ITALIANO - L'apostolo Paolo ad Atene, Il discorso all’Areopago di Atene

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Il discorso di Paolo di Tarso all’Areopago di Atene

Uno degli eventi fondamentali della civiltà occidentale è stato senza dubbio il discorso di Paolo di Tarso all’Areopago di Atene.

Nel 49-50 d.C. Paolo di Tarso si trovava a Gerusalemme, dove partecipò al primo Concilio della Chiesa, insieme agli Apostoli (Lettera ai Galati, 2, 1-9). Nel Concilio si sancì definitivamente la possibilità di portare la parola del Signore anche ai non ebrei.

Quindi Paolo partì per il suo secondo viaggio evangelizzatrice. Questa volta era deciso a portare il Vangelo nel cuore della Grecia, quella che era stata la culla della filosofia antica.

La Grecia è stata il centro culturale per eccellenza del mondo antico.

Fu con Socrate (469-399 a.C.), Platone (427-347 a.C.) e Aristotele (384-322 a.C.), che la filosofia greca raggiunse il suo culmine, nell’età classica. Platone individuò l’anima come immortale ed incorporea. Il grande filosofo ateniese aveva concepito l’esistenza di Dio con la pura ragione, però la sua visione lo portava a considerare la negatività della materia. Il corpo era visto pertanto come un involucro dal quale l’uomo si sarebbe liberato con la morte, e quindi l’anima avrebbe fluttuato indefinitamente nell’oceano dell’essere. Il Dio di Platone, e dei sucessivi filosofi neo-platonici era pertanto perfetto, ma non era una “persona”, non era caratterizzato dall’amore e non giudicava gli uomini secondo la giustizia.

I filosofi e i pensatori neo-platonici ai quali Paolo di Tarso si rivolse vedevano la morte come una liberazione dell’anima dal corpo e l’idea di una risurrezione nella carne, sembrava loro un ritorno alla prigionia del corpo. Per questo la maggioranza di loro non accolse il messaggio che Paolo voleva trasmettere. Vediamo il celebre discorso, Atti degli Apostoli (17, 22-31):

«Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in tempi costruiti dalle mani dell' uomo, nè dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perchè abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perchè cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benchè non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poichè di lui stirpe noi siamo. Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all'oro, all'argento e alla pietra, che porti l'impronta dell'arte e dell'immaginazione umana. Dopo essere passato sopra ai tempi dell'ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, poichè egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti».

Come vediamo il discorso di Paolo fu accolto in modo tiepido e molti non si rivelarono interessati ad ascoltare chi fosse il risorto, Atti degli Apostoli (17, 32-33):

«Appena sentirono l'accenno alla risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: Ti sentiremo su questo un' altra volta. Così Paolo uscì da quella riunione»

Analizziamo brevemente il discorso di Paolo. Innanzitutto l’Apostolo nota un’ara con l'iscrizione: “Al Dio ignoto”. Si convince pertanto che gli ateniesi, oltre agli dei tradizionali del pantheon greco, adoravono pure un dio sconosciuto, ignoto. Quindi fa un annuncio, affermando che Dio, l’unico e vero Dio, ha creato il mondo e che quindi ha creato la materia. Già qui i filosofi ateniesi devono aver dissentito con il predicatore ebreo. Per i greci infatti la materia (e con essa il corpo), era qualcosa di non elevato, di impuro, e non credevano in un atto di creazione dal nulla da parte di Dio, ma piuttosto in una sorta di creazione continua, o emanazione di Dio.

Paolo, con notevoli doti oratorie, continua nel suo discorso, adattandosi al modo di pensare dei greci. Egli afferma che Dio “non dimora in tempi costruiti dalle mani dell' uomo” e inoltre afferma che l’uomo può cercare Dio, in quanto Dio non è lontano da ciascuno di noi. Sono concetti non avulsi alla filosofia degli stoici. Quindi Paolo cita il poeta greco Arato, dicendo: “Poichè di lui stirpe noi siamo”.

Il tema controverso che non piaque ai filosofi ateniesi fu la descrizione della giustizia di Dio. Egli, sostenendo che Dio ha ordinato a tutti gli uomini di “ravvedersi”, quindi di convertirsi, aggiunse che la giustizia di Dio sarà messa in pratica per mezzo di colui che fu resuscitato dai morti, ossia Gesù Cristo (che però non ha tempo di nominare).

Per gli ateniesi Dio era perfezione, ma non attuava un giudizio diretto sugli umani in base alla loro fede e neppure in base alle loro opere. Il ravvedimento o la conversione a Dio non era un concetto facile da considerare per i filosofi platonici.

Pertanto quando Paolo di Tarso accennò alla risurrezione di un uomo, designato da Dio, fu prontamente interrotto. Come già indicato infatti la resurrezione dalla morte, e quindi il ritorno dell’anima in un corpo che era già completamente morto, era un qualcosa di estraneo alla filosofia platonica, che vedeva il corpo come una “prigione dell’anima”.

Paolo comunque non si perse d’animo, ma si diresse a Corinto, dove si fermò almeno un anno e mezzo. Fu proprio a Corinto che sorse la prima comunità di cristiani di Grecia e fu proprio da quella città che Paolo iniziò a scrivere le sue Lettere, dove cominciò a delineare i fondamenti dottrinali della missione salvifica e della Divinità di Gesù Cristo. Le prime due Lettere di Paolo di Tarso furono scritte da Corinto ai Tessalonicesi nel 51-52 d.C.

Quindi, mentre a Corinto Paolo riuscì fin da subito a fondare una Chiesa di Cristo, ad Atene ottenne un parziale insuccesso, anche se gli Atti degli Apostoli riportano che alcune persone si convertirono.

Paolo aveva comunque gettato il primo seme dell’evangelizzazione della Grecia che sarebbe stata così importante per la futura cristianizzazione dell’intero impero romano.

Yuri Leveratto

Immagine: Fortuny Mariano, San Paolo predicando nell'Areopago, 1856

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DISCORSO DI S. PAOLO ALL’AREOPAGO:

PRIMO DOCUMENTO DELL’INCONTRO TRA MONDO GRECO E ANNUNCIO CRISTIANO.

Il primo incontro tra mondo greco e cristiani ci è documentato dal cap. 17 degli Atti degli Apostoli: da una parte ci sono filosofi stoici ed epicurei, i dotti del tempo che, sentendo San Paolo discutere ogni giorno sulla piazza con. quelli che incontrava, si chiedono: "Cosa vuoi dire questo σπερματολόγος (ciarlatano)?". E lo condussero all'Areopago.

Dall'altra parte c'è San Paolo che, originario di Tarso, luogo di incontro tra cultura greca e mondo ebraico, doveva ben conoscere il poeta e filosofo stoico Arato che cita nel rispondere al dotto pubblico ateniese. Di questo poeta, tipico rappresentante della cultura ellenistica, Paolo assume il linguaggio, le categorie, i concetti, ma caricando ogni sua parola di una valenza nuova ed estranea a Stoici ed Epicurei, della novità portata dal fatto di Cristo.

Il pubblico ateniese lo segue senza interromperlo finché San Paolo parla di Resurrezione. A questo punto alcuni ridono, altri si allontanano, altri gli dicono : " Di questo ti ascolteremo un'altra volta". Pochissimi si unirono a lui e Paolo lasciò Atene per dirigersi a Corinto.

Paolo di Tarso

San Paolo originario di Tarso doveva ben conoscere quel poeta e filosofo stoico o stoicizzante Arato di Soli che cita nella prima parte del suo discorso. A Tarso, infatti, lo stoicismo ebbe seguaci e maestri, e Tarso, come ha rnesso in evidenza lo Scarpat [1], fu un sicuro punto di contatto tra cultura greca e mondo ebraico.La prima parte del discorso di Paolo, che prende spunto da una iscrizione al "Dio ignoto" da lui vista nelle vie di Atene, è una lettura in chiave giudaico-cristiara dei primi 19 versi (il cosiddetto Inno a Zeus) dei Phaenomena di Arato. E Paolo in effetti deriva da Arato non solo la citazione esplicita (Atti 17,28) del v. 5, ma anche l’immagine del Dìo provvidente che fissa agli uomini i tempi prestabiliti. In Arato - v. 10 sgg. - si tratta degli astri e dei segni nel cielo che distinguono il corso dell ' anno e delle stagioni. Paolo davanti all’AreopagoIl viaggio di Paolo ad Atene è collocabile verso la fine del 49 e gli inizi del 50: esso precede infatti il soggiorno a Corinto che inizia appunto ai primi del 50 [2] e termina nell'estate del 51 poco dopo l'arrivo del nuovo proconsole Gallione [3].

Al tempo di Paolo, nel I sec. d.C., Atene era ormai soltanto una fiorente città turistica e universitaria: già alla fine del IV sec. a.C., decaduta dalla sua antica potenza militare e politica, Atene aveva assunto un atteggiamento filoromano, e fin dal tempo delle guerre macedoniche e dopo l’annessione della Grecia alla provincia di Macedonia nel 146, era rimasta civitas libera et foederata. Sotto il controllo romano aveva ottenuto prosperità e privilegi e ricambiato i romani con una costante fedeltà. Solo nell’88 a.C., al tempo dell’invasione della Grecia da parte di Mitridate, Atene aveva defezionato; riconquistata da Silla era stata perdonata in nome dei suoi antenati [4] e aveva ottenuto nuovamente quella libertà e quell’autonomia che secondo Stradone conservava ancora all’epoca di Augusto.

In realtà sembra che l’intervento di Silla abbia corretto in senso oligarchico la costituzione ateniese, alimentando in modo particolare i poteri della Bulé [5] e dell'Areopago [6].

Quest’ultimo appare in effetti nelle iscrizioni e nelle fonti letterarie del I sec. a.C. il consiglio per eccellenza dello stato ateniese: oltre ai poteri giudiziari che esercita ancora per lo meno nel 17 d.C. [7], l’Areopago onora gli stranieri e sorveglia i costumi. Una particolare sorveglianza l’Areopago sembra aver esercitato sugli insegnamenti riservati alla gioventù. Sono queste competenze dell’Areopago che spiegano la decisione degli ascoltatori di Paolo di condurlo davanti all’Areopago [8] per dar ragione della nuova dottrina da lui insegnata. E’ dunque possibile che il discorso di Paolo sia stato tenuto veramente in mezzo all’Areopago e che non si tratti di una finzione letteraria, come alcuni credono, anche se il discorso non sembra comportare una seduta formale del consiglio areopagitico: la presenza di una donna tra gli ascoltatori di Paolo - Damaride - rivela infatti il carattere informale dell’assemblea.

Rapporti tra Paolo e gli Stoici di Roma

Il dialogo di Paolo con gli Stoici, interrotto bruscamente ad Atene, sembra essere stato ripreso a Roma dove lo stoicismo era la filosofia dominante. Esso era presente come dottrina morale e politica più che come spiegazione teoretica della realtà, e appariva perciò connaturale alla mentalità vetero-romana della classe dirigente.

Un clima di rapporti e dialogo tra stoici romani e cristiani è attestato da una serie di fatti:

- dalla stima che il martire Giustino (II sec.) mostra per il filosofo stoico Musonio Rufo vissuto il secolo precedente e da lui chiamato martire inconsapevole di Cristo, e dal giudizio di Tertulliano su Seneca, che chiama saepe noster.

- dalla concordanza che lo stesso Giustino rileva a più riprese nelle sue apologie tra morale stoica e morale cristiana Giustino rileva a più riprese nelle sue apologie tra morale stoica e morale cristiana.

- dall'accordo esistente tra la concezione politica degli Stoici e in particolare il loro concetto di libertas e 1'atteggiamento dei Cristiani verso lo Stato così come ci è rivelato dalla I lettera di Pietro e dalla lettera ai Romani di San Paolo.

- dalla quasi coincidenza negli stessi anni della persecuzione contro i Cristiani e contro gli Stoici sotto Nerone e Domiziano. In questi anni infatti Cristiani e Sroici caddero vittime dell’incomprensione e dell’impopolarità delle folle.

Ma alcuni elementi in particolare permettono di dare fondamento alla tradizione di un’amicizia tra il filosofo stoico Seneca e Paolo, che trova la sua esplicitazione nell’epistolario a loro attribuito:

- Seneca era fratello di Gallione, con cui Paolo aveva avuto rapporti a Corinto, ed era amico di Burro, prefetto del pretorio al tempo della prima prigionia romana di Paolo. Lo stesso Burro fu responsabile del trattamento liberale riservato a Paolo (gli Atti insistono sulla parresia, la libertà di parola con cui Paolo poté durante questa prigionia predicare il Vangelo) e con ogni probabilità responsabile della sua assoluzione.

- Lo Scarpat [9] osserva che l’uso del termine caro (“carne”) in Seneca è affine a quello paolino di σάρξ (“carne”) e di probabile influenza giudeo-ellenistica. Un’ulteriore conferma si ha in un altro stoico romano contemporaneo di Paolo, il poeta Persio, che ricorda con lo stesso significato paolino di “carne” la pulpa scelerata che impedisce agli uomini una retta e pura pratica religiosa, e sembra anche in altri passi riecheggiare concetti della predicazione cristiana.

Possiamo quindi concludere che Paolo ebbe contatti con lo stoicismo romano e quasi certamente conobbe Seneca.

[1] G. Scarpat, Il pensiero religioso di Seneca, Brescia 1977, p.74

[2] Subito dopo l’espulsione degli Ebrei da Roma nel 49: Suet. Claud. 25

[3] Il governo di Gallione in Acaia durò dall’estate del 51 al 52.

[4] App. Mitr. 38

[5] Bulé: consiglio cittadino dell’antica polis

[6] Areopago: sede del più antico tribunale di Atene su una collinetta presso l’acropoli.

[7] Tac. Ann. II, 55

[8] Atti 17, 19

[9] Op. cit.p. 77 sgg.

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Nell'immagine: il cs. Pozzo di San Paolo a Tarso.

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