L’illusione di sapere (sesta parte)
“ll più grande nemico della conoscenza non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza”.
Stephen Hawking
Il meccanismo ricostruttivo del funzionamento della memoria consente di spiegare anche come sia possibile generare volontariamente falsi ricordi. Da questo punto di vista il mezzo più potente, sebbene non l’unico, è rappresentato dal linguaggio.
Uno degli esperimenti più famosi che hanno esaminato la facilità con cui le parole che usiamo influenzano il ricordo si è basato sulla presentazione di un filmato su un incidente automobilistico; i soggetti dovevano rispondere ad alcune domande di un questionario. Ad esempio, una delle domande era: “A quale velocità all’incirca stavano andando le auto quando si sono urtate?” (“About how fast were the cars going when they hit each other?”).
La domanda veniva però presentata in modo diverso ai diversi soggetti sostituendo soltanto la parola “urtate” (hit); le parole alternative erano “schiantate” (smashed), “scontrate” (collided), “hanno sbattuto” (bumped) e “si sono toccate” (contacted).
La percezione dei soggetti sulla velocità delle automobili cambiava semplicemente variando il verbo utilizzato per la descrizione dell’incidente: le velocità effettivamente mostrate nei filmati andavano dai 30 ai 65 km/h ma le persone in cui la domanda includeva la parola “schiantate” stimarono che le macchine procedevano ad una velocità superiore di circa 15 km/h rispetto a coloro la cui domanda conteneva la parola “toccate”.
Una settimana dopo, ai partecipanti venne chiesto se nel filmato dell’incidente si vedevano dei vetri rotti. Le parole usate condizionavano chiaramente il ricordo: il filmato non mostrava alcuna immagine di vetri rotti, ma 16 di 50 soggetti che avevano ascoltato la descrizione con la parola “schiantate” rispondevano in modo affermativo rispetto a soli 7 dei 50 che avevano ascoltato la descrizione con la parola “toccate”. Un cambiamento apparentemente modesto della descrizione dell’evento ne aveva modificato significativamente il ricordo dopo appena una settimana.
La parola “schiantate” utilizzata nel porre la domanda aveva creato l’immagine mentale di un incidente particolarmente grave e non c’è differenza tra un dettaglio percepito ed uno immaginato.
Nella rievocazione di un evento il resoconto verbale si integra con l’esperienza vissuta al punto che la diversa origine delle informazioni non è più identificabile: nel ricordo le parole assumono lo stesso valore della percezione visiva. Per questo, le parole possono anche essere usate per una manipolazione volontaria del ricordo. Ad esempio, una distorsione del ricordo può essere provocata semplicemente mediante una falsa informazione fornita dopo che l’evento si è verificato (“post-event misinformation effect”).
La disinformazione si inserisce nel ricordo e ne diviene parte integrante. Sono definite domande-suggerimento quelle che utilizzano appositamente elementi che poi condizionano la risposta: dopo aver visto alcune diapositive in cui un’auto verde investe un pedone, chiedere se sul tetto dell’auto blu c’era un portasci invece di chiedere se sul tetto dell’auto c’era un portasci, dà per scontato il colore dell’auto e può convincere l’interlocutore che l’auto fosse effettivamente blu.
Ovvie sono le conseguenze del funzionamento della memoria nel caso della testimonianza oculare. Un testimone, come abbiamo visto, può essere sincero nel suo racconto, ma questo non è sufficiente a dimostrarne la veridicità.
In un altro famoso esperimento, a due gruppi di soggetti sono state mostrate due scene ambientate in un fast food: nella prima il cliente si avvicina al cassiere con una pistola, nell’altra, invece, con in mano un assegno. La registrazione dei movimenti oculari mostrava che la pistola veniva fissata molto più a lungo dell’assegno; il problema però era che gli altri particolari della scena venivano ricordati molto meno; in questo caso la testimonianza del soggetto è sincera ma non veritiera essendo condizionata del cosiddetto “weapon focus effect” (effetto dovuto al fatto che l’attenzione è focalizzata sull’arma).
In un altro esperimento, ad alcuni soggetti veniva detto di attendere fuori dal laboratorio per partecipare ad un esperimento. In un caso, si sentiva una discussione sul fatto che certe attrezzature non funzionavano; poi dalla stanza usciva una persona, con in mano una penna e le mani sporche di grasso. In un altro caso, gli stessi soggetti sentivano una conversazione concitata che si concludeva con un rumore di vetri rotti e di sedie fracassate; poi dalla stanza usciva una persona con in mano un tagliacarte insanguinato. In seguito, ai soggetti venivano mostrate delle fotografie per individuare il colpevole. La percentuale di riconoscimenti corretti è stata del 49% nella prima condizione, ma solo del 33% nella seconda condizione. Quando l’attenzione viene attratta da un elemento focale, come il tagliacarte insanguinato, il resto degli elementi (addirittura il volto dell’aggressore) non viene elaborato e quindi non può essere ricordato.
In questo modo le parole possono anche creare falsi ricordi ex novo, come nei famosi casi di falsi abusi sessuali sui minori, indotti, di solito involontariamente, nel corso di indagini o di psicoterapie.
Come acutamente annotato da Freud, la realtà psichica è più importante della realtà materiale.