Carcere Italiano

Introduzione

Quando si pensa alla gestione dell’Amministrazione penitenziaria e delle carceri, luoghi dove scontare le pene comminate dallo stato italiano, la prima funzione che gli attribuiamo è la funzione retributiva della pena e della colpa cioè che “La sanzione penale deve servire a punire il colpevole per il male provocato dalla sua azione illecita”, la seconda caratteristica affidata al carcere è la prevenzione generale capace di eliminare o attenuare le cause di criminalità tramite attività legislative, amministrative, sociali e culturali. La funzione di prevenzione sociale, è divisa in più punti, che mirano alla prevenzione del reato tramite intimidazione, riabilitazione del condannato e impedire il ripetersi di reati. 

Quindi da ciò possiamo ricavare che il carcere serve per: 

Sulla carta sembra funzionare, ma cosa succede nella realtà?


La vita in carcere


Partendo dalle cifre riguardanti la riabilitazione le statistiche parlano chiaro, il tasso di recidiva Italiano è pari al 70%, ciò significa che 7 criminali su 10  tornano a delinquere dopo essere usciti di prigione. Il motivo per cui ciò accade non è uno solo. Tanto per iniziare basta guardare le condizioni in cui sono ridotte le celle, spesso sono sovraffollate, strette e poco igieniche, tant’è che  già in passato lo Stato Italiano è stato sanzionato dall’ Unione Europea per violazioni dei diritti umani. In una giornata vengono concesse 4 ore d’aria ai detenuti, in cui possono fare poco o niente, poiché forme più moderne di intrattenimento non ci sono e quelle più classiche spesso sono in condizioni inutilizzabili o assenti. Invece le visite sono permesse solo alla parentela (Altre persone dovranno giustificare un motivo attendibile e di ragionevole importanza), 6 volte al mese, con una durata di 1 ora. 

Si ha una vera e propria estraneazione del carcerato dal mondo esterno e spesso questo è causa di suicidi. 

Questo trattamento rende l’individuo incattivito, poiché si sente privato della sua umanità e questa sensazione viene condivisa da centinaia di persone che si trovano nello stesso luogo e con persone altrettanto arrabbiate, con cui l’individuo comunica per gran parte del tempo. Così facendo al momento in cui si sarà scontata la pena e prossimi al rilascio si avrà un uomo più feroce di prima e con più conoscenze sul mondo criminale. 


La Riabilitazione


Quando si parla di riabilitazione si pensa ad un modo per dare ad un uomo i mezzi per continuare a vivere nella società, senza dover ricorrere ad atti illeciti. Il lavoro è una forma di rinascita per il carcerato, che sentendosi delle responsabilità e quindi un senso di importanza e d’inclusione sociale aumenta la fiducia in se stesso, infatti la recidiva di individui con tali opportunità è molto più bassa: il 20%. Purtroppo  le opportunità per i condannati ai lavori sociali sono a un livello molto basso.

Il problema qui è collegato alla disponibilità di questi lavori, quelli offerti dalla prigione sono razionati, mentre quelli esterni sono molto rari dato che per averne uno ci deve essere un’azienda che voglia e che sia in grado di assumere personale specializzato o meno proveniente dal carcere.

Prevenzione dei reati e rispetto della legge


La prevenzione dei reati si basa sul sistema dove il cittadino sa cosa è sbagliato e anche se avesse delle tentazioni verrebbe fermato dalla paura della pena. Tuttavia ciò non copre lo scenario in cui a qualcuno conviene andare contro la legge piuttosto che rispettarla. Non si devono andare a cercare realtà estreme per trovare una situazione simile, basta pensare per esempio ad un uomo in macchina sull’autostrada che rischia di perdere l’aereo, è davanti ad una scelta dove o decide di perdere il volo e rimanere nella legalità oppure decide di prendersi una multa per velocità oltre il limite consentito, ma prendere l’aereo. Un altro esempio forse estremo: pensiamo ad un sicario mafioso, il quale non uccide per voglia, ma per un evidente ritorno economico o perché, se non facesse il suo lavoro, qualcuno ucciderebbe lui o i suoi cari. Quindi in questo senso la pena non assicura una difesa per la collettività anzi, ricollegandoci al discorso fatto all’inizio, punendo tali criminali c’è un'alta probabilità di aver reso più pericolosi quelli già esistenti, poichè il curriculum criminale lo rende un uomo affidabile.


Conclusione


Possiamo quindi concludere che una popolazione carceraria in cui i “residenti” sono sempre gli stessi, in cui i numeri dei residenti sono più o meno stabili, il sovraffollamento per mancanza di strutture e lo status sociale dei reclusi che provengono la maggior parte da ceti sociali disagiati (immigrati, livello d’istruzione basso, un retaggio culturale e sociale che non rispetta le regole dello stato) non garantiscono la rieducazione dei soggetti e neanche la  difesa dei cittadini, i condannati che cambiano strada percentualmente sono briciole rispetto a quelli che continuano il percorso intrapreso o per convenienza economica o per mancanza di vere alternative. La riabilitazione dei condannati è pressoché nulla e non sempre imputabile allo stato o all'amministrazione della giustizia. Tutte queste argomentazioni non intendono abolire le carceri o liberare i prigionieri, piuttosto servono a ripensare in termini nuovi (come le comunità di accoglienza per reati minori) e a risanare tali strutture, affinché un giorno si possano rispecchiare le idee scritte sulla carta.



Alessandro Bigherati 5CIA