Canon 1100D Modification:

Filter Removal,                   Direct Cooling,              Electrical Dew Control

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Il raffreddamento del sensore di una DSLR è utile?

Per rispondere a questo interrogativo si devono richiamare alcuni fondamentali concetti di base.

Il rapporto segnale/rumore

Tutti coloro che iniziano a  cimentarsi con l'astrofotografia deep sky  e desiderano  ottenere risultati almeno accettabili devono comprendere che il primo e più importante obbiettivo da raggiungere  è quello di realizzare su ogni singola esposizione il  miglior rapporto segnale/rumore (o  Signal to Noise Ratio o  SNR).

Bene, che cosa significa  ottenere il miglior SNR  nella sostanza?  Significa molto semplicemente che per migliorare la qualità di ogni singola immagine (o subexposure, o subframe) dobbiamo agire in maniera da aumentare la "cifra" del segnale o  ridurre quella del rumore, o entrambe le cose insieme.

In altre parole, la quantità di elettroni generata in maniera "anarchica", quindi improduttiva, dal sistema di ripresa (il rumore) deve essere la minore possibile rispetto a  quella costituita dagli elettroni prodotti  come diretta conseguenza della cattura dei fotoni provenienti dall'oggetto (il segnale). 

In particolare è necessario misurare la minima intensità di luce incidente sul sensore in grado di produrre un flusso di elettroni rilevabile ed utilizzabile.

L'ottenimento del migliore SNR deve realizzarsi attraverso due passaggi:

- l'utilizzo del corretto tempo di posa

- l'abbattimento del rumore termico


Il corretto tempo di posa

A prescindere dall'utilizzo o meno di un sistema di refrigerazione, la realizzazione  del miglior rapporto SNR richiede che  il tempo di posa di ogni subframe debba essere scelto con attenzione, in maniera tale che esso non sia né troppo corto né troppo lungo. 

Infatti, se nel primo caso non potremo registrare gli oggetti più deboli, nel secondo perderemo il dettaglio dei particolari più luminosi dell'oggetto ripreso. 

Quest'ultimo aspetto è conosciuto come la riduzione della "dinamica" dell'immagine, in altre parole la diminuzione del numero di gradazioni di grigio - o di sfumature di colore - che si hanno a disposizione  per riprodurre fedelmente l'oggetto ripreso.

Il tempo di esposizione corretto varia in funzione di diversi fattori, come la luminosità del fondo cielo, la relazione d'apertura dello strumento di ripresa, il valore di ISO ed il thermal noise

Per verificare quale sia il tempo di  esposizione corretto  è necessario scattare alcune foto di prova del cielo notturno.

Di ogni immagine dovrà poi essere osservato il relativo istogramma che la fotocamera, con l'apposita funzione, è in grado di mostrare sullo schermo lcd. 

Il profilo dell'istogramma mostrerà, vicino al suo angolo in basso a sinistra -  l' origine dell'asse x - un evidente picco. Quello che è necessario fare è misurare la distanza che intercorre fra l'angolo suddetto ed il punto posto sull'asse x corrispondente al piede della rampa sinistra del picco. Tale distanza è opportuno sia uguale a circa il 10% dell'intera lunghezza dell'asse x. Nella pratica comune non è una cosa difficile da realizzare.


L'abbattimento del rumore termico.

Ora, ed è la prima  cosa da sottolineare qui, la refrigerazione operata con mezzi alla portata di un astrofilo autocostruttore - AstroDIYer per gli anglosassoni -  agisce in maniera davvero efficace nel miglioramento del SNR. 

A ciò si giunge non certo avendo come obbiettivo quello di raffreddare il sensore a livelli estremi  - così come avviene nelle mods commerciali, dove la temperatura di raffreddamento è portata a circa -60°C,  e negli strumenti professionali, dove si va persino ben oltre - ma accontentandosi di portare il sensore ad una temperatura di circa 0°C.

Questo perché già in tale maniera si induce una netta e significativa diminuzione del rumore termico.

Senza dilungarmi su questo tema,  trovo essenziale  ricordare che il rumore INTRINSECO di un sistema di ripresa digitale è costituito, grossolanamente ma sostanzialmente,  da tre componenti:

- il random noise, denominato anche banding o pattern noise, che deriva tipicamente da disturbi di natura elettromagnetica, originati esternamente od internamente  alla fotocamera,  nell'ultimo caso spesso indice di anomalie  del sistema,

- lo  zero exposure noise,  detto anche biasspecifico per ciascun modello di DSLR  e costituito, in maniera molto sommaria, da due componenti:                                                                                                         a) il movimento di elettroni intrinseco al sistema di ripresa:                                                                                                                                                                                                                                                                                                          b) il  read-out noise   o rumore di lettura                                              

- il  thermal noise, e cioè quella parte di rumore decisamente più importante in termini quantitativi  nella astrofotografia deep sky  che, attraverso gl'interventi per la refrigerazione del      sensore, nelle versioni cold box o cold finger, viene  rimossa o per lo meno   ridotta in maniera significativa.

Il rumore termico è funzione diretta, oltre che della temperatura del sensore, anche di due altri fattori, che sono il tempo di esposizione ed il guadagno (gain) nelle DSLR  impostato in  ISO.


In una Canon 1100D il thermal noise non è rilevante per tempi di posa di alcuni secondi, ma inizia a fare la sua comparsa dopo circa 60 sec, crescendo poi progressivamente  con l'aumentare  della durata dell'esposizione.

Il thermal noise aumenta con il crescere dei valori  ISO, tuttavia esso, con tempi di posa inferiori a circa 60 sec non aumenta significativamente con l'innalzarsi della temperatura.

Oltre circa 60 secondi di posa il thermal noise, sopra gli 0° C, aumenta in maniera geometrica con il crescere del valore ISO.  

In astrofotografia deep sky - a thermal noise  ben controllato, non importa se con ridotti tempi di posa o con la refrigerazione, l'esperienza insegna che è meglio utilizzare  ISO medio-elevati.

Questo vantaggio -  almeno nelle DSLR  di vecchia generazione - è legato al fatto che l'aumento del guadagno produce un aumento del segnale ben maggiore rispetto all'aumento del rumore. Come conseguenza diretta di questo fenomeno  il  SNR  di fatto migliora - fino ad un certo limite - con l'aumento del valore ISO. 

Tale miglioramento è concreto malgrado la maggior granulosità del subframe e l'aumento dei pixel caldi a numeri ISO più elevati. 

Inoltre - e ciò sembra tipico della Canon 1100D - a valori ISO inferiori a 400, è spesso presente il rumore casuale (pattern noise), non così facile da eliminare.

Il dithering  e  lo stacking  - ma anche un buon  post processing  - pongono un efficace e facile rimedio a tale inconveniente.                                                                                                                                                    

Ancora - e questo è forse davvero l'aspetto più interessante - se la temperatura del sensore è  regolata  intorno a 0° C, il thermal noise  non aumenta più  in maniera significativa con il prolungamento del tempo di posa, rendendosi di fatto da questo meno  dipendente, mentre esso sale, ma in maniera  poco rilevante, con l'aumento del gain.

Peraltro, se  il tempo di posa rimane al di sotto di un determinato limite, allora è possibile liberarsi del thermal noise anche a temperature del sensore mantenute  al di sopra di 0° C. 

Con la Canon 1100D è possibile esporre ancora solo  con un minimo innalzamento del thermal noise  ad ISO 1600 fino a circa 180 sec a 5° C, e fino ad almeno 60 sec  a 10° C .

Per un approfondimento di quanto qui sintetizzato è  stato interessante leggere il magnifico lavoro di N. Brekke:

Canon EOS 1100D noise test – Njål Brekke (myon.no) 

Inoltre,  ad una mia domanda specifica  che ebbi a porre a Njål   nel 2015 su Stargazers  qui:  My cold finger modded 1100D - Stargazers Lounge, la sua risposta fu la  seguente:  

"Nice to see what you have done with your camera. I'm quite happy with my solution, but yours have the advantage that you can still use the screen and buttons.  ... I was amused by the user "Nepa"  who didn't seem to grasp why further cooling does not help with noise. I saw he asked for darks, if you need any of my darks at multiple temperatures, ISO and exposures, let me know and I can give them to you together with the python scripts I used to analyze them. It would be interesting if you had some darks at different temps as well to compare.

It doesn't help if the noise of the sensor (which we cool) falls to ~0, when the noise of the rest of the electronics (amplifiers and ADCs)  stays the same. total noise will be something like noise_tot = sqrt(noise_sensor^2 + noise_readout^2). Which is why I say that below ~5C the noise from the rest of the camera dominates, even at 10 min exposures at high ISO.

I've also played a lot with MagicLantern custom firmware, compiling my own version to manually adjust the amplifiers (per-amplifier inside the sensor and the one inside the readout chip), so I'm quite sure that those are the limitations under 5C, not the sensor.

Do you have any references on quantum efficency vs temperature? If google translated correctly, you said that the few degrees we cool the sensor would not make much of a difference, which sounds resonable. But some plots would be nice to see :)

Also, I once read on central DS webpage that they got a lot lower noise (even withour any cooling) because they have a full aluminium enclosure around the sensor and electronics, and this reduced the readout noise by a lot by itself. If this is true, further cooling beyond 5C would make sense. I would like to try this out by making my own frame using a 3d printer, and some copper tape, but I do not have the time for it. Also, I should try using my gear instead of just tinkering with it ;)  "


Scelta del metodo di raffreddamento del sensore

Per la refrigerazione della mia Canon 1100D ho utilizzato il metodo diretto di raffreddamento del sensore (cold finger) perché molto più efficace e più efficiente di quello indiretto (cold box). 

Raffreddare direttamente il sensore è più efficace che raffreddare l'intera fotocamera perché si raggiungono differenze di temperatura (ΔT) più elevati. Nella mia 1100D raggiungo un  ΔT (sensore - ambiente) di oltre 30° C in meno di 10 minuti.  

Con la cold box  il  ΔT (sensore - ambiente) realizzabile è nel migliore dei casi  pari ad una quindicina di gradi, inoltre il punto di equilibrio è raggiungibile in un'ora o più.                                       Questo rende tale soluzione  meno efficace

Abbassare la temperatura del sensore con un cold finger  risulta più efficiente in quanto il consumo energetico necessario è certamente minore di 30 Watt, mentre la cold box meglio coibentata la potenza richiesta è di oltre un centinaio di Watt.                                                                                                                                                                                                                                                                                                       Il vantaggio di una cold box è quello di non necessitare di interventi invasivi sulla fotocamera, ma per tutti coloro che non si spaventano di fronte all'idea di smontare la propria DSLR  ed hanno la passione - e la temerarietà - dell'astrodiyer,  il dover lavorare con metodica "chirurgica" è tutt'altro che una  fonte di preoccupazione.

Il procedimento di smontaggio della Canon 1100D è spiegato bene a questo indirizzo.

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I materiali ed i metodi

Il blocco del sensore è visto  nella foto dal lato del filtro frontale (lpf1):

Il sensore CMOS non modificato (in sezione)

IN VERDE IL PCB

IN GRIGIO IL SUPPORTO DI ALLUMINIO

IN MARRONE IL CMOS 

IN NERO IL SUPPORTO DEI FILTRI

IN BLU SCURO IL FILTRO LPF2

IN BLU CHIARO IL FILTRO LPF1

Come è possibile vedere dal disegno, il blocco del sensore è costituito dal CMOS e dal suo PCB, che sono solidali tra di essi, e da due altri componenti. 

Il primo è un lamierino di alluminio e serve a fissare il sensore nella sua sede all'interno della fotocamera; l'altro, al primo incollato, è una cornice di materiale plastico il frame sul quale sono incollati i due filtri low pass.

Il sensore modificato (in sezione)

IN VERDE IL PCB

IN GRIGIO IL SUPPORTO DI ALLUMINIO

IN MARRONE IL CMOS 

IN NERO IL SUPPORTO DEI FILTRI

IN BLU CHIARO IL FILTRO LPF1

IN VIOLA I GRANULI DI SILICA GEL

IN ARANCIO IL SIGILLANTE

Il filtro più scuro - lpf2 - è quello che deve essere eliminato. L'altro filtro - lpf1 - deve essere  temporaneamente rimosso per poter asportare il filtro lpf2. 

L'operazione di modifica consiste inoltre: 

1) nell'applicare i granuli di silica gel all'interno della scanalatura rimasta vuota dopo l'eliminazione del lpf2; 

2) nel  reincollare il frame portafiltro  al lamierino di alluminio e, 

3) nel sigillare accuratamente - con un materiale adatto (io ho usato una resina epossidica bicomponente) l'intero gap esistente tra il bordo del sensore ed il lamierino di alluminio.

Questi passaggi sono essenziali. Si tratta infatti di isolare dall'ambiente esterno la superficie del sensore. 

Essa  costituisce la parete posteriore di una sottile "camera stagna",  la cui parete anteriore non è altro che la finestra ottica costituita dal filtro lpf1. 

E' possibile utilizzare, in luogo del filtro, un vetrino trasparente piano parallelo. Quest'ultimo non permetterà più la funzione di autofocus (non così importante in astrofotografia), ma avrà il vantaggio di determinare un lieve aumento del contrasto.  Il filtro lpf1 ha infatti  una funzione anti-alias e pertanto "ammorbidisce" le immagini.

E' evidente  che la finestra ottica  dovrà essere  incollata nella  sede originaria del filtro,  sempre accuratamente sigillata con l'ausilio di un buon adesivo adatto allo scopo (silicone od altro materiale idoneo).  

La protezione del pcb

La faccia libera del pcb è stata protetta dall'umidità dovuta alla condensa rivestendola interamente con silicone trasparente.

Il riscaldamento della finestra ottica

IN NERO IL FRAME PORTAFILTRI 

IN GRIGIO LA SUPERFICIE DEL SENSORE

IN MAREZZATO CONTORNATO IN VIOLA IL FILTRO LPF2

IN GRIGIO IL FILO AL NICKEL CROMO

Come è possibile ben vedere dallo schema e dalle foto soprastanti, ho provveduto ad implementare nel sistema la funzione anti appannamento.

Per far questo ho applicato al frame plastico un filo resistivo di NiCr.

Il filo, che ha un calibro di 42AWG (circa 6 centesimi di millimetro) ed una resistenza lineare di 384 Ω/m, è stato dapprima ancorato al frame con quattro minute gocce di cianocrilato ed in seguito ricoperto con resina epossidica. Esso circonda, alla distanza di circa 2 mm, l'intero  perimetro del filtro lpf1.

La resistenza dell' "anello termico" è risultata pari a 34,4 Ω. Da alcune prove ho verificato che alla minima temperatura del sensore  (-14°C) il riscaldamento ottimale si realizza quando la dissipazione del filo è  poco meno di 1/2  Watt . 

Con la tensione di 12V  il  resistore in serie al filo  è  di  82 Ω - 2 W.

La potenza dissipata dal filo NiCr non può essere  più alta perché in tal caso  si riscalderebbe significativamente anche l'aria all'interno della camera, grazie anche ad una sorta di "micro effetto serra"  il cui responsabile potrebbe  essere lo stesso filtro lpf1, dato che esso blocca una estesa porzione dell'infrarosso.  In effetti, tale inconveniente  può  essere in parte ridotto - ma non certo eliminato - utilizzando un vetrino trasparente al posto del filtro. 

Quando la temperatura dell'aria all'interno della camera stagna è troppo alta, sulla superficie del sensore si deposita inevitabilmente la condensa che si trasforma in brina nel caso la temperatura del sensore scenda sotto lo zero.

Nel caso opposto, invece, quando cioè la potenza riscaldante è troppo bassa, l'umidità dell'aria esterna produce condensa sulla superficie esterna del filtro ogni volta che  la sua temperatura  rimane al di sotto del punto di rugiada. 

La superficie del sensore resta, invece, asciutta.

Con l'ottimizzazione della potenza dissipata dal filo NiCr non ho piuù rilevato nè brina sul sensore, nè condensa sul filtro.

Peraltro ho scelto di non  spingere la refrigerazione  verso livelli estremi, visto che già a 0° C il thermal noise diventa poco significativo anche con i tempi di esposizione più lunghi convenientemente utilizzati.

I sensori termici

Ho applicato tre sensori termici costituiti da termistori NTC. 

Due di essi sono stati incollati con l'adesivo termico a doppio componente direttamente al cold finger, molto vicino al sensore. 

Quello collegato al controller PWM è un componente smd della Vishay da 15KΩ, mentre l'altro,  della Epcos, da di 10KΩ, consente di leggere la temperatura del sensore per mezzo del display LCD.

Un terzo sensore, sempre collegato al display,  è stato utilizzato solo nella fase di testing  per misurare la temperatura del dissipatore o dell'ambiente esterno.

Il trasferimento termico

 

Per la realizzazione del cold finger e della cold plate ho utilizzato una lastra di rame lucida 'jewelry grade' da 130 x 180 mm e dello spessore circa 1,2 mm.

Ho optato per il  rame perché è il metallo con il coefficiente di conducibilità termica maggiore dopo l'argento. L'alluminio, meno caro e più facilmente reperibile, è meno efficiente da questo punto di vista, anche se viene comunemente utilizzato.

Dalla lastra ho ricavato il cold finger, una lastrina delle dimensioni di 110 x 23,5 mm, e la cold plate, un quadro di 4 cm di lato (le medesime dimensioni della TEC, come dirò appresso).

Come si può vedere nelle foto qui sotto, sul cold finger  è stato necessario praticare cinque fori. 

Tre di essi, della dimensione di 2 mm, servono a far passare le viti che lo assicurano al dorso del sensore. 

Gli altri due, di forma e dimensioni opportune, che hanno la funzione di lasciar fuoriuscire i due supporti della mother board, sono visibili nella foto sottostante.

La cold plate ha la funzione fondamentale di convogliare sull'intera superficie del TEC  il calore "pompato via" (le celle di Peltier vengono anche definite pompe di calore)  dal sensore.

In foto: la verifica dimensionale ottenuta montando il cold finger direttamente sul frame di alluminio. Le misure sono corrette.

Ovviamente, il cold finger è stato poi assemblato al  sensore come più oltre è spiegato.

La cella di Peltier (TEC)

Per la cella di Peltier ho dovuto trovare il miglior compromesso tra dimensioni e potenza assorbita. 

Questo perché maggiore è la superficie del TEC e più efficace è lo scambio termico tra quest'ultimo e la cold plate.

Per tale motivo ho scelto una cella quadrata delle dimensioni di 40x40 mm e di 45 watt di potenza massima (15,4 Volt, 3 A). In fotografia appare la scritta "4 A", ma è un errore, infatti le TEC vengono definite con una sigla numerica le cui prime tre cifre indicano il numero degli elementi, mentre le ultime due definiscono la corrente massima assorbita, espressa in Ampere. 

Nel mio caso la cella è, appunto,  una 12703.

Il dissipatore termico

Il radiatore  è in alluminio del tipo utilizzato per i vecchi socket 370. 

Le sue dimensioni sono di 70 (l) x 65 (p) x 45 (a) mm. 

Un radiatore di rame sarebbe più efficiente , ma anche ben più pesante, tuttavia potrebbe avrebbe un ingombro in altezza minore di circa il 50%. 

Il radiatore è dotato di un ventilatore da 60 mm alimentato a 12 Volt (0,36 A) con una velocità massima di rotazione di 5000 rpm ed un flusso aereo di 19.42 cfm.

IN BLU IL SENSORE

IN GRIGIO IL PCB

IN MARRONE IL COLD FINGER

IN ROSSO LA COLD PLATE

IN GIALLO LA TEC

Bisogna subito chiarire che la regolazione fine della potenza erogata dal TEC è fondamentale per il raggiungimento della massima efficienza termica del sistema. 

Il sensore sviluppa circa 4 Watt, mentre la cella di Peltier, se alimentata alla tensione nominale massima di 15.4 Volt, eroga una potenza oltre dieci volte maggiore (45 Watt).

Questo surplus energetico non è un vantaggio, ma esattamente il contrario. 

L'errore in cui molti cadono è proprio quello di utilizzare  TEC molto potenti  pensando così di raggiungere temperature di raffreddamento più spinte, ma è vero il contrario. 

Infatti, la temperatura raggiunta dal dissipatore (T diss) è  proporzionale alla potenza prodotta dal dispositivo ed il sensore si raffredda ad una temperatura (Tsens) uguale a:  T diss - ΔΤ.

Ciò significa che, a parità di  ΔΤ, maggiore è la potenza erogata dal TEC, più caldo sarà il dissipatore e, di conseguenza, meno freddo diventerà il sensore. 

D'altro canto il  ΔΤ reale varia anche in funzione diretta al rapporto fra potenza attuale e potenza massima nominale della cella. 

 (ΔΤ è comunque sempre inferiore al massimo teorico di cui la cella è capace, ma non mi dilungo su questo punto).  

Le curve che rappresentano queste due funzioni  si incrociano in un punto che determina i corretti parametri da impostare per ottenere la massima efficienza di raffreddamento. 

Per questo è necessario poter disporre di un regolatore della tensione applicata al TEC,  in maniera da controllare stabilmente il punto di lavoro del sistema.  Di ciò si occupa il  controller PWM.

L'applicazione del cold finger

Il cold finger è stato piegato a  "L"  ricurva, come si può vedere nel disegno sopra, in maniera tale da rendere possibile la sua fuoriuscita dal corpo macchina giusto  davanti il blocchetto delle prese. In tal modo la presa mini USB - la sola che a noi interessa - si rende facilmente accessibile e fruibile tramite una spina a 90°.La cold plate  è stata incollata alla faccia fredda del TEC per mezzo di uno dei migliori adesivi termici a doppio componente oggi disponibili (Arctic Silver Thermal Adhesive 5). 

Lo stesso adesivo è stato impiegato per incollare il cold finger al dorso del sensore (vedi oltre).

Un'estremità del cold finger è stata saldata a caldo alla cold plate, avendo cura di mantenere lo strato di stagno il più sottile possibile per ridurre al minimo la resistenza termica. 

L'estremità opposta del cold finger è stata assottigliata per un tratto poco maggiore della lunghezza del sensore - utilizzando un flessibile dotato di disco abrasivo fine e controllando meticolosamente l'operazione - fino a farle raggiungere lo spessore di circa 0.6 mm. 

Questa porzione del cold finger, infatti,  deve essere inserita agevolmente nello spazio presente tra il dorso del sensore  ed il pcb. 

Tale spazio (gap), per la presenza di alcuni componenti smd sulla superficie interna del pcb (vedi foto sotto) si riduce ad una quota utile poco più di 0.7 mm. 

E' stato inoltre necessario  ridurre (con un fresina Dremel) l'altezza del piccolo perno presente sul supporto di alluminio (è ben visibile nella foto)  per rendere possibile l'inserimento del cold finger all'interno del gap sensore-pcb.

La funzione di questo pernino - e dell'altro, identico a questo,  posto sul lato opposto del frame di alluminio - è quella di permettere il posizionamento corretto  del sensore.

Per questo motivo ho preferito non rimuovere né il primo, né il secondo.

Dopo aver apposto uno strato adeguato (non troppo spesso)  di adesivo al  cold finger, lo stesso  è stato  gentilmente pressato e trattenuto sul dorso del sensore per mezzo di tre vitine aventi lo stesso calibro e passo, ma lunghezza superiore rispetto a quelle originalmente presenti, che esplicano la funzione di  fissare il blocco sensore-pcb al  supporto di alluminio. 

Occorre precisare che, una volta che l'adesivo ha polimerizzato,  queste viti possono essere  rimosse per eliminare il pur piccolo ponte termico che inevitabilmente esse costituiscono.

Ho tuttavia preferito lasciare  le viti al loro posto  per scongiurare possibili distacchi del cold finger o, peggio ancora, rotture del CMOS.

La foto qui sotto chiarisce bene quanto è stato fatto.

Dopo aver incollato le resistenze NTC ed i fili di collegamento sul cold finger, ho provveduto  alla sua coibentazione termica, partendo da dove esso esce dal blocco del sensore. 

Un nastro termoisolante autoadesivo (schiuma neoprenica) dello spessore di 2,5 mm è stato fatto ben aderire alla superficie del cold finger avendo cura di ricoprire il metallo anche sui bordi. Al di sopra del nastro è stato poi avvolto un film plastico termoriflettente del tipo usato per proteggere le persone  durante gli spostamenti a basse temperature in situazioni di emergenza sanitaria. Questo materiale è estremamente efficiente nel limitare l'assorbimento di calore per irradiazione da parte cold finger.

Il contatto tra cold plate e dissipatore

Il contatto tra la cold plate  e dissipatore deve essere il più  stretto possibile, in maniera tale da rendere estremamente efficiente la conduzione termica e, di conseguenza la dissipazione del calore all'esterno.

Per raggiungere questo risultato senza saldare in maniera definitiva il cold plate al dissipatore è indispensabile utilizzare una pasta termo conduttiva efficiente su una delle due parti - ben pulite ed asciutte - che saranno poste a contatto fra loro.

Io ho usato la  Diamond "7 Carat" Thermal Compound".  

Il diamante ha il coefficiente di conduzione termica più elevato in assoluto, tuttavia  questa pasta - così com'è - non è spalmabile.

Per poterla utilizzare qui, sono ricorso al semplice espediente di sciogliere in maniera omogenea la quantità necessaria del composto (non deve essere troppo!) con qualche goccia di isopropanolo (alcohol isopropilico), per poi spalmarla facilmente sulla superficie del dissipatore.

A quel punto  le due parti  vengono pressate una contro l'altra usando una fascetta serra cavi in nylon di adeguata larghezza  e lunghezza. Tuttavia - come si vede nelle foto qui sotto - la sola fascetta non è sufficiente. 

E' indispensabile utilizzare anche la molla di serraggio originale del dissipatore  (ha la  forma di 'M schiacciata') dopo aver eliminato i suoi occhielli posti alle sue estremità perché ostacolano lo scorrere  la fascetta sulla guida della molla. 

Quando allora la fascetta verrà energicamente stretta sulla  molla, quest'ultima garantirà una pressione adeguata e  costante fra le due superfici. 

L'intera operazione dovrà essere completata rapidamente poiché l'isopropanolo tende ad evaporare in breve tempo. 

Nelle foto  qui sotto: a sinistra  è possibile vedere il dissipatore, due fascette  da 5 mm di larghezza e  la molla.  Nella immagine a destra si vedono le fascette serrate.  Le fascette sono  due  perché non ne avevo  una sola di lunghezza sufficiente.

La fissazione del dissipatore al corpo macchina

Il dissipatore è stato assicurato solidalmente al corpo macchina per mezzo di una robusta ma leggera zanca in polipropilene trasparente. 

Un estremità di quest'ultima è stata avvitata al dissipatore, mentre l'estremità opposta è stata fissata alla culatta della fotocamera tramite la vite standard da 1/4". 

Utilizzando la plastica - e non il metallo - ho evitato "ritorni" termici provenienti dal dissipatore.


Il controllo PWM della temperatura del sensore

IMPORTANTISSIMA PREMESSA

Una cella di Peltier NON DEVE essere pilotata con un comune termostato perché in questo caso i continui cicli di accensione/spegnimento conducono ad un rapido deterioramento meccanico  del device causato dalle repentine e ripetute escursioni termiche. 

Non solo. Una condizione di  non minore importanza è costituita dal fatto che l'alimentazione in corrente non continua  riduce l'efficienza della cella di Peltier.

Pertanto, la maniera  corretta  per  alimentare una TEC è quella di farla percorrere da una corrente continua che vari nella maniera più "morbida" possibile, affinché  la sua temperatura rimanga ragionevolmente regolata sul valore prescelto.  Inoltre, all'accensione (ed allo spegnimento) dell'alimentatore la corrente dovrebbe crescere (o decrescere) in maniera graduale.

E' possibile utilizzare un sistema di controllo PWM della cella (ed è quello per cui ho optato io) in quanto la frequenza degli impulsi utilizzata in questi  circuiti  è ben tollerata dalla TEC.   Tuttavia, nel caso specifico, ho anche "spianato"  la corrente all'uscita del controller con un semplice filtro LC attentamente dimensionato in maniera tale da ridurre al minimo anche il ripple residuo (< 10%).

Questo aspetto diventa essenziale nel raffreddamento di un sistema elettronico di immagine  perché la presenza dei  glitch  del segnale ad onda quadra potrebbe costituire una sorgente di interferenze elettromagnetiche sia sull'elettronica del sensore che sul sensore stesso, determinando fastidiosi pattern noises  non facilissimi da eliminare sia nel pre- che nel post-processing.


Descrizione del  primo  circuito

Lo schema, classico, è molto semplice.

I primi due (U2A ed U2B) dei quattro operazionali  del LM324 sono un trigger di Schmitt  ed un integratore che insieme costituiscono un generatore di onde triangolari con una tensione di picco di circa 10 V.

Il terzo operazionale (U2D) è un amplificatore differenziale  sulle cui entrate, invertente e non-invertente, sono applicate rispettivamente: la tensione presente sul cursore del potenziometro RV1 (con la cui regolazione è possibile fissare la temperatura di raffreddamento) e la tensione rilevabile ai capi del termistore (essa sale con la diminuzione della temperatura del sensore). 

Alla uscita di U2D ritroviamo una tensione risultante dalla amplificazione della differenza fra le  suddette due tensioni d'ingresso.

Il quarto, ed ultimo, operazionale (U2C) è un comparatore alla cui uscita è rilevabile  un segnale ad onda quadra avente una tensione  uguale a quella di saturazione (poco più di 11V) ed un duty-cicle variabile da un minimo ad un massimo, secondo la  dinamica che vado a descrivere.

Sull'entrata non-invertente è presente l'onda triangolare prodotta dal generatore (U2A ed U2B), mentre sull'entrata invertente è applicata la tensione presente all'uscita di U2D.

Quando la temperatura del sensore è alta (all'accensione del circuito essa corrisponde a quella ambientale), all'uscita di U2D avremo 0V (all'incirca), pertanto la tensione portata in diminuzione  del segnale triangolare (tramite l'ingresso invertente) sarà nulla.  Ciò indurrà, all'uscita del comparatore, la formazione di un segnale ad onda quadra avente il duty cicle di valore massimo  (vedi sotto).

Detto segnale,  applicato al gate del MOSFET e dopo essere passato attraverso  un  filtro LC, farà scorrere nel TEC la massima corrente continua ed il sensore inizierà a raffreddarsi.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                 Viceversa, nel momento in cui  la temperatura del sensore si abbasserà appena sotto la soglia prefissata, all'uscita di U2D inizieremo a vedere una piccola tensione che ridurrà l'escursione dell'onda triangolare (vedi disegno).

Per conseguenza, il duty cicle dell'onda quadra sull'uscita del comparatore si ridurrà a sua volta, il TEC sarà attraversato da una corrente  continua proporzionalmente più bassa e pertanto il sensore diventerà meno freddo (vedi sotto).


DUTY  CICLE  DELL'ONDA QUADRA ALL'USCITA DI   U2C :    A  100%      B  50%     C  10%

IN ROSSO  L'ONDA TRIANGOLARE  (entrata non invertente)

IN BLU  IL  CONTROLLO  (entrata  invertente)

IN VERDE  IL SEGNALE  IN USCITA   (si noti che quando il  controllo  è  0 V   in uscita  abbiamo  un segnale continuo)

IN NERO LA TENSIONE DI  0 V

Questo meccanismo si traduce in efficiente feedback decisamente diverso da quello prodotto da un  termostato standard  "on-off".  

La temperatura  è mantenuta al livello prefissato senza che venga indotto uno  stress  a lungo termine potenzialmente distruttivo sulla cella di Peltier.

Inoltre, ed è l'aspetto più importante,  non si producono disturbi di natura elettromagnetica a carico del sensore.

LO SCHEMATICO

Si notino tre particolarità del circuito:

1) La  tensioni determinate dai due partitori, grazie al regolatore da 8V, sono rese indipendenti dalle variazioni della tensione  di alimentazione generale.

2) il guadagno (amplificazione) di U2D risulta pari a circa 500.  Ciò rende l'intervento del controller sufficientemente  rapido; 

3) all'uscita di  U2C è stato posto un led.  Poiché la sua luminosità varia proporzionalmente con il  duty cicle,  diventa facile monitorare (e testare) il controller.

TEST del 04 gennaio  2015  01:40 PM  TMEC:

Temperatura ambiente:  15.9°  C

Temperatura del sensore dopo 10 min:  - 14.1° C

Delta termico ((ΔT) sensore-ambiente: 30° C

Ripple termico: ± 0.5° C

Nota:

Il ripple termico è riducibile in maniera significativa  (fino a circa ± 0.1° C). Essa  è parzialmente  dovuta all'inerzia termica del sistema, ma piuttosto è dipendente dalle caratteristiche elettriche del circuito del termostato.

Infatti la tensione di riferimento (quella che determina la temperatura prefissata) presente sul partitore posto all'ingresso invertente di U2D, ogni qualvolta è superata dalla tensione presente all'ingresso non invertente,  mostra una caduta graduale di circa 5 mV, che determina lo spegnimento della TEC per 8-10 secondi.

In  amp op come quello del progetto, quando la tensione presente all'entrata invertente è derivata da un partitore, essa non è completamente indipendente dalla tensione presente all'uscita, ma si abbassa con l'aumentare di quest'ultima, rendendo il feedback negativo meno efficiente.

Di fatto - ed è verificabile praticamente - quando la tensione del segnale in uscita di U2D assume un valore progressivamente maggiore di zero, la stessa contemporaneamente determina  la graduale diminuzione della tensione di riferimento.   Viceversa, quando la tensione in uscita scende  fino a raggiungere il livello di  0 Volt, la tensione di riferimento all'ingresso dell'entrata invertente torna bruscamente al livello prefissato:  quello determinato unicamente dal valore delle resistenze del partitore di tensione.  

Questo comportamento,  che è rappresentato  da due differenti curve  della  variazione della tensione del segnale in uscita - una quando essa aumenta da 0 Volt, e l'altra quando diminuisce fino a raggiungere 0 Volt - è definita  isteresi.

La diretta conseguenza della  isteresi  elettrica del  circuito  è l'induzione un ripple  termico lontano da quello minimo raggiungibile dal sistema di raffreddamento,

Alla luce di queste evidenze si era  perciò resa necessaria una profonda modifica del circuito  come inizialmente concepito.

Nuova versione del controller della TEC   con   la funzione di anti condensa.

Qui sotto, da sinistra:  

L'inconveniente dell'eccessivo ripple nel controllo della temperatura  della  TEC  viene eliminato con l'aggiunta di un regolatore di tensione variabile (LM317L) con il quale fissare in maniera indipendente la tensione di riferimento presente sull'entrata invertente  di U3C.

L'LM324 è stato sostituito dal MC33174 che possiede uno slew rate (velocità di risposta) quasi 40 volte superiore, in maniera tale da avere  un onda ben squadrata all'uscita del comparatore e ridurre così il problema dell'eccessivo riscaldamento del MOSFET , che è stato  sostituito con un IRLZ44N  (utilizzato nei circuiti TTL che lavorano con una tensione ON  sul Gate più bassa)

Il ripple termico del controller così ridisegnato  arriva adesso a  meno di ± 0.1° C 


Il  controller PWM  definitivo

Si noti  l'aggiunta , nel circuito, di un "MOSFET driver" (TC1427):  esso limita  l'importante dissipazione del MOSFET, che,  altrimenti, nelle  transizioni on-off (e viceversa), finirebbe per  lavorare nella porzione lineare della curva caratteristica, vista la poca corrente fornita in uscita dall'operazionale. 

I componenti del  filtro LC,  necessario per ottenere  la corrente continua in uscita,  sono stati  adeguatamente  configurati  per  contenere al massimo il  ripple termico.  

Per finire, un regolatore AMS1117 -3.3  fornisce  la corrente necessaria per l'anticondensa  della finestra del sensore.