Fabiana, seguendo le notizie di cronaca sugli efferati omicidi degli ultimi mesi, ha più volte ascoltato degli esperti affermare che le persone interrogate hanno fornito agli inquirenti delle “risposte di traverso” e si chiede se si tratti di un disturbo del linguaggio che ha a che fare con l’afasia
L’espressione “risposte di traverso” appartiene al lessico psichiatrico ed indica un disturbo non afasico del linguaggio. Si riferisce ad un paziente che ad una domanda fornisce una risposta solo parzialmente legata al quesito che gli era stato posto; è una forma di “tangenzialità”, fenomeno per cui la risposta del paziente all’inizio può avere un legame associativo, più o meno robusto, con la domanda ma poi progressivamente si allontana sempre più dalla questione di partenza. Caratteristica di questo fenomeno è che la risposta fornita appare grossolanamente errata, pur risultando chiaro che il paziente ha capito la domanda, quasi dando l’impressione di scegliere intenzionalmente la risposta sbagliata.
Ad esempio, “Quante zampe ha un cavallo?”: “Tre”, “E un elefante?”: “Cinque”; oppure “Quanto fa tre più due?”: “Sette”, “Cinque più due?”: “Quattro”; o ancora “Quante dita hai?”: “Undici”.
Il fenomeno può verificarsi in numerosi quadri psicopatologici, ma è patognomonico della cosiddetta Sindrome di Ganser, un quadro clinico descritto per primo nel 1898 dallo psichiatra tedesco Siegbert Josef Maria Ganser (1853-1931) dopo aver esaminato tre detenuti in attesa di giudizio che presentavano un comportamento bizzarro e uno stupefacente disturbo del linguaggio : «Gli ammalati non sono in grado di rispondere alle domande più semplici che vengono loro rivolte, sebbene attraverso le risposte appaia chiaro che hanno colto discretamente il significato della domanda”.
In altri termini, la risposta fornita sembra rivelare la volontà di evitare la risposta esatta per sceglierne una errata, evidentemente falsa, dato che la richiesta si basa su conoscenze elementari (nelle parole di Ganser: i pazienti “nelle loro risposte tradiscono una sconcertante mancanza di conoscenze e una sorprendente perdita di nozioni che essi certamente hanno posseduto o ancora possiedono”); per questo alcuni autori ritengono che la sindrome non sia altro che una simulazione, cioè il frutto del tentativo di mimare una malattia mentale basandosi però, data la mancata conoscenza di quali siano effettivamente i sintomi di una malattia mentale, sul convincimento errato che il malato di mente parli in modo sconclusionato e dimentichi le conoscenze più elementari.
Tuttavia, la maggior parte dei ricercatori ritiene che la sindrome debba essere mantenuta distinta dalla simulazione. Infatti, il soggetto che simula presenta due caratteristiche fondamentali: l’intenzione di ingannare producendo sintomi falsi e il raggiungimento di qualche vantaggio concreto. In effetti l’opportunità di ottenere un vantaggio dal mostrarsi malato è una condizione presente nella sindrome di Ganser che è stata diagnosticata soprattutto in detenuti in attesa di giudizio (e per questo definita anche “psicosi da detenzione” o “psicosi carceraria”); diverse invece sarebbero le caratteristiche dell’altro criterio: chi simula mantiene uno stato mentale lucido e persiste nel tenere fermo l’inganno, almeno fino a quando l’obiettivo prefissatosi viene raggiunto o la finzione non viene più percepita come utile allo scopo. Al contrario caratteristica del paziente con sindrome di Ganser sarebbe una oscillazione dello stato di coscienza, per cui in momenti diversi le risposte possono anche essere date in modo esatto e possono essere presenti fenomeni amnesici di varia gravità; il paziente, quindi, sarebbe solo parzialmente consapevole dell’inganno che sta mettendo in atto; inoltre, il fenomeno delle risposte di traverso compare solo dopo che è stata posta una domanda ma non nel linguaggio spontaneo. Per queste caratteristiche la sindrome è stata anche considerata una “pseudodemenza”.
Distinti dalla simulazione sono anche i cosiddetti “disturbi fittizi”; in questo caso, l’individuo simula intenzionalmente una patologia, però non per ottenere un vantaggio concreto (come chi chiede un risarcimento ad una assicurazione o anche come il soldato che marca visita per evitare di combattere), ma per motivazioni psicologiche, cioè per gli eventuali vantaggi che ritiene possano derivare dal mostrarsi (agli altri ma anche a se stessi, ad esempio per giustificare la mancata realizzazione delle proprie aspettative) come una persona malata.
Simulare una malattia, fisica o psichica, non è semplice, ma nemmeno semplice è porre con certezza una diagnosi di simulazione, come sa bene chi è chiamato a stilare una perizia medico-legale.