Antiziganismo: Una parola ancora di moda

"Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare". 

(Martin Niemoeller)

Molti di noi non hanno mai sentito questa parola: Antiziganismo.

Eppure, Wikipedia ci informa che il termine indica il pregiudizio e l'odio generalizzato verso i popoli Rom, Sinti e altri gruppi, anche chiamati, per lo più con connotazione negativa, zingari, gitani o zigani.


Ogni anno il 27 gennaio noi ricordiamo l’apertura dei cancelli ad Auschwitz e la scoperta dell’orrore che coinvolse come vittime numerose persone: oltre 10 milioni. Fra questi vi furono anche le popolazioni Sinti e Rom e poche e rare volte ci si sofferma sulla storia e sul vissuto di tali popoli e del motivo perché fossero internati, ma cerchiamo di approfondire e di andare oltre e di capire in profondità l’origine di tali sofferenze. Questo è il contributo che noi della 4BIA vogliamo dare per la Giornata della Memoria e non solo per non dimenticare, ma anche per riconoscere che le vittime non sempre sono sullo stesso piano. Proprio per questo abbiamo deciso di iniziare il nostro dossier con la realtà di oggi e dei luoghi comuni che circondano l’universo Rom e Sinti.

Buona lettura.


P.S. Chi conosce la data del ricordo del giorno dello sterminio delle popolazioni Sinti e Rom ? Lo scoprirete solo leggendo.

I pregiudizi nei confronti di ROM e SINTI


Per riconoscere senza stigmatizzare una comunità che ha certamente la peggiore e più consolidata reputazione tra le minoranze europee, è necessario decostruire alcune credenze che condizionano la relazione fra “nomadi” e “sedentari”. In particolare, è necessario ricordare che la parte più visibile, ma assolutamente minoritaria, si calcola circa il 20% delle comunità rom e sinti è anche quella maggiormente esclusa dal punto di vista economico, sociale e culturale. È quindi chiaro come determinati comportamenti devianti siano frutto di povertà ed esclusione, mentre nella mentalità comune vengono identificati come tratti “culturali”, cioè insiti nell’identità. Alcune precisazioni possono essere utili, partendo dai pregiudizi più diffusi:


-Rom e sinti sono nomadi


La comunità sinta e rom non è più definibile come “nomade”; infatti, soltanto il 3% della popolazione presente in Italia conduce una vita itinerante. Alla convinzione diffusa fra gli italiani che i rom e i sinti siano tutti nomadi, per scelta o per cultura, e che vivano spostandosi da una città all’altra sono collegati

la maggior parte degli stereotipi. In particolare, lo stereotipo che vuole tutti gli zingari “culturalmente” ladri e quindi dediti ad attività illegali, più difficilmente perseguibili proprio a causa di uno stile di vita itinerante. Sia per i sinti che per i rom, non nomadi, è molto importante creare e mantenere buone relazioni con il territorio sia nel caso in cui vivono in roulotte e aree di sosta, che nel caso in cui abbiano scelto di vivere in appartamenti. È così forte tuttavia la paura di essere discriminati che famiglie di sinti e rom preferiscono non rivelare la propria appartenenza culturale nel momento in cui trovano lavoro o vanno a vivere in case, diventando così “invisibili”. “Dovrebbero tornare a casa loro”, è quello che si sente dire spesso, non solo da cittadini comuni. Anche se sinti e rom sono spesso identificati come “stranieri”, circa il 61% possiede la cittadinanza italiana. Si tratta quindi, nella maggior parte dei casi, di cittadini italiani con gli stessi diritti e doveri degli altri cittadini.



Gli zingari sono incuranti dell’igiene compresa quella personale-


Questa generalizzazione non tiene conto della maggior parte di sinti e di rom che curano con grande attenzione la pulizia delle roulotte e delle abitazioni. Sono soprattutto i nuclei ancora itineranti che, non potendo accedere ai servizi igienici in modo continuativo, possono risultare meno attenti alla pulizia. Non c’è tuttavia alcun legame fra appartenenza culturale e scarsa igiene, come vorrebbe lo stereotipo.



-Gli zingari godono di privilegi che gli altri cittadini non hanno


Di solito ci si riferisce a privilegi economici dovuti a leggi antiche o all’essere sinti e rom. In particolare, si discute tuttora di una quota giornaliera che sinti e rom percepirebbero, circa 30 euro al giorno, per il semplice fatto di essere sul territorio italiano. Si tratta di un’evidente distorsione della legge 390/92 che permetteva ai Comuni che ospitavano persone in fuga dalla ex Jugoslavia di avere dei fondi da utilizzare per borse lavoro, gestione delle strutture abitative. Anche allora nessun profugo aveva la possibilità di accedere direttamente a questi finanziamenti, che erano invece riservati ai Comuni. In questa fase di recessione economica pensare che, in quanto zingari, fasce di popolazione possano avere diritto a un sostegno economico così importante non fa che alimentare il clima di odio e disprezzo nei confronti di queste comunità. Non vi sono leggi specifiche che riconoscano a sinti e rom uno status o diritti ulteriori rispetto a quelli garantiti alla collettività nel suo generale.



Gli zingari non vogliono lavorare-


Sopravvivono solo grazie ai furti, all’elemosina e ai soldi che i Comuni danno loro, in quanto rom o sinti. Sinti e rom hanno sempre lavorato, concentrandosi in particolare sulle professioni che meglio si sposavano allo stile di vita itinerante. A partire dagli anni ‘50 e sempre più radicalmente negli anni ‘60 e ‘70, la società italiana si è urbanizzata ed industrializzata, rendendo sempre meno remunerative queste professioni, tant’è che molti rom e sinti si sono trovati espulsi dai mestieri tradizionali. Nonostante questi elementi di difficoltà e nonostante un alto tasso di disoccupazione, le comunità si stanno adeguando, sia con soluzioni innovative per supportare lo svolgimento delle attività tradizionali, sia spaziando verso altri settori lavorativi. Anche la formazione professionale è un ambito molto importante su cui è necessario investire per aprire nuovi ambiti lavorativi per queste comunità.



LE ORIGINI DELLE PERSECUZIONI


In Europa, la popolazione zingara fu vista con diffidenza sin dal Medioevo. I Romanì, essendo un popolo nomade, si mostravano diversi dalle altre popolazioni per usi e costumi e proprio per questo, furono accusati di stregoneria, e durante il Sacro Romano Impero di essere spie al servizio dei turchi. Con la Riforma Protestante fu severamente vietato l'accattonaggio, una delle attività principali dei Romanì, che giudicati come stranieri, non erano accolti dalle parrocchie. Alcuni di questi reati erano talvolta puniti con la pena di morte.

Nel XVII secolo, in seguito alla Guerra dei trent’anni, i Paesi dilaniati dal conflitto, e soprattutto la Germania, furono travolti da un'ondata di brigantaggio, che vide come protagonisti numerosi gruppi di vagabondi, definiti “zingari”, spinti dalla fame. Così i principi tedeschi emanarono una serie di leggi contro di loro per fermare le scorribande. Durante il 1700 vennero promulgate molte norme contro il vagabondaggio, il nomadismo, e in generale verso le attività zingare da parte di figure quali Augusto I di Sassonia e Adolfo Federico IV di Meclemburgo-Strelitz.

Con l'Illuminismo la situazione migliorò sensibilmente e molte di queste leggi furono attenuate, ma successivamente si trasformarono in forme di controllo e monitoraggio, mirate all'identificazione degli individui presenti nei vari Paesi. Durante la Repubblica di Weimar, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i Romanì iniziarono a essere controllati da speciali corpi di polizia, che garantivano l'ordine pubblico, imponendo documenti di identificazione e permessi per sostare in luoghi predisposti rispettando il numero di persone e carovane consentite. Tutti gli zingari, già iscritti nel  Zigeuner Buch  dal 1905, presenti sul territorio tedesco vennero attenzionati . In Italia l'epurazione del territorio dai Romanì venne trattata già prima dello scoppio della guerra in una circolare dell'8 agosto del 1926, dove si ordinava di respingere qualsiasi carovana priva di documenti e di segnalare quelle che non rispettavano i limiti di tempo e di itinerari fissati dalle autorità.

La legislazione “antizingari” in Germania


Nella memoria collettiva europea e in particolare italiana la dimenticanza ha rigenerato mostri che durante gli anni 30 in Europa hanno prodotto discriminazione e segregazione delle popolazioni viaggianti. ci basterà ripercorrerne i punti salienti per capire come certi fenomeni storici possano ripetersi.

in Germania, già nel 1899 la polizia di Monaco Di Baviera aveva creato un registro dei Rom, chiamato “Servizio informazioni sugli zingari”, con il compito di coordinare le azioni della polizia contro la popolazione zingara di Monaco. 

Nel 1929 questo registro viene convertito in “Ufficio centrale per la lotta alla piaga zingara”,  che venne utilizzato dai nazisti per attingere informazioni su Rom e Sinti in modo da trovare le motivazioni scientifiche attraverso cui sarebbe stato possibile  affermare che i Rom non appartenevano alla razza ariana e che quindi dovevano essere catalogati come una "razza impura". Da quel momento non gli fu più permesso di passare da un accampamento all'altro senza il permesso della polizia.

La situazione degenerò nel 1933, quando la polizia, in tutta la Germania, cominciò a far osservare in modo rigoroso le leggi pre-Nazismo contro chi conduceva una vita “da Zingari”, insieme all’attuazione di  una persecuzione sistematica di chi ne faceva parte.

Il 15 settembre 1935 Adolf Hitler annunciò le Leggi di Norimberga, le quali servivano a creare il contesto giuridico per la persecuzione sistematica degli Ebrei in Germania.E sebbene si riferivano solamente agli Ebrei, vennero applicate anche per i Rom in Germania. 

Queste leggi furono:


Nel giugno del 1936 il ministero degli Interni affidò la “questione zingara” alle autorità, chiedendo di operare attraverso leggi speciali per risolvere il problema.

Con il decreto del 14 dicembre 1937, in seguito alle ricerche del dottor Robert Ritter, si affermava che i Rom erano geneticamente criminali, e per questo dovevano essere messi agli arresti.

Nel 1938, viene trattata la situazione dei Rom tedeschi “sotto l'aspetto della loro purezza razziale”. Nei vari punti sviluppati vi era il divieto del rilascio di diplomi o di qualsiasi altra forma di attestato per artigiani senza residenza fissa. In questo stesso anno cominciarono le deportazioni in alcuni campi di concentramento, la sede dell’UFFICIO CENTRALE PER LA LOTTA ALLA PIAGA ZINGARA fu trasferito da Monaco a Berlino, ed il regime si occupò di limitare i territori occupabili dai Romanì, estendendo le nuove leggi a tutti i nuovi territori del regime.

Nel 1939 venne creato il “Quartier generale del Reich per la lotta contro il male degli zingari”, un corpo specializzato nelle persecuzioni vere e proprie. Il 17 ottobre dello stesso anno l'Ufficio centrale per la sicurezza dello Stato, ordinò che i Rom presenti in tutto il territorio del Reich fossero confinati in campi di internamento, nella prospettiva finale della deportazione.

Inoltre, a causa dell'alta ereditarietà che caratterizzava la razza zingara, la trasmissione del sangue impuro e portatore di malattie poteva essere fermata solo bloccando la proliferazione del popolo zingaro.

Fu così ordinato di sterilizzare tutte le donne zingare sposate con uomini ariani presso la sede dell'ospedale di Dusseldorf-Lierenfeld, senza eccezioni per coloro che erano incinte e che morirono durante il trattamento. Successivamente la sterilizzazione venne estesa anche a tutti i bambini che avevano superato il dodicesimo anno di età. 

Situazione in Italia

Anche in Italia la “questione zingari” diveniva uno dei problemi da risolvere, poiché questi ultimi erano visti come soggetti pericolosi, in particolare nelle zone di frontiera, per prima cosa ad est, ma poi anche a settentrione. La convinzione espressa anche da Benito Mussolini, ossia che ebrei e rom fossero spie attive contro lo Stato portava ad ordinare un sempre più stretto controllo sui confini e l’Istria divenne il banco di prova di questa nuova politica antizingara . 

Le prime disposizioni per la persecuzione e l'internamento per i Romanì in Italia, come riporta il libro “Porrajmos in Italia” di Luca Bravi e Matteo Bassoli, furono emanate l'11 settembre 1940. Una circolare telegrafica firmata dal capo della polizia Arturo Bocchini e indirizzata a tutte le prefetture del Paese conteneva un chiaro riferimento all'internamento di tutti i Romanì italiani a causa dei loro comportamenti antinazionali e alle loro implicazioni in reati gravi. Nella circolare venne ordinato il rastrellamento di tutti gli zingari, nel minor tempo possibile, provincia dopo provincia.

I controlli svolti su questi soggetti appuravano inoltre una costante permanenza di queste famiglie sul territorio istriano; nessun «istinto al nomadismo» incontrollato. Il 20 febbraio del 1938 avvennero i primi trasporti verso il confine (comprendenti tutte le categorie individuate, tranne «zingari autoctoni») in Sardegna con imbarco da Civitavecchia. Tra loro c’erano molti bambini: il regime aveva anche valutato il costo che avrebbe dovuto sostenere nel caso dell’ipotetico affidamento all’Opera maternità ed infanzia, anche se il costo del viaggio per il confine risultò superiore, l’ipotesi dell’affidamento all’Opera fu scartata.

In un articolo pubblicato nel 1941, l'antropologo fascista Guido Landra manifestò adesione alle teorie razziste del Terzo Reich; secondo Landra, gli "zingari" «sembrano come noi, ma in realtà, sono gruppi di persone che rappresentano un apporto negativo alla razza».

Nel giugno del 1942 partì infine da Lubiana un convoglio di rom che venne trasferito nel campo di concentramento di Tossicia in provincia di Teramo, in quello stesso anno, altri rom venivano trasferiti dall’Istria al campo di concentramento di Gonars in provincia di Udine. Il progetto Memors ha raccolto la testimonianza diretta degli ex internati StankaFrancesco e Benito Brajdic e Goffredo Bezzecchi, presenti sulle liste degli internati di quei campi. 

Il 20 ottobre 1942, il prefetto istriano Berti poteva dichiarare che in Istria non c’era più neanche un rom ; aveva ragione, in quell’anno erano stati portati a termine gli ultimi rastrellamenti. Rom e sinti confinati in Sardegna cominciarono ad allontanarsi dall’isola soltanto nel 1945.

PORRAJMOS


Che cosa significa e la storia


Porrajmos è il termine con cui, da diversi decenni, viene indicato lo sterminio delle popolazioni Romaní (Rom, Sinti, Manush, Kalé) perpetuato dai nazisti e dai paesi dell'Asse, durante la Seconda Guerra Mondiale. I Nazisti istituirono i campi di sterminio, per rendere il più efficiente possibile, l'assassinio di massa. Il 9 gennaio del 1938 fu approvata una legge che prevedeva la sterilizzazione di queste popolazioni e fu ordinato di sterilizzare tutte le donne zingare sposate con uomini ariani, senza eccezioni per coloro che erano incinte e che morirono durante il trattamento. Poi la sterilizzazione fu estesa a tutti i bambini che avevano superato il dodicesimo anno di età, però questo trattamento avveniva solo dopo aver costretto le famiglie a firmare un’autorizzazione. Questa pratica fu poi portata all’interno dei lager. 


Tra il 1939 e il 1945 vennero uccisi oltre 500.0000 zingari.



Luoghi simbolici del Porrajmos

Belzec  1942-1943


Nel novembre del 1941, le autorità tedesche cominciarono la costruzione del centro di sterminio di Belzec. 

Belzec diventò così, il secondo centro di sterminio tedesco e iniziò ad essere operativo il 17 marzo 1942. Tra l’inizio delle operazioni e il dicembre successivo, i nazisti deportarono e poi sterminarono a Belzec circa 434.500 Ebrei e un numero indeterminato di Polacchi di religione cristiana e di Rom. La maggior parte delle vittime era costituita da Ebrei, provenienti dai ghetti della Polonia meridionale. I Tedeschi, inoltre, deportarono a Belzec anche Ebrei provenienti dalla Germania, dall’Austria e dalla Cecoslovacchia. Ai prigionieri appena arrivati alla stazione veniva ordinato di scendere, poi veniva loro comunicato che dovevano consegnare tutti gli oggetti di valore. I reclusi venivano quindi obbligati a spogliarsi e a correre attraverso il “tubo” che conduceva direttamente alle camere a gas, camuffate da docce. Una volta chiuse e bloccate le porte, tutti quelli che si trovavano all’interno venivano uccisi con il monossido di carbonio. Il procedimento veniva quindi ripetuto con i deportati uomini, donne, e bambini, dei venti vagoni successivi. Alcuni prigionieri, che erano stati selezionati per i lavori forzati, rimuovevano poi i corpi dalle camere a gas e seppellivano le vittime in fosse comuni; altri erano invece obbligati a fare la cernita dei beni delle vittime, o a pulire i vagoni e renderli utilizzabili per le deportazioni successive. 


Nell’ottobre del 1942, le SS e il personale di polizia, utilizzando gruppi di prigionieri ebrei, cominciò a riesumare i cadaveri dalle fosse comuni a Belzec e a bruciarli in “forni” sistemati all’esterno e costruiti utilizzando pezzi di rotaie. Alla fine della primavera del 1943, il campo venne smantellato.   



Sobibor  1942-1943


Nella primavera del 1942, venne costruirono il centro di sterminio di Sobibor, in una regione paludosa e poco popolata vicino e quello che oggi è il confine orientale tra la Germania e la Polonia. La struttura era nascosta alla vista tramite alberi piantati lungo tutto il perimetro e l’intera zona era anche circondata da un campo minato profondo 150 metri. Le autorità del campo cominciarono a sterminare con sistematicità i prigionieri nel maggio del 1942, utilizzando il gas. I Tedeschi usarono anche una macchina per frantumare le ossa e ridurle in polvere, allo scopo di cancellare ogni prova dello sterminio. Il 14 ottobre 1943, alcuni dei circa 600 prigionieri ancora all’interno del campo organizzarono una rivolta e uccisero circa una dozzina di guardie. Circa 300 prigionieri riuscirono a fuggire, ma un centinaio venne poi ricatturato. Dopo la rivolta, i Tedeschi smantellarono il campo di sterminio e fucilarono la maggior parte dei prigionieri rimasti.

 Treblinka  1942-1944

Nel luglio del 1942, i Tedeschi completarono invece la costruzione del centro di sterminio conosciuto come Treblinka . Tra il luglio 1942 e il novembre 1943, i Nazisti e i loro collaboratori assassinarono a Treblinka tra gli 870.000 e i 925.000 Ebrei provenienti dal ghetto di Varsavia.

A partire dell’autunno 1942, per eliminare tutte le prove dello sterminio, le autorità del campo cominciarono a riesumare i corpi dalle fosse comuni e a bruciarli, assegnando quel macabro lavoro ai prigionieri. Il 2 agosto 1943, alcuni reclusi riuscirono a sottrarre alcune armi da fuco dall’armeria, ma vennero scoperti. Centinaia di prigionieri si gettarono allora contro i cancelli cercando di fuggire. Molti furono immediatamente uccisi. Treblinka, il campo creato originariamente per i lavori forzati, continuò le operazioni fino alla fine del luglio 1944. All’avvicinarsi delle truppe sovietiche, il personale del campo fucilò i prigionieri ebrei ancora rimasti e poi smantellò la struttura. Le truppe sovietiche sarebbero poi transitate in quel che restava di Treblinka durante l’ultima settimana del luglio 1944.

Campi di concentramento per Rom e Sinti: Dachau


Il destino dei Rom fu pressochè uguale a quello degli Ebrei. Negli anni ‘30 numerosi Lager furono costruiti in tutta Germania, non solo per trattenere un numeroso numero di Rom e Sinti. All’interno queste popolazioni non avevano un trattamento molto diverso da quello degli Ebrei; essi venivano marchiati e sottoposti a lavori forzati. 

Le autorità tedesche inoltre assassinarono decine di migliaia di Rom nei territori che l’esercito aveva occupato in Unione Sovietica e in Serbia, insieme ad altre migliaia nei centri di sterminio di Auschwitz-Birkenau, Chelmo, Belzec, Sobibor, e Treblinka. 

Tra quelli più famosi troviamo Dachau che fu istituito il 22 marzo del 1933.

Ma come si arriva a tale situazione?


Dopo la nomina di Adolf Hitler come cancelliere del Reich tedesco il 30 gennaio 1933, in tutto il territorio tedesco vennero istituiti diversi campi di concentramento per la detenzione di massa degli oppositori politici. A partire dal 22 marzo i primi trasporti di detenuti raggiunsero il lager collocato sull’area di una fabbrica di munizioni e polvere da sparo.


Il comandante del lager, Theodor Eicke, nell’ottobre del 1933 introdusse un regolamento punitivo nei confronti dei detenuti e istituzionalizzò un dominio delle SS sui detenuti caratterizzato da libero arbitrio e terrore.



Nel 1934 con il pretesto che le SA stessero progettando un colpo di stato, Adolf Hitler le fece assassinare dalle SS nel lager di Dachau. Inoltre l’ispettore dei campi di concentramento Theodor Eicke applicò il modello Dachau per tutti gli altri campi di concentramento. 

Nel 1935 Adolf Hitler decise di usare i suoi campi di concentramento come strumento principale di terrore, ampliandoli ulteriormente Nel 1936 molti campi vennero chiusi tranne quello di Dachau e furono aperti nuovi più grandi. Insieme ai Rom vennero rinchiuse altre persone come anche gli omosessuali per motivi di ideologia razziale e igiene sociale. Furono rinchiusi nei campi anche persone che avevano ripetutamente commesso dei reati o che conducevano una vita da disadattati, perseguitati come “criminali” e “asociali”.

Nel 1938 dopo l'occupazione dell'Austria e dei Sudeti, migliaia di prigionieri politici, rom, sinti ed ebrei dei territori occupati vengono deportati in questo campo di concentramento. 

Il 1° settembre 1939 inizia la Seconda Guerra Mondiale con l’attacco della Polonia da parte dell’esercito tedesco. A fine settembre le SS sgombrano temporaneamente il campo di Dachau per formare e addestrare sull'area la divisione SS “teste di morte” (Totenkopf). Dopo l'invasione dell'Unione Sovietica nel giugno 1941, verrà utilizzato come luogo di esecuzione per i prigionieri di guerra sovietici.

Verso la fine di aprile 1945 anche dal lager di Dachau le SS iniziano ad evacuare i detenuti per evitare la liberazione da parte delle truppe alleate. Dal sistema dei lager di Dachau almeno 25.000 detenuti vengono mandanti verso il Tirolo in marce forzate a piedi o trasportati su treni merce; migliaia di detenuti persero la vita duranti questi trasporti. Il 29 aprile 1945, le unità dell'esercito americano liberano questo campo di concentramento. Lo stesso giorno della liberazione i sopravvissuti costituiscono un comitato internazionale del lager. Per migliaia di ex prigionieri l'aiuto arriva troppo tardi – muoiono di debolezza, malattie o per i postumi della prigionia.


Heinrich Himmler (a sinistra) e Theodor Eicke (a destra), immagine propaganda delle SS, tra il 1941/'42 (Archivio federale).

Vittime di Dachau

Il bilancio delle vittime di Dachau è impressionante. Il numero ufficiale di persone detenute all’interno del campo è di oltre 206.000. Si stima che oltre 40000 persone siano morte all’interno del campo, per cause diverse: torture, fame, freddo, malattie, epidemie e fatica. Nei giorni precedenti la liberazione i detenuti rimasti nel campo erano più di 60000, divisi tra il campo centrale e campi creati successivamente. Di questi più di 3000 erano italiani. Le vittime di Dachau Oltre a ebrei e prigionieri politici, vennero discriminati e deportati a Dachau anche persone appartenenti alle etnie Sinti e Rom, omosessuali, testimoni di Geova e persone denigrate come fannulloni che riscuotevano il sussidio sociale. 

Il memoriale fu edificato nel 1965 sui terreni dell’ex campo di concentramento per iniziativa dei sopravvissuti che si sono riuniti per costituire il Comitato Internazionale di Dachau. Il governo dello stato di Baviera concesse un contributo finanziario. Fra il 1996 e il 2003 è stata creata una nuova esposizione sulla storia del campo di concentramento di Dachau, seguendo il leitmotiv del “Sentiero dei Prigionieri”.

Rivolta dello Ziguenerlager

Il 16 maggio del 1944 nello Zigeunerlager, “il campo degli zingari” di Auschwitz, scoppia la rivolta. Le SS quel giorno avevano intenzione di sterminare circa 5mila uomini, donne e bambini, tra rom, sinti e manouche.

Le condizioni di vita nello Zigeunerlager erano pessime: c'era tifo, vaiolo e dissenteria che avevano già causato la morte di molti “zingari”. Alla fine di marzo, le SS avevano ucciso nelle camere a gas circa 1.700 rom, giunti pochi giorni prima dalla regione di Bialystock (Polonia nord-orientale) e il 16 maggio gli amministratori del campo avevano deciso di liquidare tutti i reclusi dello Zigeunerlager.

Le guardie delle SS circondano quel settore per impedire fughe. Ma quando venne ordinato di uscire ordinatamente dalle baracche, i rom e i sinti oppongono un inaudito rifiuto; si erano armati di sassi, ferri da calza, pezzi di legno acuminati, spilloni, cucchiai affilati, tubi di ferro, vanghe e altri attrezzi usati normalmente per il lavoro.

Improvvisamente i prigionieri insorsero, venendo a una vera e propria colluttazione con i soldati, che furono costretti ad arretrare. Ad oggi questo evento è ricordato per l'audacia con cui i prigionieri si siano rivolti verso le SS.

Campi di concentramento in Italia

Anche in Italia nei primi anni del 1940 vennero istituiti vari campi di concentramento. Tra i più importanti troviamo quelli di Boiano, Agnone, Tossicia, Prignano sul Secchia, Berra, Castel Tesino. In questi ultimi venivano messi solo “Zingari” mentre in altri tipo quello di Ferramonti di Tarsia, Isole Tremiti, Vinchiaturo, Casacalenda e Isernia ospitavano per lo più oppositori politici. 

Nel 1938 l’Italia fascista appoggia le Leggi di Norimberga promulgate dalla Germania Nazista. Durante questi periodi vengono costruiti una lunga serie di campi di concentramento che poi seguiranno le regole di quelli tedeschi.  Dal 1940 al ‘43 ad Agnone vengono imprigionati un gran numero di rom, sinti, ebrei e cittadini di nazioni in guerra con l’Italia. L’ex convento, che la diocesi usava per la villeggiatura del vescovo di Trivento, divenne luogo di internamento il 14 luglio 1940 e un anno dopo "campo di concentramento per zingari" (questa la dicitura del Ministero dell’interno) con una capienza di 150 detenuti.

Il campo di internamento di Tossicia è stato invece uno tra i più grandi campi di concentramento in Italia. Situato in provincia di Teramo ha rinchiuso etnie non volute come Rom e Sinti, stranieri e soprattutto oppositori antifascisti. Il campo nacque per imprigionare i Rom provenienti dalla provincia di Postumia e per internare ebrei tedeschi, cinesi e slavi similmente al campo di Gonars ad Udine. Il direttore fu il podestà di Tossicia, Nicola Palumbi.


"LE VOCI DIMENTICATE” : 

LE TESTIMONIANZE DEL PORRAJMOS


L'orribile tragedia del Porrajmos, ovvero il genocidio commesso contro il popolo Rom durante la Seconda Guerra Mondiale, rappresenta una delle pagine più oscure della storia dell'umanità. Nonostante sia stata una delle più grandi tragedie umanitarie mai avvenute, è ancora poco conosciuta al di fuori della comunità Rom.

Non bisogna dimenticare che Heinrich Himmler, il capo delle SS, ha parlato dell'eliminazione dei rom già durante una conferenza del 1938: "Non dobbiamo esitare a porre fine agli zingari attraverso l'uso di metodi crudeli e spietati. Devono essere eliminati, poiché costituiscono un pericolo biologico e un elemento che intralcia la nostra evoluzione nazionale".

Le testimonianze dei sopravvissuti del Porrajmos sono raramente ascoltate e apprezzate come dovrebbero. Molti Rom che hanno subito le atrocità dei campi di concentramento e delle ghettizzazioni hanno dovuto affrontare la discriminazione e la stigmatizzazione anche dopo la fine della guerra. Le loro storie sono state spesso ignorate o minimizzate, e i loro traumi sono stati trascurati.

Tuttavia, negli ultimi anni, si sta cercando di dare maggiore visibilità alle testimonianze dei sopravvissuti del Porrajmos. Le loro storie rappresentano una testimonianza straziante e commovente di una delle pagine più oscure della storia dell'umanità. Molti sopravvissuti hanno raccontato di come le loro famiglie sono state separate, torturate e uccise nelle più terribili delle condizioni. Molte donne Rom sono state sottoposte a sterilizzazione forzata, mentre i bambini sono stati rapiti e dati in adozione a famiglie non-Rom.


La maggior parte dei sopravvissuti ha dovuto affrontare non solo la perdita dei loro cari, ma anche la perdita della propria identità e cultura. Molte comunità Rom sono state completamente distrutte, e molte tradizioni e lingue sono andate perdute per sempre. Questo ha causato una grave crisi di identità tra i sopravvissuti e le loro famiglie, che hanno spesso lottato per preservare la loro cultura e le loro tradizioni.

Le testimonianze dei sopravvissuti del Porrajmos sono importanti non solo per ricordare la tragedia e rendere omaggio alle vittime, ma anche per combattere l'antiziganismo e il razzismo, che ancora affliggono molte comunità Rom in tutto il mondo. Le loro storie rappresentano una prova vivente della forza e della resistenza della comunità Rom, che nonostante tutto ha continuato a sopravvivere e a lottare per la propria libertà e uguaglianza.


Ci sono molte testimonianze del Porrajmos che ci aiutano a comprendere la portata dell'evento e il suo impatto sulla vita delle persone. 


Ecco alcuni esempi:

Ceija Stojka è stata una sopravvissuta al Porrajmos e ha scritto diversi libri sulla sua esperienza. In uno di essi, "Ci chiamavano zingari", descrive la vita della sua famiglia prima della guerra, le esperienze nei campi di concentramento e la lotta per la sopravvivenza dopo la fine della guerra. Il suo libro è considerato uno dei resoconti più importanti sul Porrajmos. 

Settela Steinbach era una bambina rom olandese che fu deportata e uccisa ad Auschwitz nel 1944. Una foto di lei che guarda dalla finestra di un treno che la stava trasportando al campo è diventata un simbolo del Porrajmos. La foto è stata scattata da un fotografo clandestino e ha rappresentato la brutalità dell’evento.

Roma Ligocka è una scrittrice polacca di origini rom ebraiche che ha scritto un libro intitolato "Il cappotto di papà", basato sulla sua esperienza come sopravvissuta al Porrajmos. Il libro descrive la vita della sua famiglia prima della guerra, la deportazione a Auschwitz e la sopravvivenza dopo la fine della guerra. Il libro è stato tradotto in molte lingue ed è stato adattato in un film. 

Raymond Gureme è stato un sopravvissuto al Porrajmos francese che ha testimoniato a diversi processi di guerra dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Le sue testimonianze hanno aiutato a far luce sull'esperienza dei rom francesi durante l'evento.

Janusz Kwiek, un sopravvissuto al Porrajmos polacco, ha raccontato la sua esperienza in un libro intitolato "La tragedia del popolo rom". Nel libro descrive come la sua famiglia sia stata costretta a vivere in condizioni estreme, costantemente in fuga dalle autorità tedesche e in cerca di cibo e riparo. Kwiek è stato deportato in un campo di concentramento ebraico insieme alla sua famiglia, dove ha assistito a orribili atrocità. 

Katarina Taikon, una rom svedese, ha scritto un libro intitolato "Vi kommer tillbaka" ("Torneremo"), che descrive la sua esperienza di essere cresciuta in un campo per rom in Svezia dopo la guerra. Taikon ha anche fondato un'organizzazione per i diritti dei rom in Svezia e ha lottato per la giustizia e l'uguaglianza per tutta la sua vita. 

Walter Winterbottom, un sopravvissuto al Porrajmos ha scritto un libro intitolato "Romani and Holocaust: A Personal Account" in cui descrive le atrocità che ha subito la sua famiglia durante la guerra. Winterbottom ha vissuto in un campo di transito insieme alla sua famiglia prima di essere deportato in un campo di concentramento, dove ha assistito alla morte di molti membri della sua famiglia e di altri prigionieri rom.

Un altro importante resoconto è quello di Rudolf Sarközi, un sopravvissuto al Porrajmos che ha dedicato gran parte della sua vita alla preservazione della cultura e delle tradizioni Rom. Nel suo libro "Noi Rom", racconta le sue esperienze durante la guerra e il suo impegno nel preservare la cultura Rom.

Inoltre, ci sono molte organizzazioni Rom che si impegnano a preservare la memoria del Porrajmos e combattere la discriminazione e il razzismo. Tra queste, possiamo citare il Centro Internazionale per la Ricerca sul Porrajmos a Belgrado e il Centro di Documentazione sul Porrajmos di Salonicco. La parola dei sopravvissuti del Porrajmos rappresenta una testimonianza importante della tragedia che ha colpito il popolo Rom durante la Seconda Guerra Mondiale. È importante che queste testimonianze vengano ascoltate e apprezzate per preservare la memoria delle vittime e combattere l'antiziganismo e il razzismo ancora presenti nella società.

“Donne e bambini nel Grande Divoramento”

La situazione delle donne e dei bambini rom durante il Porrajmos è stata terribile e tragica. I bambini rom nei campi di concentramento furono particolarmente vulnerabili durante il Porrajmos. Molti di loro furono separati dalle loro famiglie e deportati in campi di concentramento, dove vennero sottoposti a torture, abusi e privazioni. I nazisti non avevano alcuna pietà per loro, e molti morirono di fame, malattia o uccisi in modo brutale. Un esempio fu quello del dott. Mengele, che durante i suoi “studi” nel campo di concentramento di Auschwitz notò che tra i bambini interessati nei suoi esperimenti, solo quelli romanì svilupparono una forma di stomatite gangrenosa, e condusse subito degli approfondimenti credendo dipendesse da tratti genici particolari della minoranza rom, analizzando tutta lo sviluppo della malattia fino alla morte. 

Purtroppo le  donne furono vittime di atroci violenze. Molte di loro furono violentate, torturate e uccise dai nazisti e dai loro collaboratori. Alcune furono usate come "cavie umane" per esperimenti medici crudeli e inumani. Molte furono vendute come schiave sessuali ai soldati tedeschi. L'unica cosa che le salvava era la speranza di proteggere i propri figli. 

Il post guerra


Dopo la fine della guerra, le discriminazioni e la violenza contro i Rom e Sinti sono continuate in molti paesi europei. Le donne rom e i loro bambini erano ancora particolarmente vulnerabili. Ci furono ancora molte disparità in termini di accesso all'istruzione, alla sanità e al lavoro, e molte donne e bambini rom son vissuti in povertà e in condizioni di estrema precarietà. 

Inoltre, sposalizi precoci, la cura esclusiva di bambini, hanno contribuito a radicare i preconcetti verso le popolazioni rom e sinti.


Negli anni '50 e '60, molti Rom e Sinti in Europa emigrarono verso il nord Europa e altri paesi del mondo in cerca di lavoro e una vita migliore. Tuttavia, anche in questi paesi si sono verificati episodi di discriminazione e razzismo contro di loro.

Più recentemente, il problema della discriminazione contro i Rom e i Sinti è stato oggetto di attenzione da parte dell'Unione Europea e di altri organismi internazionali, che hanno cercato di promuovere l'integrazione sociale ed economica di queste minoranze. Tuttavia, ci sono ancora molte sfide da affrontare per superare la discriminazione e il pregiudizio contro i Rom e i Sinti in Europa e in tutto il mondo.


Pertanto è fondamentale la promozione umana che garantisca l'istruzione e la formazione professionale per le donne, in modo che possano accedere a lavori dignitosi e costruire un futuro migliore per le loro famiglie. In questo modo, le donne rom e i loro bambini potranno vivere in condizioni di maggiore sicurezza e stabilità, e avranno maggiori opportunità di sviluppare le loro capacità e di realizzare i loro sogni.  Solo con il rispetto potremo garantire che non si ripetano mai più ingiustizie come quelle subite durante il Grande Divoramento.

Gli studi sulle popolazioni rom


In alcuni luoghi d’Europa sono viste come elementi di estraneità potenzialmente pericolose per le società con le quali condividono i territori, le popolazioni di lingua romanì costituiscono, ad ogni modo, la più consistente minoranza etnica del Vecchio Continente. Circa undici milioni di individui distribuiti in diverse nazioni a formare un mosaico di linguaggi tradizioni e strutture sociali riconducibili, tuttavia, ad una evidente matrice comune. I gruppi di Rom pur essendo molto distanti geograficamente gli uni dagli altri dimostrano  di avere una parentela assai più stretta fra loro che con gli altri europei dei Paesi in cui vivono.

I ROM hanno ulteriormente favorito i ricercatori nel tracciare le tappe ed individuare i momenti cruciali di quella migrazione che portò le popolazioni di lingua romani fino in Europa, Sei secoli dopo, le medesime popolazioni si spostavano compattamente verso i Balcani laddove avrebbe avuto origine la loro diaspora. Le popolazioni romanì europee oggi si differenziano fra di loro per lingua, stili di vita e religione, ma provengono tutte dalle stesse regioni dell’India, da cui sono migrate. Con 11 milioni di persone, sia pure disperse in molti paesi, i rom rappresentano la più grande minoranza europea: una popolazione numerosa quanto quella di nazioni come la Grecia, il Portogallo e il Belgio. Il popolo romanì però, non ha documenti storici scritti sulle proprie origini e sulle sue diffusione. Proprio per colmare questa lacuna si sono intrapresi studi per conoscerne le origini.



Bandiera ROM


La bandiera rom, è la bandiera internazionale del popolo rom, uno dei pochi simboli ufficiali di unità per questa minoranza etnica. La bandiera è costituita da due strisce orizzontali; la parte superiore è di colore azzurra è rappresenta il cielo, mentre la parte inferiore è di colore rappresenta la terra, invece al centro della bandiera c’è una ruota raggiata rossa che rappresenta il continuo migrare dei ROM.


Ebbene la promessa fatta all’inizio la manteniamo il giorno del ricordo del Porrajmos è il 2 agosto, purtroppo in Italia questa data evoca anche altri lutti come la Strage della Stazione di Bologna che nel 1980 uccise 85 persone oltre a 200 feriti, ma di questo ne scriveremo più in là.


Per approfondire le tematiche:

classe  4BIA a.s. 2022/23