"I fattori di distrazione più potenti sono le nostre emozioni: tutto ciò che è in grado di suscitare in noi forti sensazioni attira la nostra attenzione". Daniel Goleman
Negli anni Settanta, Walter Mischel (1930-2018) ideò un esperimento, semplice e geniale, divenuto subito molto famoso e noto come il “marshmallow test”. Bambini di 4-6 anni venivano accompagnati in una stanza (arredata soltanto con un tavolino ed una sedia per evitare distrazioni) e fatti sedere di fronte ad un piatto contenente un marshmallow, un dolce molto diffuso e molto amato negli Stati Uniti (i marshmallows non hanno un termine corrispondente in italiano ma compaiono nella traduzione delle strisce dei Peanuts con il nome di toffolette, adorate da Snoopy e dalla sua compagnia; in altri contesti invece vengono a volte denominati “cotone dolce”). Con la scusa di dover sbrigare una faccenda urgente l’accompagnatore usciva dalla stanza avvisando il bambino che, se avesse aspettato il suo ritorno senza aver mangiato il marshmallow che aveva davanti, ne avrebbe ricevuto in premio un altro. Solo un terzo dei bambini esaminati fu in grado di ottenere la ricompensa ed i risultati indicarono chiaramente che la capacità di riuscire nel compito si rafforzava con l’età.
L’interesse principale dell’indagine era volto ad esaminare la capacità di ritardare una gratificazione immediata in vista di una ricompensa futura di maggior rilevanza e individuare le modalità del suo sviluppo in relazione all’età. L’indagine è stata poi proseguita negli anni successivi e i risultati ottenuti dagli studi longitudinali sono stati in qualche modo piuttosto sorprendenti. Un primo monitoraggio, eseguito negli anni Novanta, mostrò che coloro che erano stati capaci di esercitare un controllo sul proprio comportamento avevano poi ottenuto risultati scolastici migliori; si poteva addirittura rilevare una correlazione positiva tra i minuti attesi prima di mangiare il marshmallow e il punteggio conseguito nel SAT (Scholastic Assessment Test), il test che negli Stati Uniti serve per accedere agli studi universitari. Al contrario coloro che avevano preferito non rinunciare alla gratificazione immediata non solo ottenevano punteggi decisamente inferiori al SAT ma in aggiunta risultavano nella fascia dell’obesità in base all’indice di massa corporea (Body Mass Index, BMI) e con frequenza maggiore presentavano problemi comportamentali. Indagini ancora successive, effettuate nel 2006 utilizzando un paradigma go/no go (cioè, misurando l’abilità di non rispondere ad un determinato stimolo), hanno confermato che la caratteristica impulsività presente in età infantile si manteneva sostanzialmente immutata in età adulta.
Molto meno noto è un altro esperimento ideato da Walter Mischel in quegli anni: il Mr. Clown box. Il dispositivo era stato costruito per risultare molto attraente per un bambino e in grado di distrarlo da quanto stava facendo. L’apparato era costituito da una scatola a forma di cubo; il pannello frontale era dipinto in modo da sembrare il volto di un clown; il naso era rappresentato da una leva che poteva essere manovrata per ottenere in premio un giocattolo con cui divertirsi; negli occhi del clown comparivano i giocattoli che fungevano da stimoli per richiamare l’attenzione. I premi venivano ottenuti manovrando il naso-leva e uscivano dalla bocca del clown. Inoltre, un altoparlante permetteva al clown di "parlare" (“Spingi il mio naso”, "Vieni a giocare con i miei giocattoli”). I bambini esaminati (sempre di 4-6 anni di età) venivano lasciati soli in una stanza dove veniva attivato il Mr. Clown box e veniva assegnato loro un compito piuttosto noioso da svolgere (inserire dei pioli in un pannello). Veniva loro data la consegna di portare a termine il compito senza distrarsi.
Così, mentre nel marshmallow test Mischel provocava un conflitto tra motivazioni contrastanti (la gratificazione immediata e quella ritardata) allo scopo di valutare il controllo inibitorio, cioè l’abilità di reprimere un’azione impulsiva per attivarne una più utile rispetto all’obiettivo prefissato e al contesto ambientale, con il Mr. Clown test Mischel voleva esplorare e comprendere quali strategie potevano consentire ai bambini di persistere nel compito senza lasciarsi distrarre. In particolare, Mischel si domandava se la capacità di autocontrollo inibitorio potesse essere educata.
A questo scopo, dopo aver osservato le modalità che utilizzavano per riuscire a resistere alla distrazione, ai bambini venivano suggerite alcune strategie.
Nel test dei marshmallow i bambini che resistevano meglio alla tentazione usavano strategie come allontanare il dolce spostandolo all’estremità del tavolo, voltargli le spalle, giocherellarci per ingannare l’attesa, e continuavano a ripetersi di non mangiarlo perché sarebbe stato meglio mangiarne due (le registrazioni video disponibili mostrano i vari comportamenti, spesso molto divertenti, messi in atto dai bambini nel tentativo di resistere al desiderio di mangiare il dolcetto).
Per questo nel test del clown, ad alcuni bambini si davano consigli come: "Quando Mr. Clown Box dice di guardarlo e giocare con lui, allora puoi semplicemente non guardarlo e dire: 'Non guarderò il signor Clown Box'". Effettivamente, questi bambini riuscivano a portare a termine il compito assegnato proprio ripetendosi il progetto che serviva a inibire la distrazione: "Quando Mr. Clown Box dice di guardarlo e giocare con lui, allora non lo guarderò e dirò: 'Non guarderò il signor Clown Box!'”
Ugualmente efficace è stato il consiglio: "Se Mr. Clown Box fa dei rumori e ti chiede di guardarlo e di giocare con lui, allora puoi semplicemente guardare il tuo lavoro e non lui e dire: "No, non posso. Sto lavorando". Questa modalità viene definita pianificazione tipo "se/allora" (per fare un esempio “Se ho con me il telefono, ma devo studiare, allora disattivo le notifiche”, oppure “Se passo davanti alla vetrina di una pasticceria, allora attraverso la strada per andare dall’altro lato”).
Una ulteriore modalità è stata il cosiddetto distanziamento emotivo, come far finta di non essere coinvolto direttamente nella situazione, sforzarsi di guardare all’evento da lontano, cambiando prospettiva e focalizzando l’attenzione su qualcosa di diverso.
Grazie a queste strategie, in media, i bambini riuscivano a inserire nel pannello 138 pioli distraendosi per soli cinque secondi dal compito mentre chi affrontava il compito senza preparare un proprio piano di difesa riusciva ad inserire 97 pioli distraendosi anche per periodi di 24 secondi.
In definitiva dagli esperimenti di Mischel e collaboratori è risultato che le capacità di autocontrollo possono essere insegnate. In pratica all’inizio è l’adulto che detta le regole e i divieti, poi è il bambino che prova a regolarsi da solo (anche in assenza dell’adulto, ma tenendo a mente la voce della mamma) fino a raggiungere (fra i 3 ed i 6 anni) una vera e propria auto-regolazione esercitando con sempre maggior efficacia la propria capacità di inibizione. L’esercizio consapevole e continuativo rende poi le strategie di autocontrollo sufficientemente automatiche e tali da non richiedere uno sforzo particolarmente faticoso. A questo punto l’autocontrollo inibitorio può divenire una risposta automatica e può essere utilizzata senza sforzo quando se ne ha bisogno.
Il comportamento quindi, secondo Mischel, deriva dall’interazione tra l’individuo ed il contesto in cui agisce, contesto che a volte può essere facilitante ed altre volte può rappresentare un ostacolo.
Anche recenti ricerche hanno confermato queste teorie, richiamando l’attenzione proprio sul ruolo delle componenti socio-ambientali. In una condizione sperimentale ai bambini veniva data una scatola di colori usati dicendo che, se avessero aspettato un po’, avrebbero ricevuto una scatola più grande con colori tutti nuovi. Dopo poco il ricercatore tornava dicendo di dispiacersi di non essere riuscito a trovare una scatola nuova. Veniva poi proposta un’altra situazione in cui di nuovo la promessa non veniva mantenuta. Ad un altro gruppo di bambini, posti nelle stesse condizioni sperimentali, il materiale promesso veniva invece sempre consegnato. A questo punto veniva proposto il test marshmallow nella sua forma originale. I due gruppi si sono comportati in modi marcatamente differenti: capaci di autocontrollo si sono dimostrati soltanto i bambini che avevano fatto esperienza della affidabilità dello sperimentatore. Le esperienze di interazione sociale personalmente e concretamente verificate possono indurre o no a fidarsi dell’interlocutore e a credere alle promesse fatte. Il comportamento adottato dai bambini sembra quindi influenzato anche dalle credenze sul funzionamento delle interazioni sociali.
Va sottolineato che un maggior autocontrollo consente un migliore adattamento all’ambiente di vita, una maggiore competenza sociale e capacità di risolvere situazioni conflittuali, così come una più decisa disponibilità a condividere le regole sociali. Tuttavia, bisogna tener presente che questo meccanismo non è monolitico, per cui un individuo può manifestare un elevato autocontrollo in determinate situazioni, ma non in altre. E’ esercitando i meccanismi di autocontrollo inibitorio che aumenta il potere sulla propria mente e si diviene capaci di regolare l’impazienza e sopportare l’incertezza. Maggiore la capacità di inibire un comportamento, maggiore la capacità di sceglierne un altro più adatto. Minore la capacità di inibizione, minori le possibilità di avere a disposizione un maggior numero di scelte comportamentali. Può sembrare paradossale, ma proprio il controllo inibitorio è alla base della libertà comportamentale.