Aurora è stata convocata dalla maestra di suo figlio per dirle che il suo bambino è plusdotato e che dovrebbe farlo seguire da uno specialista.
In ambito scolastico vengono considerati “plusdotati” quei bambini che, rispetto alla media, mostrano abilità particolarmente sviluppate, come un linguaggio molto ricco, una eccellente memoria, un ragionamento matematico avanzato e, più genericamente, una intelligenza superiore. Il modo più comune di definirli si basa in effetti sulla presenza di un quoziente intellettivo superiore a 130.
Per quanto il concetto di intelligenza sia decisamente controverso, ne esiste una modalità pratica di valutazione. Il primo test intellettivo risale al 1905, quando Alfred Binet fu incaricato di creare un sistema proprio per individuare i bambini che a scuola avevano difficoltà a seguire il programma di studio. L’esame prevedeva prove di differente difficoltà stratificate in base all’età in cui venivano superate dalla grande maggioranza degli studenti. Questo criterio identificava l’età mentale. Successivamente fu introdotto il termine di quoziente intellettivo (Q.I.) che corrisponde al rapporto fra età mentale ed età cronologica: ad esempio, un bambino di 10 anni che supera le prove previste per chi ha 12 anni, ottiene un Q.I. di 12 diviso 10 moltiplicato 100, cioè un punteggio di 120; invece un bambino di 12 anni che raggiunge lo stesso punteggio, ottiene un Q.I. di 10 diviso 10 moltiplicato 100, cioè 100; 100 è quindi il punteggio medio di riferimento per chi supera le prove come la maggioranza dei coetanei.
Attualmente il test più utilizzato è la scala pubblicata la prima volta nel 1939 da David Wechsler. La scala era rivolta all’esame degli adulti (WAIS) ma è stata poi adattata per l’esame dei bambini (WISC) e dell’età prescolare (WPPSI). Tutti questi test vengono regolarmente aggiornati grazie alla pubblicazione di versioni successive. Dalla scala attualmente in uso si è passati a scorporare dal Q.I. come valore unitario totale cinque differenti componenti dell’intelligenza o indici: 1) comprensione verbale, 2) visuospaziale, 3) ragionamento fluido, 4) memoria di lavoro, 5) velocità di elaborazione. In questo modo si possono identificare differenti profili individuali che specificano meglio il punteggio totale.
In termini più moderni anziché di plusdotati si parla di bambini ad “alto potenziale cognitivo”. Non si tratta di una diagnosi medica, non si tratta, cioè, di una patologia. Problemi possono nascere a livello didattico dalla discrepanza comportamentale con i compagni di scuola e dalla eventuale difficoltà di adattamento al contesto scolastico. Ovviamente l’importante sarebbe offrire a questi bambini adeguate opportunità e un equilibrato sviluppo dal punto di vista cognitivo, emotivo e sociale.
E’ bene sottolineare comunque che non esiste ancora un criterio unanime e uniforme per la definizione di “alto potenziale cognitivo” e soprattutto che non esiste alcuna corrispondenza diretta con il successo scolastico e con l’insorgenza di una psicopatologia. Ancora una volta piuttosto che creare una specifica categoria vale la pena ricordare che ogni individuo va considerato nella sua singolarità.