Protesta delle donne in Iran

Negli anni venti del secolo scorso, l’Iran,  era sotto lo Scià Reza Pahlavi, le donne dopo anni di oppressioni diventarono libere. Riuscirono a vivere senza l’obbligo di indossare il velo, acquisendo il diritto al voto e allo studio. Il 1979 è l’anno che porta un cambiamento: la rivoluzione, che avrebbe dovuto portare cambiamenti e libertà, riporta la sottomissione delle donne, arrivando a perdere quasi tutti i loro diritti. Con il passare del tempo il velo tornò da essere “un gesto di cortesia”, a diventare un obbligo. Così, pian piano il velo divenne per legge un elemento necessario per le donne iraniane che volevano uscire di casa e nel 1983, fu  imposto che indossassero vestiti, anche le donne di origine occidentale, ma che non fossero leggeri, aderenti e neanche a maniche corte.


Con il passare del tempo si sono verificati episodi, sempre più frequenti, in cui le donne venivano picchiate, addirittura uccise a causa del loro abbigliamento. Il  caso di Masha Amini è stato il detonatore di molte proteste che si sono diffuse in tutto il paese e vi hanno partecipato anche uomini come forma di solidarietà. 



Il caso Masha Amini


Masha era una ragazza kurda irachena di soli 22 anni. Era una ragazza piena di vita, giovane e solare. Aveva appena ottenuto un lavoretto nella sua città ma sperava di studiare e andare all’università. Il 13 settembre di quest’anno,  è giunta nella capitale iraniana, a far visita a dei parenti con la propria famiglia, ma è stata notata dalla polizia, perché non indossava correttamente il velo. Portata alla centrale per una lezione di “rieducazione” su come portare il velo, un paio di ore dopo, viene portata in ospedale dove rimarrà in coma per 2 giorni, dopodichè morirà. La polizia ha deciso di lavarsene le mani affermando che la ragazza era morta di infarto. La famiglia invece sosteneva  che era una ragazza in perfetta salute, il governo ha preso la decisione di aprire un’inchiesta per far luce sul caso.

Le Proteste


Rivoluzione delle donne e non solo: da quel giorno ad oggi  in diverse città dell’Iran vanno avanti le proteste con lo slogan «Donne. Vita. Libertà». La rivoluzione in Iran è cominciata e non si fermerà dato che a portarla avanti sono proprio le donne prime vittime della Rivoluzione Culturale attuata nel ’79 dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini. Le donne hanno visto i loro diritti e le loro libertà assottigliarsi sempre di più. La rabbia ha contagiato uomini e donne, giovani e meno giovani. L’onda di sdegno per la morte di Mahsa Amini ha raggiunto anche celebrità che in passato avevano taciuto, non osando criticare il regime. Star del cinema e personaggi dello sport twittano messaggi di supporto ai manifestanti e alcuni si spingono oltre al punto da chiedere che l'esercito intervenga a difesa del popolo. È il caso del musicista Homayoun Shajarian, figlio di una leggenda della musica persiana, Mohammad-Reza Shajarian, che ha proiettato una gigantografia di Mahsa Amini come sfondo del suo ultimo concerto.

Si allargano a macchia d'olio le proteste, in Iran e fuori dai confini, dopo la morte di Mahsa Amini e Hadis Najafi. Anche il mondo dello sport ha scelto di non restare in silenzio. I calciatori della nazionale iraniana hanno scelto di indossare giubbotti neri durante l'esecuzione dell'inno nazionale che ha preceduto l'inizio di un'amichevole contro il Senegal in Austria. 

“Non posso più tacere” ha detto l'attaccante Sardar Azmoun in una storia di Instagram. E ha aggiunto: "La punizione può essere che mi escludano dalla squadra, ma è un piccolo prezzo da pagare, un sacrificio che farei anche per una sola ciocca di capelli di una donna iraniana. Vergognatevi per la facilità con cui uccidete le persone.

Sara Bonfili IV BIA