L’illusione di sapere (quarta parte)
“Nel paese della bugia la verità è una malattia.”
Gianni Rodari
Uno slogan adatto a definire questi primi anni del ventunesimo secolo potrebbe essere l’“epoca della disinformazione”. Forse però, uno slogan più appropriato, a mio parere, potrebbe essere l’“epoca della incapacità di distinguere il vero dal falso”.
In effetti, sebbene la diffusione di notizie false non sia una novità nella storia dell’umanità, è certo che attualmente quelle che vengono chiamate “fake news” hanno assunto un ruolo inusitato nell’influenzare anche la vita quotidiana di ognuno di noi.
Secondo la definizione concordemente accettata, le fake news sono informazioni che, pur essendo in parte o del tutto non corrispondenti al vero, divulgate dai mezzi di comunicazione, appaiono plausibilmente vere, in particolare facendo leva su aspettative e pregiudizi.
Una fake news molto famosa, anche se involontaria, è stata la trasmissione radiofonica “La guerra dei mondi” di Orson Welles, mandata in onda nel 1938 dalla CBS negli Stati Uniti. Nel corso del programma di intrattenimento serale furono inseriti dei comunicati che informavano che nel New Jersey stavano atterrando delle astronavi marziane. Un inviato, simulando i notiziari ufficiali, testimoniava in diretta lo scontro di alcune strane creature con le forze dell’ordine e, in ondate successive, utilizzando anche false interviste di esperti e finte scene di terrore di massa, creò una atmosfera di allarme progressivo: “Le osservazioni scientifiche e l’evidenza stessa dei fatti inducono a credere che gli strani esseri atterrati stanotte nella fattoria del New Jersey non siano che l’avanguardia di un’armata di invasione proveniente da Marte. L’esercito è stato sbaragliato”. Tra gli ascoltatori, come riferito dai giornali del giorno dopo, si scatenò il panico; alcune famiglie si barricarono in casa, altre fuggirono in cerca di rifugio. La trasmissione era stata preceduta dall’avviso che la trasmissione era un adattamento del romanzo di fantascienza di Herbert George Wells, ma questo non impedì agli ascoltatori di credere che degli extraterrestri stessero davvero invadendo l’America. Secondo alcuni commentatori, l’impatto di questo episodio fu tale che quando, pochi anni dopo, nel 1941, fu data la notizia dell’attacco giapponese alla base navale di Pearl Harbour, molti pensarono che la notizia fosse falsa.
Le notizie false non hanno risparmiato neanche l’ambito scientifico. La più nota riguarda il cosiddetto “Uomo di Piltdown”. Nel 1912 fu comunicato il ritrovamento nell’East Sussex, in Inghilterra, dei resti fossili di una specie sconosciuta di ominide. La ricostruzione dei resti mostrava un individuo con caratteristiche in parte di uomo moderno e in parte di scimmia e questo portò a considerarlo il tanto ricercato “anello mancante” dell’evoluzione dell’uomo dalla scimmia. Per quattro decenni, a dispetto di numerose controversie, l’uomo di Piltdown fu considerato la testimonianza che rivoluzionava tutte le conoscenze sull’evoluzione fino ad allora accreditate e citato come tale nei testi di biologia. Solo nel 1953 fu dimostrato che si era trattato di una truffa architettata combinando la mandibola di un orango con il cranio di un uomo moderno.
In base a quanto suggeriscono gli esempi, apparentemente la nostra mente non possiede strumenti validi in grado di differenziare il vero dal falso. Bisogna tener presente che, come meccanismo di base, di default, noi crediamo a ciò che vediamo (o di cui sentiamo parlare). [Anche questo è un aspetto che può essere ricondotto all’abitudine di far ricorso al pensiero intuitivo, veloce; al contrario, riuscire a scoprire ciò che non è vero richiede l’intervento del pensiero lento, razionale, cioè uno sforzo aggiuntivo che, come abbiamo detto, si cerca costantemente di evitare.]
Le notizie false fanno quindi parte dell’esperienza quotidiana (in fondo anche la pubblicità le utilizza ampiamente), ma certamente la tecnologia digitale ha reso estremamente semplice costruirle e pubblicizzarle. Per ogni singola affermazione è possibile generare molte versioni false, modificate, ed è ormai prassi comune che ad una affermazione venga subito affiancata l’affermazione contraria che la smentisce. A questo proposito, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha coniato il termine di “infodemia”: circolazione di una quantità eccessiva di informazioni che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili.
La questione fondamentale resta quindi la facilità con cui ogni affermazione può essere contrabbandata come verità. Il fenomeno è ormai dilagante al punto che si sente il bisogno di fare distinzioni tra diversi tipi di verità; ad esempio, si parla di verità giudiziaria, per esplicitare che non necessariamente quanto derivato dalle conclusioni di un processo debba corrispondere al reale andamento degli avvenimenti.
Gli stessi organi di informazione ormai competono fra loro nel fornire le notizie non nel modo più accurato possibile, ma nel modo più veloce possibile, non importa se corrette o meno, non importa se verificate o meno. Questo è un aspetto estremamente pericoloso perché le eventuali smentite successive solitamente non raggiungono lo scopo di ristabilire la verità. E’ infatti ampiamente documentato, anche dalle indagini di neuroimaging, che ascoltare la verità non cancella una falsità dalla memoria. Al contrario, la notizia falsa e la sua smentita coesistono: la disinformazione resta comunque in memoria, anche dopo aver scoperto che la notizia era falsa, ed entra in competizione con la smentita generando facilmente un falso ricordo, fenomeno di cui discuteremo nella prossima rubrica.
Perché è così difficile discernere il falso dal vero e cosa rende così attrattive le fake news è quindi divenuto oggetto di studio scientifico: i fattori che possono spiegare la suscettibilità alla disinformazione e che possono essere utilizzati per accentuarne gli effetti sono numerosi. Particolarmente importante è la ripetizione indiscriminata delle notizie, che può essere involontaria, spesso istintiva (come nei cosiddetti like), dettata proprio dall’impulso a condividere l’informazione, ma che il più delle volte è invece volontaria, come nel caso dei robot utilizzati per una diffusione mirata a determinati gruppi di utenti, classificati in base alle loro caratteristiche personali. Da questo punto di vista è opportuno tener conto dell’intento doloso: la disinformazione può essere infatti creata appositamente per influenzare le opinioni, per provocare danni specifici oppure per trarne un vantaggio (ad esempio, nel caso delle notizie sui mercati economici).
Soprattutto, si è più suscettibili alla disinformazione che si adatta alle nostre credenze e alle nostre visioni del mondo. E’ attitudine della nostra mente infatti cercare conferma alle proprie opinioni per cui si accettano senza esitare i dati che le supportano, mentre non si prendono in considerazione quelli che le contraddicono.
Non siamo abituati a mettere in discussione le nostre convinzioni.