Nei giorni scorsi ha destato scalpore la notizia di una anziana donna morta dopo aver ricevuto una cartella esattoriale di 15.000 euro. Ilaria si chiede quanto l’episodio corrisponda al vero o se non si tratti piuttosto del solito bisogno dei giornalisti di enfatizzare le notizie.
Senza far riferimento all’episodio specifico, di cui ovviamente non sono disponibili i dettagli, il quadro clinico potrebbe essere dovuto alla “sindrome di tako-tsubo”, una cardiopatia che i vecchi medici italiani avrebbero definito “morire di crepacuore”. La sindrome è stata descritta in Giappone nel 1991 e prende nome dall’immagine ecografica del ventricolo sinistro del cuore, che assume una forma rotondeggiante simile a quella di una particolare trappola (tsubo) usata dai pescatori giapponesi per la pesca del polpo (tako).
La sindrome simula un infarto cardiaco e si presenta con i tipici dolore toracico e dispnea associati ad anomalie elettrocardiografiche e incremento dei livelli sierici degli indici enzimatici di danno miocardico. A differenza dell’infarto però la coronarografia non evidenzia occlusioni o stenosi significative. Inoltre, solitamente sono assenti i comuni fattori di rischio cardiovascolare. La diagnosi viene comunque posta solo dopo aver escluso altre cause di cardiopatia.
Le prime segnalazioni riguardavano donne anziane che morivano dopo un grave lutto (di solito la perdita del marito). Le indagini successive da una parte hanno confermato che il disturbo riguarda prevalentemente le donne (nove pazienti su dieci), soprattutto dopo la menopausa, ma dall’altra ne hanno ridimensionato la gravità in quanto nella grande generalità dei casi il quadro clinico si risolve nel giro di un mese. Il decesso è invece evenienza rara e rappresenta una complicanza che può verificarsi se la disfunzione ventricolare sinistra e le anomalie del movimento della parete cardiaca conducono all’arresto cardiaco, alla rottura del muscolo cardiaco o all’insorgenza di aritmie.
La malattia è nota anche come “sindrome del cuore infranto” (o “del cuore spezzato”) o anche come “miocardiopatia da stress” proprio perché i sintomi si manifestano in concomitanza con qualche evento emotivamente troppo coinvolgente. La morte di una persona cara è certamente l’episodio scatenante che si riscontra più comunemente; altre cause comuni sono la diagnosi di una malattia grave, la separazione o il divorzio, la perdita del lavoro, ma anche appunto la perdita di grosse somme di denaro, come nel caso giunto alla cronaca.
La sindrome assume un valore teorico di grande rilievo perché mostra le strette relazioni che intercorrono tra cuore e cervello. Anche se le cause non sono ancora del tutto chiarite, un ruolo preponderante gioca certamente la disregolazione tra cervello emotivo (soprattutto amigdala e insula) e sistema neurovegetativo: l’attivazione del sistema ortosimpatico può infatti determinare un rilascio eccessivo di catecolamine con conseguenti anomalie del microcircolo coronarico e successiva disfunzione del miocardio.
In definitiva, il “crepacuore” è la manifestazione a livello cardiaco di una disfunzione neurologica e ci ricorda che, come ripetutamente sottolineato da Antonio Damasio, il cervello emotivo interviene nella genesi di qualunque nostro comportamento (anche quando, come accade il più delle volte, non ne siamo consapevoli e non ce ne rendiamo conto).