I luoghi ci possono accogliere e proteggere, oppure respingere e osteggiare, e le sconfitte di una progettazione o gestione degli spazi aperti poco attenta ricadono su tutte e tutti, ma in modo particolare sulle persone con specifiche necessità. Si tratta di necessità ed esigenze che all’esterno delle abitazioni private o di contesti protetti emergono con maggiore evidenza e costituiscono un limite all’autonomia e all’inclusione delle persone.
La Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006 richiama più volte il concetto di autonomia nei suoi articoli, ribadendo la necessità di consentire “di vivere in maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli aspetti della vita”, adottando tutte le misure atte a “garantire alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad altre attrezzature e servizi aperti o forniti al pubblico, sia nelle aree urbane che in quelle rurali”.
Garantire a tutte e tutti, indipendentemente dalla propria identità sociale (genere, etnia, orientamento sessuale, disabilità, gruppo sociale) lo svolgimento della vita quotidiana nello spazio pubblico concretizza il concetto teorizzato da Henri Lefebvre nel 1968 di “diritto alla città”, inteso come diritto di ciascuno a disporre di una esperienza spaziale non segregante e adeguata a sostenerne la vita. Tuttavia, l’obiettivo di una vita indipendente incontra ancora numerosi ostacoli e qualche inadempienza.
In Italia, ad esempio, insieme alla lentezza nella redazione dei Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche, e nella conseguente realizzazione delle opere individuate da essi, sono tuttora presenti barriere, pericoli e scarsa fruibilità degli spazi pubblici “a cielo aperto”. A questi ostacoli fisici si aggiungono altre barriere che impediscono il diritto alla città – violenza, povertà, isolamento, ecc. – che hanno un impatto sulla capacità dei cittadini di partecipare pienamente e liberamente alla vita sociale della città.
Gli ambienti urbani, nei diversi utilizzi cui sono soggetti, anche eccezionali come quando diventano scenografie per manifestazioni all’aperto, insieme agli spazi naturali quali parchi, giardini, spiagge e aree rurali o montane, devono garantire un pieno e uguale godimento per tutte e tutti e questo obiettivo non è stato ancora completamente raggiunto. Inoltre, occorre considerare che a contesti ordinari si sommano scenari di emergenza in cui le vulnerabilità delle persone rispetto ad agenti esterni legati, ad esempio, ai cambiamenti climatici o alle calamità naturali, ne acuiscono le fragilità e limitano ulteriormente la fruizione degli spazi urbani. La crisi climatica, infatti, sta spingendo le città a cambiare e a investire con più decisione, da un lato sulla qualità di vita e degli spazi urbani intermedi tra gli edifici, dei quartieri, delle periferie, delle aree interne e sulla qualità minuta delle attrezzature urbane, dei marciapiedi, del verde e delle sedute per generare e rigenerare nuovi modi di abitare e di vivere insieme, e dall’altro su azioni concrete di rinaturalizzazione, di mitigazione ambientale, di contenimento degli effetti di siccità e inondazioni, essenziali per garantire la vivibilità di questi luoghi.
La necessità di riconoscere la compresenza di diverse forme di barriere o limiti (ambientale, di genere, di età, di etnia, di eticità, di disabilità e di sessualità) all’interno dello stesso “corpo fisico” delle città e dei suoi spazi pubblici apre a una riflessione sulla prospettiva intersezionale e di genere rispetto alle tematiche dell’accessibilità e dell’inclusione. Si tratta, quindi, di indagare non solo le diverse forme di oppressione/discriminazione da parte della città e di sottolineare e spiegare le possibili interconnessioni e interdipendenze, ma di considerare la prospettiva dell’intersezionalità per aumentare quella che Patricia Hill Collins definisce la consapevolezza del ruolo che le comunità hanno nella definizione delle loro identità e nella costruzione di una maggiore giustizia sociale, valorizzando la complessità della vita quotidiana delle persone.
Le lingue ufficiali sono italiano e inglese.
Al Convegno Internazionale gli interventi - selezionati tra i paper accettati - saranno in italiano o inglese, mentre nella pubblicazione gli abstract saranno in lingua inglese e i paper in italiano o inglese.