Etimologia
La parola con cui i Greci definivano l'ambra era ἤλεκτρον, termine che compare per la prima volta nell’Odissea omerica (IV, 73; cf. Plin., Nat. Hist., XXXIII, 81) quando Telemaco nota decorazioni di questo materiale sulle pareti del palazzo di re Menelao a Sparta. Il vocabolo presenta la medesima radice indo-europea di ἠλέκτωρ, il sole splendente, e ciò indica che sin dai primi tempi l’ambra era nota principalmente per la sua lucentezza e brillantezza. Il termine greco influenzò anche la lingua latina e infatti, a partire dalla letteratura di età augustea (31 a.C.-14 d.C.), per designare questa sostanza venne usata la parola electrum: nell'opera di Plinio è possibile trovare tale vocabolo diverse volte, soprattutto quando l'autore fa riferimento a fonti greche. I Romani, tuttavia, definivano l’ambra anche con il sostantivo succinum o sucinum, termine non attestato prima dell’opera pliniana; l’autore (Nat. Hist., XXXVII, 43) ascrive l’etimologia della parola al fatto che l'ambra era ritenuta un succo (sucus) derivato dagli alberi, ma in realtà l’origine del termine è alquanto incerta. Nei secoli successivi, in qualità di trascrizione del termine latino, anche nel mondo greco entrò in uso la parola σούκινος o σουγχῖνος, attestata in realtà rare volte in testi letterari o epigrafici. Tra i popoli germanici che gestivano il traffico di questo materiale, l'ambra era definita glaesum (Plin., Nat. Hist. XXXVII, 42; Tac., Germ., 45, 4) a causa del suo aspetto vitreo e del suo fulgore; la radice indo-europea del termine, cioè *ghel, che indica qualcosa di lucente e luccicante, si è mantenuta ancora oggi nei vocaboli anglosassoni glass (vetro), glaze (vitreo, lucido), glitter (scintillio, luccichio), yellow (giallo), glare e glow (bagliore). La moderna parola italiana ''ambra'' deriva invece dal termine arabo kahruba, formato da kah- (cioè paglia) e -ruba (attirare).
Nell’antichità il termine ἤλεκτρον era utilizzato anche per designare una lega di oro e argento esistente in natura, ma che poteva anche essere prodotta artificialmente. Il letterato che introdusse per primo tale utilizzo del termine pare essere stato nel V sec. a.C. il tragediografo ateniese Sofocle (Antig. 1038). Plinio (Nat. Hist., XXXIII 80) indica che l’oro era definito "elettro" quando conteneva 4/5 di metallo aurifero e 1/5 di argento e individua nelle montagne iberiche il luogo dove veniva estratta questa particolare qualità di oro, detta canaliensis. L'elettro naturale era presente soprattutto in Asia Minore nei letti dei fiumi della Ionia e della Lidia e sin dalla prima metà del VII sec. a.C. venne usato in quei territori per coniare le prime monete, che presentavano inizialmente la forma di ''gocce''.
Origini, proprietà e differenti varianti
L'ambra è una resina fossile di aspetto vetroso che deriva da antiche conifere ormai estinte, la principale delle quali era la specie nota come Pinus succinifera. Sin dall'antichità vigeva tra gli uomini d'ingegno una grande confusione riguardo alla natura e alle caratteristiche di questo materiale, al punto che su questo tema erano presenti numerose teorie spesso discordanti tra loro. Aristotele (Mete., 388 b), ad esempio, ne individuò correttamente una natura vegetale al pari dell'incenso, della mirra e della gomma e osservò alcuni insetti rimasti intrappolati quando la sostanza si trovava allo stato liquido e poi conservatisi al suo interno una volta che essa si era solidificata (cf. anche Plin., Nat. Hist., XXXVII, 46). Al contrario, Teofrasto (Lap. 28-29), allievo di Aristotele, riteneva che l'ambra avesse una natura minerale e che venisse estratta dalle viscere della terra; analogamente il geografo greco di I sec. d.C. Filemone (citato da Plinio in Nat. Hist., XXXVII, 33) la considerava un fossile che poteva essere estratto dal terreno in diverse varianti. Tra le più bizzarre teorie sull'origine dell'ambra vanno segnalate quella di un certo Asaruba, scrittore ignoto secondo cui essa derivava dal limo scaldato di un lago nei pressi dell'Atlantico (cf. Plin., Nat. Hist., XXXVII, 37), e quella di Demostrato, senatore romano della seconda metà del I sec. a.C. che riteneva la sostanza come il prodotto della solidificazione dell'urina di lince (cf. Plin., Nat. Hist., XXXVII, 34). Secondo quest'ultima teoria, attestata anche negli scritti di Teofrasto (Lap. 28) e di Strabone (IV, 6, 2), il modo corretto di definire l'ambra sarebbe lyngurion/lyncurium (dal greco λύγξ, lince, e οὔρημα, urina), vocabolo che richiamerebbe anche una tanto presunta quanto infondata provenienza del materiale dalla Liguria. Nella mitologia greca l'origine dell'ambra era legata alle gesta di Fetonte, il figlio del Sole che, dopo aver bruciato la terra e il cielo con il carro infuocato del padre, cadde colpito da un fulmine di Zeus in un lago presso il fiume Eridano, spesso identificato con il Po. Le Eliadi, sue sorelle, lo piansero ininterrottamente per giorni e notti, finché gli dèi, mossi da compassione, le trasformarono in pioppi; da allora le loro lacrime assunsero l'aspetto di una linfa arborea che, una volta essiccatasi, diventava ambra, venendo poi raccolta dal fiume e trasportata fino al mare, da cui gli uomini la portavano infine a Roma, dove era indossata dalle spose (Ps. Arist., Mirab. ausc., 836 a-b; D.S., V, 23; Ov., Met., II, 319-366; Luc., Electr., 2).
Oltre alla sua proverbiale lucentezza, l'ambra era nota nell'antichità anche per la capacità elettrostatica di attirare a sé pagliuzze e fili di lana in seguito a strofinio, come notato dallo stesso Plinio (Nat. Hist., XXXVII, 48). Il fenomeno venne osservato per la prima volta nel VI sec. a.C. dal filosofo Talete (cf. D. L., I, 24), che notando questo comportamento dell'ambra e del magnete attribuì agli oggetti inanimati un'anima, poi venne brevemente menzionato da Platone nel dialogo Timeo (80 c) e in seguito venne analizzato in maniera più approfondita da Plutarco (Mor., 1005 b-e) tra il I e il II sec. d.C. Un'altra qualità molto apprezzata dell'ambra era il suo soave profumo. Come riportano i poeti Giovenale (VI, 573-574) e Marziale (III, 65, 5; V, 37, 11; XI, 8, 6), tra il I e il II sec. d.C. le donne romane presero l'abitudine di tenere frammenti d'ambra nelle mani per scaldarli e poi sentirne l'odore sulla propria pelle.
In natura esistono diverse varianti di resina fossile che in età antica venivano tutte definite con il nome generico di ''ambra''; esse presentano proprietà diverse e si sono formate nel corso dei millenni in condizioni geologiche differenti. La più importante di tutte è la succinite, detta anche ''ambra baltica'', che proviene dalle coste del Baltico e del Mar del Nord, ma anche dalla Polonia settentrionale e centrale e, a quanto pare, persino dall’Ucraina; pressoché tutti i manufatti antichi trovati in area mediterranea sono fatti di succinite. Altri tipi di ambra sono poi la simetite, che si può trovare lungo il fiume Simeto, presso la città siciliana di Catania (questa variante era sconosciuta in epoca antica), la rumenite, presente nell'attuale Romania, la walchovite, dalla Moravia, e altre forme baltiche (gedanite, glessite, stantienite).
Utilizzo
A partire dal Neolitico (VI-V millennio a.C. ca.) frammenti d'ambra iniziarono ad essere utilizzati come ornamenti e gioielli con significato sacro soprattutto tra le popolazioni primitive del Nord Europa, dove il materiale era presente in grandi quantità. Dall’Età del Bronzo, che in Europa ha inizio all'incirca nel 3500 a.C., l'ambra cominciò a essere esportata da quei luoghi verso Occidente e verso Sud e questo permise alle popolazioni baltiche di fiorire e svilupparsi grandemente. É soprattutto a partire dal periodo ''tardo elladico'' della civiltà micenea (1580-1450 a.C. ca.) che questa resina iniziò ad essere stimata tra i materiali di maggior valore presenti in natura, al pari dell'oro, dell'argento e dell'avorio, e ad essere perciò usata principalmente per decorare i palazzi e per fabbricare oggetti di lusso destinati alle case dei nobili. Ad esempio, nel VII sec. a.C. l'anonimo autore identificato come Pseudo-Esiodo (Sc. 139-143), descrisse lo scudo dell'eroe dorico Eracle come decorato anche con frammenti d'ambra. Numerose tracce d'ambra sono state poi ritrovate nei ricchi corredi delle tombe di Micene, Tirinto, Argo e Tebe. In modo analogo, nelle tombe greche ed etrusche della successiva età arcaica sono stati rinvenuti numerosissimi frammenti d'ambra che ornavano gioielli, come collane, fibule, orecchini, bracciali e anelli. L'ambra era poi ampiamente utilizzata anche per la produzione e la decorazione di vasi, coppe e brocche: sulla scorta di Omero, ad esempio, Plinio (Nat. Hist., XXXIII, 81) menziona una coppa di elettro donata da Elena al tempio di Minerva situato sull'acropoli di Lindo, nell'isola di Rodi. Inoltre l’ambra veniva utilizzata anche per fabbricare utensili di uso domestico, come coltelli (cf. Plin., Nat. Hist., XXII 99), dadi, amuleti, sigilli e uncini, nonché per decorare porzioni di rilievi parietali o segmenti del letto. Secondo una diceria diffusa in ambienti filosenatori (Hist. Aug., Heliog., XXXI, 8), l'imperatore Eliogabalo (218-222 d.C.) avrebbe desiderato ricoprire le pareti del proprio palazzo anche di ambra, ma non ne fu in grado dal momento che probabilmente alla sua epoca (o più verosimilmente nella seconda metà del III sec. d.C.) i traffici commerciali erano stati temporaneamente interrotti a causa delle continue incursioni dei barbari dalle frontiere settentrionali dell'impero. In linea con le stravaganti tendenze dell'epoca imperiale romana, si diffuse l'abitudine di utilizzare l'ambra anche per produrre gemme false che imitavano, ad esempio, l'ametista (cf. Plin., Nat. Hist., XXXVII, 51). L'ambra inoltre poteva essere utilizzata anche per costruire delle statue, come testimonia il fatto che l'imperatore Augusto decise di donare una scultura ambrata che lo ritraeva al noto tempio di Zeus ad Olimpia (cf. Paus., V, 12, 7). Il colore dell'ambra era molto apprezzato dall'alta società romana, al punto che sin dal regno di Nerone (54-68 d.C.), e probabilmente per iniziativa dello stesso principe, aumentarono le richieste di tintura per capelli del colore dell'ambra da parte delle matrone dell'Urbe (Plin., Nat. Hist., XXXVII, 50).
Le misteriose caratteristiche dell’ambra, come la capacità magnetica e il colore dorato, indussero gli antichi ad attribuire a quel materiale proprietà magiche, apotropaiche e mediche. In virtù di ciò, essa veniva infatti utilizzata come rimedio contro il mal d'orecchi, l'oscuramento della vista, il mal di stomaco, l'influenza intestinale e le perdite di sangue. Le infezioni alla gola di cui parla Plinio (Nat. Hist., XXXVII, 44), che venivano curate per mezzo dell'ambra, sono probabilmente da identificare con diverse forme di gozzo, patologia diffusa in alcune zone di montagna (come l'arco alpino) e causata dalla presenza di sostanze nocive nelle acque potabili della zona.
Sommario tratto da AA. VV., Thesaurus Graecae Linguae, vol. V (Z-K), rist. anast., Graz 1954, s.v. ἤλεκτρον; AA. VV., Thesarus Linguae Latinae, vol. V, 2. fasc. III, Leipzig 1974, s.v. electrum; vol. VI, 2. fasc. X, Leipzig 1975, s.v. glaesum; AA. VV., Le Garzantine. Nuova Enciclopedia Universale, Milano19986, s.v. Ambra; AA. VV., Le Garzantine. Antichità classica, Milano 2000, s.v. Elettro; Kolendo, Jerzy, L'ambra e i rapporti tra Cisalpina e regioni centro europee, Padova 1993; Jacob, Alfred, Electrum, in «Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, vol. II.1 (D-E)», a cura di Charles Daremberg, Edmond Saglio, Paris 1892 (rist. anast., Graz 1969), pp. 531-536; Spekke, Arnold, The ancient amber routes and the geographical discovery of the Eastern Baltic, Stockholm 1957 (rist. anast., Chicago 1976); Causey, Faya, Amber and the ancient world, Los Angeles 2011.