I vaccini

Quando in natura compare un virus nuovo come SARS-CoV-2 è importante studiare e descrivere in dettaglio le sue caratteristiche molecolari per mettere a punto farmaci mirati. Il sequenziamento del genoma è un primo passo fondamentale per classificare il virus e ricostruirne l’evoluzione. L’analisi del genoma, tuttavia, racconta solo una parte della storia. Per completare la carta d’identità del virus SARS-CoV-2 è indispensabile descrivere anche la struttura e la funzione delle proteine codificate dal suo genoma e il modo in cui esse interagiscono con la cellula umana.

La proteina spike

La proteina meglio conosciuta del nuovo coronavirus è la proteina spike, una glicoproteina che emerge dal rivestimento esterno del virus e svolge le funzioni di recettore virale, cioè permette il legame con la proteina ACE2 espressa dalle cellule umane. Poiché da questo primo contatto prende avvio la cascata di eventi che porta all’infezione, è importante mettere in luce le interazioni molecolari che ne sono alla base per poterle, eventualmente, bloccare.

La proteina ACE2

Studiare il recettore virale aiuta a identificare le specie che possono essere infettate e prevedere gli organi e apparati che saranno colpiti, non che la ricerca di un vaccino. Negli umani, per esempio, ACE2 è espresso ad alti livelli nell’epitelio respiratorio; questo, oltre a spiegare i sintomi più comuni, dà ragione anche della facilità con cui il virus viene trasmesso tra persone mediante colpi di tosse e starnuti.

Immunizzazione

ATTIVA

Normalmente, il processo di sviluppo e di immissione in commercio di un vaccino richiede, come per qualsiasi farmaco, circa dieci anni. Questo lungo periodo di tempo è necessario per svolgere tutte le fasi di sperimentazione pre-clinica (in laboratorio e in modelli animali) e clinica (negli esseri umani) necessarie per dimostrare che il vaccino è sicuro ed efficace.

Le piattaforme tecnologiche sperimentate sono molto diverse e vanno dalle più tradizionali a quelle più innovative. Nella lista, resa disponibile e aggiornata continuamente dall’OMS, compaiono quattro tipologie principali di vaccini basati su:

  • coronavirus inattivati o attenuati, cioè virus la cui attività replicativa e infettiva è stata depotenziata (per esempio mediante specifici trattamenti chimici) ma che ancora preservano la capacità di innescare la risposta immunitaria. Garantisce un alto livello di espressione dell’antigene che induce una forte risposta immunitaria;

  • vettori virali ingegnerizzati (sia replicanti sia non replicanti), spesso basati su Adenovirus;

  • proteine ricombinanti: questi vaccini trasferiscono solo le proteine del virus o loro frammenti, ma non veicolano alcuna porzione del genoma virale. Sono già stati usati più volte in passato;

  • molecole di mRNA o DNA derivate dal virus che, una volta espresse dall’organismo, scatenano la risposta immunitaria. Hanno una rapidità di sviluppo, ma non sono mai stati usati

PASSIVA

La sieroterapia è una forma di immunizzazione “passiva”, basata sul trasferimento delle difese immunitarie da una persona convalescente a un’altra; è una procedura che conferisce una protezione immunitaria molto rapida che, pur non essendo duratura, permette in alcuni casi di evitare l’infezione in persone esposte a un rischio certo o di mitigare i sintomi della malattia.

Benefici dei vaccini

La memoria immunologica è il meccanismo che consente al sistema immunitario di ricordare gli antigeni con cui entra in contatto la prima volta, al fine di reagire in maniera più rapida e intensa in caso di un contatto successivo, riuscendo a eliminare così il patogeno coinvolto. La memoria immunologica dunque rappresenta la base per la risposta immunitaria secondaria. La memoria immunitaria è tipica dei linfociti B e T. Il sistema molecolare responsabile della memoria immunitaria non è ancora noto. Si ipotizza che il suo meccanismo funzioni in questo modo: il primo contatto con l’antigene condurrebbe all'attivazione dei linfociti specifici, determinando la loro proliferazione e quindi la generazione di numerose cellule figlie dai caratteri metabolici modificati. Questi linfociti, distribuiti in tutto l’organismo, sarebbero così più adatti a rispondere a una nuova aggressione da parte dello stesso antigene.

Uno studio al momento pre-print ha analizzato la risposta immunitaria di 185 pazienti COVID-19 analizzando tutti gli elementi che possono determinare immunità acquisita. Lo studio ipotizza che esista una sostanziale memoria immunologica dopo l’infezione da SARS-CoV-2.

Gli autori, hanno misurato attentamente diversi tipi di anticorpi e diversi tipi di cellule della memoria immunitaria per studiare quanto dura l'immunità dopo l’infezione da SARS-CoV-2. Hanno identificato particolari tipi di cellule della memoria B e di cellule della memoria T che risultano ancora presenti in buona quantità da sei a otto mesi dopo l'infezione.

Nello specifico, i ricercatori hanno misurato simultaneamente i livelli di anticorpi circolanti, di cellule B della memoria, di cellule T CD8+ e di cellule T CD4+ specifiche per SARS-CoV-2. I picchi IgG si sono evidenziati costanti nel tempo. I livelli di IgG RBD e di anticorpi neutralizzanti SARS-CoV-2 PSV sono rimasti stabili, apparentemente allo stesso modo, coerentemente con il fatto che dominio RBD (receptor-binding domain) della proteina spike sembra essere il bersaglio principale degli anticorpi neutralizzanti.

Il concetto alla base dell’immunità di gregge è che, se molte persone si immunizzano, sarà statisticamente meno probabile che il patogeno trovi un ospite da infettare: diminuendo le possibilità che un virus si trasmetta da una persona all’altra, si può fermare il suo ciclo infettivo e arginare così l’infezione a pochi casi saltuari o estinguerla del tutto. Perché l’immunità di gregge funzioni, è però importante che gran parte della popolazione sviluppi un’immunità specifica contro il virus; la percentuale necessaria deve raggiungere circa il 95% della popolazione.

L’immunità si può acquisire in due modi: venendo a diretto contatto con il patogeno (infezione naturale) oppure tramite un vaccino. L’incontro con il patogeno scatena l’infezione e può esporre le persone infettate a gravi complicanze. Il vaccino simula invece l’incontro con il patogeno, stimolando il sistema immunitario delle persone con appositi antigeni che però non causano la malattia.

VACCINO PFIZER

Questo vaccino utilizza la sequenza del materiale genetico del nuovo coronavirus, ossia l'acido ribonucleico (RNA), il messaggero molecolare che contiene le istruzioni per costruire le proteine del virus. Utilizzare l'RNA messaggero (mRNA) è stata una scelta dettata dall'esigenza di riuscire a produrre vaccini in breve tempo, ottenendo una risposta immunitaria ottimale. L'obiettivo è somministrare direttamente l'mRNA che controlla la produzione di una proteina contro la quale si vuole scatenare la reazione del sistema immunitario. Nel caso del virus responsabile della pandemia la proteina è la Spike, l'artiglio molecolare utilizzato per agganciare le cellule sane e invaderle. Per trasportare le istruzioni per indurre le cellule a produrre la proteina Spike vengono utilizzate minuscole navette. La proteina Spike è stata una delle prime a essere individuata, è ben nota e si è osservato che il sistema immunitario umano è in grado di riconoscerla. Non appena questo avviene, le difese dell'organismo stimolano la produzione di cellule B, che producono anticorpi, e di cellule T, specializzate nel distruggere le cellule infette.

VACCINO SPUTNIK V

Il vaccino Sputnik è basato sull’RNA che codifica la proteina Spike, proteina che svolge un ruolo cruciale nel permettere al virus della COVID-19 di infettare le cellule umane. A differenza di quello americano però in questo vaccino l’RNA è veicolato da dei virus, cioè da due tipi di adenovirus umani (Ad5 e Ad26), resi incapaci di replicarsi e di causare malattia. Quando il vaccino Sputnik V viene inoculato intramuscolo, gli adenovirus portano l’RNA all’interno delle cellule muscolari che, per un breve tempo, produrranno la proteina Spike che indurrà la reazione del sistema immunitario. Poiché gli adenovirus sono causa di comuni malattie (in genere non gravi) dell’apparato respiratorio superiore, è però possibile che la persona vaccinata, a causa di un ‘infezione precedente, abbai sviluppato anticorpi contro l’adenovirus. In questo caso c’è il rischio che il vaccino basato su adenovirus venga inattivato. Per questo motivo, Sputnik V è basato su due tipi diversi di adenovirus, Ad5 e AD26.

VACCINO MODERNA

A differenza della maggior parte dei vaccini "classici", che prevedono la somministrazione di parti inattivate del virus, questo sviluppato da Moderna si basa sulla tecnologia ad mRNA. Un approccio inedito fino a ora, ma che sta avendo successo nella corsa al vaccino Covid: altro farmaco che segue la stessa direzione, ad esempio, è quello di Pfizer. L'approccio consiste nell'iniettare all'interno del corpo degli mRNA, ossia microparticelle di Rna cosiddetto "messaggero" nelle cellule, in grado di insegnare all'organismo a produrre le difese necessarie. In questo caso mRNA-1273, una porzione della proteina virale spike di superficie.

L'organismo in questo modo è indotto a produrre da solo la risposta immunitaria alla spike, ossia all'"uncino" che consente al virus di attaccarsi alle cellule e iniziare la sua opera distruttiva. Senza bisogno di insegnare al nostro sistema immunitario a combattere il virus nel suo insieme, ma solo a combattere, appunto, la cruciale proteina spike.

FONTI:

Libro "Breve storia della Biologia" I.Asimov Editore: Zanichelli

https://aulascienze.scuola.zanichelli.it/come-te-lo-spiego/

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https://www.agi.it/salute/news/2020-11-30/covid-vaccino-moderna-come-funziona-10486633/

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A cura di Anna M. e Francesco Z.