Vittorio visitando una mostra è rimasto colpito dal fenomeno delle immagini che, pur essendo statiche, vengono percepite come dotate di movimento.
La perplessità che ci coglie guardando le illusioni ottiche deriva dal fatto che questa esperienza mette in dubbio una delle nostre convinzioni più salde, cioè che le informazioni che derivano dagli organi di senso consentano una riproduzione oggettiva e fedele delle caratteristiche dell’ambiente in cui viviamo. In queste occasioni, infatti, ci rendiamo conto che la visione (ma lo stesso vale per gli altri sensi) non corrisponde ad una ricezione e registrazione passiva degli stimoli, ma al contrario è il risultato di una elaborazione molto complessa, una vera e propria costruzione attiva, delle informazioni sensoriali che raggiungono l’organo della vista.
In altre parole, le illusioni ottiche non sono delle eccezioni alle regole della percezione, ma al contrario rappresentano un mezzo utile a comprendere la complessità del sistema visivo. La loro stranezza dipende dal fatto che la percezione visiva si basa su un gran numero di processi mentali, ognuno dipendente da altrettante strutture cerebrali deputate ad elaborare un solo tipo di informazioni. In particolare, è possibile identificare differenti (almeno trenta) regioni visive deputate al riconoscimento una del colore, una dei volti, una delle lettere e così via. Ognuna di queste aree può essere stimolata o danneggiata in modo selettivo senza coinvolgere le altre. Così, ad esempio, un danno localizzato nell’area del colore determina una visione in bianco e nero (acromatopsia) di una scena che per il resto è del tutto normale.
Una delle regioni visive è deputata al riconoscimento degli stimoli in movimento; determinate configurazioni visive (come quelle utilizzate nelle illusioni ottiche) ne provocano la stimolazione determinando l’impressione di movimento. D’altra parte, il suo danno provoca un deficit selettivo nel riconoscimento del movimento, senza intaccare le altre caratteristiche percettive della scena. Il disturbo è stato definito achinetopsia; in questo caso il soggetto non riesce ad attraversare la strada perché le automobili non vengono viste avvicinarsi, ma si materializzano all’improvviso in posizioni spaziali diverse; oppure non riesce a versarsi il the in una tazza, perché non percepisce come cresce il livello del liquido e quindi non sa quando deve smettere di versarlo. Il danno è localizzato bilateralmente a livello della regione mediotemporale (MT, al confine tra lobo temporale e occipitale, alla confluenza tra le aree di Brodmann 37 e 19) definita anche area V5. La selettività del deficit mostra come, a vantaggio dell’efficienza del sistema, l’elaborazione delle varie caratteristiche visive di una scena avvenga in parallelo utilizzando percorsi neuronali differenti (noti come “via del cosa” e “via del dove/come”).