Il Coro V. Galilei

Il Coro Vincenzo Galilei della Scuola Normale Superiore prende nome dal padre di Galileo, famoso teorico della musica e musicista, e si costituisce nel 1975 per iniziativa di Gilberto Bernardini, allora Direttore della Scuola, e del Maestro Piero Farulli, i quali ritenevano che la musica – intesa soprattutto come realtà esecutiva, pratica e come arricchimento intellettuale – rientrasse a tutti gli effetti nella cultura scientifica e umanistica, e che quindi dovesse divenire parte integrante della tradizione della Normale. Composto in gran parte da studenti, docenti e ricercatori della Normale e dell’Università di Pisa, il Coro dispone oggi di un organico di circa trenta elementi.

All’inizio della sua attività, il Coro si è impegnato prevalentemente nell’esecuzione delle cantate di Bach. In seguito, ha esteso il proprio repertorio – che oggi copre un arco temporale che va dal Rinascimento al Novecento – realizzando programmi vasti e articolati che hanno compreso sia brani di musica polifonica a cappella, sia tratti dal repertorio sinfonico-corale, spaziando dai mottetti di Palestrina e Monteverdi a quelli di Wolf e Poulenc, dalle messe di Mozart e Haydn al repertorio corale di Mendelssohn-Bartholdy e Brahms. Tra le caratteristiche del Coro va menzionata la scelta di inserire spesso nei programmi opere poco conosciute o dimenticate. Si ricordano a questo proposito un Gloria inedito di Antonio Lotti eseguito nel 2010 e la Messa a 5 voci con strumenti in do maggiore per soli, coro e orchestra di Francesco Durante, presentata in prima esecuzione moderna nel 1991. Negli anni 2015 e 2016, sotto la Direzione del maestro Carlo Ipata, il Coro ha esplorato il repertorio barocco toscano, proponendo al pubblico musiche di Agazzari, Bonini, Brunelli e Gasparini.

Nel rispetto di una rigorosa prassi esecutiva con strumenti originali, il Coro è stato affiancato già da diversi anni da gruppi strumentali rinascimentali e barocchi, fra i quali gli Auser Musici, con cui ha eseguito la Passione secondo Giovanni di J. S. Bach, e l’ensemble La Pifarescha. Fra i direttori stabili che si sono succeduti alla sua guida, si ricordano i maestri Fosco Corti, Brunetta Carmignani, Piero Rossi e Francesco Rizzi, sotto la cui direzione il Coro si è classificato al primo posto al Concorso nazionale Trofeo della Vittoria di Vittorio Veneto nel 1991.

Dal settembre del 2016, la direzione è affidata al maestro Gabriele Micheli, con il quale il Coro, oltre che nei tradizionali concerti di chiusura della stagione pisana I Concerti della Normale, si è esibito nell’ambito del festival Suoni Riflessi a Firenze, proponendo in prima esecuzione la Cantata II di Antonio Anichini accompagnato dall’ensemble Nuovo Contrappunto, e ha aperto la stagione Lucca Chamber Music Festival 2018 e il Corsanico Festival 2018.

Il Coro è sostenuto dalla Scuola Normale Superiore e dalla Fondazione Pisa.

Concerto di VENERDI' 6 LUGLIO 2018, Chiesa di San Michele Arcangelo di Corsanico

Coro Vincenzo Galilei della SNS di Pisa

Organo: Pietro Consoloni

Direttore: Gabriele Micheli

SOPRANI Viktoriya Dubrovina, Katharina Montevecchi, Ida Paoloni, Carla Rametta,Cecilia Sordi, Iryna Strilets

CONTRALTI Grazia Ambrosino, Linda Argentiero, Silvia Azzarà, Alice Bianchi, Martine Bismut,Giuseppina Coiro, Isabella Marini, Francesca Menozzi, Luisa Prodi

TENORI Carlo Nicola Colacino, Carlo Heissenberg, Daniele Musto, Riccardo Nifosì,Tommaso Pajero, Roberto Palazzo, Simone Zanotto

BASSI Paolo Bosco, Fabio Guidetti, Franco Ligabue, Giorgio Marcello, Marco Pellegrini,Marco Sommani, Daniele Tosi

PROGRAMMA

FRANZ JOSEPH HAYDN (Rohrau, 1732 - Vienna, 1809)

Non nobis domine (Hob.XXIIIa:1, data di composizione incerta)

ANTON WEBERN (Vienna, 1883 - Mittersill, Salisburgo, 1945)

Entflieht auf leichten Kähnen (op. 2, 1908)

FRANZ SCHUBERT (Lichtenthal, Vienna, 1797 - Vienna, 1828)

Der 92. Psalm (D. 953, 1828)

ARNOLD SCHÖNBERG (Vienna, 1874 - Los Angeles, 1951)

Friede auf Erden (op. 13, 1907)

HUGO WOLF (Windischgrätz, Slovenia, 1860 - Vienna, 1903)

Sechs Geistliche Lieder (1881)

ANTON BRUCKNER (Ansfelden, Linz, 1824 - Vienna, 1896)

Vexilla regis (WAB 51, 1892)

Virga Jesse (WAB 52, 1885)

Os Justi (WAB 30, 1879)

Christus factus est (WAB 11, 1884)

SOPRANI Viktoriya Dubrovina, Katharina Montevecchi, Ida Paoloni, Carla Rametta, Cecilia Sordi, Iryna Strilets

CONTRALTI Grazia Ambrosino, Linda Argentiero, Silvia Azzarà, Alice Bianchi, Martine Bismut, Giuseppina Coiro, Isabella Marini, Francesca Menozzi, Luisa Prodi

TENORI Carlo Nicola Colacino, Carlo Heissenberg, Daniele Musto, Riccardo Nifosì, Tommaso Pajero, Roberto Palazzo, Simone Zanotto

BASSI Paolo Bosco, Fabio Guidetti, Franco Ligabue, Giorgio Marcello, Marco Pellegrini, Marco Sommani, Daniele Tosi

NOTE ILLUSTRATIVE

Benché la data di stesura sia incerta, è sicuro che quando scrisse il mottetto Non nobis Domine Franz Joseph Haydn era il compositore più celebre del continente. Qualcuno pensa che il pezzo risalga più o meno al 1786, quando il musicista si trovava alla corte dei principi Esterházy (la più ragguardevole famiglia dell’Impero, dopo gli Asburgo) al cui servizio trascorse trent’anni. Qualcun altro lo data invece attorno al 1792, dopo il primo viaggio in Inghilterra: opera di un Haydn anziano, ormai pensionato dall’incarico di maestro di cappella, che i londinesi avrebbero voluto veder stabilito nella loro città. Concepito per l’Offertorio, è probabile che questo mottetto servisse durante la Quaresima o l’Avvento. Vi viene intonato con scultorea drammaticità il primo versetto del Salmo 115: all’attacco le voci si inseguono in un fugato severo; ma presso la fine tutte cantano insieme le stesse sillabe, e paiono attonite al cospetto di una divinità veterotestamentaria intransigente. Anton Webern divenne allievo di Arnold Schönberg nel 1904, a ventuno anni. Aveva già una solida formazione musicologica, per essersi laureato all’Università di Vienna sul Choralis Costantinus di Heinrich Isaac, il fiammingo che era stato organista di Lorenzo il Magnifico e precettore musicale di suo figlio, futuro papa Leone X. Perciò Webern conosceva a menadito i procedimenti matematici con cui i compositori d’Oltralpe elaboravano le loro opere. E quando una ventina d’anni dopo Schönberg architettò il metodo dodecafonico, utile a rendere maneggevoli su grande scala discorsi senza più sintassi tonale, lui lo declinò in modo ben più radicale del maestro; cosicché l’avanguardia del secondo Novecento lo prese a modello per cominciare a ricostruire un linguaggio nuovo sulle macerie della guerra. In Entflieht auf eichten Kähnen (Fuggite su barche leggere) op. 2, del 1908, le quattro voci a cappella intonano i versi d’incanto simbolista di Stefan George. Il linguaggio musicale è quasi ermetico, poiché l’impianto tonale ormai desquamato e propenso, nelle melodie, a una torsione cromatica derivata dall’esasperazione del Tristano di Wagner, sta virando verso l’atonalismo. Tipica di Webern è la durata aforistica del pezzo che, malgrado la polpa armonica, corteggia il silenzio; le dinamiche segnate con più frequenza sono il piano, il pianissimo, il pianissimissimo. E «come in un soffio» l’autore chiede che il canto debba finire. Nel 1828, ultimo anno della sua breve esistenza, Franz Schubert scrisse molto, e capolavori in quantità. Una commissione gli arrivò dal baritono Salomon Sulzer, cantore sinagogale di gran pregio e di molta fama anche fuori Vienna, animatore del tempio sulla Seitenstettengasse da poco inaugurato. Sulzer, che conosceva Schubert per averne cantato dei Lieder, gli commissionò l’intonazione a cappella del Salmo 92, in ebraico. Il compositore tratta il coro alla maniera responsoriale, con l’alternanza tra l’insieme delle voci e un quartetto solistico, e tutteche procedono sempre allo stesso passo; nel momento centrale del Salmo ricava una parte da protagonista, d’estensione amplissima, per lo stesso Sulzer. Il testo musicato da Schubert può essere sostituito dalla traduzione tedesca che si deve al filosofo Moses Mendelssohn, nonno del compositore Felix. Il tardo, sublime struggimento dell’armonia tonale sulla quale per oltre tre secoli si era incardinato il linguaggio della musica occidentale si coglie in Friede auf Erden (Pace sulla terra) op. 13 di Arnold Schönberg, su versi dello svizzero Conrad Ferdinand Meyer. Datato 1907, questo lavoro per coro a quattro voci non solo preannuncia l’approdo del compositore all’atonalità, ma sembra anche vaticinare, e stigmatizzare, il futuro bellico che si prospettava all’Europa. Sul momento fu giudicato ineseguibile a causa del tortuoso groviglio di melodie (ciascuna delle quattro voci può anche sdoppiarsi, e quando tutte lo fanno contemporaneamente si arriva a intrecciarne fino a otto) e della sovrapposizione sminuzzata di parti diverse del testo: il che rende a meraviglia lo sconcerto balbettante dell’umanità di fronte a un mondo governato da ingiustizie, soprusi, ostilità. Per poterlo presentare al pubblico del Musikverein quattro anni dopo, diretto dal collega Franz Schreker, Schönberg fu costretto malvolentieri ad aggiungervi un sostegno strumentale che favorisse l’intonazione dei coristi. Da Friede auf Erden traluce speranza; all’indomani della Grande Guerra, tuttavia, Schönberg si rese conto di essere stato ingenuo, e definì questa pagina una «illusione». Nel 1881 Hugo Wolf era un giovanotto indigente e dannato che, irretito dal wagnerismo, perseguiva con narcisistica ostinazione il sogno di fare il compositore, specie dopo aver ricevuto parole di caldo incoraggiamento da Liszt. Abbandonato da tempo il Conservatorio di Vienna senza averlo terminato per dissapori con il direttore, Wolf si sarebbe permesso addirittura di rinunciare a un posto da secondo maestro di cappella a Salisburgo dopo appena due mesi di impiego. Intanto scriveva (soprattutto Lieder, suo genere d’elezione), inconsapevole di essere destinato a perdere presto il senno a causa della sifilide. Datano a questo periodo i sei Geistliche Lieder (Canti spirituali) su versi di Joseph von Eichendorff, poeta fra i prediletti del musicista. I testi prescelti, ai quali Wolf attribuisce titoli assenti negli originali, si incentrano sull’idea che, per quante sofferenze e angustie possano affliggere l’esistenza di un essere umano, il sentirsi parte di una natura accogliente, pacificata dallo spirito divino presente e operante in essa, riesca comunque a offrire, da ultimo, sollievo a qualsiasi affanno. Sono pagine dove suggestioni musicali diverse si incrociano, convivono o si alternano a distanza di poche battute. Vi si trovano infatti memorie del corale bachiano (assai evidente in Aufblick, con le voci che incedono allo stesso passo) e acuta fantasia contrappuntistica (in Ergebung), il desiderio di far risaltare ilsenso di certe parole per mezzo di disegni musicali evocativi (su begraben, “sotterraneo”, la melodia scende; su abgrund, “abisso”, balza verso il basso) e compiacimento tardo romantico per morbosi stridori armonici provocati da momentanei, fascinosi urti dissonanti (specie in Einkehr e Resignation), così come in concomitanza di parole come todeswunder, “ferito a morte”, e falsche, “falso”. Anton Bruckner veniva dalla provincia, era stato educato in un’abbazia e a Vienna si sentì sempre fuori posto. Poderoso organista, diplomatosi tardi in composizione, poco prima dei quarant’anni, nella capitale dell’impero venne coinvolto suo malgrado nelle dispute musicali locali e additato come rappresentante di punta della corrente wagneriana, perciò indicato come nemico numero uno di Brahms. Cosicché quando nel 1877 fu eseguita la sua Terza sinfonia, dedicata per l’appunto a Wagner, il pubblico viennese l’accolse con una gran baruffa e Eduard Hanslick, insigne critico musicale d’orientamento brahmsiano, propose provocatoriamente di togliergli la cattedra di armonia e contrappunto all’università. Oltre alle nove sinfonie ufficiali e alle due senza numero d’opera, il catalogo di Bruckner racchiude tanta musica sacra. Il mottetto Os justi gli fu richiesto da Ignaz Traumhiler, direttore del coro di Sankt Florian, l’abbazia dove il compositore era stato educato e aveva avuto per qualche anno mansioni di organista. Concepito nel luglio 1879 per la festa di S. Agostino del 28 agosto, è scritto di proposito nello stile antico, alla Palestrina, senza alterazioni né accordi dissonanti, secondo i precetti del movimento ceciliano che intendeva restituire un’originaria innocenza spirituale e artistica al repertorio da chiesa. Cinque anni dopo Bruckner dedicò all’allievo Otto Loidol Christus factus est (la sua terza intonazione di questo graduale), nella cui scrittura polifonica sapiente innervata di cromatismo wagneriano penetrano echi delle coeve Settima e Ottava sinfonia. Notare che per le parole exaltavit illum e super omne nomen è adottato il cosiddetto Amen di Dresda, una formula melodica di preghiera in uso in Sassonia da fine Settecento e impiegata anche da Wagner come Leitmotiv nel Parsifal, alla cui première Bruckner aveva assistito nel 1882. Lo stesso motivo compare sul termine floruit del Virga Jesse, pagina mobilissima dalle mille screziature espressive, pensata nel 1885 forse per celebrare il centenario della diocesi di Linz e pubblicata con dedica a Traumhiler. E ancora una memoria dell’Amen di Dresda si ascolta in Vexilla regis, del 1892, l’ultimo mottetto di Bruckner, composto per il tempo di Passione rispondendo a un incontenibile impulso interiore.

Gregorio Moppi