La Voce di Ginori
Tutto ciò che fa notizia
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Uomini e Donne del Novecento
Don Roberto Sardelli
Insegnare a non tacere
di Alessia Morrone
Tra gli emarginati di una Roma nascosta, un giovane prete usa l’arma della conoscenza per abbattare i muri della discriminazione.
Sapete, scrivendo questo articolo ho provato molto imbarazzo al solo pensiero di quante volte ho sentito e conversato con persone che si lamentavano dell’istruzione odierna, ma ci abbiamo mai pensato a quella che poteva essere la scuola negli anni ’60 -’70? Per di più in una borgata romana?
Nel 1968 Don Roberto Sardelli fondò in una baraccopoli di Roma, nei pressi dell’ Acquedotto Felice, la “Scuola 725” che prese il nome proprio dal numero della baracca che la ospitava. Era una stanza piccola, tre metri per te, poco illuminata e mal riscaldata ma sufficiente per ospitare “gli ultimi” ossia tutti i figli dei baraccati (o accampati) che si trovavano lì e che, per l’idea che oggi potremmo definire vecchio stampo, erano emarginati dalla società. Un piccolo angolo di inclusività e di accoglienza per chi aveva meno possibilità di crescita sociale.
Lo scopo di Don Roberto Sardelli era proprio quello di non lasciarli indietro, soli e abbandonati al proprio destino, di portarli ad un livello d’istruzione sufficiente per poter avere un futuro quasi assicurato. La sua istruzione però era differente perché, oltre a far svolgere loro dei comuni compiti per l’apprendimento, li incentivava molto nella comunicazione facendoli parlare tra di loro e soprattutto raccontando loro eventi dell’attualità e della storia contemporanea come ad esempio la guerra nel Vietnam.
Disegnavano molto, compilavano riviste battute a macchina da loro stessi e, grazie anche a questo, scrissero un libro di testo che potesse rappresentarli con su scritti termini e argomenti di loro interesse rendendoli quindi protagonisti della loro vita. Questo loro manuale (o libro di testo) lo chiamarono “Non Tacere” proprio perché loro definivano la Scuola 725 “la scuola del riscatto”.
Per i ragazzi e le ragazze che vivevano in quelle condizioni, il riscatto era proprio il bisogno e il raggiungimento della loro acquisizione dei diritti dopo anni di miseria e silenzio. Nel 1968 lo stesso Don Roberto Sardelli scrisse una lettera all’allora sindaco di Roma Clelio Darida proprio per spiegargli le condizioni di vita che si trovavano in quella baraccopoli.
«…il luogo dove viviamo è un inferno. L’acqua nessuno può averla in casa. La luce illumina solo un quarto dell'Acquedotto. Dove c'è la scuola si va avanti con il gas. L'umidità ci tiene compagnia per tutto l'inverno. Il caldo soffocante l'estate. I pozzi neri si trovano a pochi metri dalla nostre cosiddette abitazioni. Tutto il quartiere viene a scaricare ogni genere di immondizie a 100 metri dalle baracche. Siamo in continuo pericolo di malattie. Quest'anno all'Acquedotto due bambini sono morti per malattie, come la broncopolmonite, che nelle baracche trovano l'ambiente più favorevole per svilupparsi...»
Come capiamo da questa lettera, la qualità di vita non era propriamente adatta e accettabile in quanto si parla anche di decessi infantili causati da gravi malattie. Don Roberto Sardelli si rimboccò le maniche e si mise all’opera per smuovere anche i piani statali più alti e per far sì che la situazione migliorasse per tutti quei ragazzi che “non avevano voce”. Ad oggi di Don Roberto ci rimangono molte testimonianze come film, documentari, libri, articoli di giornale, targhe nei pressi dell’Acquedotto Felice e molto altro. Questo grande uomo si è spento il 18 Febbraio 2019, nella sua città natale, Pontecorvo, in provincia di Frosinone.
Immagini tratte da l'Album di Roma - fotografie private del Novecento sito web: www.albumdiroma.it