una contraddizione, dovuta al fatto che un’azione che si intraprende per migliorare un sistema da un certo punto di vista viene ad essere contrastata da un effetto contrario.  Grazie alla sua opera di categorizzazione è possibile capire quali strategie hanno adottato gli inventori per risolvere problemi simili, e procedere quindi di conseguenza: tramite la cosiddetta "matrice delle contraddizioni" si individuano i principi adottati in precedenza da altri inventori per risolvere problemi simili. In questo modo si ottengono dei suggerimenti sulle possibili soluzioni da adottare. Su questa base Altshuller costruì nel corso degli anni un insieme di strumenti per cercare soluzioni innovative ai problemi.

Mentre però Einstein nel 1921 ricevette il premio Nobel per la fisica e divenne un'icona contemporanea, simbolo del genio scientifico, ben altra sorte ebbe Altshuller. Nel 1948 scrisse una lettera indirizzata "personalmente al compagno Stalin".  Altshuller, all'epoca 22enne tenente della Marina Militare, sosteneva che l'approccio dell'Unione Sovietica alla tecnologia era caotico e ignorante e proponeva il suo metodo. Grazie a questa iniziativa, fu arrestato e condannato a venticinque anni di lavori forzati in un gulag. Solo dopo la morte di Stalin nel 1953 fu liberato e poté continuare a sviluppare e diffondere il suo metodo.

Il Nobel per l’immagine

L'INCONTRO - Nov-Dic 2017                                            

Tutti conosciamo il premio Nobel, che viene attribuito annualmente chi si è distinto nei diversi campi del sapere, «apportando benefici all'umanità». La cerimonia di consegna dei premi si tiene a Stoccolma il 10 dicembre, anniversario della morte del fondatore Alfred Nobel; i premi Nobel nelle specifiche discipline (fisica, chimica, fisiologia o medicina e letteratura) sono comunemente ritenuti tra i più prestigiosi riconoscimenti in ciascun settore del sapere. A questi premi si aggiunge il Nobel per la pace, che viene assegnato anch'esso il 10 dicembre, ma a Oslo, e la cui assegnazione ha suscitato spesso accese polemiche.

Nel 1969 a questi premi la Banca di Svezia aggiunse un premio per l’economia, da lei finanziato. Non è previsto invece un Nobel per la matematica. Il riconoscimento più importante in questo settore è la medaglia Fields, che viene però assegnata ogni 4 anni a un ricercatore avente meno di 40 anni.

Il premio Nobel consiste in una somma di denaro, ma in genere il prestigio conferito ha un impatto di molto maggior valore. I premi vengono ancora finanziati grazie agli interessi ottenuti sul capitale donato dall'industriale Alfred Nobel all’atto della istituzione del riconoscimento. Proprio l’istituzione del premio ha una storia curiosa. Alfred Nobel, nato il 21 ottobre 1833 a Stoccolma, era figlio di un imprenditore edile. Abilissimo chimico e inventore, depositò più di 300 brevetti e mise a punto diversi esplosivi; tra questi, la dinamite e la balistite. Nel 1888 suo fratello Ludvig morì improvvisamente, a causa di un'esplosione durante un esperimento. Alcuni giornali francesi equivocarono, ritenendo che l’incidente fosse avvenuto allo stesso Alfred, e riportarono:

« Le marchand de la mort est mort! Le Dr Alfred Nobel, qui fit fortune en trouvant le moyen de tuer le plus de personnes plus rapidement que jamais au paravant, est mort hier »

(Trad: Il mercante di morte è morto! Il dottor Alfred Nobel, che fece fortuna trovando il modo di uccidere quante più persone possibile e più rapidamente di quanto non si facesse prima, è morto ieri.)

Questo fatto scosse Alfred Nobel, che incominciò a riflettere sul giudizio che i posteri avrebbero formulato sulla sua opera. Con l’intento di apparire come un filantropo, e non come un inventore di strumenti di morte, destinò la maggior parte del suo patrimonio all'istituzione del premio.

L'operazione, a quanto pare, è ampiamente riuscita.

Altro che "grande fratello"! Chi ci controlla è il Grande Altro!

L'INCONTRO - Set-Ott 2017 

La psicoanalisi ha poco più di un secolo: Sigmund Freud usò il termine "psicoanalisi" per la prima volta nel 1896, per descrivere il suo metodo di ricerca e trattamento terapeutico. Ben presto il numero dei seguaci della nuova disciplina crebbe, e iniziarono anche le differenziazioni e le ramificazioni in diverse correnti.

Senza voler entrare nel merito delle teorie e della loro validità, non si può negare che comunque la psicoanalisi ha avuto (e ha tuttora) un grande impatto sulla cultura moderna, influenzando scrittori, filosofi e scienziati sociali. Molti dei modelli proposti sono addirittura entrati (volgarizzati) nel linguaggio comune. Una tra le teorie più famose è il cosiddetto "modello strutturale della mente", secondo il quale la mente umana è costituita dall'insieme di tre istanze psichiche diverse: l'Es, l'Io e il Super-Io.

L'Es è una struttura totalmente inconscia, che spinge per la soddisfazione delle pulsioni inconsce dell'individuo. Si tratta di spinte di carattere erotico, aggressive ed auto-distruttive: l'Es è un insieme disordinato di impulsi selvatici.

Il Super-io è una struttura quasi del tutto inconscia, rappresentante le regole e i divieti morali della persona. Esso costituisce in pratica un'immagine interiorizzata dei genitori; il suo compito è impedire che l'Es soddisfi liberamente le proprie pulsioni.

L'Io è la struttura organizzatrice della personalità e fa da mediatore tra le richieste dell'Es e le esigenze della realtà.

Sviluppi interessanti di questa teoria sono stati perseguiti da Jacques Lacan e divulgati, tra gli altri, da Slavoj Zizek. Per Lacan "l'inconscio è strutturato come un linguaggio", e uno degli elementi che lo costituiscono è il "Grande Altro": una struttura simbolica interiore che rappresenta la legge, la repressione, il controllo. A questo proposito Zizek riporta un aneddoto interessante. Nel 1954, mentre era in corso la distribuzione in URSS della grande enciclopedia sovietica, ebbe luogo la rimozione, la condanna come traditore e la fucilazione del (già) potentissimo Primo Vicepresidente del Consiglio dei ministri dell'URSS, Lavrentij Pavlovič Berija.

I sottoscrittori sovietici avevano già ricevuto il volume dell'enciclopedia relativo alla lettera B, in cui Beria era descritto come un grande eroe dell'Unione Sovietica. Dopo la sua fucilazione, tutti i sottoscrittori ricevettero dalla casa editrice la richiesta di strappare e restituire le pagine su Beria; in cambio, avrebbero ricevuto immediatamente due pagine sullo stretto di Bering, per sostituire le pagine rimosse.

Per chi veniva fatto tutto questo? L'unica risposta possibile è: per lo sguardo del grande Altro, cui nulla sfugge.

Non basta la mela, bisogna essere Newton!

L'INCONTRO - Lug-Ago 2017          

L'uomo è un animale sociale e culturale: grazie al linguaggio e alla scrittura è in grado di trasmettere e condividere il sapere. Proprio questa sua capacità è all'origine del suo successo: l'umanità ha potuto accumulare e sviluppare un sapere acquisito gradualmente nei millenni. La trasmissione culturale del sapere evita di ricominciare sempre da zero e di ripetere gli errori già fatti in precedenza. Questa potentissima condivisione del sapere ha però un effetto collaterale indesiderato, e cioè una tendenza alla omologazione e a reprimere il desiderio di esplorare possibilità alternative.

Gli ostacoli alla ricerca di nuove idee e soluzioni sono essenzialmente mentali: pigrizia mentale, pregiudizi, atteggiamento saccente, barriere culturali, modelli mentali errati. Quando poi si cercano idee innovative in campo tecnico/tecnologico, la cosa è ancor più complicata dal fatto che l'innovazione deve essere vincolata alle leggi fisiche e alle possibilità tecnologiche. Questa è la maggiore difficoltà: bisogna essere una specie di Giano bifronte: da un lato bisogna avere competenze tecniche; dall’altro bisogna pensare senza vincoli.

La cosa è così difficile, che spesso la si spiega con l'idea di "serendipità", e cioè la fortuna di fare scoperte per puro caso. Partiamo però dal classico esempio di Newton. Secondo la leggenda, trovò la legge di gravità grazie ad una analogia tra il moto di una mela che cadde e il moto dei pianeti. Ma un sacco di gente aveva osservato mele cadere, senza che questo generasse alcunché. Sicché una ricetta possibile è questa: nuove idee sono generate stimolando casualmente persone da peculiari caratteristiche.

Innanzitutto devono essere caratterizzate da curiosità e mente aperta. E questo perché, come disse Abraham Maslow, "Se l'unico strumento che hai è un martello, vedrai ogni problema come un chiodo". Il secondo requisito è l'impegno, la capacità di non scoraggiarsi. Ultimo, ma non meno necessario, è l’approccio analitico, legato alla competenza.

Abbiamo visto il tipo necessario di persone; per quanto riguarda gli stimoli, esistono molte diverse tecniche, raggruppabili approssimativamente in diversi gruppi: meccanicistiche (riorganizzare in modo diverso gli elementi del problema), psicologiche (un ruolo importante è svolto dall’inconscio), sociali (creatività di gruppo).

Come si vede, si tratta comunque di un processo in cui il ruolo fondamentale è svolto dall'uomo, e caratterizzato quindi anche dai suoi tempi, come ricorda il detto Zen: "Se vuoi diventare pittore devi studiare per dodici anni le tecniche della pittura e poi, nei seguenti dodici anni, devi dimenticare del tutto la pittura".


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