Epigenetica:
davvero il destino è scritto tutto nei geni?
davvero il destino è scritto tutto nei geni?
"Il codice genetico non è un progetto per montare un corpo da un insieme di pezzettini; è più come una ricetta per cuocerne uno dato un certo numero di ingredienti." Richard Dawkins
E’ di questi giorni l’anniversario della scoperta della struttura (e del funzionamento) del DNA. Era il 1953, settant’anni fa, quando James Watson e Francis Crick (premi Nobel nel 1962) presentarono al mondo il loro modellino a doppia elica, oggi universalmente noto. Il DNA è presente in ogni cellula del corpo umano e contiene le istruzioni per sintetizzare tutti i tipi di proteine indispensabili alla vita di un organismo; ogni processo di sintesi è governato da un tratto di DNA chiamato gene.
Il patrimonio genetico (genoma) è all’origine delle caratteristiche che vengono ereditate: non solo quelle fisiche, ma anche le capacità cognitive e la personalità. Secondo questa interpretazione tutto ciò che siamo e che saremo, cioè il nostro destino, si troverebbe già interamente programmato nel nostro DNA fin dalla nascita. In effetti, una specifica mutazione genetica (cioè una variazione della normale struttura di un gene) può essere inevitabilmente associata ad una specifica patologia (ad esempio, la distrofia muscolare, la corea degenerativa o la sindrome di Down). Secondo le concezioni classiche queste informazioni costituiscono un sistema chiuso non influenzabile dall’esterno:
Una nuova frontiera (la cosiddetta rivoluzione epigenetica) ha però determinato il ribaltamento di questa visione così deterministica. Il fatto è che l’informazione genetica non dipende esclusivamente dal DNA: ad esempio, una cellula di fegato umano contiene i medesimi geni di una cellula del cervello; la loro differenza dipende non dal DNA ma dalle istruzioni che il DNA riceve. Alcune molecole organiche allineate lungo la doppia elica, definite “marcatori”, inviano istruzioni ai geni, attivandone o disattivandone l’espressione. Ogni gene può quindi essere più o meno attivo in relazione alla conformazione di queste molecole che agiscono come dei veri e propri interruttori. Anche due gemelli monozigoti, sebbene abbiano un identico DNA, possono non essere identici dal punto di vista epigenetico: geni attivi in un gemello possono non esserlo nell’altro e viceversa. D’altra parte, è noto che il genoma dello scimpanzé è per quasi il 99% identico a quello umano e ci si è chiesti a lungo come una differenza così modesta potesse giustificare le vistose differenze comportamentali. Il motivo è legato al fatto che la parte fissa del DNA, cioè quella che codifica i processi di sintesi, costituisce solo una parte (circa il 2%) del totale; il resto è rappresentato da strutture che ne regolano il funzionamento.
Proprio le caratteristiche del legame di un gene con i suoi marcatori e dei fattori che possono influenzarlo sono l’oggetto di studio dell’epigenetica. Infatti, mentre il DNA non è modificabile, il legame con i marcatori può variare se ne viene variata la conformazione. L’aspetto sorprendente, rispetto alle conoscenze classiche, è che queste variazioni sono modulabili da parte delle caratteristiche ambientali. In altri termini i processi epigenetici agiscono da interfaccia tra l’ambiente ed i geni e forniscono una spiegazione di come il materiale genetico si adatti ai cambiamenti ambientali. Uno dei fattori più studiati è rappresentato dall’alimentazione. Nel 1950, durante la guerra di Corea, le autopsie effettuate sui soldati americani evidenziarono nell’80% dei casi la presenza di depositi aterosclerotici nelle arterie, che risultavano invece del tutto assenti nei soldati coreani. La prima ipotesi che aveva chiamato in causa differenze di tipo genetico fu esclusa senza alcun dubbio quando le stesse anomalie furono riscontrate anche nei soldati coreani che avevano adottato la tipica dieta americana.
Una ricerca fondamentale è derivata dallo studio delle conseguenze del cosiddetto inverno della carestia verificatosi in Olanda nel 1944, sul finire della seconda guerra mondiale. Una parte della popolazione olandese patì gravemente la fame, arrivando ad un introito giornaliero di non più di 500 calorie. In questa situazione, ben definita dal punto di vista temporale, i ricercatori hanno potuto confrontare sulla popolazione olandese due gruppi di soggetti che si erano trovati in condizioni di nutrizione profondamente differenti. Si è potuto comprendere così che le modificazioni epigenetiche, acquisite nel corso della vita, possono anche essere trasmesse alle generazioni successive. I figli delle donne che durante il periodo della carestia erano incinte, oltre a nascere sottopeso, da adulti hanno presentato un rischio significativamente elevato di obesità, diabete di tipo II e malattie cardiovascolari. L’ambiente alimentare materno aveva determinato i mutamenti epigenetici necessari ad adattare il metabolismo alle condizioni di carestia; nei figli i geni attivati, continuando ad agire anche quando il cibo era ormai abbondantemente disponibile, hanno provocato una sindrome metabolica conclamata (obesità, diabete, cardiopatia) in conseguenza della chiara discrepanza tra la dieta cui erano state costrette le madri e la dieta che i figli hanno potuto seguire dopo la nascita. I cambiamenti epigenetici operati dalla dieta hanno provocato importanti ripercussioni a distanza di tempo.
Grande influenza sull’espressione genetica hanno mostrato di possedere anche le caratteristiche dell’ambiente relazionale. Nei topi è possibile osservare un’ampia variazione interindividuale nella qualità dell’accudimento che le madri esibiscono nei confronti dei propri piccoli e che si manifesta con comportamenti come leccare, pulire, spulciare. Le differenze nel tipo di cure materne mostrano conseguenze di lunga durata sul comportamento della prole. In età adulta i topi che non ricevono sufficienti cure mostrano un’aumentata sensibilità allo stress e l’insorgenza di marcati comportamenti problematici; inoltre, nelle femmine si manifesta un tipo di accudimento inadeguato, corrispondente a quello delle genitrici. Il contrario si verifica quando la qualità dell’accudimento è migliore. Queste modalità comportamentali non sono programmate geneticamente ma sono la conseguenza di una caratteristica comportamentale (il tipo di accudimento ricevuto) che agisce modificando specifici marcatori genetici. Una conferma deriva da esperimenti in cui i figli vengono separati dai genitori e adottati da genitori diversi: piccoli nati da madri a basso accudimento vengono trasferiti nel gruppo di piccoli nati da madri ad alto accudimento e viceversa; se il comportamento dipendesse dal patrimonio genetico, i figli adottati dovrebbero mostrare una somiglianza comportamentale con la famiglia di origine, se dipendesse dal contesto ambientale (in questo caso sociale), l’effetto dovrebbe far rilevare una somiglianza con la famiglia adottiva. Le indagini concordano nel documentare che il comportamento da adulti correla con quello della famiglia adottiva. L’area di ricerca che si occupa di studiare questi processi nell’uomo suggerisce che eventi traumatici come abuso, maltrattamento e trascuratezza, anche se sperimentati in una fase precoce della vita, sono in grado di sopprimere l’attivazione di geni importanti per un adeguato funzionamento socio-emozionale e una buona capacità di reagire allo stress durante la vita adulta. Le relazioni sociali costituiscono una componente rilevantissima delle informazioni ambientali e influenzano significativamente l’espressione genetica e l’organizzazione del sistema nervoso.
In definitiva lo stile di vita influenza il modo in cui il nostro codice genetico si esprime. Tre sono le variabili principali da tenere in considerazione: la cura della salute fisica, l’esercizio delle funzioni cognitive e soprattutto quella che si può definire la salute sociale, cioè il tipo e la ricchezza di interazioni sociali emotivamente coinvolgenti.
In conclusione, l’epigenetica ha messo in evidenza che il vincolo genetico è meno coercitivo di quanto ritenuto solo fino a qualche anno fa. Come siamo e come ci comportiamo dipende tanto dal patrimonio genetico quanto dal contesto di vita, fisico e sociale.