CD 2020


ARTCHIPEL ORCHESTRA

"TRULY YOURS"

Musiche di Phil Miller



Dopo "Play Soft Machine", che allegammo alla rivista nel 2014, Musica Jazz torna a pubblicare un nuovo lavoro dell'orchestra diretta da Ferdinando Faraò e questa volta dedicato alle musiche di Phil Miller, che con Artchipel aveva già collaborato nel 2011. (Claudio Bonomi) da Musica Jazz n.838 - settembre 2020.


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ARTCHIPEL ORCHESTRA & ORCHESTRA DI VIA PADOVA

"BATIK AFRICANA SUITE"

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La Artchipel Orchestra e l’Orchestra di Via Padova, due dei «laboratori sonori» più stimolanti nati negli ultimi anni a Milano (rispettivamente nel 2010 e nel 2006), apparentemente

s’interessano a mondi molto diversi.

La prima, guidata da Ferdinando Faraò (che è un batterista di vaglia, ma in questo caso svolge esclusivamente la funzione di direttore e, beninteso, di autore e arrangiatore di

parecchi brani in repertorio), ha sempre mostrato attenzione per quella particolare declinazione della scena cosiddetta progressive che nei primi anni Settanta, soprattutto in

Gran Bretagna, associava creativamente le istanze del pop più avanzato alle modalità espressive del jazz contemporaneo.

La seconda, coordinata dal chitarrista Massimo Latronico (anch’egli autore e arrangiatore), ha tradotto in chiave musicale la vivacità culturale e multietnica presente nel quartiere

milanese attorno a via Padova, consentendo al talento di persone giunte in Italia dai quattro angoli del pianeta di recuperare le proprie tradizioni, mischiarle a quelle diverse ma

altrettanto evocative dei loro colleghi e dar vita così a una sintesi che è il vero paesaggio sonoro del nuovo millennio, almeno in questa parte del mondo.

Ciò significa che, in un certo senso, le due formazioni sono rivolte verso direzioni quasi opposte. L’una è interessata a un frammento di quello che potremmo chiamare il

«modernismo avanzato»: gli sviluppi estetici della società occidentale nel tardo Ventesimo secolo, consapevoli della propria natura artistica, sia pure declinati in questo caso

nelle forme della «controcultura». L’altra accoglie in sé le pratiche musicali non occidentali, spesso totalmente indifferenti al concetto di «arte» perché in esse la musica si

intreccia inestricabilmente alle pratiche quotidiane, dà loro senso e ritmo; oppure perché è festa, distensione, rituale corporeo e al tempo stesso veicolo dei miti tramandati dalla

comunità.

Naturalmente questi divergenti punti di riferimento vengono rielaborati dai nostri musicisti, che li deviano con sapienza nell’hic et nunc dei giorni nostri. Ed ecco che accade un

piccolo miracolo, che certo non è un miracolo ma un segno di duttilità e di consapevolezza umana, prima che strumentale. Come immergendosi nelle pieghe dello spazio-

tempo, i membri delle due formazioni sono contemporaneamente nell’uno e nell’altro mondo. Esemplare è il brano che apre il disco, nel quale all’introduzione vocale di Aziz

Riahi, morbidamente adagiata nei melismi mediorientali, fa seguito la luminosa melodia collettiva del tema principale, prima con le tre voci femminili armonizzate, poi con il

suono svettante del sassofono soprano di Rudy Manzoli e i cromatismi dissonanti di tutto l’ensemble.

Potrebbe essere uno scontro fra concezioni troppo diverse, invece è la dimostrazione di come la realtà quotidiana fluisce intrecciando gli opposti. Anche perché Rihai è

affiancato dal sofisticatissimo flauto di Carlo Nicita, mentre l’impianto «britannico» dell’orchestrazione successiva è sottolineato dalle percussioni e dal suggestivo pianoforte

dell’italo-egiziano Dario Yassa.

Gli esempi dovrebbero moltiplicarsi, dato che ogni brano declina in modo nuovo (e spesso attraverso snodi suggestivamente variegati) questa stessa concezione; ma ogni

ascoltatore potrà fare le proprie scoperte attraverso quest’ora abbondante di musica. Merita forse sottolineare, concludendo, la presenza dell’unico brano non originale

presentato per l’occasione: il simbolico «Africa» del grande sassofonista afroamericano John Coltrane, che già nel 1961 aveva colto la necessità di intrecciare strumenti, teorie

musicali, impasti sonori, modalità esecutive dei diversi continenti per poter rappresentare il futuro (recuperando il passato). Cioè quello che è il nostro emozionante,

sorprendente, imperscrutabile presente.

Claudio Sessa