PROF.SSA CAPPELLARO

Nome e Cognome?

Laura Cappellaro

 

Da dove viene?

 

Vengo dall’Italia, da Palù (comune in provincia di Verona).

 

Cosa insegna?

 

Lettere, quindi Letteratura e Storia alle superiori.

 

Cos’ha studiato? Dove?

 

Alla triennale ho studiato “Studi storici e filologici-letterari” all’università di Trento, mentre alla magistrale ho studiato “Tradizione e interpretazione del testo letterario” a Verona.

 

Migliore esperienza della sua vita?

 

Non ho un’esperienza migliore, nel senso che ce ne sono tante perché mi sono gustata la vita al 100%. Per quel che riguarda il “me-essere umano”, l’esperienza migliore credo sia sicuramente quella in Kenya, a Nairobi; e ovviamente anche l’esperienza che ho scelto di fare in carcere, l’uscita “Notte di stelle” che abbiamo fatto con alcuni detenuti. Perché non mi piace pensare ad una cosa migliore nella mia vita, preferisco pensare a dei momenti o a delle scelte che ho fatto, che mi hanno resa felice o mi hanno portato felicità. Lavorativamente l'esperienza migliore è stata quando mi sono laureata in triennale soprattutto perché sono riuscita a scrivere la tesi con un professore, che all’inizio mi ha dato del filo da torcere, ma col quale alla fine ne sono uscita amica. Anche la laurea Magistrale: uno dei momenti più belli della mia carriera scolastica è stato come mi guardava il mio professore quando ho discusso la tesi, proprio il suo sguardo, non mi ha tolto gli occhi di dosso un attimo e mi ha ascoltata ascoltato dall’inizio alla fine, mostrando un reale interesse per il mio lavoro. Inoltre poi sono riuscita ad accompagnarlo con la mia macchina in carcere (era un professore ostico, che non usciva mai dall’università). Un’altra bella esperienza è stata andare a intervistare Edoardo Albinati, ho scelto di scrivere una tesi anche sperimentale, quindi sono andata a Roma. E’ stato un azzardo quella volta, perchè ho recuperato il suo numero, lo avevo salvato perché lui era venuto a fare un’esperienza al carcere di Montorio, e serviva qualcuno che andasse a prenderlo in stazione, io dell’associazione ho pensato “vabbè non ho niente da fare” (ero all'università ma avevo un sacco di tempo libero) e quindi mi sono proposta di andare a prenderlo. Sono andata in stazione, l’ho fatto salire e l’ho accompagnato in carcere e da lì mi era rimasto il suo numero di telefono, è uno  scrittore che stimo molto, ha anche vinto il Premio Strega ed insegna a Rebibbia. Quindi nella tesi magistrale ho pensato di chiamarlo, dal momento che  avevo ancora il numero, lui mi ha risposto disponibile: “ebbè vieni quando vuoi”, quindi sono andata a Roma dove mi ha ospitata e l’ho intervistato, un’esperienza molto intensa.

 

Peggiore esperienza della sua vita?

 

Domanda difficile, ce ne sono credo due. Una riguarda le medie,  ero ero bassa e con i baffetti, perché sono cresciuta in un mondo maschile e di campagna e a casa mia non si facevano tante cerette,  avevo pure l’apparecchio. Mi ricordo che un giorno, sono arrivata a scuola con l’apparecchio e questi baffetti e un mio compagno mi ha presa in giro tantissimo: c’ero rimasta proprio male, al punto che a casa ho chiesto a mia mamma di aiutarmi a fare la ceretta ma non ha voluto. Poi eravamo andati al Galassia, c’era anche mio padre, e io l’ho guardato implorando e dicendo: “Ma tu saresti mai amico di una così?”, al che mio padre ha sorriso teneramente e ha detto a mia mamma di comprarmi il necessario per fare la ceretta, così da questa grande tristezza che ho provato ricordo di essermi fortificata e ho iniziato a prendermi cura di me. L’altra riguarda gli anni delle superiori, quando  a 18 anni ho subito un grande lutto: in quel momento la direzione della mia vita è cambiata.

 

So che è impegnata nel sociale, le andrebbe di parlarne? Come si è avvicinata a questo mondo?

 

Da questo cambiamento, dal lutto, a 18 anni mi sono messa a cercare tutte le realtà che potevano in qualche modo far vedere la difficoltà degli altri, volevo cercare altre storie difficili e da lì attraverso l’esperienza degli Scout sono entrata in carcere, abbiamo vissuto la “Notte di stella” che è stata una esperienza bellissima, da lì ho lasciato il gruppo scout e sono entrata in carcere come volontaria. É stato bello, o meglio, intenso perché mi sono avvicinata alle persone detenute senza il fare la professoressa o essere una psicologa o ancora una guardia penitenziaria. Ero semplicemente Laura. Avevo voglia di sentire le storie degli altri, forse per non concentrarmi sulla mia, c’è chi si butta nelle sostanze o in altro, io ho scelto le  storie e all’interno del carcere c’era un concentrato di questo, mi piaceva tuffarmi nella vita degli altri. Ero talmente “assetata” di storie e di voler entrare in quella realtà che mi ero scordata di avere 19 anni e di viverli con un po’ più leggerezza. Oggi riesco a fare la stessa cosa con misura, ho imparato a vivermela in maniera più adulta e a dire le cose chiaramente come stanno, ho imparato a chiudere la porta e quindi a non portare a casa tutto e tutti. Infatti ho  la tendenza a  non chiudere mai le porte e a portare con me ciò che vivo perché credevo di voler risolvere, salvare forse gli altri, ma ho capito che non lo posso fare,  posso solo accompagnare per un pezzo di vita. Mi faccio prendere molto dalla realtà che vivo, che è un bene ma anche un male, per cui sì, questo  aspetto di prendere in maniera adulta i servizi che ho fatto e che faccio è piuttosto recente. Oltre a queste due esperienze, che sono le più grandi, collaboro con la Ronda delle Carità (attività che possono fare anche i ragazzi maggiorenni). Anche la scuola, in realtà, per me rientra in qualche modo nell’ambito del sociale. Io faccio un lavoro che mi rende felice, la mattina mi sveglio e sento di essere contenta, mi piace venire a scuola. Anche la letteratura può essere vista in questo senso e la scuola è questo: un concentrato di vite. Mi viene naturale un collegamento con  lo scrittore: Erving Goffman, il quale paragona la scuola ad un carcere affermando che anch’essa è un’istituzione totale , come l’ospedale cioè un luogo in cui lo spazio e il tempo sono gestiti da terzi e  non li possiamo gestire autonomamente . Possiamo però fare un’altra considerazione: certamente tutti gli spazi sono limitati, ma dipende da come li vivi. Ci sono persone che in carcere rinascono, ho visto persone riprendere in mano la propria vita e dirmi: “Laura io sarei morto se non fossi finito in carcere, il carcere ha fermato la mia caduta libera”. Tutto dipende da come vivi tu un determinato luogo, da cosa scegli di essere, da ciò che porti (nelle situazioni ci trovi quel che ci metti) tu puoi vivere qualsiasi posto come la fine. Anche la scuola: puoi viverla in modo passivo, quindi come una noia mortale, lamentandoti di tutto e dare  il peggio di te, oppure puoi viverla come un’occasione. È tua la scelta, come per qualsiasi altro ambito nella vita capiterà nella vita. L’importante è essere felici in quello che si fa.

 

La cosa più importante per lei?

 

La cosa più importante per me non è una “cosa”, un oggetto. Una cosa che mi piace tanto ultimamente è l’onestà, mi piace l’onestà. Mi è stato insegnato fin da quando ero piccola, l’essere onesti, autentici. Nelle relazioni, nelle amicizie mi avvicino a persone autentiche. Non importa il ceto sociale, non importa il ruolo sociale, sia esso uno studente o qualcun altro , a me basta che sia autentico. Devo sentire che quella persona c’è nel Mondo, che c’è in maniera vera, autentica. Mi piace negli altri e cerco di esserlo anche io nei ruoli che poi la società mi impone. É un valore a cui aspiro molto e che mi piace trovare negli altri. Poi mi piace “tanto tanto” la gentilezza, l’essere gentili, il saper dire un “grazie”, il sorridere e dare il buongiorno a tutti, “a prescindere da quale sole proveniamo” (Evan). Sono piccole cose ma che  cambiano la giornata. Anche il coraggio, è un’altra parola che mi piace tanto. Deriva da “cuore”, mettere il cuore nelle cose e avere il coraggio di prendere posizione, di dire un “sì” oppure un “no” davanti ad una cosa, in un mondo dove invece tutto è lecito, un mondo che permette tutto. Imparare a dire anche “no”, a prendere posizione.

 

Come ci si sente ad essere giovani in un ambiente “vecchio”?

 

Credo di aver  incontrato “vecchi giovani”, cioè ho incontrato persone, insegnanti, che sono anche giovani, cioè che nonostante l’età anagrafica hanno un buon modo di insegnare. A volte trovo un sistema che è pieno di burocrazia in cui sembra che la scuola si faccia solo negli  uffici e con i  programmi ministeriali dunque quello è un po’ frustrante, nel senso che mi piacerebbe fermarmi a volte e darvi dei testi da leggere o leggere integralmente un libro e riflettere, analizzare solo quello per un mese. Questo però non si può fare perché nonostante esista la libertà di insegnamento, ci sono delle consuetudini nei programmi ministeriali per cui io devo preparare i ragazzi all’Esame di Stato. Non  intendo dire che ci sia poca libertà, perché la scuola in realtà lo è e io mi sento libera quando sono in classe con i miei studenti, non mi sento mai in gabbia. A volte mi capita di scontrarmi e di venir giudicata per la mia età e non per quello che ho da dire, altre volte mi sentossere ascoltata meno. Mi è capitato di prendere la parola, consapevole di ciò che dico quando parlo, e di vedere nelle facce degli altri “ah vabbè parla questa” “ah vabbè cosa vuoi che sappia questa”... e quindi trovare anche una chiusura totale davanti a certe mie proposte. Non so se esista un aggettivo per riassumere questa sensazione però talvolta mi sento poco ascoltata come professionista, guardata come la giovane che “tanto vabbè”, mentre ho ben chiaro ciò che è il mio lavoro. Dall’altro lato credo che ultimamente la scuola abbia tanti insegnanti giovani, ho dei colleghi con cui lavoro progettando in modo innovativo e con cui mi diverto, è arrivata una ventata di insegnanti che hanno un’infinità di idee e propositi, è interessante condividere tutto ciò,. C’è chi propone cose nuove e dobbiamo credere, voglio credere, in quella scuola lì. Mi sento a volte un po’ così: piena di entusiasmo, ma di un entusiasmo che non sempre trova le strade giuste.


Dicono che il lavoro dei prof è poco, lei cosa ne pensa?

 

Penso che se si vuole fare una lezione fatta bene, per un’ora di lezione c’è almeno un’altra ora di preparazione a casa. Le ore frontali di un insegnante sono diciotto, ma per arrivare a queste c’è bisogno di altrettanto (se non di più) lavoro : a casa le penso le cose, le lezioni vanno preparate, le slide vanno costruite, i video vanno pensati. Sto sempre studiando perché se vuoi sapere una cosa, devi approfondirla  e saperla dire bene, perciò serve preparazione a casa. Quindi non credo che gli insegnanti lavorino poco. Credo che un insegnante degno del nome insegnante lavori le ore giuste, le ore che vuole dedicare e che lavori molto. Anzi, credo che sia un lavoro che se fatto bene e con passione, sia meraviglioso però a volte è totalizzante, nel senso che arrivi a pensare sempre a quello. Il nostro lavoro è delicato: non abbiamo a che fare con dei tappi del dentifricio, ma con delle vite, con degli studenti. Le attività vanno pensate, i lavori di gruppo, che a voi sembrano ‘robette’, vanno pensati a casa prima, dal trovare il materiale a dividere il gruppo. Anche le gite, sono una grandissima responsabilità e, di fatto, lavori 24 ore su 24. A ottobre c’è stata la “Giornata mondiale per gli insegnanti”, ecco credo che non dovrebbe esistere: Non dobbiamo fare una giornata mondiale per i docenti , perché significa che quella degli insegnanti sarebbe  una minoranza da tutelare. Forse , semplicemente andrebbero trattati come professionisti che se fanno bene il loro mestiere possono formare una nuova generazione di cittadini.

 

Un consiglio che darebbe ai ragazzi?

“Si sa che la gente dà buoni consigli | se non può più dare il cattivo esempio.” diceva De André, non ho consigli, è una parola che non mi appartiene. A pensarci mi torna in mente una frase, che mi ripeto spesso: “Cambia te stesso e cambierai il mondo”, è necessario cioè lavorare sulla propria visione del mondo per cambiarlo. Non vorrei però lasciarti con una frase di qualcun altro, ma questa è la frase che mi ha fatto da motto per molti anni. Inoltre credo sia importante oggi non aver paura di essere come si è. Ai giovani direi questo,  Non abbiate paura di essere come siete, di migliorarvi sempre e di non accontentarvi mai, continuate ad indignarvi per le cose che non vi vanno bene. Accettate di essere voi stessi ma sempre in movimento, sempre in cambiamento, perché cambiamo ogni secondo, io stessa non sono come ero cinque minuti fa, ma ogni momento mi cambia, non siamo dei sassi. Credo che il motore del mondo e della vita sia la curiosità, lo Stare in movimento, stare nel dubbio, indignarsi e fare fatica per le cose che si amano. 

di Katia Franceschetti