L’otto e il nove Giugno 2025 gli Italiani sono chiamati alle urne per un referendum abrogativo, invitati a pronunciarsi in merito a cinque leggi, che riguardano il mondo del lavoro e la cittadinanza.
Nello specifico i quesiti n.1 e n. 2 chiamano ad esprimersi sulle norme relative ai licenziamenti illegittimi, disponendo – nelle aziende con oltre 15 dipendenti - il diritto di reintegro del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo (quesito 1), nonché l’abolizione del tetto di sei mesi all’indennità di licenziamento nelle piccole imprese (quesito 2): nelle aziende con meno di 16 dipendenti, infatti, in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere un indennizzo pari a 6 mensilità di risarcimento, anche qualora un giudice non reputi fondata l’interruzione del rapporto.
Il quesito n. 3 punta chiaramente a contrastare la lotta al precariato, concentrandosi sui contratti di lavoro a tempo determinato, che interessano attualmente oltre 2,3 milioni di persone in Italia. La normativa attuale consente di avviare un rapporto di lavoro a termine per un periodo di massimo 12 mesi, senza dover fornire alcuna motivazione. L’intento della proposta è quello di reintrodurre l’obbligo di specificare la causale per questo tipo di contratti, così da impedire che la medesima mansione possa essere assegnata ad un nuovo lavoratore, incentivando la stabilizzazione del lavoro e arginando la crescente precarietà.
Il quesito n. 4 interessa, invece, la sicurezza sui luoghi di lavoro, troppo spesso dolorosamente all’ordine del giorno tra i fatti della cronaca nazionale: l’intervento proposto mira ad estendere la responsabilità in caso di incidenti anche all’azienda appaltante, e non solo agli appaltatori. Una tale responsabilità consentirà ai lavoratori e alle loro famiglie di ottenere un risarcimento diretto in caso di incidente e costituirà un forte deterrente alla prassi corrente dell’affidamento dei lavori a soggetti privi di solidità finanziaria o non in regola con la normativa sulla sicurezza, rafforzando così la prevenzione degli incidenti.
Con il quesito 5, infine, si propone di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto agli stranieri extracomunitari maggiorenni per poter beneficiare della cittadinanza italiana.
Sicuramente quesiti importanti, che riguardano aspetti nevralgici della vita del nostro Paese.
Bisogna ricordare che in Italia – come stabilito dall’articolo 75 della Costituzione - i referendum abrogativi per essere validi devono essere votati dalla maggioranza degli aventi diritto al voto, ciò per evitare che la volontà di una minoranza cancelli una legge approvata dalla maggioranza dei cittadini attraverso la maggioranza parlamentare.
Nel nostro paese, però, quando si tratta di recarsi alle urne c’è un grave problema: l'astensionismo.
Tra pigrizia e disinteresse gli Italiani che votano sono sempre meno: alle elezioni politiche del 2022 l’affluenza è crollata al 63,9%, segnando un calo del 9% dei votanti rispetto alle politiche del 2018. Si tratta, purtroppo, di un trend già in corso da molti anni.
È vero che non recarsi al voto è consentito dalla legge, ma da sempre – così come espresso dall’articolo 48 della Costituzione - votare è stato inteso dagli Italiani come un dovere civico: l’astensionismo veniva considerato una sorta di “macchia” dai nostri nonni, quelli che la dittatura e la guerra le avevano vissute in prima persona, al punto da ipotizzare addirittura una sanzione per chi non avesse compiuto il proprio dovere di elettore.
Al di là dell’esito finale del referendum, è proprio questa spinta generale all’astensionismo a fare paura: cittadini che rinunciano consapevolmente ad esercitare un loro diritto e dovere, quando in tantissimi paesi la libertà di voto è un orizzonte ancora distante, possono davvero dirsi tali?
I referendum sono da sempre strumento di propaganda: destra e sinistra si vanno a scontrare su ogni questione, e non è la prima volta che membri della maggioranza invitano a non andare a votare. Ma perché si va a normalizzare un comportamento che è contro il dovere morale di ognuno di noi?
Ultimamente, le parole di alcuni esponenti politici hanno fatto scalpore. Che la croce sia messa sul sì o sul no, non è il punto, dal momento che ognuno deve essere libero di esprimere la propria opinione, ma non recarsi a votare equivale a calpestare una delle poche possibilità che abbiamo per cambiare le cose.
Tutti noi conosciamo bene la pena riservata agli ignavi nella Divina Commedia, correre dietro una bandiera bianca, punti da insetti, per l'eternità…ma se un supplizio immaginario non basta come eventuale deterrente, molto più convincente potrebbero risultare altre riflessioni.
Un diritto, come quello al voto, tanto faticosamente ed anche recentemente conquistato, si può anche perdere, perciò esso va custodito ed esercitato: con convinzione, informazione e consapevolezza. Dopotutto, viviamo in un’epoca in cui informarsi è semplice ed immediato: non farlo vuol dire spegnere la propria testa, lasciarsi trasportare dalla corrente.
In un’intervista con Il Manifesto il costituzionalista Gaetano Silvestri aveva dichiarato che “l’invito ad astenersi è una scorrettezza” in quanto è “un incitamento a non far funzionare correttamente un istituto di democrazia diretta".
Dovremmo astenerci da una sola cosa: dall’indifferenza. Perché si inizia ignorando eventi solo all’apparenza trascurabili, per diventare progressivamente sempre più disinteressati alla realtà che ci circonda. In un mondo come quello attuale caratterizzato da tali e tante contraddizioni e sfide, voltarsi dall’altra parte significa perdere la propria umanità.
E noi, che discendiamo da chi, pur con le sue imperfezioni, la democrazia l’ha creata, non possiamo proprio permetterlo.