"Everything you can imagine is real
(Tutto ciò che puoi immaginare è reale) " Pablo Picasso
Karl Friedrich Hieronymus von Münchhausen era un barone tedesco, nato nel 1720 e deceduto nel 1797, divenuto famoso perchè narrava storie fantastiche e inverosimili sulla propria vita. I racconti delle sue gesta furono raccolti da Rudolf Erich Raspe nel romanzo “Le avventure del Barone di Münchhausen”, pubblicato a Londra nel 1785. Ne sono state poi pubblicate molte altre versioni in varie lingue di cui molto nota è quella intitolata da Gottfried August Bürger "Viaggi meravigliosi su terra e mare: le campagne militari e le avventure comiche del Barone di Münchhausen".
Tra le sue imprese più famose si annoverano l'arrampicata su una pianta di fagiolo che lo conduce sulla Luna, un viaggio a cavalcioni di una palla di cannone per sorvolare una fortezza nemica e il suo uscire incolume dalle sabbie mobili tirandosene fuori per i propri capelli.
“Un altro giorno volli saltare attraverso una palude che, a prima vista, non mi era parsa larga come di fatto la trovai quando mi vidi proprio in mezzo ad essa. Allora tornai al punto di partenza, lanciai di nuovo il cavallo al salto, ma presi ancora lo slancio troppo breve, tanto che caddi vicino alla riva opposta, tuffato fino al collo nel fango. E sarei perito senza fallo se, con la forza del braccio, presa la coda della mia capigliatura e sollevatala con energia, non avessi tratto su me e il cavallo, che strinsi forte tra le ginocchia, di mezzo a quel pantano.”
“Continuai a cavalcare finché la notte e l'oscurità non mi raggiunsero. Non c'era nessun villaggio che si potesse sentire o vedere da nessuna parte. Tutto il paese era coperto di neve … Stanco di cavalcare, alla fine scesi da cavallo e legai il mio cavallo a una specie di palo appuntito che sporgeva sopra la neve. Per sicurezza presi le pistole sotto il braccio, mi sdraiai nella neve non lontano e feci un pisolino così salutare che i miei occhi non si riaprirono finché non fu giorno pieno. Ma quale fu il mio stupore quando scoprii che ero disteso sul sagrato della chiesa, in mezzo a un villaggio! Inizialmente il mio cavallo non si vedeva da nessuna parte, ma subito dopo l'ho sentito da qualche parte sopra di me. Quando alzai lo sguardo, notai che era legato alla banderuola del campanile della chiesa e pendeva da lì. Ho capito subito quanto era accaduto. Durante la notte il villaggio era stato completamente ricoperto di neve, ma il tempo era improvvisamente cambiato e, a poco a poco, la neve si era sciolta: … quello che nell'oscurità avevo creduto fosse il ceppo di un alberello che spuntava dalla neve, e vi avevo legato il cavallo, era stata la croce o banderuola del campanile della chiesa. Senza pensarci a lungo, ho preso una delle mie pistole, ho sparato alle redini e così ho liberato il mio cavallo e ho proseguito il mio viaggio”.
“Mi ricordai di una proprietà singolare che hanno i fagioli in Turchia: essi, appena piantati crescono con rapidità vertiginosa. Io ne piantai uno immediatamente e quello cominciò subito a crescere rigoglioso. In breve, raggiunse un’altezza vertiginosa e poi continuò a crescere ancora fino a che un suo virgulto si abbracciò a uno dei corni della luna.” Così il barone arriva sulla Luna arrampicandosi sulla pianta e poi fa ritorno appeso a una corda: siccome la corda è troppo corta, ogni volta che ne raggiunge la fine, snoda l’estremità superiore e la riannoda all’estremità inferiore. In questo modo riesce a tornare sulla Terra.
E ancora:
Il cavallo lituano del Barone viene tagliato di netto in due parti dalla saracinesca che chiude l’accesso a una città nel corso di una terribile battaglia contro i Turchi. Le due parti del cavallo continuano però a cavalcare: la parte anteriore con il suo cavaliere in groppa e la parte posteriore che sferra furiosi calci ai nemici. Alla fine della battaglia il barone non fa altro che riattaccare le due parti con un unguento e delle radici di alloro; così, nel giro di poco tempo, dalla cicatrice del cavallo nasce un pergolato perfettamente comodo come copertura e riparo per il cavaliere.
E per concludere:
“Qualcuno pensa che i miei racconti siano solo colossali bugie. Ci tengo a dire che quanto ho scritto in questo libro è solo il fedele resoconto dei miei molti viaggi per mare e per terra e delle mie avventure di guerra e di caccia. Leggete e giudicate voi”. … “Agli increduli io dirò soltanto che li compatisco per la loro scarsa fede”.
Ispirandosi a questi racconti, nel 1951, in un articolo su The Lancet, il medico britannico Richard Asher definì “Sindrome di Münchhausen” un disturbo caratterizzato da segni e sintomi di malattia che il soggetto giustificava inventando storie che poi si rivelavano false. Attualmente la sindrome viene inclusa nel DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) tra i cosiddetti Disturbi Fittizi, cioè quelle situazioni caratterizzate dalla produzione intenzionale di sintomi, fisici o psicologici. Bisogna sottolineare che un disturbo fittizio non è motivato dal raggiungimento di un vantaggio concreto (ad esempio economico, come acquisire un rimborso da parte di una assicurazione). L’unica finalità sembra essere quella di assumere il ruolo di malato, con tutti i vantaggi primari e secondari che ne possono derivare. Per questo motivo solitamente il disturbo non è facilmente individuabile e sono spesso necessarie lunghe indagini per giungere alla diagnosi. D’altra parte, questi pazienti sembrano piuttosto abili nel convincere gli operatori sanitari a prendere sul serio la loro sofferenza. Tipiche sono le richieste insistenti di visite mediche, dell'esecuzione di test diagnostici così come di interventi e procedure terapeutiche, anche dolorose. Presto la simulazione della malattia diventa la principale o addirittura l’unica occupazione di chi soffre di questa sindrome. Così, nelle fasi avanzate del disturbo, il paziente solitamente si presenta al medico con un numero estremamente elevato di referti medici, visite specialistiche, rapporti di pronto soccorso e schede di dimissione ospedaliera. Nelle forme più gravi si possono verificare vere e proprie forme di autolesionismo, cioè il paziente si fa del male per farsi credere malato.
A differenza del disturbo fittizio, la produzione di una sintomatologia perseguita volontariamente per ottenere un beneficio concreto, come ad esempio evitare di andare al lavoro, indica una condizione di Simulazione (in inglese “Malingering”, termine di derivazione militare, che descrive la richiesta di visita medica da parte di un soldato per tentare di venire riconosciuto dal medico come malato e così esentato dalle attività previste). In questo caso, chi simula fornisce informazioni false come se fossero vere; al contrario chi dissimula nasconde informazioni senza però dire il falso; lo scopo evidente è comunque quello di ricavarne un vantaggio.
Negli anni seguenti è stata identificata anche una cosiddetta “Sindrome di Münchhausen per procura” (che alcuni definiscono “sindrome di Polle”, dal nome vero del figlio del barone di Münchhausen, morto da giovane in modo inspiegabile).
E’ stato il pediatra inglese Roy Meadow, in una pubblicazione del 1977, a descrivere una “Situazione in cui i genitori, o inventando sintomi e segni che i propri figli non hanno, o procurando loro sintomi e disturbi (per esempio somministrando sostanze dannose), li espongono a una serie di accertamenti, esami, interventi che finiscono per danneggiarli o addirittura ucciderli”.
In questo caso la caratteristica essenziale è la produzione deliberata o la simulazione di segni e sintomi fisici o psichici in un'altra persona che è affidata alle cure del soggetto. Tipicamente la vittima è un bambino piccolo e il responsabile è la madre del bambino. Le modalità usuali per provocare la sintomatologia nei figli sono le più varie: somministrazione di farmaci o veleni, falsificazione delle analisi di laboratorio (ad esempio, introducendo elementi estranei, come batteri fecali, o sostituendole con quelle di persone realmente malate), lesioni fisiche (ad esempio con spilli o bruciature), malnutrizione, soffocamento … si tratta in definitiva di un reato di abuso su minore.
La motivazione di tali comportamenti sembra essere il bisogno di assumere, per interposta persona, il ruolo di malato, ma una giustificazione può essere trovata in meccanismi psicologici di vario tipo: ad esempio, a volte si è dimostrato che le madri abusanti sono state a loro volta vittime di maltrattamento infantile; altre volte sembra imporsi, spesso in modo inconscio, la necessità di dimostrare di essere una madre amorevole, premurosa, eccetera. Più in generale, le origini psicopatologiche del disturbo fittizio (imposto su se stesso o imposto ad un altro) non sono facilmente rintracciabili. Per fare un esempio, potrebbe trattarsi di un modo utile a mantenere l'autostima attribuendo la responsabilità dei propri fallimenti alla malattia, oppure utile a dimostrarsi “eroici” nella sopportazione del dolore, eccetera. Ovviamente il trattamento è difficile e non sono disponibili terapie chiaramente efficaci. Poco utile è anche soddisfare le richieste di esami e di terapie; in questo caso, infatti solitamente si assiste a un'intensificazione della sintomatologia che, alla fine, esaurisce la disponibilità del curante ad esaudire il desiderio dei ripetuti interventi sanitari e induce il cosiddetto “iter magorum”, cioè il continuo peregrinare da un medico ad un altro o da una struttura sanitaria ad un’altra, generando reazioni di rabbia, aggressività e comportamenti rivendicativi.