biografia(02) (1952-1960)

Tornato a casa dalla Francia alla fine del 1952, Federico non solo comincia a lavorare come "imbianchino-decoratore" ma fonderà anche, con un gruppo di amici di Colognola, la compagnia teatrale "Bolgia". Metterà così a frutto la sua estrema facilità nell'imparare a memoria lunghi testi (una capacità che conserverà fino alle ultime settimane di vita recitando a memoria, agli infermieri dell'ospedale di Negrar e agli amici, le ultime lettere ricevute), gli insegnamenti di dizione, e il suo innegabile senso teatrale.

Eccolo, in vesti di diavolo, con altri due componenti della compagnia.

Qui sotto: Federico (il secondo da sinistra) fra il giudice di pace Renzo Zamattio e il maestro Filippi.

Bellomi attore

Federico con il giudice di pace Renzo Zamattio

Federico frequenta il salotto di Carolina Taddei, ex compagna di studi all'accademia. Lei gli fa conoscere Renzo Sommaruga, e, qualche anno più tardi, Gabriella Modenese, che sposerà nel 1959.

Cartolina di Carolina Taddei:

da sinistra: Federico Bellomi, la sorella di Carolina Taddei, Carolina Taddei e Renzo Zammattio, nel salotto di casa Taddei, (largo Arco dei Gavi) nel dopoguerra. I fiori indicano probabilmente una festa di compleanno.

Caricatura di Carolina Taddei disegnata da Federico sul retro di una foto.

"Il bifolco" caricatura disegnata da Federico Bellomi sul retro di una foto.

Per tutta la vita Federico imiterà e prenderà in giro in modo divertentissimo il tipico "bifolco", ignorante, gretto e stupido. Forse, negli anni di gioventù, erano persone come questa con le quali si scontrava la sua vocazione artistica.

Federico disegna e dipinge moltissimo, si fa conoscere e comincia a decorare varie ville e chiese della zona, a cominciare dalla decorazione esterna della villa Poli, sulla salita per andare al Monte di Colognola, dove sono dipinte scene della vita di Jacopo Bonfadio Benacensis. Anche il bar "alla decima" dovrebbe avere ancora all'interno una sua pittura,(un arlecchino e una colombina con sfondo vagamente veneziano) se non è stata cancellata. Il relativo benessere economico gli consente di comperare la sua prima automobile di terza mano: una Balilla. La si può vedere nella seguente foto. (Federico con giacca scura e baffi. la persona con pochi capelli seduta sul tetto è forse Renzo Sommaruga. Non sono in grado di riconoscere le altre persone.)

Una macchina dal radiatore crepato, dalle ruote di scorta prive del copertone nella parte appoggiata al parafango (forse era servito in tempi di autarchia, per rifare le suole delle scarpe al precedente proprietario). Carolina Taddei mi ha raccontato nel 2010 che un giorno, aprendo una portiera, questa si staccò di netto dall'automobile, con grandi risate di tutti gli occupanti.

La scassatissima Balilla era soprannominata "il salotto della contessa Maffei" perché i sedili erano stati rivestiti con una stoffa per poltrone a losanghe alternate color panna e color carta da zucchero (un grigio-blu), molto raffinate.

Federico ridipinse invece la carrozzeria con colori a olio (evidentemente inadatti) che, con il sole e il tempo si sollevarono in tanti riccioli che davano al tetto dell'automobile l'aspetto di una testa capelluta.

Per ovviare alla continua perdita di acqua dovuta alla crepa nel radiatore, Federico aveva introdotto nel radiatore un prodotto denominato "Turafalle". Una specie di semolino a base di amido. Essendo poco efficace aveva continuato ad introdurne per un certo tempo.

Un giorno, sulla ripida salita verso il monte di Colognola, il radiatore esplode e il vano motore diventa l'origine di una enorme fontana di liquido lattiginoso e puzzolente.

Un'altra volta Federico finisce la benzina lungo una salita, prima di arrivare al distributore. Allora, sfruttando la pendenza, riesce a girare la Balilla e a percorrere gli ultimi metri in retromarcia approfittando del fatto che il tubicino che pescava il carburante nel serbatoio era posizionato sul lato anteriore e poteva così succhiare le ultime gocce di benzina rimasta.

Scherzi a Colognola con la compagnia (Bolgia)

Federico sul poggiolo del palazzo che si affaccia su Piazza delle Erbe a Verona.

Federico con due amici sui monti Lessini

Federico nel giardino della Villa Faccioli a Colognola ai Colli

In quegli anni Federico mette a frutto le sue doti di osservatore e imitatore. Indimenticabili sono le sue storielle e le imitazioni dei vicini di casa e dei vari abitanti del paese: la Marieta Sgrafeta, el Bio, l'enorme Rosina e il suo innamorato possessore di un piccolo asino e di un piccolo carretto, la Bianca (la prima sua modella stonatissima e amante del canto), il vecchio Rotigni ritornato dall'Honduras con sua figlia dai tratti indios, il Tambosso, il Mondo Ciolon e i vari personaggi della vita di paese, compresi i più o meno ricchi committenti delle sue prime opere, e i preti, molti dei quali lo aiuteranno procurandogli i primi lavori di arte sacra.

"STORIE DI COLOGNOLA" (?)

La Marieta Sgrafeta era una delle pie donne, dall'età indefinibile, e sempre vestita di nero. Federico era colpito dalla mentalità bigotta e ristretta del personaggio, unita a strani usi, tipicamente settencenteschi, come ad esempio quello di non portare le mutande sotto la grande gonna nera e di fare pipì tranquillamente per strada, semplicemente allargando un po' le gambe sotto la gonna. Frasi tipiche della Marieta Sgrafeta: "Caro da dio, no me en mia suso le so mee; ci sareselo ci? Belo Tacaroso, l'è studiato l'omo. Cata su quela ucia che ghe par tera" (anche se diceva di vederci a malapena).

Quando era in arrivo un temporale andava alla finestra, dopo aver bruciato qualche pezzo di ulivo benedetto, e urlava tutto di un fiato al taciturno Beniamin; "Beniamin!, vien a casa, cata su le pegore, sera i scuri, pardisare, che en suso un stroo..." Beniamin rispondeva lento e a bassa voce: "Egnomento..."

La Rosina era grassissima, ed era occasionalmente corteggiata da un carrettiere di origine meridionale che si fermava sotto le sue finestre e con il quale lei "discorreva". Questo carrettiere aveva un "museto" cioè piccolo asino, al quale era attaccato con le stanghe un piccolo carretto con due ruote, ma l'asino era veramente piccolo. Un giorno la Rosina gli chiede un passaggio per andare fin su al monte,

Lui la fa sedere sulla parte posteriore del carretto e, grazie alla leva delle stanghe, il piccolo asino si ritrova sollevato in aria dal peso della Rosina.

Questo piccolo asino era "intiero" cioè non castrato. Quindi lunatico e sensibile all'odore delle femmine.

Il carrettiere era solito ubriacarsi e arrabbiarsi con altrettanta facilità.

Un giorno l'asino sente l'odore della femmina e si impunta. Non ce verso di fargli fare un passo. Il collerico carrettiere le prova tutte: prima con le buone ma quasi subito passa agli insulti e alle bastonate. L'asino rimane immobile e non si sposta di un millimetro.

Svanita la sbornia e in preda ad un'ira irrefrenabile il carrettiere gli si avvicina e gli morde l'orecchio. L'asino, preso alla sprovvista da queso dolore nuovo e sconosciuto, gira la testa rapidissimo all'indietro andando a sbattere violentemente il muso sulla faccia del carrettiere, che perde così qualche dente.

Il Tambosso era un vecchio del paese che amava essere sempre circondato da bambini ai quali raccontava lunghissime e complicatissime storie. (Uno dei quadri più belli che Federico dipingerà molti anni dopo si intitolerà appunto; "Le Storie del Tambosso"). Non solo, spesso riusciva a organizzare gigantesche battaglie ed esplorazioni del vasto mondo oltre la strada per bambini che lo seguivano entusiaticamente.

Talvolta, specie con l'avanzare della vecchiaia, interrompeva la narrazione di una storia perché si addormentava.

I bambini lo sapevano e aspettavano il risveglio per il seguito. Una volta, l'ultima, si appisolò nel bel mezzo di una storia e solo diverse ore dopo, gli adulti si resero conto che non si sarebbe mai più risvegliato.

Micolo era un omone che aveva combattuto negli arditi. Era al suo secondo matrimonio, dopo essere rimasto vedovo. Mentre la moglie era al terzo matrimonio dopo due vedovanze.

Le finezze che si dicevano erano tipo: "Me sa che staolta moriré prima vu" (si davano del voi all'epoca anche nell'intimità) diceva Micolo. "E no, cazzigo, me sa che andarè a farve ciavar prima vu" rispondeva la agguerrita duplice vedova.

Un'altra finezza del Micolo era, dopo aver mollato una sonora scorreggia a letto: "Dona! meti soto la testa che te deenti rissa!"

Era un mondo nel quale uno dei proverbi più in voga era: "a bastonar la so dona se delivera le anime sante del purgatorio".

Il vecchio Rotigni era tornato dall'Honduras ricco e con le gambe curve a forza di stare a cavallo per governare le mandrie di bestiame. Erano così curve che: "in medo ghe passava un can con una fasina in boca".

Gli era rimasta la nostalgia per le distese sterminate di pascoli del sud america.

Quando gli amici del club "Bolgia", seduti al bar in fianco al municipio, lo vedevano arrivare da lontano, intonavano subito una canzone sud americana che avevano imparato: "Eu seu che ....." Il vecchio Rotigni sente, non può resistere e si unisce al coro versando qualche lacrima di nostalgia, alla fine dice all'oste "Vegna un litro" e tutti festeggiano.

Il racconto "La Veglia" è la fedele trascrizione in italiano di quello che Federico raccontava nel dialetto arcaico del suo paese.

LA VEGLIA

Vai su a vedere il morto, disse il Moro Businaro.

Moni continuò a masticare il boccone come se non avesse sentito niente, un rumore come tanti.

Poi, mentre si versava mezzo bicchiere di rosso disse, e perché‚?

Non vorrei che i gatti andassero a rovinarlo.

Moni guardò l'ombra scura del suo bicchiere e poi l'ombra che avvolgeva la scala di legno, nell'altra stanza.

Aveva combattuto la grande guerra negli arditi, andando all'attacco con il pugnale in bocca, come nei vecchi film di pirati. Ma non aveva mai ucciso nessuno, così diceva.

Solo una volta, quando si era perso con il Moro Businaro, erano finiti dove c'era un ponte con una sentinella di un altro esercito. Dall'altra parte del ponte si vedeva un'osteria con dei civili seduti all'ombra di una pergola.

Si erano guardati e, senza dire neanche una parola, avevano deciso di andare.

Avevano stordito la sentinella con una bastonata e poi si erano fermati all'osteria chiedendo, come se la guerra non ci fosse, del vino e qualcosa da mangiare.

Quando avevano riattraversato il ponte il soldato era ancora la. Ma non era morto, stava seduto e si massaggiava la testa.

Gli aveva guardati passare senza reagire e forse senza capire.

Moni prese la candela e si avviò ruttando.

Salute disse il Moro Businaro.

Moni non rispose.

Alla base della scala guardò su, era ubriaco strafatto ma non voleva darlo a vedere.

Dalla porta della camera usciva un fantasma.

Alzò la candela e vide che era la tenda che si muoveva con il vento. Era una notte di vento, ma senza pioggia.

A metà scala il vento spense la candela.

Sacramento, disse.

Cosa c'è, chiese il Moro Businaro da sotto.

Continuò a salire nel buio e, arrivato sul pianerottolo non vide il coperchio della bara appoggiato sul muro.

Ci inciampò con la scarpa e il coperchio scivolò giù per la scala con un rumore d'inferno.

Cosa c'è, chiese nuovamente il Moro Businaro, un tono on po' più alto, ma neanche questa volta ottenne risposta.

La bara del povero Mondo Ciolòn non era stata chiusa perché‚ la sua enorme pancia superava di un pezzo il bordo.

Durante il pomeriggio avevano provato a sedersi in due sopra il coperchio ma non c'era niente da fare: quella dannata pancia non si sgonfiava. Anzi, con il passare delle ore e il caldo bestia, si gonfiava sempre di più.

Noni era arrivato nella camera e avanzava a tentoni nel buio.

Così inciampò proprio sul bordo della bara e, cadendo, mise istintivamente le mani avanti.

Finì dritto, con il suo non indifferente peso, sulla enorme pancia del morto, il quale emise conseguentemente un suono, una specie di lungo rutto lamentoso.

Era troppo anche per un ex ardito.

Si era rialzato di scatto, inaspettatamente agile e improvvisamente lucidissimo.

Era ritornato in fretta sul pianerottolo, tanto, di gatti non ce n'erano, ma, mentre scendeva le scale inciampò nuovamente nel coperchio della bara e cominciò a rotolare a valanga travolgendo anche il Moro Businaro che stava salendo per controllare quanto cavolo ci metteva a mandare via i gatti da quella dannata bara.

Finirono giù tutti e due, in uno scoppio spontaneo e variopinto di bestemmie multilinguistiche. Avevano fatto anche la guerra d'Africa.

Quando ebbero esaurito il repertorio, si alzarono, si mossero nell'altra stanza un po' zoppicanti e, per consolazione, tagliarono una quantità esagerata di fette di soppressa all'aglio.

Di vino c'era una buona scorta, bastante per tirare l'alba.

Federico inizia a lavorare su molti fronti, pittura scultura, decorazione.

Nella foto seguente la madre sostiene una cariatide in marmo che ancora oggi decora una colonna di sostegno della cappa del camino nella casa di Colognola.

L'opera che si vede in questa foto e riprodotta, con altre opere dello stesso periodo alla seguente pagina:

Opere giovanili (fino al 1959 circa)

Ecco una tela dello stesso periodo. L'originale non è presente nelle opere conservate e quindi è stato venduto o distrutto.

Sull'altra colonna, Federico realizzò, negli anni 80 quando la casa fu ristrutturata, una analoga cariatite utilizzando gesso impastato con raffia e realizzano l'opera senza nessuno studio preliminare in pochi minuti.

Nel 1952 Federico pensa di emigrare nuovamente, questa volta in Canada, ma poi rinuncerà a questa nuova avventura.

Ecco a camera di Federico, nella casa di Colognola, nel 1953.

Nel 1953, federico conosce la sua futura moglie: Gabriella Modenese.

Ecco la foto del suo documento di identità all'epoca:

Si notino la madonna con bambino sul letto. Si tratta di un olio su tela, copia di un autore antico (forse collocato nella chiesa di San Bernardino a Verona).

Federico considerava questa copia un pezzo notevole, che gli era costata molta fatica e la cui esecuzione era stata una vera lezione sulla apparente semplicità e "facilità" dei primitivi. Copiare questo tipo di pittura è invece difficilissimo.

Sul camino si vede il vaso in ceramica col manico rotto donato dal maestro Luigi Rocca. Il disegno che si intravvede sopra la radio (un vero lusso per l'epoca) è forse un ritratto di Carolina Taddei. Del disegno più in alto a destra non c'è traccia attualmente.

Ecco un'altra foto di Gabriella Modenese nel 1957:

Foto di Gabriella e Federico appena sposati. Abiteranno per qualche mese nella casa natale di Federico a Colognola, ma la convivenza fra nuora e suocera si rivelerà difficilissima.

La biografia a partire dal 1960 circa prosegue a questo link:

https://sites.google.com/site/federicobellomipittorescultore/biografia-03

Il quadro ovale appeso al muro si trova ora nella soffitta di via anfiteatro, la tavola è rotta in due parti.

L'altro angelo che si vede sullo sfondo era dipinto sul muro a tempera ed è andato distrutto con la ristrutturazione della casa negli anni '80.

Il letto e il copriletto blu con ricami a lasagna li hanno accompagnati per tutta la vita.