La scuola delle urla deve finire

È ormai una consuetudine, forse una tradizione della scuola italiana, che un professore urli contro le sue studentesse e i suoi studenti, quando queste e questi commettono uno sbaglio o infrangono le regole; un qualcosa di naturale, di cui si parla apertamente, ma che i più non condannano e anzi liquidano con quelle che, in sintesi, non sono altro che scuse.


Nulla può giustificare l’atto di un adulto educatore che, approfittando della posizione gerarchicamente superiore che ricopre e che gli concede dei poteri in più, assolve alle sue mansioni attraverso la violenza verbale, che comprende anche il semplice utilizzo di un tono di voce più alto del normale.

Non parliamo mai di violenza verbale, ma sempre di urla impiegate come strumento – di solito correttivo - di formazione, quindi bonarie e che, a differenza della violenza, non hanno il fine ultimo di infliggere un danno.


Tuttavia, questo è quello che producono.

Le urla di un insegnante generano negli studenti che sono costretti a subirle, sia direttamente che indirettamente come spettatori, una serie di emozioni spiacevoli: rabbia e frustrazione, oppure paura e terrore, o ansia, con il cuore che accelera il suo battito e il respiro che diventa affannoso; queste emozioni non sempre si annullano al termine della lezione; a volte persistono per ore o giorni, facendo vivere allo studente la scuola come un qualcosa di spiacevole, spesso – soprattutto per i bersagli diretti della violenza – spingendolo a rimanere a casa, a saltare le lezioni.

Quello che accade a scuola si riversa poi facilmente nella vita familiare, privata e con gli amici; si è più irascibili a casa o più vulnerabili per strada; si è più stanchi o più tristi del normale, e si tende ad associare le emozioni spiacevoli provate durante le urla a tutto quello che riguarda la materia, il giorno di lezione, la classe, l’istituto, la città: tutto assume una dimensione negativa e ripugnante.


È quindi doveroso chiedersi: le urla di un insegnante sono davvero un valido strumento formativo, o sono invece un qualcosa che dovrebbe essere scoraggiato, anzi vietato?

Si potrebbe pensare che non sia un fenomeno poi così comune, ma tutti noi studenti abbiamo sicuramente almeno un insegnante che urla in classe con regolarità; spesso non per compiere attacchi personali, ma semplicemente per farci capire di aver commesso un errore: di aver sbagliato un procedimento o un’interpretazione, di aver usato il cellulare in un momento non opportuno, di aver pronunciato una parola volgare, o anche di aver chiesto delle valutazioni più giuste o degli accordi per i compiti a casa.

Questo atto non è comunque corretto, indifferentemente da quale sia il movente, perché la violenza – tale secondo quanto esposto in precedenza - non è mai corretta, non è mai giusta. L’urlo dell’insegnante è anche una profonda mancanza di rispetto, che sottolinea ulteriormente le differenze sociali – insensate - che il sistema scolastico italiano prevede tra studenti e insegnanti; uno studente che proverebbe a pronunciare, contro un professore, anche solo una parola urlando, verrebbe immediatamente sanzionato, se non probabilmente anche umiliato di fronte a tutta la comunità scolastica. 


Quegli stessi insegnanti che all’inizio della pandemia da Covid-19 hanno sfruttato al massimo le loro risorse per fare lezione in maniera ultra alternativa, così da garantire il nostro diritto allo studio; che ogni giorno impiegano tempo , dedizione e impegno  nel lavoro; che, nonostante la diversità di vedute e le avversità, sono sempre vicini a noi studenti, sempre pronti a darci sostegno per risolvere i nostri problemi personali: quegli stessi insegnanti, davvero non riescono a trovare metodi alternativi per farci capire che stiamo sbagliando quando occorre? Non c’è un altro modo? Non possono semplicemente dircelo con calma e educazione?  Alcuni insegnanti probabilmente urlano in maniera metodica: sono consapevoli di star urlando e anzi lo fanno convinti dell’effetto educativo che questo strumento può avere – ma che in realtà non ha; altri invece urlano nel momento in cui perdono il controllo della situazione, delle proprie emozioni e del proprio comportamento, probabilmente anche a causa di influenze esterne al lavoro.


Forse, solo il distanziamento previsto per il contrasto al Coronavirus è l’unica attuale garanzia – non poi così affidabile - che questa perdita di controllo non si estenda, generando anche una reazione fisica. Questa, nei rari casi in cui si verifica, è ovviamente aspramente condannata, ma non sarebbe più prudente prevenirla?

In questa faccenda, gli insegnanti hanno solo una parte delle colpe: alcune di queste sono da attribuire alla società tutta, mentre altre proprio a noi studenti. Nella maggior parte dei casi, quando un insegnante urla in classe, nessuno reagisce: tutti osservano in silenzio, forse e a volte solo il bersaglio delle urla, quando queste ne hanno uno in particolare, prova ad attuare una qualche forma di resistenza, ma raramente riceve sostegno dagli altri.


Questa indifferenza non fa altro che sostenere la percezione che hanno gli insegnanti verso l’urlare contro gli studenti, che è visto quasi come un diritto, oltre che spaccare la classe e, nel caso delle urla mirate verso una precisa persona, far sentire sole le vittime. Noi studenti dovremmo  capire che potremmo essere la coscienza critica degli insegnanti, ma spesso perdiamo l’attimo e l’opportunità, perché ci immedesimiamo nel ruolo di vittime e ci culliamo in tale modello di comportamento.  Fermo restando che le nostre conoscenze e competenze sono di gran lunga inferiori alle loro, abbiamo il dovere di fargli notare quando le azioni che fanno sono talmente sbagliate tanto che ciò è comprensibile e visibile in maniera elementare anche a noi. Non dovremmo essere intimoriti o spaventati dal farlo; riportare sulla giusta strada gli insegnanti quando commettono degli errori, e soprattutto quando non si rendono conto di questi errori, è nostro compito, e serve a fare in modo che possano educarci al meglio. 


Se ci rifiutiamo di assolvere a questa mansione, la sconfitta è  di entrambi: degli insegnanti, per aver fallito nella loro missione e non essere riusciti ad educarci, in quanto le urla non sono uno strumento corretto, e anche di noi studenti, per aver permesso al sistema di schiacciarci, di farci provare emozioni spiacevoli, di dividerci in quanto classe. Nelle situazioni critiche, accade che ci si accordi per segnalare il comportamento di un certo insegnante al docente coordinatore o al dirigente scolastico, o in altre occasioni che si preferisca confrontarsi con l’insegnante stesso in un momento successivo; questo tuttavia non basta, anzi sarebbe più efficace avviare il dialogo all’istante, nei minuti esatti delle urla. Basterebbe parlare, in qualunque momento, e chiedere all’insegnante, con gentilezza ed educazione e con un tono calmo, di smettere di urlare. Qualcosa come: “Prof, potrebbe non urlare? Mi sta mettendo a disagio”. 


Molto spesso, chi subisce direttamente le urla non è in grado di fare questa, all’apparenza, semplice e banale richiesta; è quindi necessario che lo faccia qualcun altro, e che, in caso di reazione  esagerata  da parte dell’insegnante, tutta la classe sia di  supporto. Non deve inoltre essere un richiamo, almeno non esplicito, né un’umiliazione pubblica; deve essere una richiesta semplice e sincera, che proviene da una sensazione, da uno stato emotivo, da un qualcosa di profondo, come, nel caso dell’esempio, il senso di disagio. 


I nostri insegnanti vogliono solo il nostro bene, per cui sarà sufficiente far notare  che urlare non  è  un buon strumento di insegnamento.

È prioritario mettere fine alla scuola delle urla. 


Mirko Giuggiolini , BIA