n.10 - autunno 2022

Gli Ubaldini, conti di Apecchio, a Fano e il loro palazzo in città, ora scomparso[1]


del prof. Stefano Lancioni

Gli Ubaldini, conti di Apecchio, abitarono per diversi decenni, nel XVII secolo, anche a Fano, alternando la residenza in questa città a quella nella terra di cui avevano la giurisdizione: nella Città della Fortuna nacquero diversi conti di Apecchio; qui morirono il conte Ottaviano e suo figlio, Gentile III; qui avevano un palazzo, in fondo a via Nolfi, abbattuto nella seconda metà del secolo scorso e sostituito da un moderno condominio a tre piani; qui, nella chiesa di San Pietro, c’era la cappella di famiglia. Del palazzo di via Nolfi si riporta, in conclusione del presente articolo, un inventario inedito del 1698 che ci permette di individuare con precisione la disposizione di stanze, mobili, oggetti, vestiario.


Il primo collegamento tra i conti di Apecchio (località della vallata del Biscubio, non lontana dagli attuali confini regionali e da quelli dell’allora Ducato di Urbino) e la nostra città è legato alla figura di Gentile II (quinto conte di Apecchio, dal 1583 al 1612), uno delle cui figlie, Virginia, andò in sposa in casa Montevecchio [2].

La svolta, e la versa e propria residenza dei conti di Apecchio a Fano, avvenne però nella generazione successiva, quando uno dei figli del conte Gentile, Ottaviano Ubaldini (che subentrò al fratellastro Giulio nel 1625 come settimo conte di Apecchio, fino al 1663, anno della sua morte) sposò, nel 1626-1628, Caterina Marcolini di Fano, figlia unica del balì Paolo Marcolini, gran priore dell’ordine di S. Stefano.

Caterina Marcolini, nata probabilmente nel 1601[3], si era già sposata due volte ed era rimasta, entrambe le volte, vedova nel giro di qualche anno. Il suo primo matrimonio è con il cugino Francesco Marcolini, sposato con dispensa papale per il ravvicinato gravo di parentela: il contratto dotale fu stipulato nel 1617[4]. Francesco morì però a Pisa il 3 maggio 1623, all’età di 24 anni, mentre la moglie Caterina era incinta: nascerà di lì a poco, sempre a Pisa, Francesco Maria, grazie al quale continuerà la famiglia[5].

Caterina Marcolini passò quindi in seconde nozze con Lelio Martinozzi, persona prudente, di buonissima conscientia, accurato alle cose sue, ricco e facoltoso[6], che sposò nel 1624. Anche Lelio tuttavia morì, a soli 33 anni, il 3 settembre 1625 e, il 9 gennaio 1626, venne battezzata la loro figlia Elisabetta, anch’essa nata dopo la morte del padre[7].

Caterina sposò infine, in terze nozze, proprio il conte Ottaviano Ubaldini di Apecchio, sicuramente prima del maggio 1628, dato che il primo figlio della coppia nacque nel febbraio 1629.

E’ molto probabile che, dal momento del matrimonio, la coppia abbia abitato a Fano per lunghi periodi, alternando la residenza ad Apecchio con quella nella città metaurense. A Fano nacquero infatti cinque dei loro otto figli[8]: Gentile (futuro conte di Apecchio alla morte del padre), il 3 febbraio 1629[9]; Paolo (anche lui destinato, alla morte del fratello, alla carica comitale), il 19 febbraio 1633[10]; Verginia, il 6 giugno 1634[11]; Guido Antonio, il 29 ottobre 1641[12]; Laura, il 30 gennaio 1643[13].

La residenza a Fano è attestata anche dalla corrispondenza epistolare finora reperita, che viene sottoscritta, in sei occasioni ad Apecchio[14] e, in quattro occasioni a Fano (13 maggio 1635[15]; 25 settembre 1642[16], 17 luglio 1644[17], 22 gennaio 1645[18]). La permanenza del conte Ottaviano e della moglie a Fano nel 1660 è anche ricordata in una missiva del commissario di Massa Giovanni Battista Andreoli[19].

Dato che i figli furono battezzati nella parrocchia di S. Antonio Abate, parrocchia poi soppressa, ma collocata nella parte orientale della città (nella zona dell’attuale Palazzo Marcolini), possiamo presumere che in questa zona avesse la residenza la famiglia Ubaldini, o nel palazzo Marcolini stesso (Caterina Marcolini e il figlio Francesco Maria - figliastro del conte Ottaviano - erano, dagli anni Venti del secolo, gli unici rappresentanti di quella famiglia allora viventi a Fano) o in un nuovo palazzo allora costruito o acquistato, comunque limitrofo o non troppo lontano.

Anche il testamento del conte Ottaviano venne rogato a Fano presso il notaio Paolo Bagni[20] e in questa città, infine, il conte morì l’8 agosto 1663[21]. Secondo le disposizioni testamentarie, se fosse morto fuori Apecchio (come in effetti avvenne) chiedeva di essere seppellito a Fano, nella chiesa di S. Pietro in Valle (dove gli Ubaldini avevano una cappella privata, in precedenza dei Marcolini).


Anche il figlio del conte Ottaviano, Gentile (conte di Apecchio dal 1663 al 1698), alternò la residenza tra Apecchio e Fano, dove morì il 22 febbraio 1698[22]. Sono presenti diverse indicazioni riguardanti la sua permanenza nella nostra città in vari momenti della sua vita: nel luglio 1666 era a Fano, come lui stesso scrive[23]; il 29 agosto 1669 sia lui, sia i fratelli Paolo e Federico furono aggregati alla nobiltà di Fano, insieme loro discendenti[24]; il 2 luglio 1671 nacque a Fano una delle cinque figlie del conte Gentile, Chiara[25]; il 15 giugno 1686 il conte Gentile e il fratellastro Antonio Marcolini sottoscrissero, davanti a notaio, a Fano, un accordo riguardante vari legati a vantaggio suo e dei fratelli, presenti nel testamento della comune sorellastra Elisabetta Martinozzi[26]. La permanenza a Fano è ricordata anche in una lettera del 16 febbraio 1690 e a Fano, infine, il conte Gentile morì il 22 febbraio 1698. Fu fatta nell’occasione un preciso inventario di tutto quello che si trovava nel Palazzo di Fano del conte Gentile, come sotto vedremo.


Nessun documenti ricorda invece la permanenza a Fano dei successivi conti di Apecchio Paolo (residente a Roma), Giambattista (che si spostò invece tra Apecchio e Città di Castello, città di sua madre) e Federico (sposato con una nobildonna di Orvieto e residente, per diversi anni, a Firenze e Orvieto, dove morì nel 1752), dopo il quale si estinse la dinastia comitale. Tuttavia, anche se non risiedevano in città (almeno non abbiamo documenti in tal senso), rimasero proprietà della famiglia vari poderi nel Fanese e il palazzo in città. Infatti, alla morte di Federico, ultimo conte di Apecchio, venne fatto uno scrupoloso elenco dei beni del defunto per una complessa divisione patrimoniale tra colui che, in ragione di disposizioni testamentarie risalenti a tre generazioni precedenti, era l’erede designato (un nipote, figlio di una sorella del conte Federico, residente a Macerata), la moglie e la madre dell’ultimo conte. Nel documento sono elencati tutti i beni della famiglia e il loro valore[27]. In particolare molti beni si trovavano in Umbria (un palazzo in città di Castello, la villa di S. Martino, una quindicina di poderi ubicati tra Città di Castello, Citerna, Pitigliano e luoghi vicini) e risalivano all’eredità Pizzotti, confluita nella casa Ubaldini grazie al marimonio di Lucrezia Pizzotti (ultima di quella famiglia) con Federico Ubaldini (il nonno del Federico morto nel 1752). Il valore complessivo dei beni Pizzotti, tra primogenitura, fidecommesso e altri beni, era di 50.175:05 scudi.

Ad Apecchio, non considerando il Palazzo e il Giardino (occupati dalla Reverenda Camera Apostolica), del valore complessivo di 7.325 scudi, rientravano tra gli allodiali moltissimi beni: due osterie (una in Apecchio, l’altra ad Osteria Nuova); alcune stanze, case e canepini in Apecchio; dodici poderi nel territorio della Contea, più alcuni terreni spezzati; quattro molini; alcuni censi attivi. Il valore complessivo era di 14.246:26 scudi romani[28].

Un altro consistente blocco di beni si trovavano però a Fano o nel suo territorio, per un valore complessivo di 10.150:95 scudi[29], tra i quali il Palazzo in città, del valore di 1666 scudi e 66 baiocchi:

Il palazzo di Fano doveva essere comunque da tempo disabitato, o almeno non c’erano mobili, argenti, gioielli di valore, che sono elencati in altre voci del testamento come esistenti a Città di Castello, Villa san Martino, Apecchio o anche a Firenze (dove l’ultimo conte per un certo periodo aveva posto la sua residenza)[31].

Inutile infine dire che gli eredi ben presto si sbarazzarono dei beni fanesi, anche aiutati dalla successiva legislazione napoleonica e italica: l’abolizione di fidecommessi e maggiorascati, che costringevano le famiglie benestanti a non vendere i beni di famiglia, avvenuta in età napoleonica, diede il via ad una serie di vendite per ottenere denaro contante: nel 1819 il Palazzo Ubaldini, registrato come Abitazione con corte, figura infatti, nel brogliardo della Città di Fano[32], proprietà di un certo Ferri Ridolfo quondam Cristofari. Come possiamo vedere dalla mappa catastale corrispondente, si trovava con la facciata sull’attuale via Nolfi, nello stesso isolato del contiguo Palazzo Marcolini, tra le vie Alessandrini e Marcolini. Nella mappa viene indicata anche la corte interna.

Palazzo Ubaldini viene indicato con il numero 811. Il numero 812 è un orto di proprietà dei Marcolini, il cui Palazzo è contigua a Palazzo Ubaldini, sulla sinistra. Il lato breve del Palazzo Ubaldini è sull’attuale via Nolfi (la via che si vede sulla destra: tenere presente che in questa mappa catastale gli edifici e le strade risultano ruotati di 90° in senso orario rispetto al normale orientamento con il nord in alto)


All’inizio del Novecento, il Palazzo venne riutilizzato come albergo e trasformato nell’albergo Mori-Nolfi, di cui abbiamo una foto del 1913. Possiamo presumere, anche se non ne abbiamo la certezza, che l’aspetto esterno (aperture delle finestre, portone) ricalcasse quello del precedente Palazzo Ubaldini.


L’albergo, quindi abbattuto in data imprecisata (negli anni Sessanta o Settanta), è stato sostituito dall’attuale palazzo a tre piani, al n. 158 di via Nolfi.

Archivio di Stato di Pesaro, Cessato Catasto Pontificio, Fano, foglio 2, particolare.

Albergo Moro-Nolfi (ex Palazzo Ubaldini - foto del 1913) [33]

Il luogo in cui sorgeva Palazzo Ubaldini (poi l’albergo Mori-Nolfi).

L’inventario del 1698

Nei giorni 22-24 febbraio 1698 venne fatto dal notaio Giovanni Battista Morganti un preciso inventario dei beni esistenti nel Palazzo Ubaldini di Fano per evitare futuri contrasti tra i possibili eredi (il conte Gentile era morto senza fare testamento e una parte dei beni era indivisa con i fratelli; pretendevano naturalmente la loro parte anche la vedova e due figlie)[34]. Il documento ci offre una descrizione di tutto ciò che era nel Palazzo, diviso nelle varie stanze. Ha pertanto un valore documentario, anche per capire come fosse organizzata l’abitazione di una famiglia abbiente, appartenente alla nobiltà, in Fano alla fine del XVII secolo.

Al primo piano (piano nobile, quello in cui abitavano i proprietari), a parte l’ingresso (ingresso di sopra o loggia), in cui c’erano tre arcibanchi dipinti di verde e bianco e tre tavole di noce, si contavano nove stanze.

La stanza prima (stanza del conte Gentile?) conteneva una lettiera di ferro, una trabocca e 5 sedie, letto a credenza con materasso in paglia, tre quadri di carattere religioso (con le immagini di S. Ubaldo, S. Antonio e l’Agnus), due buffetti di noce, due piccoli bauli con lo stemma degli Ubaldini (in uno c’erano dentro 10 camice, 8 paia di mutande, 13 paia di sottocalzetti e 12 berrettini da notte; nell’altro circa 200 scudi romani e qualche altra moneta, nonché due copie di testamento, uno del conte Gentile seniore, uno della contessa Caterina, madre del conte Gentile)

La stanza seconda (sala da pranzo?) conteneva nove sedie, cinque portiere, brocca e ramazza di rame, un paio di capo fuochi, tre buffetti di noce e dodici quadri.

C’erano poi due altre stanze, chiamate entrambe, genericamente altra stanza. Nella prima c’era un letto con due materassi, pagliaccio e guanciale con trabocca di damasco verde, dieci quadri antichi, uno scrigno di noce, un tavolino, una portiera, tre casse di noce, in una dei quali erano collocati vari oggetti, in buona parte d’argento (tre bacili, quattro boccali, tre sottocoppe, un catino, tre guantiere, una canestrina, dieci candelieri, dieci posate, due vasi, un calamaio con cupola, polverino e una scatola da tener ostia), in parte di altro metallo (due posate, quattro forchette, quattro coltelli, una lattiera); nell’altra cassa c’erano 25 lenzuoli, due coperte, 24 tovaglie, 59 salviette, 14 asciugamani, 24 asciugamani da cucina)

Nella seconda altra stanza (stanza della contessa Bianca?) erano collocati alle pareti sette quadretti con le sette meraviglie del mondo, un letto con due materassi e una trabocca, un credenzone (contenente quattro vestiti), due tavolinucci, una ginocchiera, una cassetta di noce lavorata e uno scrignetto dipinto. C’erano anche tre banchi con robbe di servitio et uso della signora contessa Bianca e numerosi gioielli: tre fili di perle da collo (per un totale di 522 perle), un paio di pendenti di sedici perle ligate in oro smaltato, una croce di dodici perle legate in oro smaltato, sei anelli (di cui uno con diamante, uno in forma di rosetta di diamanti, uno di rubbino con sei diamanti attorno).

Nella camera laterale (camera delle damigelle?) si trovavano due letti su trespoli con uno mattarazzo et pagliaccio per ciascuno, una cassa grande, due coltre. Quindi nella saletta tre arcibanchi, due sedie, una credenza ed una cassa d’abete. Poi, nel camerino laterale un baule portato da Pecchie con dentro le robbe d'una delle damigelle della Signora Contessa, una cassa d'abbete logora con dentro le robe dell'altra damigella della detta Signora Contessa, due bauletti di noce e una sedia

C’era poi il blocco costituito dalla Cucina, in cui erano collocati una tavola di noce vecchia et frusta, una cassa d'abete da tenere il pane, una mattera con canaletti, una credenza d'abbete vecchia, un banco da tagliare le carni, due banchi lunghi, due teglie di rame et due padelle, una gratticola, due stagghiate una grande et l'altra piccola, uno scaldaletto di rame, tre staccia usate, quattro lumi da olio e il materiale del camino (capofuochi, paletta, treppiede, ecc.).

Di fianco (nell'altra stanza annessa), la stanza conteneva una tavola, una credenza ed un cassone.

Nel secondo piano della casa sono ricordate solo tre stanze: evidentemente il sottotetto non era troppo frequentato e aveva più la funzione di deposito, mentre le stanze per la servitù (a parte quelle delle damigelle della contessa Bianca) si trovavano al piano terra. Al secondo piano sono pertanto ricordante soltanto la stanza di sopra ad alto (con una tavola grande a pochi altri oggetti); una altra stanza (contenente coperte ed altri tessuti, oltre a materiale vario); una stanza annessa alla precedente contenente anch’essa un po’ di tutto, dalle casse per portare fiaschi di vino, ad una paletta di ferro e capofuochi da camino, a lenzuoli, tovaglie e salviette, a tre orci da olio rotti da tener legumi, ecc.

Al piano terra invece c’erano tre stanze apparate di corame, evidentemente per la servitù. Nella prima due letti con materassi, pagliaccio e guanciale; una tavola lunga, un credenzone ed una cassetta; nella seconda un letto (con pagliaccio, coltrici e guanciale) e tre sedie fruste e rotte; nella terza un letto (con guanciale, materassi, ecc.), tavolino, tamburi, sedie, banchetto di noce, treppiede e quattro quadretti e altro materiale.

Nella stanza delle boccate c’erano due caldare, una credenzaccia, un cassone grande d’abete, due tazzoni da segetta[35], un mastello e un banco vecchio.

C’era anche una stanza delle vindemmie, con alcuni tini (cinque) e botti (tre), mentre nella stanza latterale da basso c’era un masterone grande, una tavola grande di noce e due vecchie casse d’abete.

Nella cantina, infine c’erano diverse botti: una botte di tenuta some [36]cinque cerchiata di legno piena di vino; un'altra di tenuta di due some pure piena di vino; item un'altra botte di tenuta di tre some e mezza piena di vino; item tre botti di diversa grossezza che sono a mano con dentro cinque some di vino in circa; item sette altre botti di diversa tenuta tutte cerchiate di legno. Esisteva anche un magazzino dell'olio con orci numero trent'otto trenta tre sani et cinque fessi e olio vicino e some cinque[37]

Completava l’inventario un po’ di materiale collocato in luogo non chiarito: cinque loggette in diverse stanze (tre di noce e due d'abbete usate e vecchie); nove coperte bianche di lana portate d'Appecchio; tredici altre coperte di diversi colori (undici portate d'Apecchio e l'altre di qui di Fano); denari ricevuti d'Appecchio sotto li 23 del mese cioè scudi quindici in moneta romana portati da Giovanni Paolo Bennacci.


Note al testo

  1. Si ringrazia, per alcune informazioni e consigli, il geometra Filippo Zenobi.

  2. Archivio di Stato di Pesaro (d’ora in poi ASP), Legazione di Urbino (d’ora in poi Leg.), Feudi 10, cc. 567- 619, Documentia, quorum vigore Comites Ubaldini se pretendebant indipendentes a Sede Apostolica. I. 17 novembre 1641, super 4°, esame di Gerolamo Corradino di Sant’Angelo in Vado; B. BORGARUCCI, Istoria della nobiltà di Fano (cit.), p. 84.

  3. Il 21 ottobre 1623 Caterina, curatrice testamentaria del figlio, figura minore di 25 anni (GIUSEPPINA BOIANI TOMBARI, La Cappella Marcolini - Committenze, acquisizioni, permute, in Daniele Diotallevi (a cura di), “Guido Reni, La consegna delle chiavi - Un capolavoro ritorna”, Fano, 2013, pp. 72-89, p. nota 24).

  4. G. Boiani Tombari, La Cappella Marcolini (cit.), p. 74

  5. G. Boiani Tombari, La Cappella Marcolini (cit.), p. 75. Il balì Francesco Maria Marcolini morì nel marzo 1671 (testamento in data 9 marzo 1671; inventario dopo la morte 29 marzo 1671, entrambi in BFF, Fondo Marcolini, b. 2, fasc. 1, nn. 19 e 26).

  6. G. Boiani Tombari, La Cappella Marcolini (cit.), p. 75

  7. G. Boiani Tombari, La Cappella Marcolini (cit.), p. 75

  8. Nacquero ad Apecchio Federico (battezzato l’8 agosto 1646), Girolamo e Elisabetta (questi due in data incerta: non è purtroppo consultabile il libro dei battesimi di Apecchio)

  9. Archivio Vescovile di Fano, Parrocchia di S. Antonio Abate, vol. V, Battezzati (1627-1684), p. 10: Gentile figliolo del signor Ottaviano Ubaldini conte di Pecchio e della signora contessa Caterina de Marcolini sua moglie qual nacque a dì 3 di detto a ore 6 di notte

  10. Ivi, p. 27.

  11. Ivi, p. 30.

  12. Ivi, p. 56.

  13. Ivi, p. 60.

  14. 22 marzo 1636, 2[-] aprile 1636, 4 e 18 settembre 1658, 9 febbraio e 24 marzo 1662

  15. Entrambe le lettere in Biblioteca Oliveriana di Pesaro, manoscritto n. 1560, n. 55.

  16. ASP, Leg., Feudi, b. 11, CXXX, lettera di risposta di Ottaviano Ubaldini a Federico Ubaldini, Fano, li 25 settembre 1642

  17. Biblioteca Planettiana di Jesi (d’ora in poi BPJ), Archivio Ubaldini, b. 15, 16, lettera del conte Ottaviano Ubaldini, Fano, 17 luglio 1644.

  18. BPJ, Archivio Ubaldini, b. 15, 16, lettera del conte Ottaviano Ubaldini, Fano, 22 gennaio 1645.

  19. ASP, Leg., Lettere delle comunità: Massa, b. 32, il commissario Giovanni Battista Andreoli, Urbania, 20 marzo 1661

  20. Archivio di Stato di Pesaro – sezione di Fano, Archivio notarile mandamentale di Fano, Bagni Paolo, n. 109, vol. OO (Testamenti – 1645-1665), cc. 195r-198v.

  21. L’indicazione è riportata dal notaio nel testamento.

  22. BPJ, Archivio Ubaldini, b. 39 (nuova numerazione: 23), lettera del conte Federico Ubaldini al sig. Nicolò Vannucci di Cingoli, Fano, 23 febbraio 1698.

  23. ASP, Leg., Lettere di Sua Eminenza, b. 41 (1666), Apecchio, 29 ottobre 1666: hebbi notitia quando mi trovavo questo luglio in Fano

  24. Biblioteca Federiciana di Fano, Sala Manoscritti, P. Borgogelli Ottaviani, Libro d’oro della nobiltà fanestre – vol. III delle Famiglie Italiane aggregate ad essa, alla voce “Ubaldini”

  25. Archivio Vescovile di Fano, Parrocchia di S. Antonio Abate, vol. V, Battezzati (1627-1684), p. 135.

  26. Biblioteca Federiciana di Fano, fondo Marcolini, b. 4, fasc. 1, n. 107.

  27. Accademia Raffaellesca di Urbino (d’ora in poi ARU), Archivio Ubaldini Catalani, b. 36, reg.

  28. ARU, Archivio Ubaldini Catalani, b. 36 reg. 2, pp. 31-34

  29. ARU, Archivio Ubaldini Catalani, b. 36 reg. 2, pp. 35-36.

  30. Ho arrotondato la somma in scudi e baiocchi, tralasciando l’indicazione dei bolognini

  31. ARU, Archivio Ubaldini Catalani, b. 36, reg. 2, pp. 37-38

  32. Archivio di Stato di Roma, consultabile in www.cflr.beniculturali.it.

  33. Carlo Moscelli, Sebastiano Cuva, Cara vecchia Fano - Foto di Fano e di Fanesi dalla fine dell’Ottocento agli anni Duemila, Fano, 2013, p. 22.

  34. Archivio di Stato di Pesaro, sezione di Fano, archivio notarile, Giambattista Morganti, n. 276, vol H (1698), cc. 45r-50v. Tutte le informazioni successive sono tratte da questo documento.

  35. segetta = sorta di sedile contenente un vaso da notte

  36. Una soma di vino a Fano equivaleva a circa 90 litri (per la precisioni 89,68 litri (Tavole di ragguaglio tra le misure e pesi dello Stato Pontificio colle misure e pesi del sistema metrico, parte seconda, Roma, 1858, p. 954).

  37. Una soma da olio, a Fano, equivaleva a 69,7 liti (Tavola di ragguaglio tra le misure e pesi dello Sato Pontificio colle misure e pesi del sistema metrico, parte II, Roma, 1858, p. 954).