di Lorenzo Bonaguro

L'INTERNAZIONALISMO CONSERVATORE

Nel campo accademico delle relazioni internazionali una delle divisioni più marcate – tra le molte correnti di pensiero – separa i realisti e gli internazionalisti di stampo liberale: i primi si concentrano sui rapporti di forza e l’equilibrio di potere fra gli stati come garanzia della stabilità e della pace, i secondi invece sostengono l’idea della diffusione dei valori occidentali (democrazia e libero mercato in primis) per costruire un sistema fondato su istituzioni internazionali che spingano i paesi a cooperare e non a competere. In questo secondo modo, secondo gli internazionalisti, si ridurrebbe il ricorso all’uso della forza. Molti fautori di questa corrente vedono gli Stati Uniti come il motore, il soggetto “incaricato” di diffondere la libertà nel mondo. Insomma una corrente di pensiero statica che vede la realtà come immodificabile sostanzialmente, e una invece dinamica che propone una via di uscita dall’insicurezza e dal quasi perenne stato di guerra.

Il professor Henry Nau da qualche anno sostiene l’esistenza di una particolare forma di internazionalismo che definisce "conservatore”, utile per definire la politica estera americana di certi presidenti sui quali si concentra in uno dei suoi libri più famosi “Coservative Internationalism: Armed Diplomacy under Jefferson, Polk, Truman and Reagan”. Come la corrente liberale, l'internazionalismo conservatore sostiene l’importanza della diffusione della democrazia e della libertà, tuttavia, al contrario della versione liberale, l'uso della forza in sostegno alla diplomazia – tipico del pensiero realista – è visto come perfettamente coerente. Allo stesso tempo, per i conservatori, la sovranità nazionale non è assolutamente sacrificabile in nome di istituzioni internazionali, mentre per i liberali vale l’opposto.

A differenza dell’altra grande corrente di pensiero, il realismo, per i conservatori l’uso della forza non deriva dall’intrinseca anarchia del sistema internazionale né dal dilemma della sicurezza nazionale: esso nasce dalle profonde differenze interne dei diversi paesi, regimi e culture che se troppo diversi causano attriti che possono sfociare nella guerra. A differenza dei realisti, la struttura interna degli stati è una variabile fondamentale nell'ottica conservatrice. Una politica di “cambio di regime” sembra quindi essere la miglior soluzione: la diffusione dei valori americani dovrebbe quindi migliorare il mondo rendendolo più stabile e sicuro, un mondo fatto di “repubbliche sorelle” e non di grandi potenze in competizione o di istituzioni internazionali centralizzate e sovranazionali.

I presidenti Truman e Reagan sono, secondo Nau, due perfetti esempi di internazionalismo conservatore, smontando la tradizione che vede il primo come un semplice liberale e il secondo come un conservatore duro e puro. Da un lato il presidente democratico diede impulso alla nascita di istituzioni come le Nazioni Unite, ma dall’altro impegnò il suo paese in uno sforzo diplomatico e militare nel contenere il comunismo essendo nell’interesse americano che le nazioni alleate e quelle non allineate stessero lontane dall’influenza del Cremlino. Reagan fu ancora più radicale: ripudiò l’idea della coesistenza pacifica di Nixon e il liberalismo di Carter in nome della diffusione dell’American Way, e per fare ciò avviò la più grande spesa militare dai tempi della guerra in combinazione a una diplomazia estremamente aggressiva. In ambito di trattative preferì di gran lunga i negoziati bilaterali piuttosto che i meccanismi di risoluzione collettiva, che avrebbero minato la sovranità dello stato.