Sull'autoritratto e sugli scarti fotografici

Quando lavoro in terapia con i ragazzi, soprattutto adolescenti, l'utilizzo della foto diventa un potente mezzo espressivo non solo di come si sentono, ma soprattutto di come si "vedono". Il corpo percepito, cercato, amato,odiato, desiderato si lascia intravedere mediante le immagini che permettono di raccontarlo. Le fotografie ancor di più connettono l'immagine del proprio corpo lungo un tempo, quello più tenero legato all'infanzia quello più bistrattato dell'adolescenza. E qui l'autoritratto spesso diventa il mezzo per integrare visibilmente tutte le parti di sé, tra passato e presente.


Se dietro ad un selfie c'è il disperato bisogno di lasciare intravedere ciò che desideriamo l'altro vedi. L'autoritratto invece è una foto interna ed esterna di sé stessi, dove cautamente ci si concede la possibilità di vedersi per ciò che si nasconde anche a se stessi.


Gli scarti che vengono prodotti e che sembrano  attivamente darci il potere di "togliere e tagliare" hanno anche loro un valore e un senso. Difatti gli scarti sono momentaneamente tagliati, ma anche loro gradualmente, in un tempo successivo, trovano il modo di essere reintegrati. Ciò che viene fotograficamente scartato consente di inserire una terza dimensione temporale per i pazienti, la prospettiva futura di altri parti di sé.


Per questo amo e utilizzo spessissimo questo strumento, perché la foto non è un fermo immagine di sé, ma è lo strumento che apre alla dinamicità corporea e mentale di sé.

Alle Donne

Alle nostre differenze che arricchiscono il mondo

Alla nostra complessità interna e intima che tenta di semplificare la vita, alle volte tranne la propria

Ai nostri differenti tentativi di farci spazio nel mondo ancora tra tanti pregiudizi da abbattere

Al coraggio delle donne, soprattutto di quelle che combattono per i diritti che dalla "mia parte di mondo" possiamo godere

Al desiderio delle donne, quello di poter essere libere in qualsiasi pezzo di mondo si trovano ad abitare

Sulle Cose Preziose

"Dottoressa, posso darle un consiglio? Lei è la cosa più preziosa che ha! Il suo io è la cosa più preziosa che ha"

Queste le parole tra le lacrime di una mamma e nonna alle prese con il suo resoconto di vita, fatto di continue costruzioni e sacrifici.

Una mamma e contemporaneamente una nonna... Si, perché oltre ciò non sa più chi è.

Si sente persa.

Si sente persa se si chiede, oltre l'ennesimo compito da assolvere, cosa desidera per lei e come poterlo raggiungere.

Questa la cartellata di emozioni, disorientamento, paura, angoscia e tristezza dopo una vita a mettere in un angolo se stessa e a riprenderla e rispolverarla dopo molti anni.

Qualcosa è scattato in lei come motore di rinascita, la nostalgia.

Ma non la nostalgia di uscire, divertirsi, distrarsi, chiamare le amiche. Quelle sono facili da recuperare e riprogrammare.

La nostalgia del suo io, dietro tutto questo "devo" e "devo essere".

Gli altri, la famiglia, i figli non la "riconoscono" in questa veste "nostalgica" "depressa". Non è la "mamma e nonna di sempre" .

Si chiede perché è arrivata a questo. Le rimando invece che "finalmente" è arrivata a lei.

E nel riprendere faticosamente se stessa, il suo io lo definisce "prezioso".

Il miglior aggettivo che poteva trovare. Perché quando qualcosa è prezioso capisci di quando sia importante non lasciarlo più andare.

Sulla (sana) Impotenza Terapeutica

Quando sono in terapia con le famiglie e con i genitori che vivono e combattono per la disabilità del proprio figlio, oltre alle tante domande "pratiche" "sul come fare a gestire, migliorare, ridurre i comportamenti problema, modificare la rigidità degli schemi", mi arriva sempre una domanda molto meno pratica, e fortemente impegnativa. "Dottoressa perché a mio figlio?".

Questa domanda mi pone in una posizione sempre di forte impotenza e al contempo di contatto con un vivo e tangibile dolore.

A questa domanda non mi è stata data nessuna risposta da poter "consegnare" e su nessun libro trovo "come fare". Il silenzio,mio, che segue a questa domanda è di quelli più difficili da "ridare e rimandare" perché il mio silenzio è un dire "non ti posso né salvare né togliere un dolore, posso solo esserci ad ascoltarlo". È una domanda che posta all'altro potrebbe apparentemente distruggere ogni tentativo di risposta, ma in realtà non distrugge il bisogno di queste mamme di essere ascoltate, sostenute e accompagnate in questa lotta, vissuta spesso in solitudine e smarrimento. E quando resto insieme a loro, dichiarando la mia aperta impotenza ma non assenza si aprono spiragli di costruzione. Proprio come quando gli chiedo "ma quale è il momento che senti il tuo bimbo con te? Dove senti lui e ti senti mamma?".

E quasi sempre queste mamme, per me forti, mi dicono "quando mi abbraccia, mi cerca, mi prende la mano".

In quei momenti quando li vedo riunirsi insieme  constatiamo che non c'è solo la disabilità, ma c'è un legame vivo, doloroso, ma fortemente umano. Dove non c'è solo la malattia, ma una madre e un figlio che reciprocamente si riconoscono.

In questi attimi per loro e per me si intravedono tutti i margini e i confini per poter continuare, insieme, a costruire.

Sul Perchè Farsi in Tre (e non in quattro) per i Figli

Quando ero all'università, ricordo che uno dei primi esami che studiai era su D. Winnicott e sul suo concetto della "madre sufficientemente buona". Detto in parole molto semplici per l'autore una "buona madre" non è da 10 ma è una madre da 6, una mamma che non anticipa il bisogno ma crea "la mancanza" "il vuoto" affinché il bambino possa venir fuori ed esprimere il proprio bisogno.

Tutto molto chiaro, nella teoria, e soprattutto allora come giovane studente di psicologia.

All'oggi, a distanza di qualche anno dalla nascita delle mie figlie posso dire di aver capito da un'altra prospettiva, quella esistenziale, cosa volesse dire il saggio Winnicott.

Quando diventiamo madri, vuoi per questioni di origini e "vuoti" inevitabilmente presi dalle nostre radici, vuoi per influenze anche mediatiche, ci poniamo un grande obiettivo: "devo dare TUTTO ai miei figli". Anche io come tante mamme, volevo a tutti i costi un parto naturale, un allattamento al seno esclusivo, giochi stimolanti, mai la noia, mai momenti morti, il farmi in quattro per rendermi sempre presente, accogliente e sorridente. Tutto per loro, insomma.

Ma le difficoltà sono giunte quando ho sentito il desiderio di lavorare e riprendere anche un po' di spazio e tempo per me. Come la metti quando "devi dare tutto, ma questa parte di tutto la vuoi destinare anche a te?" Come la metti con i sensi di colpa quando le lasci?

Ed è lì che forse sono nata come mamma e ho riconosciuto che "io non posso darle tutto", posso darle "tanto" ma al tutto ci rinuncio.

Ci rinuncio perché io come tante mamme ci condanniamo da un lato all'autodistruzione e dall'altro condanniamo i nostri figli ad una dipendenza affettiva. Se io do' tutto, loro non avranno bisogno di nulla, non avranno bisogno di altro/altri e dunque non potranno "vivere senza di me". Una vera e propria illusione sia per me che per loro. Ed allora l'unica cosa che da "6" posso fare è darle lo spazio.

Lo spazio per affacciarsi sul mondo senza paura di farlo senza di me; di sentire che se hanno vuoti non si spaventino ma cerchino il modo di riempirli a modo loro.

Lo spazio di sentirsi fragili e felici e quando vogliono, ritornare liberamente da me. Perché l'unica cosa di cui dovranno sentirsi sicure è sapermi lì, non al posto loro, ma nel tempo con loro.

Sul Combattere

La tua venuta mi ha insegnato in così breve tempo davvero molte cose

La prima fra tutte cosa significa combattere!

Per combattere non serve esperienza, parole o anni, per combattere servono anche 48 ore di vita

Per combattere devi sentire un grande attaccamento alla vita e al bene che si percepisce

Per combattere bisogna andare oltre la paura e correre il rischio

Per combattere bisogna affidarsi e fidarsi

Per combattere bisogna avere pazienza, non avere fretta e restare nel tempo

Per combattere serve speranza, Dio e dei buoni amici

Per combattere serve lucidità seppur in balia di onde avverse

Per combattere bisogna accantonare il lamento che crea rumore e disorienta

Per combattere non bisogna porsi troppe domande, bisogna sentirsi essenzialmente capaci di attraversare la tempesta!

Grazie Antonio, chissà quante altre cose mi insegnerai!