“Quando si è certi, si può rimuovere il pensiero assillante che si potrebbe avere torto” Jonathan Birch.
Non c’è alcun dubbio che le nostre azioni ci appaiano essere il risultato di ciò che decidiamo di fare. D’altra parte, la capacità di monitorare e confrontare il risultato delle nostre scelte con intenzioni e obiettivi precedenti è considerata uno degli aspetti fondamentali del nostro modo di agire in accordo ad uno scopo predeterminato. In altre parole, siamo convinti di essere la causa di ciò che facciamo così come siamo sicuri di conoscere le motivazioni dei nostri atti. Tuttavia, numerose indagini suggeriscono che possa verificarsi una dissociazione tra la motivazione e l’esecuzione degli atti comportamentali. Forse la nostra conoscenza delle ragioni che ci spingono a prendere una decisione non è poi così affidabile.
In una serie di famose indagini i ricercatori si recarono in un supermercato fingendo di essere consulenti pubblicitari che stavano conducendo un’indagine di mercato e avevano bisogno di stabilire quale dei loro prodotti alimentari fosse preferito dalla clientela. Allestito un banchetto con due barattoli assolutamente identici, i ricercatori chiesero ai clienti del supermercato di assaggiare due diversi tipi di marmellata per valutarne la qualità e riferire quanto il gusto scelto fosse loro gradito (su una scala da 1 a 10). Dopo aver fatto la loro scelta, i partecipanti venivano invitati ad assaggiare di nuovo la marmellata che avevano scelto ed a spiegare verbalmente il motivo della loro preferenza.
I partecipanti però non sapevano che nel frattempo i due gusti erano stati abilmente scambiati dai ricercatori. Per effettuare lo scambio i barattoli erano stati costruiti appositamente con un divisore all’interno: così ogni barattolo conteneva tutte e due i tipi di marmellata (una nello spazio superiore e l’altra nello spazio inferiore) e capovolgendolo si poteva facilmente scambiare i due gusti.
L’indagine prevedeva quindi la seguente sequenza:
(A) I partecipanti assaggiano la prima marmellata.
(B) Lo sperimentatore fissa di nuovo il coperchio e, mentre rimette il barattolo sul tavolo, lo capovolge.
(C) I partecipanti assaggiano la seconda marmellata.
(D) Lo sperimentatore esegue la stessa manovra di capovolgimento per il secondo barattolo "magico".
(E) I partecipanti indicano quale marmellata preferiscono.
(F) I partecipanti assaggiano una seconda volta la marmellata che hanno scelto, ma, poiché i contenitori sono stati capovolti, viene loro presentata l’altra marmellata, cioè quella che avevano mostrato di non preferire.
Nella seconda degustazione quindi i clienti assaggiavano la marmellata che non avevano scelto.
E’ risultato che nel 70% dei casi, i soggetti non si accorgevano dell’inganno. Credevano che il gusto che avevano sperimentato nella loro scelta finale corrispondesse a quello della loro scelta iniziale e senza alcun disagio spiegavano i motivi della "presunta" scelta. In definitiva, i partecipanti accettavano di spiegare una scelta opposta a quella che avevano fatto precedentemente.
Ciò accadeva anche se le persone intervistate ritenevano che i due gusti fossero molto differenti e facili da riconoscere e che per loro sarebbe stato estremamente semplice identificarli. In effetti, quando alla fine è stata comunicata la vera natura dell’esperimento, i partecipanti hanno mostrato tutta la loro sorpresa e a volte hanno persino espresso la loro totale incredulità.
Sembra quasi che aver fatto una scelta costringa a fornirne una spiegazione plausibile. Nel farlo ci affidiamo con fiducia e senza alcun sospetto alla nostra capacità di introspezione. La spiegazione sembra sorgere spontaneamente: non importa se la scelta che giustifichiamo è diversa da quella realmente effettuata; la consideriamo come se fosse quella che avevamo deciso di compiere.
In un’altra famosa indagine, i ricercatori chiedevano ai soggetti di scegliere quale di due foto (di due ragazze diverse) ritenessero più attraente; effettuata la scelta, il ricercatore, utilizzando un noto trucco di carte usato dai prestigiatori, scambiava le due foto senza farsene accorgere. In questo modo il soggetto riteneva di star guardando la foto che aveva scelto, mentre in realtà gli veniva mostrata la foto che aveva giudicato meno attraente; a questo punto veniva chiesto di spiegare per quale motivo avevano preferito quella foto rispetto all’altra.
Contrariamente alle attese, i soggetti, in oltre il 70% dei casi, non si accorgevano che la foto non corrispondeva a quella che avevano scelta (anche quando le due foto erano chiaramente diverse l’una dall’altra) e, completamente ignari dello scambio effettuato dal ricercatore, cominciavano a fornire accurate spiegazioni sui motivi della loro preferenza.
Per fare un esempio, uno dei soggetti dichiarò che la sua scelta dipendeva dalla bellezza degli orecchini indossati dalla ragazza della foto; il fatto è che invece nella foto che il soggetto aveva scelto inizialmente la ragazza non indossava gli orecchini!
Contrariamente a quanto sperimentiamo soggettivamente, sembra che le azioni che decidiamo di compiere e le motivazioni che forniamo per giustificarle dipendano da processi indipendenti l’uno dall’altro. Secondo gli autori di queste indagini, soffriamo di un’illusione d’introspezione e autoconoscenza che ci porta a pensare di conoscere l’origine delle nostre decisioni.
In altre parole, siamo inconsapevoli delle reali motivazioni per cui prendiamo le nostre decisioni e compiamo le nostre azioni; le ragioni che offriamo per giustificarle sarebbero solo narrazioni (razionalizzazioni) utili a dare un senso a ciò che facciamo e a fornire il convincimento di avere il controllo sulla nostra vita. I processi mentali sembrano ignorare (o addirittura nascondere) i dati derivanti dall’analisi percettiva pur di mantenere una visione unitaria dell’individuo.
Essere inconsapevoli del modo con cui si giunge ad una decisione ma ritenere di esserne responsabili servirebbe a preservare una visione coerente della storia individuale e sarebbe quindi un’illusione vincente ai fini della sopravvivenza.
Come ricorda Timothy Wilson, siamo “estranei a noi stessi”; il convincimento di essere alla guida del nostro modo di comportarci è un’illusione.