1994: la "discesa in campo" di Silvio Berlusconi

ANDREA BERNABALE
STORIE DELLA REPUBBLICA

1994: LA "DISCESA IN CAMPO" DI SILVIO BERLUSCONI

«L'Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà.»

(S. Berlusconi, 1994)

silvio berlusconi 1994
Silvio Berlusconi nel 1994

Le elezioni del 1994 rappresentarono uno spartiacque nella politica italiana, segnando - simbolicamente - il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Nel gennaio 1994, infatti, il Presidente della Repubblica Scalfaro sciolse le Camere e indisse nuove elezioni per il 27 e 28 marzo; nel frattempo, un personaggio di nome Silvio Berlusconi, già noto agli italiani ma sconosciuto finora alla politica, annunciava la sua "discesa in campo", ovvero la sua intenzione di candidarsi alle elezioni di marzo alla guida di un nuovo partito da lui fondato: "Forza Italia".

Prima di catapultarsi in politica, Silvio Berlusconi era noto come uno dei più grandi imprenditori nel panorama italiano: possedeva infatti un complesso di aziende con migliaia di dipendenti; era allora presidente del Milan, club calcistico che si attestava tra i più forti in Europa; infine, era - ed è tuttora - proprietario dell'impero televisivo Mediaset che costituiva un mezzo potentissimo nella comunicazione politica e attraverso il quale Berlusconi aveva intessuto già rapporti con la politica stessa, favorendo l'amico Bettino Craxi (ex Primo Ministro italiano socialista) con spazi televisivi gratuiti e un orientamento filo-socialista in cambio di provvedimenti ad hoc che avevano consentito al suo impero televisivo di decollare.

Il teso clima politico generato dall'ondata di scandali scoperchiati da "Mani Pulite" costituì terreno fertile per l'entrata in politica di Silvio Berlusconi, considerato come un volto nuovo in un momento di forte sentimento antipartitico da parte degli elettori. I partiti che avevano dominato la Prima Repubblica si erano sgretolati.

In tali circostanze, Berlusconi temeva che la sinistra (confluita nel PDS), vincendo le elezioni, potesse essere dannosa per motivi di interesse generale e illiberale in economia, tale da poter compromettere la produttività e il fiorire di iniziative imprenditoriali.

La scelta di entrare in politica da parte di Berlusconi fu, in un certo senso, anche un atto di sopravvivenza, o meglio, di sopravvivenza del suo impero economico: sarebbero bastati alcuni provvedimenti "mirati" per soffocare il suo impero, dal momento che le sue emittenti dipendevano fortemente da concessioni governative così come le sue aziende dipendevano dai crediti per migliaia di miliardi che le banche gli avevano concesso.

I timori, d'altronde, non erano infondati: da Eugenio Scalfari a Occhetto, esisteva nelle file della sinistra un forte blocco anti-berlusconiano in accesa polemica contro la sua eccessiva concentrazione del potere televisivo.

Fondò così Forza Italia, uno "strano" partito, molto diverso dai tradizionali partiti italiani: era un partito cresciuto in pochissimo tempo, fortemente personalistico, era il partito di Berlusconi; sarebbe infatti inimmaginabile Forza Italia senza la figura del Cavaliere, essendo sostanzialmente una "macchina elettorale personale", come definirono alcuni.

Non esistevano, all'interno del partito, regole democratiche per la scelta dei dirigenti, che venivano tutti designati da Berlusconi. L'ideologia berlusconiana era anch'essa slegata dalle tradizionali ideologie e poco articolata: risultava infatti un insieme di liberalismo economico, efficientismo aziendale e un ostentato anticomunismo. E poi c'era la sua figura: quella dell'imprenditore infallibile.

L'alleanza con la Lega Nord di Bossi e Alleanza Nazionale di Fini, pur essendo contraddittoria, si rivelò una scelta vincente: metteva insieme una forte spinta liberista radicata al Nord e l'eredità del vecchio assistenzialismo al Sud. Altrettanto si rivelarono vincenti le promesse demagogiche di Berlusconi per l'introduzione di un limite costituzionale alla pressione fiscale e della creazione di un milione di posti di lavoro.

È ormai storia il discorso di entrata in politica: esordì con «l'Italia è il paese che amo» e concluse promettendo un «nuovo miracolo italiano», in una registrazione di nove minuti. Il berlusconismo dava simbolicamente inizio alla parabola della Seconda Repubblica.