Intervista a Marco Pantani
Oggi abbiamo avuto l’onore di intervistare Marco Pantani, uno dei più grandi ciclisti della storia, capace di vincere nello stesso anno Giro D’Italia e Tour de France.
Ciao Marco, innanzitutto vorremmo ringraziarti per averci dato questa opportunità. Allora, per chi non ti conoscesse parlaci un po’ di te?
Ciao ragazzi, io sono Marco Pantani, sono, anzi ero, un ciclista italiano e nella mia carriera ho preso parte nove volte al Giro D’Italia, cinque volte al Tour de France, a due campionati del mondo e a svariate altre competizioni. Questo fino alla mia morte nel 2004.
Che cosa ti ha spinto a salire in sella alla bicicletta?
La mia esperienza ciclistica inizia quando mio nonno, Sotero, mi regalò la mia prima bicicletta. Da quel momento me ne sono innamorato e ho deciso di cimentarmi in questo meraviglioso sport.
Parlaci un po’ della tua vita privata e del rapporto che hai con i tuoi genitori.
Sono nato il 13 gennaio del 1970 a Cesena, mio padre e mia madre vendevano piadine in un chiosco sul lungomare di Cesenatico. Da piccolino non ero bravissimo a scuola, a differenza dello sport che ho sempre praticato, andando a caccia e a pesca. Il mio primo team ciclistico fu il gruppo “Fausto Coppi” con cui vinsi anche una gara. I miei genitori mi hanno sempre sostenuto e ho un meraviglioso rapporto con loro. La mia carriera è partita dai giri regionali e nazionali fino ad approdare in Francia e Spagna.
Come mai attaccavi proprio in salita?
Per abbreviare la mia agonia.
Perché vieni soprannominato il pirata?
Le persone mi chiamano così per il mio stile: durante le gare indosso la bandana con un orecchino rotondo, il che assomiglierebbe ad un pirata, ma per me non è così strano, dato che fa parte di me.
Sappiamo tutti che sei uno dei ciclisti con maggior successo della storia, ma quali sono le imprese più grandi che hai portato a termine?
Nella mia carriera ho partecipato alle gare ciclistiche più famose del mondo, ho trionfato al giro d’Italia, Tour de France e in diversi altri giri.
Una delle mie più grandi imprese è la tappa del giro d'Italia da Merano con arrivo sull’Aprica.
Era una bella giornata e io mi sentivo bene, la tappa prevedeva tre salite: Stelvio, Mortirolo e Santa Cristina. Ho atteso per attaccare, sono rimasto con il gruppo lasciando fuggire un gruppetto di corridori. All’arrivo dell’ascesa del Mortirolo ho attaccato portandomi dietro di me Miguel Indurain, la maglia rosa Evgenij Berzin e Wladimir Belli. Continuando l’ascesa infernale rimasi da solo, facendo il vuoto dietro di me. Davanti la fuga non era lontana e dopo alcuni chilometri ripresi il gruppetto fuggito la mattina. Andavo così veloce che rimasi solo: davanti solo la folla che mi incitava, dietro nessuno, insomma avevo trionfato sul mortirolo.
La tappa però era ancora lunga, così decisi, con la mia ammiraglia, di attendere qualche corridore subito dopo la discesa per affrontare il lungo tratto in pianura, prima dell’ultima ascesa.
Mi raggiunsero Nelson Rodríguez e Indurain; arrivò l’ascesa all’Aprica, l’aria si faceva sempre più fredda, ma io ero carico e determinato. Avevo notato che Miguelòn, così chiamavamo il campione spagnolo, era in difficoltà, provai uno scatto, nessuno dei due sembrava avere la forza di starmi dietro. Da quello scatto non vidi più nulla fino al traguardo, sono salito in apnea, così piaceva vincere a me.
Adesso invece parliamo di uno dei momenti bui della tua vita. Potresti raccontarci quali sono state le cause che hanno dato inizio alla tua depressione?
Ragazzi, come sapete il ciclismo è, ed è stato, tutta la mia vita, molti dicono che io sia stato il predestinato, chi lo sa, purtroppo, in seguito ad una serie di eventi, sono caduto in depressione. Nel 1999 in seguito ad un test mi hanno riscontrato un valore di ematocrito, il rapporto che intercorre tra il plasma e gli elementi figurati del sangue (piastrine, globuli rossi e bianchi), superiore alla media e quindi mi hanno squalificato per un anno.
Dopo essere ritornato alle gare non sono stato più lo stesso, tra scarsi risultati e scandali giudiziari, che mi strapparono via il mio amato ciclismo, caddi in depressione usando droghe e alcol.
Ci sono ancora molti misteri intorno alle dinamiche del tuo decesso. Ci potresti chiarire come è avvenuto il tuo trapasso?
Preferirei non parlarne visto che le indagini sono ancora in corso. Tutto ciò che vi posso dire è che la procura di Rimini ha riaperto le indagini e ha raccolto nuove testimonianze. Non posso rilasciare alcuna dichiarazione in merito a quanto accaduto quel giorno.
Visto che resti ancora uno dei ciclisti più stimati della storia, cosa ti senti di consigliare ai giovani corridori in erba?
Quello che posso dire ai giovani è di buttarsi a capofitto in questo sport e correre col cuore, non ci sarà salita o intemperia a fermarvi se correte con il cuore!
Grazie per la tua disponibilità, buona giornata!
Ciao!
IN RICORDO DI MARCO PANTANI