"Gradualmente, partendo dal dare un nome ad un oggetto, avanziamo un passo alla volta, finché abbiamo colmato la vasta distanza fra la nostra prima sillaba balbettata e l'ampiezza del pensiero di un verso di Shakespeare. " Helen Keller
Come si impara il linguaggio senza vedere né sentire?
Helen Keller nacque nel 1880 in Alabama. A 19 mesi si ammalò gravemente (probabilmente di meningite) divenendo completamente cieca e sorda. I genitori cercarono in ogni modo di aiutarla senza riuscirci fino a quando entrarono in contatto con la prima scuola che negli Stati Uniti accettava di iscrivere bambini disabili. Fu così che a 7 anni Helen venne affidata alle cure di Anne Sullivan (1866-1936), una docente, essa stessa ipovedente, a quel tempo poco più che ventenne. Il compito per Anne era estremamente difficile, la prima difficoltà era come riuscire ad entrare in contatto con Helen, come comunicare. Helen aveva già inventato per proprio conto dei gesti significativi con cui riusciva in qualche modo ad interagire con i familiari, ma ogni volta che non riusciva a spiegarsi andava incontro ad episodi di rabbia (noto l’episodio in cui fece a pezzi la sua amata bambola). Anne allora, non lasciandosi scoraggiare dai tanti tentativi inutili, iniziò ad utilizzare un alfabeto manuale (in cui ogni lettera corrisponde ad un segno): cercava, cioè, di trasmettere il linguaggio attraverso il tatto, per esempio tamburellando le dita sulla mano di Helen come se stesse scrivendo.
La mano rappresentò per Helen il principale collegamento con il mondo esterno. Tuttavia, pur riuscendo a riprodurre le parole che le venivano “scritte” sulle mani, Helen non riusciva ad associarle al loro significato.
Un giorno però accadde qualcosa di incredibile. Come racconta lei stessa in “The Story of My Life”:
… ci avviammo al sentiero che conduceva al pozzo … qualcuno attingeva l’acqua e la maestra mise la mia mano sotto il getto, poi, mentre la corrente fresca mi scorreva sulla mano, scandì sull’altra la parola “acqua”, dapprima lentamente e poi sempre più presto … io stavo lì immobile tutta intenta al movimento delle sue dita. All’improvviso ebbi la oscura percezione di qualcosa di dimenticato – un fremito per la ricomparsa di un pensiero sopito – e mi si svelò il mistero del linguaggio. Capii che “a c q u a” significava quella frescura meravigliosa che scorreva sulla mia mano. Le parole vivificatrici risvegliavano l’anima mia, la illuminavano, la allietavano, le donavano speranza. Le barriere c’erano ancora, è vero, ma col tempo sarebbero state abbattute. Mi allontanai dal pozzo tutta presa dall’ansia di imparare. Tutte le cose avevano un nome ed ogni nome faceva nascere un nuovo pensiero. Tornata a casa mi sembrava che ogni oggetto che toccavo vibrasse di nuova vita. Era perché io vedevo tutto con la strana vista che avevo appena ricevuta. Sulla porta d’ingresso mi ricordai della bambola che avevo rotta. Corsi al caminetto e raccolsi i pezzi, cercando inutilmente di metterli insieme. Allora i miei occhi si empirono di lacrime perché capii quel che avevo fatto e per la prima volta provai il pentimento e il dolore. … Quel giorno imparai tante parole nuove … so che tra l’altro imparai: madre, padre, sorella, maestra, parole che fecero fiorire il mondo per me … non facevo altro che esplorare ogni cosa con le mani e imparare il nome degli oggetti che toccavo: e più cose maneggiavo imparandone il nome e l’uso, più cresceva in me, lieto e fiducioso, il senso di fraternità con il resto del mondo …
Così Helen scoprì il simbolo: quella traccia sul palmo della mano non era un gioco, ma un modo per riferirsi all’acqua; grazie ai simboli poteva comunicare: bisognava sostituire all’esperienza sensoriale un simbolo linguistico; usando quel simbolo poteva far sapere a chiunque altro di avere sete e di voler bere.
Innescato il meccanismo simbolico, Helen imparò rapidamente a leggere in Braille; oltre alla lingua inglese imparò il francese, il tedesco, e anche il greco e il latino. Nel 1904, a 24 anni, diventò la prima persona al mondo, cieca e sorda, a laurearsi (in giurisprudenza).
Il suo cruccio restava però l’impossibilità di parlare; ancora una volta non si arrese (“voglio parlare con la mia bocca”). Toccando le labbra della maestra imparò come usare la bocca per emettere i singoli suoni; toccando la gola, sentiva le differenti vibrazioni (per esempio, tra gi e ghi); rilevando il modo di respirare, identificava le caratteristiche nasali dei differenti suoni; così, appoggiando la mano con il pollice sulla gola, all’altezza della laringe, l’indice sulle labbra e il medio sul naso, riuscì ad articolare le parole; la prima che riuscì ad emettere fu it (esso); intonazione e prosodia non risultavano del tutto naturali, ma sistemando la mano sul volto della maestra e sul proprio volto arrivò il momento in cui potè affermare “I am not dumb now” (“non sono più muta”).
Divenne così molto famosa e cominciò, sempre insieme ad Anne Sullivan (conosciuta poi come “Anna dei miracoli”, titolo di un film divenuto famosissimo), a diffondere nel mondo la sua storia e farne una bandiera per la difesa dei diritti delle persone disabili. Si impegnò poi anche in molte altre battaglie civili, la difesa della pace (per esempio fu ricevuta da molti presidenti degli Stati Uniti, l’ultimo dei quali John Kennedy), il miglioramento delle condizioni di vita delle classi lavoratrici, il diritto di voto delle donne (riconosciuto negli Stati Uniti nel 1920, in Italia nel 1946, in Svizzera nel 1971), l’educazione sessuale e il controllo delle nascite.
Helen Keller morì nel 1968, all’età di 87 anni. E’ sepolta nella Cattedrale di Washington accanto alle amiche e collaboratrici Anne Sullivan e Polly Thomson. Il valore del suo insegnamento è stato riconosciuto in tutto il mondo.
Bisognerà comunque aspettare nel 2006 la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle Persone con disabilità per affermare che la disabilità, di per sé, non è un ostacolo, mentre i veri ostacoli sono le barriere culturali, economiche, educative, architettoniche e sociali.