di Lorenzo Bonaguro

Hideki Tōjō


«È naturale che io mi debba assumere la responsabilità della guerra in generale ed è inutile dire che sono preparato a questo. Di conseguenza, ora che la guerra è stata perduta, è presumibilmente necessario che io sia giudicato per assicurare al mondo la pace»

Hideki Tojo al Processo di Tokyo


Hideki Tojo fu uno degli uomini più influenti nella storia giapponese del Novecento, ma anche uno dei più famigerati, propugnatore della politica imperialista del Giappone e criminale di guerra. Nato in una famiglia di samurai, il suo destino era la carriera militare, cui si dedicò con grandi risultati contraddistinguendosi per il lavoro duro e l’autodisciplina. All’inizio della sua carriera soggiornò a lungo nella Repubblica di Weimar, dove rimase profondamente colpito dalla disciplina e etica dei tedeschi e soprattutto dei quadri dell’esercito, di quel poco che ne rimaneva dopo la pace di Versailles.

Fin da quando era un giovane ufficiale si contraddistinse per la sua attività politica. Scrisse diversi pamphlet, saggi e articoli in cui invocava a gran voce un Giappone militarizzato in grado di tener testa a tutte le maggiori potenze occidentali: in primis Russia, che minacciava il domino nipponico su Corea e Manciuria, e ovviamente gli Stati Uniti, l’unica vera minaccia a un’espansione nel Pacifico. Una politica imperialista era l’unico modo per permettere all’Impero di completare il suo sviluppo appropriandosi delle risorse naturali necessarie, ma per fare questo l’Esercito doveva avere voce in capitolo nella politica del paese e in generale nella società civile. Tojo era anche sostenitore, come molti nell’apparato militare e intellettuale del tempo, della superiorità razziale dei giapponesi.

All’inizio degli anni Trenta gli fu affidata la gestione della famigerata polizia militare Kempeitai nelle operazioni di repressione politica in Manciuria. Nel 1936 contribuì in maniera decisiva alla vita politica del paese: il 26 febbraio un gruppo di giovani ufficiali inferiori cercò di rovesciare il governo in carica per far salire al potere la fazione politica interna all’esercito imperiale detta Kodoha, Tojo si schierò a difesa del governo, portando così al fallimento del golpe, passato alla storia come “incidente del 26 febbraio”.

Prese parte all’invasione della Cina settentrionale ma dopo i primi successi fu richiamato a Tokyo per lavorare al Ministero dell’Esercito, che guiderà dal 1940 rispondendo del suo operato direttamente all’Imperatore Hirohito, il quale sperava tramite lui di controllare l’ala più estrema dell’esercito. Durante la guerra in Cina Tojo non ordinò mai ai suoi soldati di compiere atrocità sui civili, ma neppure si espresse pubblicamente contro, in particolare in occasione del Massacro di Nanchino. Durante il processo cercò di difendersi allo stesso modo di fronte all’accusa di trattamento disumano dei prigionieri di guerra.

Da sempre sostenitore della linea dura con gli USA, quando Roosevelt impose l’embargo totale di petrolio e carbone in risposta all’occupazione giapponese dell’Indocina, ceduta dalla Francia di Vichy, Tojo continuò a sostenere l’inevitabilità di un allargamento del conflitto.

In qualità di ministro e capo dell’esercito, partecipò a tutti le riunioni strategiche più importanti mettendo la propria firma su ogni impresa militare e atrocità dei soldati giapponesi. Nonostante la spietatezza riservata ai nemici, fu sempre molto attento al benessere e alla tenuta psicologica della popolazione civile, specialmente dopo l’inizio dei bombardamenti americani. Gli furono affidati sempre più incarichi governativi: ad esempio il Ministero dell’Industria, che doveva essere sottomessa interamente al volere militare, e il Ministero dell’Educazione, fondamentale per inculcare nei giovani l’ideologia fascista imperiale.

Catturato dagli americani alla fine della guerra appena dopo aver tentato un onorevole seppuku, il Tribunale Militare Internazionale per l’Estremo Oriente giudicò Tojo colpevole di crimini di guerra e lo condannò all’impiccagione; in Occidente era visto come principale autore della politica di Tokyo e quindi considerato un Mussolini o un Hitler nipponico. Ciò permise agli alleati di usarlo come capro espiatorio e non dover processare la famiglia imperiale. Tojo ammise la piena responsabilità per ogni sua azione durante la guerra nel Pacifico, unico fra gli imputati. La sua figura oggi è considerata in maniera ambigua in Giappone: da un lato la sua vita, la sua storia e il suo atteggiamento furono quelli tipiche di un samurai fedele all’imperatore, dall’altro non si possono negare le atrocità commesse sotto il suo comando. Ben più lineare il giudizio di Cinesi e Coreani: egli fu un criminale sanguinario, un imperialista e colonizzatore.


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