La Primavera di Praga

FILIPPO FRIGERIO
SESSANTOTTO

LA PRIMAVERA DI PRAGA

- 5 gennaio 1968 -

«Ci dicono che stiamo turbando i rapporti con l’Unione Sovietica e le altre nazioni socialiste, come se contraddicesse il socialismo il fatto che non vogliamo esser sudditi di alcun padrone né padroni di alcun suddito, ma libera terra tra popoli uguali in un mondo giusto. Solo reggendoci sulle nostre gambe, dritti e liberi, possiamo essere buoni amici di amici buoni e disinteressati alleati di alleati disinteressati».

Jan Procházka


Alla fine del 1967, il consenso intorno al segretario del Partito comunista cecoslovacco, il filo-sovietico Antonín Novotný, era ai minimi storici. L'economia pianificata della nazione era in declino già dall'inizio del decennio e le politiche di matrice stalinista, caratterizzate dalla violenta repressione del dissenso interno e dalla cancellazione d gran parte delle libertà civili, avevano accresciuto lo scontento nei confronti di Novotný al punto da convincere lo stesso Brežnev a sostituirlo con una figura più apprezzata e considerata moderata: il segretario del Partito Comunista Slovacco Alexander Dubček.

Il 5 gennaio 1968 Dubček venne nominato segretario del Partito Comunista Cecoslovacco e, nei mesi successivi, gli furono affiancate due figure congeniali al supposto rinnovamento della politica cecoslovacca: il nuovo presidente della Repubblica, nonché ex generale dell'Armata Rossa, Ludvík Svoboda ed il Primo Ministro Oldřich Černík. Entrambi collaborarono attivamente con Dubček per l’introduzione di importanti riforme. Queste riforme, raccolte nel Piano d’azione stipulato nell'aprile 1968, consistevano in numerose liberalizzazioni sia economiche che sociali: incremento delle libertà di stampa attraverso l’abolizione della censura di stato, libertà di espressione ed associazione, possibilità di una maggiore - seppur non completa - concorrenza economica, apertura politica a partiti diversi da quello comunista, limitazione dei poteri della polizia segreta e trasformazione del paese in una federazione di due Stati, ceco e slovacco. Quanto alla politica estera, al mantenimento delle relazioni di cooperazione con l’Unione Sovietica e il blocco orientale si sarebbero dovuti affiancare buoni rapporti con le nazioni occidentali.

Era la nascita di un nuovo tipo di socialismo, il così detto “socialismo dal volto umano”, cui obbiettivo era dare vita alla prima democrazia socialista, rinnovando dall’interno un modello che stava perdendo consenso ed efficacia. Usando le parole di Dubček «Socialismo non può significare solo liberazione dei lavoratori dalla dominazione delle relazioni con la classe sfruttatrice, ma deve garantire una realizzazione della persona più completa di quella assicurata da qualunque democrazia borghese».

Pur non mettendo in discussione la propria fedeltà all'URSS e al Patto di Varsavia, le riforme cecoslovacche misero in allarme la dirigenza di Mosca. Due mesi più tardi, il 27 giugno 1968, il giornalista e scrittore ceco Ludvík Vaculík pubblicò sulla rivista Literární Listy il Manifesto delle duemila parole, una dichiarazione di aperto dissenso nei confronti del Partito Comunista, rivolgendo un forte invito all'ala progressista a lavorare per una svolta ancor più decisa rispetto alla strada intrapresa fino a quel momento. Dubček e gli altri politici riformisti non condivisero il Manifesto: questo venne pubblicamente condannato e i migliaia di firmatari subirono una severa repressione.

È l’inizio della fine della Primavera di Praga.

Il 3 agosto Alexander Dubček incontrò Leonìd Brežnev a Bratislava, per rinnovare la sua fiducia, nonché quella del governo cecoslovacco e del PCC all'Unione Sovietica e al Patto di Varsavia. Tuttavia, al Cremlino la decisione era stata presa da tempo e non vi era possibilità di far mutare di opinione Politburo e Comitato Centrale: nella notte tra il 20 e il 21 agosto i carri armati dell’Armata Rossa e quelli di quattro alleati del blocco (Bulgaria, DDR, Ungheria e Polonia) invasero la Cecoslovacchia.

Andava in scena la brutale repressione della Primavera di Praga, che dopo mesi di difficili trattative verso la transizione, vide la fine nel tempo di una notte, segnata dalle parole del segretario Dubček, simbolo del tentativo di cambiamento, intento ad invitare la popolazione a non opporre resistenza.

Il 24 agosto, i principali esponenti del governo cecoslovacco furono condotti a Mosca e obbligati ad accettare la presenza delle truppe del Patto di Varsavia all'interno dei confini e a rinunciare al programma di riforme, ponendo inesorabilmente fine al “socialismo dal volto umano” e lasciando spazio alla repressione e al riallineamento all'ortodossia sovietica.

In un anno di rivoluzione e proteste politiche globali, la versione cecoslovacca è stata, per molti versi, una forma particolare di dissenso. Nonostante Alexander Dubček non avesse mai optato per il rovesciamento del sistema comunista, ma desiderasse semplicemente riformarlo, i tentativi di innovazione vennero considerati dall'Unione Sovietica come un terreno troppo fertile per nuove e maggiori istanze liberali e, di conseguenza, si ritenne impossibile trascurarle o accoglierle con favore.

Invasione sovietica della Cecoslovacchia
carri armati praga
Carri armati sovietici a Praga

LETTURE E APPROFONDIMENTI:

- Alexander Dubček, "Il nuovo corso in Cecoslovacchia"; Editori riuniti, 1968

- Alexander Dubček, "Il socialismo dal volto umano. Autobiografia di un rivoluzionario"; Editori riuniti, 1996.

- Václav Havel, "Interrogatorio a distanza. Conversazione con Karel Hvížďala"; Garzanti, 1990.

- Enzo Bettiza, “La Primavera di Praga”, Mondadori