BENVENUTI!
In questa pagina troverete tutte le recensioni sui miei romanzi e racconti. Buona lettura!
RECENSIONI CASE EDITRICI:
"Lavoro scritto in modo intelligente e semplice, ha una buona penna e una grande passione per il genere.
Le descrizioni talvolta minuziose impreziosiscono la lettura.
I discorsi diretti sono la minoranza nel testo, questo porta il lettore a una maggiore consapevolezza dell'ambiente e della situazione che avvolgono i personaggi senza troppe distrazioni.
La storia è contornata da racconti e trasposizioni cinematografiche che narrano della devastazione terrestre, anche la follia umana in seguito a un'esposizione di agenti patogeni o particolari piante non manca.
La storia è intrigante e di sicuro riesce a farsi apprezzare dagli appassionati del genere.
Un'opera ben scritta e alla portata di tutti, in particolare per gli amanti della fantascienza con quel pizzico di horror spaziale tanto di moda negli ultimi anni."
WRITERSEDITOR
"Abbiamo apprezzato il suo testo; una buona storia, ben costruita con personaggi credibili, con un finale plausibile e senza un’improbabile color rosa."
ROBIN EDIZIONI
RECENSIONI UTENTI:
RECENSIONI BLOG:
"Un’altra lettura che mi ha piacevolmente sorpresa.
Inizia subito con scariche adrenaliniche e un senso di inquietudine crescente. La precisione nelle descrizioni, soprattutto dello stato emotivo di una persona coinvolta in una situazione di emergenza drammatica ha una potenza che ti arriva addosso senza difese. È impetuosa, ma anche sorprendentemente lineare… tecnica, capace di lasciare spazio alla mia immaginazione.
Dalle prime righe pensavo di trovarmi davanti a una classica storia spaziale; procedure, astronavi, vita di colonia, quelle dinamiche che preparano il terreno senza comprometterlo.
E invece no.
Già dopo poche pagine qualcosa si muove sotto la superficie. Una sensazione sinistra, cupa, come un’ombra che passa dietro una porta chiusa e tu non sei nemmeno sicura di averla vista.
È un cambiamento rapido e lento, allo stesso tempo sembra un paradosso, ma c’è una calibratura nella scrittura che porta inevitabilmente verso un punto di non ritorno.
La tensione ti si appiccica alla pelle, diventa la tua tensione, e ti ritrovi nello spazio, in una situazione terrificante, pericolosa, disperata.
E non hai via di scampo. La Terra non è più nemmeno un luogo possibile.
Man mano che si procede nella lettura ci si accorge di come la trama adrenalinica scivoli sempre più nel buio.
Un buio letteralmente fisico, che senti dentro le ossa. Ero inquieta pure sulla poltrona mentre leggevo come se fosse bollente, il respiro accelera poi si trattiene, come se fare rumore potesse attirare qualcosa che non vuoi incontrare.
Sei spalla a spalla con i protagonisti, e prima ancora di rendertene conto, la storia ti è entrata nella mente e nelle viscere.
A volte un libro che inizia con dettagli intensi può diventare ancora più viscerale, sapete? Più vicino all’idea più pura e cruda della fantascienza: non quella che usa il futuro come show, ma quella che lo trasforma in una lente capace di rivelare ogni dettaglio inevitabile.
Lo stile di Simone Di Girolamo è stato il primo elemento a colpirmi.
Il suo ritmo unisce qualcosa di antico e qualcosa di moderno, con la densità tipica dei film degli anni ’80, quando la fantascienza era nevrotica, materica, ferita dalla realtà. Penso ad Alien, a The Thing, quella scuola narrativa che costruisce terrore attraverso rumori metallici, respiri, luci che lampeggiano nei corridoi.
Ma non solo cinema, qui c’è anche un riflesso della fantascienza letteraria più cupa, inquieta, quella di Philip K. Dick con le sue percezioni alterate, e l’ombra dell’hard scifi più cupa alla James Cameron per intenderci, trasportata su pagina.
Tutto funziona insieme, in modo sorprendentemente equilibrato. Questo romanzo, mi viene da dire, procede per fotogrammi.
Leggevo e avevo la sensazione di vedere ogni scena come una sequenza tagliata al momento giusto: uno scatto, un movimento appena accennato, l’ombra di qualcosa che non sai ancora riconoscere ma che avverti.
Questa narrazione “a fotogrammi”, così cinematografica, è uno dei punti di forza dell’autore: lui ti mette dentrol’immagine, non davanti. Ti lascia sola a elaborarla.
E quello stato di alienazione, di isolamento, di claustrofobia diventa più terrificante di qualsiasi descrizione dettagliata. La violenza, quando arriva, è straordinariamente funzionale.
Lo splatter diventa un linguaggio efficacissimo: come si potrebbero raccontare i limiti estremi della sopravvivenza senza mostrare la carne che si dilania, il sangue che scorre, la fragilità irriducibile del corpo umano?
Più la carne si lacera, più la storia diventa credibile e sincera. Ho amato il brivido che mi lasciava addosso ogni scena (quella della lavanderia mi rimarrà in mente per i prossimi centomila incubi notturni).
La disperazione che si nasconde dietro lo splatter è un approccio narrativo che rispetto profondamente. Il sentirmi vulnerabile come i personaggi mi ha ricordato che la paura nasce sempre dalla nostra fragilità. Dallo spirito di sopravvivenza. La trama, man mano che leggerete, muta, cresce, si alimenta di sé stessa, si autofagocita di emozioni e terrore, così quello che sembrava un racconto di esplorazione diventa un viaggio nello spazio che porta dentro di sé le conseguenze di esperimenti, mutazioni, scelte etiche impossibili. Gli spazi si stringono: quello che era un ambiente diventa una gabbia. Le luci artificiali inquietano, ogni rumore è preludio all’indicibile.
E i personaggi?
Ognuno è messo davanti ai propri limiti e tu stesso mentre osservi, soffri e tremi, ti ritrovi a chiederti: fino a che punto siamo disposti a spingerci per salvare qualcuno?
Tra tutti i personaggi, ce n’è una che mi ha colpito più degli altri (non vi dico il nome, la scoprirete da soli). Non per gesti estremi o per il suo coraggio istintivo, ma per quel modo umano di affrontare la paura. La sua presenza nella storia ha un peso che si sente, è una figura che tiene insieme quello che resta della dignità, della logica, della calma e forse dell’umanità.
È quella che osserva prima di agire, quella che riconosce il terrore ma non gli cede il passo, lo affronta. Ho amato il suo modo di proteggere gli altri, quella sua forza discreta che si vede quando qualcuno si mette davvero al servizio del gruppo.
In lei ho ritrovato tantissimo di ciò che vivo ogni giorno nella mia professione: quella capacità di rimanere lucidi quando la paura vorrebbe deformare tutto, di fare un passo avanti quando sarebbe più facile farne uno indietro, di diventare un punto fermo anche quando dentro senti crollare ogni cosa. La sua umanità, anche nei momenti più disperati, e ciò che mi ha permesso di rimanere ancorata alla storia mentre tutto intorno si sgretolava.
E mi ha ricordato che spesso è nella resistenza che si dimostra il proprio valore umano. Il tema del sacrificio è potente, devo ammettere che questa idea l’ho inevitabilmente sovrapposta a ciò che vivo nella mia professione. Mi ha fatto uno strano effetto riconoscere parti di me in un romanzo di fantascienza.
Il senso di dover essere forte non perché lo vuoi, ma perché non c’è alternativa.
Mi sono rimaste addosso tante immagini: gli occhi disperati dei mutanti, il rumore metallico che precede un orrore, le luci che non scaldano mai le pareti delle navicelle. Il terrore che ti attraversa, la sensazione di movimento trattenuto, come se ogni passo potesse essere l’ultimo. L’adrenalina non scende mai, nemmeno quando chiudi il libro.
E i corridoi della colonia diventano simili ai corridoi del mio ospedale e l’inevitabile, l’inatteso, è sempre in agguato e le scelte da fare senza tempo per pensare sono vitali. Impossibile per me non fare associazione a ciò che vivo nella mia quotidianità.
Bello il senso di appartenenza non solo al genere umano ma alla famiglia, l’appartenenza è una scelta, una missione. Si appartiene e quando si appartiene a qualcosa e a qualcuno si resta anche quando sarebbe più facile scappare via. Chi appartiene si mette davanti al pericolo per farti da scudo. Sceglie di restare.
Quando ho chiuso il libro, mi sono accorta che respiravo in modo diverso.
Mi è rimasto dentro un senso di inquietudine senza turbamento: era un’inquietudine che conoscevo, e il romanzo le ha dato forma.
E mentre riflettevo, mi è tornata in mente l’immagine più iconica dell’umanità: i primi passi sulla Luna. Quel passo leggero sulla crosta lunare, quel sogno diventato realtà, quel momento in cui l’essere umano ha guardato il cielo e ha deciso di raggiungerlo.
E poi, dall’altra parte, Il cammino dell’ultimo uomo: passi pesanti invece che leggeri,
un buio invece della luce, la sopravvivenza invece della conquista.
Due cammini opposti e complementari: uno verso il cielo, uno attraverso l’oscurità, uno per aprire il futuro, uno per non essere inghiottiti dal vuoto. In mezzo, sempre, resta l’umanità: fragile, resistente, imperfetta, viva.
Grazie Simone Di Girolamo per aver riacceso in me l’antica passione per la fantascienza".
BARBARA ANDERSON
LE RECENSIONI DI LES FLEURS DU MAL, Narrativa Contemporanea
LINK: https://lesfleursdumal2016.wordpress.com/2025/12/12/il-cammino-dellultimo-uomo-simone-di-girolamoself-publishing-a-cura-di-barbara-anderson/?fbclid=IwY2xjawOoyCZleHRuA2FlbQIxMQBzcnRjBmFwcF9pZBAyMjIwMzkxNzg4MjAwODkyAAEe8rzp-_DgWYcaAglSWupWs6PkSxcTLC4I8611KbOl4cqtJ5j1kkCZCn34GgM_aem_RercnGHuOD42Lh6kjwcgtw