Timor Est: un genocidio dimenticato


di Gabriele Moretti

Timor è un'isola dell'arcipelago della Sonda, nell'estremo Sudest asiatico. La sua metà orientale, colonia portoghese dal XVI secolo al 1975, ha una superficie di circa 15.000 kmq. e una popolazione di forse 600.000 abitanti (la Sicilia, tanto per fare un confronto, ha una superficie di 25.000 kmq. e ospita 5 milioni di abitanti). Una terra lontana, povera, arretrata: un nome che ai più non dice nulla. Eppure, proprio quest'isola lontana e dimenticata per decenni è stata teatro di una lotta disperata per liberarsi dall'occupazione indonesiana e riaffermare il proprio diritto all'autodeterminazione. Una lotta durata quasi trent'anni e che è costata centinaia di migliaia di vittime, prevalentemente civili, morte a causa della durissima repressione operata dal governo guidato dal brutale dittatore Suharto. La sistematica brutalità di questa repressione ha spinto diverse università, istituzioni internazionali e persino la stessa Giacarta a definirla un vero e proprio genocidio.

Nell'aprile 1974, la rivoluzione dei garofani pose fine al regime di Marcelo Caetano, successore del dittatore Salazar. La fretta dei Portoghesi nel lasciare questa loro lontana colonia, così poco fruttuosa economicamente, aveva una duplice ragione. La prima era dovuta a considerazioni di politica estera: salvaguardare i rapporti con l'Indonesia, padrona dell'altra metà dell'isola, ed evitare assolutamente una umiliazione come quella patita a Goa pochi anni prima. La seconda era dovuta all'intricata e spinosa situazione venutasi a creare nella provincia d'oltremare, dove nel frattempo erano stati creati tre movimenti politico-militari in lotta tra loro per riempire il vuoto di potere. Due di essi, Apodeti e UDT, erano filo-indonesiani e loro obiettivo dichiarato era la riunificazione alla "madrepatria", cioè al governo di Giakarta - guidato, è bene non dimenticarlo, da un regime fanaticamente anticomunista, controllato dai militari sul piano interno e dagli USA su quello politico-economico internazionale. Il terzo raggruppamento, chiamato FRETILIN (Fronte di Liberazione Nazionale di Timor orientale), d'ispirazione marxista, perseguiva invece l'obiettivo della indipendenza immediata e totale. Inzialmente, nonostante le divergenze, UDT e FRENTILIN formarono una coalizione indipendentista in vista delle elezioni del 1976. Quando però nell'estate 1975 l'UDT, probabimente spinto dai servizi segreti di Suharto, tentò un colpo di stato, divampò la guerra civile.Dopo quattro mesi di lotta ebbe la meglio il FRETILIN, che il 28 novembre dichiarò l'indipendenza e affidò la carica di presidente al suo leader F. Xavier do Amaral.

La neonata Repubblica ebbe vita quanto mai breve. Con un tempismo che tradiva una lunga preparazione, il 7 dicembre, mentre le ultime forze portoghesi lasciavano l'isola, venti navi da guerra, tredici aerei e diecimila soldati indonesiani attaccarono la città di Dili. La resistenza si dimostrò maggiore del previsto dal comando dell'esercito indonesiano, e i timoresi orientali del 1975 misero la stessa determinazione nel combattere gli invasori come avevano fatto i loro antenati contro le manovre coloniali portoghesi. I combattimenti continuarono a Baucau il 10 dicembre, poi due settimane dopo a Liquiça, Suai, Aileu e Manatuto. Secondo Martinho da Costa Lopes, l'amministratore apostolico di Dili, almeno 2.000 persone furono uccise nei primi giorni dell'invasione, incluso il giornalista australiano Roger East. Alla fine del 1976, la maggior parte della popolazione era fuggita in montagna. L'esercito indonesiano controllava solo le strade principali ed era stato costretto ad aumentare la sua presenza a 40.000 uomini. Nell'agosto 1977, attaccò il quartier generale della FALINTIL sulle montagne, costringendo il movimento di resistenza ad abbandonare la gestione centralizzata delle sue attività e a chiedere ai suoi 450.000 seguaci di Timor Est di tornare in pianura. Il mese seguente, l'esercito di occupazione decise l'internamento dei civili e di colpire un colpo decisivo lanciando una campagna militare di accerchiamento e annientamento. Nel dicembre 1978, l'esercito indonesiano ammise di aver internato 372.900 timoresi (il 60% della popolazione) in 150 campi. Confinati, e con pochissime terre da coltivare, i prigionieri sperimentarono una serie di devastanti carestie falcidiarono decine di migiaia di vite.

Di fronte al fallimento delle sue grandi offensive militari, l'esercito indonesiano chiese al colonnello Purwanto di negoziare con la resistenza nel marzo 1983. Le posizioni erano inconciliabili. L'esercito indonesiano voleva negoziare la resa dei guerriglieri. La delegazione FRETILIN, guidata da Xanana Gusmão, era disposta ad accettare solo il principio di un governo indonesiano "transitorio", con una forza di pace dell'ONU, in preparazione ad un vero referendum sull'autodeterminazione. Alla fine, si firmò un cessate al fuoco temporaneo, che venne rotto unilateralmene dall'Indonesia nell'agosto 1983. La guerriglia proseguì parallelamente alle proteste pacifiche (note quelle in occaione della visita di Giovanni Paolo II) senza ottenere vittorie decisive o essere schiacciata definitivamente.

La svolta avvenne nel 1991, in occasione del cosiddetto "massacro di Santa Cruz": il 12 novembre migliaia di timoresi si riunirono per i funerali di un giovane separatista ucciso dalla polizia durante la visita del relatore speciale della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite. Pensando che potesse agire impunemente, ignaro che il giornalista Max Stahl stava filmando la scena, l'esercito indonesiano sparò sulla folla e uccidendo 271 persone e ferendone 382. Le immagini trasmesse dalla tv occidentale provocarono proteste da parte di paesi tra cui Canada e Paesi Bassi, e spinsero gli Stati Uniti a congelare l'assistenza militare a Suharto. La cattura di Xanana Gusmão in un nascondiglio a Dili il 20 novembre 1992 costituì un altro grande evento quell'anno, dato che l'esercito indonesiano lo cacciava da oltre 10 anni. Sottoposto a tortura, fu costretto pubblicamente a invitare i suoi compagni a rinunciare alla lotta. Ironicamente, l'arresto di Xanana Gusmão diede nuova vita al nazionalismo di Timor Est. Ispirati dal loro leader imprigionato, i giovani timoresi orientali che studiavano in Indonesia manifestarono il loro desiderio di indipendenza in molte occasioni.

Alla fine fu la crisi politica indonesiana a innescare il cambiamento. Dopo essere stati licenziati dall'esercito, gli studenti occuparono il parlamento di Giacarta, costringendo il generale Suharto a dimettersi dopo 33 anni al potere. Gli succedette il suo vice, Jusuf Habibie, il quale propose uno "status speciale" per Timor Est. Sei giorni dopo, 15.000 studenti di Timor Est scesero in piazza chiedere un vero referendum sull'autodeterminazione e il rilascio di Xanana Gusmão. Durante il mese successivo, 65.000 indonesiani, fuggirono dal paese. Il 5 maggio 1999 l'ONU, il Portogallo e l'Indonesia firmarono un accordo per l'organizzazione di una "consultazione popolare" sulla proposta di autonomia all'interno della Repubblica unitaria di Indonesia. Nel maggio-giugno 1999, la squadra delle Nazioni Unite incaricata di preparare il referendum è stata testimone di intimidazioni e omicidi perpetrati da milizie filo-indonesiane. Nel luglio 1999, 90.000 persone, o il 10% della popolazione, dovettero rifugiarsi in montagna per sfuggire agli attacchi delle milizie indonesiane. Nonostante le minacce e gli attacchi, il 30 agosto 1999 il 98% degli elettori si recò alle urne. A partire dal giorno seguente, prima che i risultati fossero annunciati, le milizie iniziarono la distruzione sistematica degli edifici pubblici. Il 4 settembre 1999, l'ONU annunciò che il 78,5% della popolazione aveva votato a favore dell'indipendenza. Le milizie e l'esercito continuarono a distruggere edifici, in particolare gli archivi che avrebbero potuto dimostrare i loro abusi. Trecentomila persone, un terzo della popolazione, furono sfollate con la forza verso Timor Ovest, mentre esecuzioni sommarie spinsero centinaia di migliaia di timoresi orientali a fuggire nuovamente sulle montagne. Gli attacchi contro i civili e la Chiesa furono così violenti che portarono all'intervento diretto del presidente degli Stati Uniti Bill Clinton che spinse il presidente Yusuf Habibie ad accettare il dispiegamento di una forza internazionale di pace. Così il 20 maggio 2002, dopo ventisette anni di lotta e massacri, Timor Est ottenne ufficialmente lo status di stato indipendente.

Quella di Timor Est è stata una delle più grandi tragedie umane della seconda metà del XX secolo. Nonostante le varie commissioni d'inchiesta, probabilmente non si avranno mai dati definitivi a causa della distruzione dei documenti da parte dell'esercito indonesiano. I numeri sono tuttavia estremamente elevati. Secondo fonti indonesiane, l'occupazione causò almeno 150.000 morti, di cui 80.000 vittime durante le operazioni militari e 70.000 morti durante le carestie degli anni '70. Nell'ottobre 2005, la relazione della Commissione per l'accoglienza, la verità e la riconciliazione (CAVR) ha stimato il possibile numero di vittime a 183.000. Molte fonti indipendenti suggeriscono che l'occupazione potrebbe aver causato 250.000 morti tra il 1975 e il 1999. In ogni caso, il numero è considerevole. Considerando che la popolazione totale di Timor Est era di circa 700.000 abitanti nel 1975, si può dedurre che tra il 20% e il 30% della popolazione del 1975 morì a causa dela repressione.

Più strutturalmente, si può sostenere che c'è stato un tentativo di "genocidio"? Alla luce dei criteri esposti dalla Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, ratificata da 140 paesi, non vi è dubbio che gli atti e i mezzi di occupazione di Timor orientale da parte delle truppe indonesiane dal 1975 al settembre 1999 hanno tutte le caratteristiche del genocidio. Solo la creazione di un tribunale internazionale consentirebbe una risposta definitiva. Le Nazioni Unite sono state in grado di crearne una tra l'ottobre 1999 e il maggio 2002, ma non l'hanno fatto, lasciando al nuovo Stato di Timor Est il compito di presentare la richiesta.