Dottor Luca Cialdella - Ortopedico

Medico Chirurgo, specialista in Ortopedia e Traumatologia

    • Diploma di Laurea in Medicina e Chirurgia conseguito in data 24/10/1995 presso l’Università di Torino.

    • Diploma di Abilitazione all’esercizio della Professione di Medico Chirurgo conseguito in data novembre 1995 nella Seconda Sessione, presso l’Università di Torino.

    • Diploma di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia conseguito in data 10/11/2003 presso l’Università di Milano.

    • Frequenza nel V^ e VI^ anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia dell’Università di Torino in qualità di studente prima e poi in qualità di Medico Frequentatore nel post-laurea, del reparto Universitario di Ortopedia e Traumatologia diretto dal Prof. Paolo Gallinaro.

    • Frequenza, in qualità di Medico Frequentatore, dell’UOA di Ortopedia e Traumatologia del Presidio Ospedaliero Maria Regina Adelaide, sotto la direzione del Prof. Vittorio Salvi, dal marzo 1998 al novembre 1998.

    • Frequenza, in qualità di Medico Specializzando, dal novembre del 1998 al luglio 1999 del reparto Universitario VI^ Divisione di Ortopedia e Traumatologia, diretto dal Prof. Parrini, Ospedale Gaetano Pini di Milano.

    • Frequenza, in qualità di Medico Specializzando della II^ Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell’Università di Milano, sotto la direzione prima del Prof. Parrini e poi del Prof. Paolo Cabizza, dell’UOA di Ortopedia e Traumatologia, direttore Dott. Elvio Fenoglio, Ospedale Civile Edoardo Agnelli di Pinerolo, dal luglio 1999 all’ottobre 2003.

    • Diploma di Aiutante di Sanità conseguito durante l’espletamento del servizio militare, anno 1995-1996.

    • Lavoro di Ricerca dal titolo: “An Atypical Presentation of Paget’s Disease in an Immunocompromised Individual”.

    • Numero di circa 70 attestati di partecipazione a congressi e corsi in Ortopedia e Traumatologia.

    • Attestato di frequenza e di profitto: VII^ Corso di Aggiornamento: “Problemi di Medicina di Urgenza e Pronto Soccorso”.

    • Tesi di Laurea: “Screw Home Movement”: rotazione automatica del ginocchio; relatore Prof. Paolo Gallinaro.

    • Tesi di Specializzazione: “Instabilità anteriore di Spalla: trattamento artroscopico con strumentazione riassorbibile e non”; relatore Prof. Paolo Cabizza.

    • Frequenza, in qualità di Medico Frequentatore del reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Cottolengo di Torino, direttore Dott. Leonardo Basso, dal novembre 2003 all’aprile 2004.

    • Assunzione come Assistente Fascia A Area Medica, presso il reparto di Ortopedia e Traumatologia dell’Ospedale Cottolengo di Torino, con contratto a tempo indeterminato, dal 10 maggio 2014 al 30/06/2007.

    • Dal primo gennaio 2007, in seguito a trasformazione da Casa di Cura a Presidio Sanitario dell’Ospedale Cottolengo, ex art. 43, comma 2, L. 833/78, mi è stata conferita la Dirigenza Medica di I^ livello.

    • Assunzione, prima a tempo determinato e poi indeterminato come Medico Specialista in Ortopedia e Traumatologia Ambulatoriale Territoriale presso la TO 3 a Pinerolo e la TO 2 a Torino dal 2007 al 2013.

Nel corso della mia carriera mi sono trovato di fronte a molte patologie ortopediche, tuttavia le patologie più frequenti di cui mi sono occupato sono state quelle degenerative, cioè il grande e complesso gruppo delle artrosi e quindi l’altrettanto enorme capitolo della protesica; esistono impianti ormai ultratecnologici, anatomici che sostituiscono le articolazioni erose, consumate che non permettono più la deambulzione con un quadro di forti dolori.

La loro clinica è molto difficile da studiare come altrettanto difficile è l’instaurarsi di una terapia efficace.

ORTOPEDIA e TRAUMATOLOGIA

L’ Ortopedia e la Traumatologia è una branca della medicina che interessa quasi tutto il corpo umano, quasi interamente lo scheletro assile tranne il cranio. Vengono interessati gli arti superiori, gli arti inferiori e la colonna vertebrale in toto. Con il prolungarsi dell’ aspettativa di vita, in questi ultimi decenni l’età media si è alzata con il verificarsi di processi degenerativi a carico delle articolazioni e quindi dolore e limitazione funzionale.

Per questo motivo ha fatto la sua comparsa il grande capitolo della protesizzazione. Le protesizzazioni più importanti o per lo meno più frequenti sono, a mio parere, quella dell’anca, del ginocchio, della spalla, un po’ meno quella della tibio-tarsica. La protesizzazione dell’anca è tipica di una coxo-artrosi grave con dolore e importante limitazione funzionale. Andiamo dall’endoprotesi utilizzata in traumatologia, alle protesi totali e sono innumerevoli. Esse possono essere cementate o meno. Riveste molta importanza l’età: dopo i settantacinque anni si preferisce impiantare una protesi cementata sia per la qualità dell’osso che per l’aspettativa di vita. Al di sotto dei settantacinque anni di età si utilizzano quelle non cementate soprattutto perchè la possibilità di un reimpianto è elevata.

Nell’ambito delle protesi d’anca abbiamo quelle che si impiantano in caso di patologie congenite come può essere la displasia congenita dell’anca, malattia molto invalidante con il passare degli anni. Abbiamo per l’età, cosiddetta giovanile dove è importante l’essere il meno invasivo possibile sia nei riguardi dell’osso che delle parti molli, per poter riprendere il più velocemente possibile la propria attività, le cosiddette protesi di superficie o BHR. Negli anni ho incontrato pazienti con un quadro di gonartrosi ovvero artrosi di ginocchio. Una situazione del genere prevede un’approccio fisiokinesiterapico, iniettivo endoarticolare con cortisonico oppure con acido ialuronico fino ad una situazione irrimediabile con trattamenti incruenti ovvero con la necessità di impianto protesico. Le protesi di ginocchio possono essere totali, monocompartimentali, vincolate, semivincolate o non vincolate, a press-fit o cementate. Nei casi di sepsi post-operatoria molte volte è necessario il reimpianto protesico che comporta un impianto di protesi fatta da cemento antibiotato da tenersi fino alla eliminazione della sepsi per poi ricorrere alla protesi vera e propria oltremodo invasiva.

Nel post-operatorio è necessario recuperare bene l’estensione, perché con un ginocchio esteso si cammina con uno flesso non si deambula. Per ottenere ciò si può ricorrere a sacchi di sabbia da apporsi sul ginocchio oppure nei casi estremi sedersi delicatamente sull’articolazione stessa; ciò è preferibile ad una rottura delle aderenze in narcosi. Le protesi monocompartimentali danno problema nella riabilitazione perché sanguinano e sono necessarie svarie artrocentesi e una intensa FKT.

La protesizzazione di spalla comprende o un’endoprotesi o una protesi totale o un tipo di protesi chiamata Inversa. La protesizzazione può essere per una causa traumatologica o degenerativa. Intensa dovrà essere la riabilitazione. Nell’ambito della spalla possiamo avere la cosiddetta “sindrome da conflitto” o anche la cosiddetta “sindrome della cuffia dei rotatori” con o senza rottura della stessa che è un manicotto di muscoli. Nel primo caso possiamo ricorrere ad un’acromionplastica aumentando lo spazio sub.acromiale, nel secondo caso possiamo ricorrere ad una sutura della cuffia artrotomica o artroscopica. Riabilitazione che segue ad un’immobilizzazione con tutore di spalla con fascione toracico. Molto frequente come patologia interessante lo schetro assile è il quadro della lombalgia, scatalgia, lombosciatalgia, cruralgia, lombocruralgia a seconda delle radici nervose interessate.

Tipico è il cosiddetto colpo della strega seguente ad un movimento brusco, come per esempio quello che si verifica nello sollevare violentemente, a strappo, un peso importante. La conseguenza è un violento dolore in sede lombo-sacrale, limitazione funzionale. La miglior terapia è il riposo. Le cause della lombosciatalgia, ad esempio, possono essere un’artrosi pronunciata della colonna lombare, una discopatia, una protrusione discale, quella più grave è la comparsa di un’ernia discale che può essere un semplice bulging oppure una vera e propria ernia migrata , espulsa etc. Il tutto può essere peggiorato dalla presenza, per lo più congenita , di un canale stretto. Una simile patologia così frequente presenta una vasta gamma di terapie; si va dalla FKT manuale, alla FKT strumentale fino a giungere ad una vasta gamma di interventi chirurgici che vanno da interventi a minimo come quelli di asportazione dell’ernia per via endoscopica, a quelli che richiedono un approccio più invasivo, come un’erniectomia a cielo aperto, ad una emilaminectomia, ad una laminectomia, ad un calibrage del canale vertebrale, fino ad arrivare ad interventi molto invasivi noti come stabilizzazione vertebrale con barre e viti intrapeduncolari etc. Una vasta gamma di patologie colpisce gli arti superiori.

Frequente è la sindrome del tunnel carpale. Essa è una neuropatia dovuta all’irritazione o alla compressione del nervo mediano nel suo passaggio attraverso il canale carpale. La sindrome è dovuta più frequentemente all’infiammazione cronica della borsa tendinea dei flessori che comprime il nervo mediano. Può manifestarsi in corso di gravidanza, nei soggetti affetti da ipotiroidismo e nei soggetti affetti da artrite reumatoide. E’ più frequente nei soggetti che utilizzano le mani per lavori di precisione e tipicamente ripetitivi. La sindrome si manifesta più spesso nei soggetti femminili ultraquarantenni, con disturbi della sensibilità che colpiscono le prime tre dita e metà del quarto dito della mano. Tali disturbi si presentano prevalentemente durante la notte e possono evolvere in una ipo-atrofia dei muscoli tenari. Per la diagnosi ci si avvale di due segni classici ovvero il segno di Tinel, e la manovra di Phalen. Il trattamento nelle fasi iniziali può prevedere una oculata infiltrazione di cortisone, quando la sindrome si cronicizza allora si ricorre al trattamento chirurgico che consiste nel release del nervo al carpo (sindesmotomia del legamento trasverso del carpo). Possiamo utilizzare il taglio chirurgico classico ad S italica sul palmo della mano oppure avvalersi della tecnica endoscopica.Altra sindrome frequentemente da me riscontrata negli arti superiori è la sindrome di De Quervain. È una tenovaginite della guaina dell’estensore breve e dell’abduttore lungo del pollice. Sono colpite principalmente le femmine fra i 45 e 65 anni. Le attività che più spesso provocano questa sindrome sono suonare, cucire all’uncinetto e la dattilografia. I sintomi sono il dolore, la mano gonfia a livello della piega del polso, a livello della guaina degli estensori del pollice. Il test motorio caratteristico della S. di De Quervain si chiama segno di Finkelstein, consiste nello stringere la mano a pugno con il pollice dentro alle altre dita e nel contempo piegare il polso bilateralmente verso il mignolo.

Se questo “allungamento” delle guaine dei tendini provoca dolore a livello del polso nella regione più vicina al pollice, il test è positivo. Diagnosi differenziale con: 1) frattura dello scafoide, 2) frattura del radio, 4) artrosi tra le ossa del carpo, 5) la rizoartrosi. Terapia: 1) farmacologica con antinfiammatori, 2) un tutore, 3) fisioterapia strumentale, 4) kinesio taping, 5) onde d’urto, generalmente 3 sedute, 6) infiltrazione con cortisone. Se queste terapie non funzionassero si ricorre all’intervento chirurgico che consiste nell’aprire la guaina dei tendini e nella pulizia dei tessuti.

Altra patologia di frequente riscontro e interessante le mani è “il dito a scatto”, anche detto tenosinovite stenosante; è un disturbo in cui una delle dita della mano rimane bloccata in posizione piegata e poi si raddrizza improvvisamente con uno scatto, un po’ come un grilletto. Se il disturbo è particolarmente grave, il dito può rimanere definitivamente piegato. Esso è causato dal restringimento della membrana che circonda il tendine del dito colpito. E’ una patologia maggiormente diffusa tra le donne e nei pazienti diabetici. I segni ed i sintomi sono: 1) rigidità del dito soprattutto al mattino, 2) sensazione di schiaccio o scatto quando si muove il dito, 3) dolore o nodulo alla base del dito colpito, 4) dito bloccato in posizione piegata e che si raddrizza all’improvviso, 5) dito bloccato in posizione piegata, senza che il paziente riesca a raddrizzarlo. Il dito a scatto colpisce con maggior frequenza la mano dominante e, nella maggior parte dei casi, il pollice, il medio o l’anulare. Possono essere colpite più dita contemporaneamente, anche di entrambe le mani. Lo scatto, di norma, è più pronunciato al mattino, oppure quando si afferra saldamente qualcosa o quando si estende il dito. La terapia del dito a scatto varia a seconda della gravità e della durata del disturbo. Terapia nei casi più lievi: a) steccatura, b) esercizio per le dita, c) evitare i movimenti di presa ripetuti. Terapia nei casi più gravi: a) FANS, b) steroidi: l’iniezione di uno steroide (cortisone) nelle vicinanze o direttamente nella membrana del tendine, c) release percutaneo: in anestesia cutanea, i medici usano una siringa per riportare alla posizione normale il dito bloccato, d) intervento chirurgico: tenolisi chirurgica che può essere necessaria per situazioni di blocco più problematiche. Esiste una classificazione secondo Green: I) dolore, edema, movimenti irregolari del dito

II) blocco in flessione correggibile attivamente

III) blocco in flessione correggibile passivamente

IV) blocco in flessione non correggibile

Una patologia di molto frequente a livello della mano è il M. di Dupuytren. Trattasi di una malattia benigna caratterizzata dall’ispessimento e dalla retrazione sclerotica dell’aponeurosi palmare, una robusta fascia fibrotica sottocutanea. La malattia di Dupuytren deve il suo nome a un chirurgo francese, Guillaume Dupuytren (1777-1836) che per primo la descrisse nel 1831. In alcuni casi questa condizione morbosa si presenta in associazione con altre patologie quali la malattia di Ledderhose o fibromatosi plantare fasciale, la malattia di La Peyronie o “induratio penis plastica”, e i cosiddetti cuscinetti di Garrod (un ispessimento fibroso a livello delle nocche). Fra le patologie a carico della mano è probabilmente la più frequente. Il rapporto maschi e femmine è 10 a 1. Si presenta più spesso sul lato ulnare della mano, le dita che vengono maggiormente colpite sono l’anulare(63%), il mignolo (53%), medio(23%), indice(5%) e pollice(3%). Classificazione secondo Tubiana:

stadio 0: presenza di noduli palmari

stadio I: flessione digitale tra 0° e 45°

stadio II: flessione digitale tra 45° e 90°

stadio III: flessione digitale tra 90° e 135°

stadioIV: flessione digitale > 135°

Per la diagnosi abbiamo il “test della tavola”.

Questa malattia è ad alto rischio di recidiva. Esistono diverse modalità di approccio chirurgico: 1) aponeurotomia

2) aponeurectomia (anche fasciectomia) selettiva o totale

3) dermofasciectomia

4) amputazione nei casi gravi.

Oggi come oggi abbiamo approcci meno invasivi come la fasciotomia percutanea e dal 2014 l’iniezione di collagenasi.

Fra le patologie dell’arto inferiore una menzione particolare per numero e per la clinica merita l’alluce valgo che è una deformazione del piede costituita dall’allontanamento della testa del I^ metatarsale dalle altre. L’alluce valgo colpisce specialmente le donne in età adulta. Le forme che si manifestano in giovane età più spesso sono quelle congenite. Il sintomo principale è il dolore, in seguita si manifesta tumefazione ed arrossamento. Terapia: 1) massaggi freddi locali, 2) FANS, 3) infiltrazioni di corticosteroidi extrarticolari, 4) calzature comode, 5) tutore, 6) plantare, 7) la deformazione in stato avanzato necessita di intervento chirurgico. L’ alluce valgo ha come complicazioni l’artrosi nelle articolazioni dell’alluce e deformità del secondo dito. Le tecniche chirurgiche tendono ad essere sempre più mini-invasive a differenza delle classiche osteotomie come (Akin, Chevron etc). Molto frequentemente si presentano pazienti con un dolore sottocalcaneale, la cosiddetta tallonite. Con talalgia plantare, o tallonite si definisce una patologia acuta o cronica del retropiede. La tallonite può avere origini neurologiche, metaboliche o congenite. Le cause possono essere condizionate da molti aspetti. Tra le più comuni abbiamo: 1) postura errata, 2) borsite: un’infiammzione delle borse sierose retrocalcaneali o sottocutanee, 3) tendinopatia inserzionale, 4) fascite plantare, 5) frattura da stress, 6) malattie dismetaboliche, per esempio la gotta, 7) reumatismi, 8) sperone calcaneare ovvero crescita anomala del tessuto osseo del calcagno.

La tallonite colpisce soprattutto persone di età superiore ai 40 anni ed in sovrappeso. Generalmente, si manifesta come dolore nell’area del tallone e del calcagno, molto intenso la mattina quando ci si alza dal letto e ogni volta che ci si mette in piedi dopo essere stati seduti o fermi per molto tempo. Se il fastidio è più diffuso ed esterno, il problema potrebbe essere una tendinite dell’achilleo. L’ indagine diagnostica si avvale di esami radiografici, ecografia, RMN. E’ di solito necessario un periodo di riposo del tallone di 15 giorni. Nei casi migliori, la tallonite evolve spontaneamente verso la guarigione dopo la prima settimana. Nei casi in cui il problema tende a cronicizzarsi occorre ricorrere, per esempio, allo stretching, l’utilizzo di talloniera, la mesoterapia, le infiltrazioni, la fisioterapia. La chirurgia è consigliata solo i casi di fascite plantare o borsite particolarmente seri ed altrimenti irreversibili. L’ideale è un plantare in silicone a scarico calcaneare. Esistono ai giorni nostri le cosiddette solette high-tech.

Gli interventi oggi sono per buona parte eseguiti in artroscopia. Parliamo di artroscopia di ginocchio per tutta una serie di patologie, artroscopia di spalla, artroscopia di polso, artroscopia della tibio-tarsica etc, e molto altri. L’artroscopia di ginocchio è forse quella più frequente. L’artroscopia di ginocchio è una tecnica di intervento chirurgico che permette di intervenire sulle lesioni del menisco, sulla rottura dei legamenti e sull’artrosi che interessa l’articolazione. L a tecnica artroscopica è mini invasiva e permette di intervenire sulle disfunzioni che sono determinate dai traumi del ginocchio. Attraverso l’artroscopia ci si può muovere all’interno dell’articolazione per individuare le lesioni del menisco o dei legamenti e per riparale. Nel caso delle lesioni del menisco è possibile procedere ad un ridimensionamento dei menischi stessi nella loro sede di lesione. Nel caso di altri traumi complessi che colpiscono il ginocchio l’artroscopia può essere molto utile. Infatti consente di riparare la lesione del legamento crociato anteriore e di intervenire per esempio nella valgo-rotazione esterna o nella varo-rotazione interna. L’artroscopia può essere valida anche nell’artrosi del ginocchio, perchè permette di avere una visione diretta della cartilagine articolare. Abbiamo detto che è una tecnica mini-invasiva perché un piccolo strumento chiamato artroscopio viene introdotto attraverso una piccola incisione cutanea di circa 1 cm (portale) all’interno dell’articolazione distesa da una soluzione acquosa sterile; questo consente di “guardare dentro” l’articolazione a 360°, le immagini sono visualizzate dal chirurgo e dal paziente, se sveglio, su un apposito monitor TV. Attraverso altre piccole incisioni (portali) si possono introdurre strumenti chirurgici particolari che consentono la riparazione delle lesioni riscontrate. Tra le patologie possiamo riscontrare le lesioni meniscali a carico delle quali possiamo ricorrere ad una meniscectomia (asportazione della parte di menisco lesionata lasciando in sede la parte sana) o ad una riparazione della lesione meniscale con tecniche particolari di sutura. Sempre nel ginocchio possiamo avere frammenti liberi nell’articolazione (corpi mobili). Essi possono essere dei frammenti di cartilagine e/o osso che possono vagare liberi all’interno dell’articolazione causando dolore, gonfiore, blocchi o cedimenti. In artroscopia si riesce a localizzare il corpo mobile ed eseguire l’asportazione dalla piccola incisione cutanea con un’apposita piccola pinza da presa. Si può intervenire anche in caso di lesione del LCA e del LCP. In caso di lesione del LCA si può utilizzare una parte del tendine rotuleo oppure una parte del tendine quadricipitale oppure i tendini gracile e semitendinoso con risultati sovrapponibili. L’artroscopia della spalla è un metodo operativo che consente una diagnostica e un trattamento delle lesioni e affezioni dell’articolazione della spalla minimamente invasivi. L’intervento si esegue in anestesia totale, e si utilizza nella rimozione di corpi liberi, levigazione delle escrescenze ossee degenerative, interruzione del capo lungo del bicipite infiammato e soprattutto nella ricostruzione dei tendini della cuffia dei rotatori, ricostruzione del labbro e della capsula articolare. Nel caso dell’esecuzione di interventi complicati si fanno, rispetto al normale, 1-3 addizionali incisioni cutanee di dimensione fino a 0,5 cm. Queste sono necessarie per l’introduzione di strumenti, suture e altri impianti chirurgici nell’articolazione. Viene sempre utilizzato l’artroscopio, che in un primo tempo viene introdotto nell’articolazione gleno-omerale, in un secondo momento verrà introdotto nella borsa subacromiale e questo ci permetterà un’ispezione adeguata della superficie esterna della cuffia dei rotatori edella superficie inferiore dell’acromion. Rispetto ad un intervento chirurgico classico l’artroscopia presenta numerosi vantaggi. Consente un’esaminazione molto più dettagliata e globale di tutte le strutture che si trovano nell’articolazione, un secondo grande vantaggio è la possibilità di mantenere il muscolo deltoide, inoltre è notevolmente ridotto il rischio delle complicanze post-operatorie come per esempio un sanguinamento eccessivo, infezione dell’articolazione e della ferita chirurgica, comparsa dei danni ai nervi che si trovano vicino all’articolazione. Indicazioni per l’artroscopia di spalla: 1) conflitto subacromiale cronico

2) rottura della cuffia dei rotatori

3) continue dislocazioni della spalla

4) l’instabilità cronica della spalla

5) tendinite bicipitale

6) tendinite calcificante

7) lesioni ed artrosi dell’articolazione AC

8) lesioni del labbro

9) capsulite adesiva

10) dolore alla spalla poco chiaro.

Il tempo di recupero dipende dal tipo di intervento eseguito in artroscopia. Il recupero più veloce è dopo interventi più semplici come la rimozione di corpi liberi, la resezione dei cambiamenti ossei degenerativi sulla superficie inferiore dell’acromion. La riabilitazione è notevolmente più lunga dopo interventi di ricostruzione della cuffia dei rotatori e quelli di riparazione delle instabilità croniche. La riabilitazione dopo interventi di questo tipo è di 4-6 mesi. Attualmente possiamo ricorrere anche all’artroscopia di anca la quale è una procedura chirurgica mini-invasiva, che attraverso piccole incisioni (1 cm) e strumenti idonei, è in grado di identificare e curare alcune patologie dell’anca dolente. Sotto anestesia generale, l’anca viene messa in graduale trazione per aumentare lo spazio articolare quanto basta per introdurre gli strumenti artroscopici. Le incisioni sono due. L’artroscopia di anca è utilissima per il trattamento del conflitto femoro acetabolare o FAI. Si distinguono due tipi di conflitto, quello che può dipendere da una deformità tipo “pincer” , quando l’acetabolo ha una conformazione tale da stringere come una tenaglia la testa femorale, riducendone quindi l’escursione. Questa forma colpisce prevalentemente le donne. Il conflitto può dipendere da una deformità tipo “cam” quando la testa femorale non è perfettamente sferica così che durante il movimento la parte eccentrica confligge con il bordo acetabolare. Questa forma è tipica degli uomini. Per quanto riguarda la sintomatologia caratteristico è un fastidio che il paziente avverte in posizione seduta, più o meno prolungata, o eseguendo movimenti che prevedano la flessione dell’anca. Inoltre è possibile avvertire in alcuni casi dei rumori o dei blocchi articolari. In assenza di trattamento, si giunge in poco tempo a zoppia durante la deambulazione. Per la diagnosi si ricorre ad un accurato esame clinico di uno specialista che cercherà i segni clinici della malattia con tests specifici quali(FABER-FADIR); una radiografia del bacino, e delle anche in proiezione di Dunn a 45° e a 90°; una RMN dell’anca meglio se con mezzo di contrasto (Artro-RMN), una TAC con ricostruzione tridimensionale dell’anca. Con la tecnica artroscopica è possibile riparare a asportare il labbro lesionato, riparare piccole lesioni condrali, rimodellare la testa femorale e/o dell’acetabolo (osteoplastica) per evitare il conflitto. Eseguire un’ampia sinoviectomia (anche del pulvinar). Dopo sei settimane di terapia fisica, molti pazienti possono riprendere la normale attività. Tengo a sottolineare che l’artroscopia dell’anca viene usata soprattutto per trattare soggetti giovani e quindi di intervenire in maniera mini-invasiva per il trattamento della displasia dell’anca mediante osteotomie del collo femorale o dell’acetabolo per risolvere problemi di coxa vara o di epifisiolisi che possono degenerare in artrosi, per trattare il morbo di Perthes e in caso appunto di impingement femoro-acetabolare. Comunque tengo a precisare che la parte del leone la fa una patologia che nella nostra società, ormai con l’avanzare dell’età media di sopravvivenza, è l’artrosi. Trattasi di una malattia articolare degenerativa, cronica e progressiva. E’ la malattia reumatica più diffusa e colpisce entrambi i sessi: in Italia ne soffrono oltre 4 milioni di persone. L’artrosi colpisce la maggior parte delle persone anziane, ma non ne sono risparmiati i soggetti più giovani, tanto che questa malattia rappresenta la principale causa della perdita di giornate lavorative. Le articolazioni più frequentemente interessate sono: la colonna vertebrale, l’anca, il ginocchio, le dita delle mani e dei piedi. L’artrosi può essere classificata in una forma primaria ed in una forma secondaria, più frequentemente localizzata. I sintomi sono vari: il dolore che si accentua con il movimento, rigidità mattutina, limitazione funzionale, spesso sono presenti deformità; preoccupante è la forma erosiva. Per la diagnosi, nella forma erosiva, si può osservare un modesto incremento della VES, normalmente si ricorre all’indagine radiografica. Per quanto concerne la terapia si va da terapie fisiche e riabilitative, farmaci antiinfiammatori non steroidei, condroprotettori, trattamento infiltrativo intraarticolare con sostanze atte a migliorare la lubrificazione articolare ad una soluzione chirurgica ortopedica, rappresentata dal posizionamento di protesi. Un aspetto fondamentale della terapia dell’artrosi è costituito dall’apprendimento, da parte del malato, di gestualità in grado di proteggere le articolazioni da movimenti potenzialmente lesivi(economia articolare). Si rende necessario studiare, mediante osservazione, il movimento articolare scorretto abituale, per giungere al suggerimento di gesti correttivi, talvolta mediante l’impiego di ausili strumentali. L’esercizio fisico è fondamentale, soprattutto la chinesiterapia, il movimento in acqua ed il nuoto. Anche l’alimentazione può essere d’aiuto, soprattutto se ci si nutre di cibi contenenti i grassi utili per le articolazioni, come il salmone. Da evitare, invece, i grassi saturi, quelli idrogenati, gli zuccheri raffinati e i fritti, che favoriscono l’infiammazione delle articolazioni. Infine, la branca di Ortopedia e Traumatologia è molto vasta, con una miriade di patologie, acute, croniche e con il grande calderone della Traumatologia. Quasi tutto il nostro scheletro è colpito da queste patologie in modo più o meno importante. In conclusione, l’Ortopedia è una branca della Medicina molto vasta e che colpisce la maggior parte della popolazione sia essa giovane, sia essa anziana con svariate, oggi, possibilità di cura.