Elvira si chiede se la musica migliora l’intelligenza.
Negli ultimi anni, grazie soprattutto alle metodiche di neuroimmagine attualmente disponibili, le neuroscienze hanno indagato in modo vario le relazioni tra esperienza musicale e sistema nervoso. Da questo punto di vista è affascinante la lettura del testo di Oliver Sacks intitolato “Musicofilia” (ne abbiamo già discusso nelle rubriche precedenti). Al momento c’è sufficiente consenso sul fatto che apprendere a suonare uno strumento musicale, anche in età adulta, rappresenti un metodo utile a promuovere l’efficienza del funzionamento cognitivo e facilitare un invecchiamento di successo. Un aspetto invece ancora molto controverso è la relazione tra ascolto musicale e intelligenza, premesso che il termine intelligenza è poco definibile e in definitiva viene identificato nella pratica con la misura del quoziente intellettivo (QI).
Uno studio molto famoso è stato eseguito nel 1993 e pubblicato su Nature. La sua diffusione ha poi dato origine al termine “Effetto Mozart”. I ricercatori esaminarono 36 studenti utilizzando un test di ragionamento spaziale tratto dall’esame del QI di Stanford-Binet. Dopo aver ascoltato per 10 minuti la Sonata per due pianoforti in re maggiore K 448 di Mozart (ma non dopo un periodo equivalente di silenzio o di rilassamento), gli studenti migliorarono la loro prestazione. L’indagine non faceva alcun riferimento ad un miglioramento del QI generale e sosteneva addirittura che il miglioramento era solo temporaneo, ma la divulgazione della sperimentazione portò a generare l’idea che la musica può renderci più intelligenti.
Successivamente, dato il successo ricevuto dalla ricerca, molti studi hanno cercato di confermarne o confutarne i risultati, ma gli esiti sono stati decisamente contraddittori. Più che discutere l’influenza della musica sul funzionamento cognitivo, ciò che viene obiettato è che l’effetto sia specifico per il brano di Mozart; sembra verosimile che lo stesso effetto si possa ottenere utilizzando un qualunque brano venga considerato piacevole da chi lo ascolta; secondo la cosiddetta ipotesi “arousal-and-mood” (attivazione-e-umore) godere della musica aumenta il livello di attivazione cerebrale, migliorando di conseguenza i processi attentivi e l’umore e solo secondariamente alcune prestazioni cognitive. D’altra parte, è stato documentato che l’ascolto di Mozart attiva il sistema dopaminergico (che notoriamente svolge un ruolo cruciale a livello di attenzione, motivazione e umore) così come modifica il tono parasimpatico e i livelli di cortisolo, tutte variazioni che possono influenzare il funzionamento cognitivo. In ogni caso le proprietà della musica di rimaneggiare la plasticità cerebrale e riorganizzare le connessioni tra le reti neuronali possono giustificare gli effetti della musica sulle prestazioni cognitive così come sulla riduzione della sintomatologia dolorosa e della frequenza delle crisi epilettiche, ripetutamente documentate (teoria della “risonanza neurale").
Inoltre, gli effetti fisiologici e comportamentali dell’effetto Mozart sembrano dissolversi se si modificano caratteristiche musicali quali ritmo, accordi, melodia, dimensione degli intervalli. In altri termini, non tutti i tipi di musica sembrano avere lo stesso effetto sulle performance cognitive. In questa prospettiva, un’altra indagine che ha riscosso molto interesse ha esaminato l’effetto della musica di Vivaldi, le cui opere sono caratterizzate spesso da un ritmo di 60 battiti al minuto.
I partecipanti (persone anziane sane) svolgevano due compiti (digit span e fluenza fonemica) in tre condizioni diverse: assenza di musica, ascolto della “Primavera” di Vivaldi, ascolto di rumore bianco. I risultati hanno mostrato che ascoltare la “Primavera” di Vivaldi durante l’esecuzione dei compiti determinava una performance significativamente migliore rispetto alle altre due condizioni (rumore bianco e condizione senza musica). L’Effetto Vivaldi si riferisce però soltanto alla memoria e non all’intelligenza.
Una indagine che ha valutato direttamente la relazione tra musica e intelligenza ha esaminato tre gruppi di individui distinti in musicisti professionisti, musicisti amatoriali e non-musicisti; sono state utilizzate tre scale: la Wechsler Adult Intelligence Scale III (WAIS-III) per misurare il quoziente intellettivo (QI), la Wechsler Memory Scale III (WMS-III) per misurare i processi di memoria e lo Stroop Test per valutare i processi attentivi. I risultati, anche in questo caso, hanno mostrato performance cognitive migliori per i musicisti professionisti in tutte le prove proposte. Le peggiori sono risultate le prestazioni dei non-musicisti, mentre quelle dei musicisti amatoriali sono risultate intermedie. Addirittura, è stata riscontrata una relazione diretta fra il livello delle prestazioni cognitive e gli anni di pratica musicale.
La questione rimane comunque controversa e necessita di ulteriori indagini sperimentali.