SU DI ME
...SE VI VA VEDETE LE MIE:
SU DI ME
Prima di qualsiasi tentativo autobiografico-professionale dedico la mia gratitudine ai maestri che hanno acceso tutto e fatto di me un docente di filosofia (...e storia...) e senza i quali sarei una persona diversa da quella che sono oggi, nella scuola di oggi, esposto al senso della sfida pur abbracciato da una infinita nostalgia:
Filippo D'Addabbo (Prof. di Matematica e Fisica negli ultimi tre anni da studente di Liceo scientifico: mi ha insegnato a non separare l'insegnamento dalla vita);
Giuseppe Semerari (Prof. di Filosofia Teoretica: mi ha insegnato a fermarmi sulle parole);
Roberto Finelli (Prof. di Storia della Storiografia Filosofica: mi ha insegnato a leggere Kant ed Hegel)
Marino Centrone (Prof. di Filosofia della Scienza con cui mi sono laureato e con cui ho proseguito il mio percorso di ricerca: mi ha insegnato a vedere "dietro" la filosofia)
Mi sono laureato in filosofia all'Università di Bari già con l'idea di intraprendere il percorso di insegnante: era il 1995. Nel 2010, poi, mi sono laureato in Lettere Moderne all'Università Tor Vergata sentendomi dire, anche dalle persone più vicine, "ma chi te l'ha fatto fare? il lavoro già ce l'hai...e poi Lettere?!". Il fatto è che credo nell'utilità dell'inutile, volendo parafrasare un libro di Nuccio Ordine.
"Idea" e "percorso" non sono i termini che più si addicono a ciò che precede la mia formazione nel senso che questi alludono piuttosto alla passione (che sta dietro all'idea) e al terreno complesso (che sta prima di un qualsiasi percorso) con la quale e su cui mi sono incamminato. E "passione" non vuole nemmeno evocare un'autocelebrativa vena di originalità dell'insegnante falsamente modesto, brillante o sul tipo "Capitano, mio capitano!".
Sono tutt'altro che brillante e uso il termine passione nel suo precipitato etimologico di "patire"; patire è pur sempre un nervo scoperto che fa sentire vivi nella misura in cui io patisco ciò che la scuola rischia di diventare o è già diventata (un contenitore di formule e forme con molte persone stanche dentro, da una parte e dall'altra).
La mia vera formazione l'ho acquisita, dopo il concorso a cattedre del 1999-2001, attraverso la palestra del precariato. Ecco, ci sono: il mio tentativo di autobiografia si ferma qui, come tentativo, per acquisire l'essenza di ciò che è il mio insegnamento e il mio modo di viverlo: precarietà o equilibrio dato dalla somma di disequilibri.
Dopo circa 18 anni di insegnamento cerco di avere cura dei miei disequilibri e della mia precarietà, senza i quali forse mi sentirei pigramente arrivato e stanziale dietro una cattedra. La distanza generazionale con i miei alunni accentua questa precarietà anche esistenziale ma è l'unica benzina che mi consente di farmi vedere e sentire vivo - e anche stanco, nervoso, a volte cupo - di fronte a giovani anime spesso sazie di stimoli o adagiati in scudi protettivi; da cosa? dalla precarietà stessa della crescita, dai piccoli-grandi traumi delle difficoltà, dal peso sconcertante della creatività autonoma, da una certa dose di abnegazione e dal coraggio di esporsi e parlare e anche sbagliare (possibilmente senza matite o bianchetti)
Non so quanto questo c'entri con una autobiografia ma è tutto quello che ho da dire su di me: la precarietà che pulsa dentro mi consente almeno di entrare in aula e calibrare una lezione in base al tasso di emotività che trovo dentro, nell'aula, il mio rifugio dalla cosiddetta "buona scuola"...tutto il resto sono solo ricordi e nozioni libresche che in minima parte mi hanno aiutato a diventare professore...
...L'insegnamento,per me (giacché è un'autobiografia) è un'altra cosa.